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SULLE ARIE, SULLE ACQUE E SUI LUOGHI
POLITICO-BIEDICO-STATISTICO
PRIMA TRADUZIONE ITALIANA
t
CON NOTE
DEL DOTTORE
GIOVANNI CAPSONI
DIRUTTORE DEGLI SPEDALI Df BERGAMO
MILANO
COI TIPI DI PAOLO ANDREA MOLINA
Contrada dell' Agnello, N.'} 9G5
1850,
t
ULv Idkotz.
Già sono molti anni da che i Politici, gli Statisti
ed i Fisiologi presero in serio esame questo capo
tY opera del grande Ippocrate , e se lo proposero
a modello riguardandolo qual fonte di luce e gui-
da maravigliosa nel grande argomento dell' in-
fluenza eh' esercitano sull' uomo il clima e le co-
se che lo circondano. Ne li più grandi Geografi
antichi e moderni altro fecero , che seguirne i
principj v°lendo filosoficamente trattare la pro-
pria scienza, come i più felici e rinomati medici
ebbero a confermarne Y utilità trovandosi debi-
tori a' precetti sparsi in questo libro delle cogni-
zioni felicemente acquistate a vantaggio della pra-
tica e della fama loro. Già il suo merito aveva
fatto a sé rivolgere i talenti e le fatiche di uo-
mini sommi, ma in quest' epoca in cui si vede di
qual importanza sia la statistica in generale e la
medica in particolare alla salute ed al miglior
essere dell'uomo, e come coloro che sono alle
6
cose pubbliche preposti da quella conoscano di
dovere attingere, e come infatti attingano, moltis-
simi lumi e materia a que' supremi fini diretti ,
in quest' epoca , dico , io credetti non potersi più
opportunamente richiamare alla venerazione il
più antico trattato d'igiene e di medica topogra-
fìa. Di ciò persuaso, io mi sono posto pel primo
tra gì' Italiani all' impegno di renderlo volgare ,
ed ho lusinga che questa impresa, che mi costo
alcuni anni di pazientissima fatica, possa riuscire
soddisfacente alla curiosità degli studiosi, utile
alla medica letteratura, non che agli esercenti
l'arte salutare ed a chiunque in fine nel disim-
pegno de' proprj uffici vuole e deve avere in-
fluenza sulla felicità e sul ben essere delle po-
polazioni.
DISCORSO PRELIMINARE
D I
ADAMANZIO GORAY
DELL' INFLUENZA DEL CLIMA SULL' UOMO.
§ i. L'opera sorprendente di cui si offre al pubblico la
traduzione, fu composta, son già più di venti secoli, in un
angolo della Grecia da un medico (I) privo di tutti li
soccorsi, che li progressi delle scienze e delle arti for-
nir possono all'osservatore de' tempi nostri. Guidato Ip-
pocrate dal suo genio di cui avevalo la natura fornito
volle risolvere il più interessante problema che sia
mai stato proposto.
§ 2. Trattavasi sapere perchè gli uomini, ad onta
delP identità della loro specie, mercè successive grada-
zioni diversificassero tra di essi in modo, che, partendo
da un punto del globo e percorrendone, tanto in lon-
gitudine, quanto in latitudine , V intiero circolo per ri-
tornare al punto medesimo, si ritrovino, a distanze più
o meno lontane, de' popoli che hanno fisonomia, tem-
peramento, malattie, costumi ed usanze diverse da quelle
de" loro vicini. Per isciogliere una questione di simile
8
importanza abbisognava un filosofo., ohe unisse alle co-
gnizioni fisiche, mediche, morali e politiche la pazienza
necessaria a moltiplici e penosissime ricerche, ed una
straordinaria sagacità per distinguere negli uomini ciò
che è opera della natura, da quanto non è che V effetto
di morali cagioni; questo filosofo si trovò in Ippocrate,
§ 3. E ben a ragione uno di coloro, che meglio il
conobbero ed approvarono , diceva appunto parlando
di quest'opera, ch'essa non è soltanto utile alli medici,
ma che lo storico , il cosmografo ed il politico vi tro-
vano del pari i primi fondamenti delle rispettive loro
scienze $ e che il suo autore ha saputo aggiungere in
essa tutte le bellezze dello stile alla gravità ed impor-
tanza del soggetto (a). Un tale giudizio fu giustificato
a tempi nostri da un' altra opera di genio, il cui au-
tore (b) nessuna parte avrebbe perduta della propria
gloria, se avesse avuto il nobile coraggio di concedere
al medico greco l'onore del secondo principio, che gli
somministrò l'idea dell'opera sua e le servì di base (II).
§ 4- Sarebbesi potuto anche prima supporre, che la
differenza che osservasi nel fisico e nel morale degli
uomini (§ 2) dipendere potesse dalla rispettiva posizione
riguardo alla maniera più o meno diretta con cui rice-
vono i raggi del sole, ed alla distanza più o meno con-
siderevole in cui trovavansi dai poli: questa considera-
zione per altro sembrava tanto meno bastare alla solu-
zione del problema, da che si era già osservato, che Io
stesso clima, cioè, la medesima lontananza dai poli pre-
(a) Prosp. Martian. Commùni, in Hippocrat. Edit. Rom. 1626,
p. 89.
(b) Charle de Secondai Bnron de Montesquieu. L'esprit de
Loix. Paris, 1748.
9
senta spesso differenze assai inarcate in distanze pic-
colissime dal meridiano , mentre che certi climi molto
lontani gli uni dagli altri forniscono fenomeni assolu-
tamente simili. Faceva d'uopo adunque avere altri dati
attinti ne' siti medesimi , che erano abitali , onde ren-
dere ragione delle diversità, che si notavano ne' luoghi
più lontani.
§ 5. Erasi già osservalo quanto accade vedere ogni
giorno, che lo stato cioè del corpo umano provava va-
riazioni grandissime per il cambiarsi delle stagioni del-
l'anno, e che V uomo della primavera non assomigliava
più a quello dell' autunno, come 1' uomo della state a
quello dell'inverno. Una tale osservazione diede origine
a quell'ippocratico aforismo: e< Nell'inverno e nella pri-
mavera lo stomaco è naturalmente caldissimo : onde è
necessario nutrirsi di più in quelle due stagioni » : (a)
ed all' altro « si digeriscono meglio gli alimenti alla
primavera, che alla state ed all'autunno : ed in inverno
meglio che alla primavera (b). »
§ 6. Ma questa diversità delle stagioni venendo in
gran parte determinata dalla diversa maniera con cui
soffiano li venti in ogni parte dell' anno , conchiudere
pure si dovette, che l'influenza di questi ultimi sul
corpo umano non era meno possente di quella delle
stagioni. Simile osservazione diede ancor luogo a quel-
raforismo.ee Le costituzioni boreali ristringono li corpi,
danno loro maggior forza ed agilità, fanno meglio spie-
gare le tinte, rendono più fino l'udito, serrano il ven-
tre, pizzicano gli occhi, e arrecano molestie al petto di
chi lo ha leso: le costituzioni australi invece rilasciano
(a) Ippocrale. Aforismi I, t5.
0) lpp., 1. e. I, ,8.
IO
ed ammolliscono i corpi, rendono ottuso l'udito, danno
origine a gravezza di capo ed a vertigini , cagionano
peso agli occhi come a tutta la macchina , e rendono
lubrico il ventre « (a).
§ 7. Si notò pur anche che nelle città , delle quali
una metà sta su di una collina e l'altra metà nel piano,
o in una valle, gli abitanti di quest'ultima parte sono
sensibilmente diversi degli altri che trovansi all' alto ,
e che le malattie proprie a quelli, non lo sono del pari
a questi. Ed una uguale diversità si affacciò riguardo
alle qualità delle produzioni del suolo nelle rispettive
due situazioni che vennero accennate (a).
§ 8. Facilmente si offerse all'osservazione, che li
varj alimenti (b) presi in differenti epoche dell'anno,
diversamente erano sentiti dall'1 animale economia } che
gli effetti di una nutrizione vegetabile sul corpo umano
non erano simili a quelli prodotti da cibi animali , e
che si notavano altresì differenze ben sensibili secondo
la varia specie o qualità de' vegetabili o degli animali
che avevano servito di nutrimento.
§ 9. Altro adunque non era d'uopo che di un uomo di
genio, onde da tutte le combinate osservazioni che si ac-
cennarono, trarne le seguenti conchiusioni: i.° Siccome
io mi sento altrimenti disposto in inverno che nella state
(§ 5), cosi li popoli da me lontani, che per la maggior
parte dell'anno sono immersi in una fredda temperatura,
dovranno abitualmente trovarsi in uno stato eguale a
quello in cui sono io stesso nell' inverno , né diversa-
(n) Ipp., 1. e. ìli, 17.
(b) Ipp. della dieta, lib. fi , delle malattie lib. IV, Sect. V.
(e) Comprendo sotto questa denominazione l' acqua ed ogni
altra bevanda.
1 1
mente i popoli , che godono per quasi l' intero anno di
un clima caldo dovranno trovarsi com'io mi sento nella
stagione estiva \ 2.0 siccome , quando spira il vento di
mezzodì son preso da un affievolimento in tutto il corpo
e da un imbarazzo in tutte le funzioni sì fìsiche che
intellettuali, provando poi effetti del tutto opposti, men-
tre soffia il vento di settentrione (§ 6 ). così ne avverrà,
che le genti abitualmente esposte all' influenza del-
l'uno o dell'altro di tali venti, trovar si dovranno in uno
stato analogo a quello in cui io sono , mentre essi do-
minano; 3.° siccome io che abito la parte più alta della
mia città trovomi ben diversamente da quello sieno li
miei concittadini, che vivono nella parte più bassa di
essa (§ 7), cioè gli abitanti di un sito molto alto sul li-
vello del mare, dovranno avere una disposizione analoga
alla mia*, quando invece coloro, che stanno vicino al
mare oppur auche sotto il di lui livello si troveranno in
uno stato uguale a quello de' miei concittadini} f\.° fi-
nalmente, poiché una qualità di alimenti produce su di
me effetti diversi, che non un'altra, le nazioni, che per
lo più si nutrono dell' una o dell'altra specie di ali-
menti, dovranno sentire abitualmente li rispettivi mede-
simi effetti.
§ io. Indipendentemente dall'influenza, che il suolo
esercita sul nostro corpo per la maggiore o minore al-
tezza in cui si è sopra il livello del mare (§ 7), nonché
dall' altra proveniente dalie diverse qualità, comunicate
dallo slesso suolo alle sostanze vegetabili ed animali ,
onde I' uomo abitualmente si nutre (§§ 8, 9), si dovette
altresì notare, che le diverse sostanze che compongono
il terreno, la grande o lieve forza con cui trovansi unite,
la maggiore o minore uguaglianza della sua superfìcie,
per la quale può assorbire o riflettere i raggi solari , e
1%
finalmente la natura delle varie esalazioni , ehe quello
trasmette all' atmosfera , contribuiscono potentemente
a modificare la temperatura di un paese. Né potè sfug-
gire all' osservazione , che la fertilità del suolo doveva
naturalmente ammollire l'uomo invitandolo di continuo
ai piaceri ed all' inerzia , come la sua sterilità doveva
indurirlo e renderlo robusto obbligandolo al lavoro ed
alla sobrietà; da tutte queste osservazioni si dovette ili
in fine conchiudere, che l'influenza delle cause fisiche,
ossia del clima, sul corpo umano, è una influenza reale.
§ li. Per lo stretto legame poi, che esiste tra il
corpo ed il principio che lo anima , il primo non può
sentire per molto tempo una tale influenza senza co-
municarne gli effetti al secondo. E V uomo non può a
lungo godere o soffrire senza che le sue intellettuali
facoltà contraggano una certa abituale maniera di es-
sere, che costituisce il cosi detto carattere.
§ 12. Innumerabili fenomeni, che occorrono sì nello
stato di salute , che in quello di malattia provano in
modo da non poterne dubitare una tale stretta unione,
simpatia, o sinergia del principio di vita con la macchi*
na, eh' egli anima. Li primi osservatori però non pote-
rono attingere queste nozioui fisio-psicologiche, che ne-
gli effetti violenti, che venivano prodotti sul morale de-
gli uomini da certi alimenti, da certe bevande e droghe
quand' anche prese in piccola dose. Colui che primo
ebbe la sventura d'ubbriacarsi assaporando le delizie di
alcuni bicchieri di un nettare che la natura gli offriva
per la prima volta, dovette ben restare maravigliato dal
graduale cambiamento , che andava succedendo nella
sua testa. L' aumento delle forze e delle idee, la man-
canza di tristi pensieri, la serenità dell'animo successa
alla melanconia ed accompagnala dall' allegria , esser
dovettero per lui fenomeni non meno nuovi ehe pia-
cevoli ; ma sconsigliato ! credendo egli non avesse che
a continuare nel tracannare ad ampj sursi una tal gra-
dita bevanda , per prolungare una felicità , che gli era
stata sino a quel tempo sconosciuta, dovette invece ben
presto accorgersi, che le forze lo abbandonavano, che le
gambe si spiegavano sotto di sé , che confondevansi le
sue idee , e che non poteva esprimerle se non con pa-
role male articolate , le quali venivano piuttosto a spi-
rare sulle labbra, che a farsi sentire. Sviato sempre più
da questa nuova metamorfosi, continuò ad ubbriacarsi
e finì col divenire il ludibrio di tutti.
§ i3. ^Stabiliti de' fatti di tale natura, facile riuscì
V osservare che certi alimenti , gli effetti de' quali non
sono uè così pronti, né così forti, presi abitualmente,
dovevano però col tempo dare al corpo una comples-
sione, ed allo spirito una tempia assai diversa da quella
che caratterizza le persone che usano di cibi opposti,
(ìli atleti erano comunemente considerati come li più
stupidi uomini , precisamente perchè il loro principale
nutrimento consisteva nella carne di porco e di bue che
mangiavano con una voracità senza esempio (a).
(a) Diogene Laerzio nella Vita di Diogene. — Ad onta della
civilizzazione e di tutte le cause morali y che fanno perdere di
forza agli effetti del clima (che io qui prendo nel senso medico,
cioè, col farlo risultare da tutte le cause locali fisiche, e special-
mente dal nutrimento, quando risulta delle produzioni stesse del
luogo abitato), egli è facile l'osservare che anche in Europa, li
popoli che si nutrono specialmente di carne hanno un carattere
più feroce, che non quelli il cui nutrimento consta per la maggior
parte di vegetabili. L'estrema dolcezza attribuita agl'Indiani devesi,
più che non credesi, al loro cibarsi di vegetabili. Ciò sta pure
in riguardo al temperamento ed alle malattie , che ne risultano i
■4
§ i/J. li complesso di tutte queste osservazioni trasse
a conchiudere adunque, che il clima influisce sul mo-
rale, non meno che sul fisico dell'uomo. Pure, ad onta
che quest' influenza sia indubitabile , si dovette altresì
notare che le fisiche cagioni potevano variare ne' loro
effetti, secondo eh' esse agivano separatamente o insie-
me combinate in vario modo , e in maggiore o in mi-
nor numero; che per esempio due popoli abitanti sotto
latitudini diverse, ed anzi opposte riguardo alla tempe-
ratura, potevano assomigliarsi tra di loro, se uno stava
sulle montagne di un paese caldo , e 1' altro nelle pia-
nure o nelle valli di un paese freddo.
§ i5. Un'altra causa di questa variazione, e che
non è meno possente , sta nell' abitudine , la quale fa
sì che alcuni popoli , non meno di alcuni singoli indi-
vidui, si avvezzino talmente all' influenza di certe cause
fisiche, comunque tristissima , che non ne sentono più
gli effetti o almeno, non li provano , che pochissimo.
Tale osservazione dà luogo a quell? aforismo « coloro
che sono assuefatti ad una specie di lavoro, benché de-
boli o vecchi , lo sopportano meglio che gli uomini
robusti e giovani, i quali uon vi sono accostumati » (a)^
ed a quell'altro « provasi minore incomodo dalle cose,
alle quali da molto tempo si è usati e benché nocive,
che da quelle alle quali non si è presa abitudine. » (b)
l'elefauliasi, male quasi sconosciuto agli antichi Sciti che nutrivano
di latte, era frequente ad Alessandria, perchè gli abitanti di que-
sta città mangiavano abitualmente diver.se specie di salati , e sin
anche la carne di asino. V. Galeno de curai, ad Glaucon, Li-
bro 1!, t. IV , p. '219.
(a) lppoc. , Aforismi, lib. Il, num. 49-
(ò) Lo stesso, ivi 5o. Mead aveva veduto degli ammalati che
.5
§ 16. Tale abitudine dà una preminenza alP uomo
sopra gli altri animali , lo rende capace di adattarsi a
tutti li climi e ad ogni maniera di alimento. Indurito
dalla medesima egli sfida sovente V influsso delle cause
fìsiche o ne sopporta gli effetti senza danno alcuno per
la propria esistenza (a) , e se 1' abitudine non esercita
ovunque uniformemente il suo impero (b) bisogna, allora
ritenere che qualche causa fisica o morale di maggior
forza distrugga, o modifichi la forza di quella.
§17.10 comprendo sotto il nome di cause morali,
sopportavano meglio V aria corrotta della città , cui erausi abi-
tuati , che l' aria fina della campagna che riusciva nuova per
essi. Può altresì venire riferito a quest' abitndine quanto osser-
vasi non di rado nelle affezioni prodotte dall' abituale tempera-
tura di un paese, e che colpisce in un modo più pronto e più
dannoso li forestieri, che gl'indigeni. V. Journ. de Mèd. ,
voi. LXII , pag. Q70.
(a) « Memorabile altresì si è la facoltà che gode sì l'uno che
V altro principio dell' uomo di assuefarsi. Se di essa non fosse
dotata la natura umana, pochissimi certamente goderebbero sa-
lute. Colla consuetudine giungiamo a soffrire senza danuo mol-
tissime cose, le quali lo arrecano a chi non vi è abituato ....
Così anche le malattie coli' assuefazione divengono meno moleste
e più tollerabili , come li veleni perdono di loro forza, >> Gaubin,
Insili, pathol. § 644-
(b) Se certe malattie proprie al clima di un paese assalgono
più prontamente li forestieri, che gli indigeni (.§ i5, nota b) ,
vi sono de' casi , e questi son forse li più frequenti , ne' qual»
tali malattie molestano preferibilmente gli indigeni e risparmiano
li forestieri. Secondo Kaehler il tarantismo della Puglia , e che
in fine altro non sembra essere che una malattia nervosa , non
prende gli esteri. V. Comm. de rebus in se. nat. et med. geslis.
Voi. Vili, pag. 5. Gli Inglesi vanno esenti qualche volta dalle
malattie epidemiche che affliggono gli abitanti delle isole della
Nuova-Inghilterra. {Ivi. Voi, XIV, pag. .Vì3).
i6
li costumi , le leggi , tulle le istituzioni politiche o reli-
giose d' una nazione , e sino ad un certo segno le pro-
fessioni , ed i mestieri , che sono a preferenza esercita-
ti } in una parola tutto ciò che noti essendo fondato
sulla costituzione fisica dell'uomo, può diventare causa
o motivo delle sue azioni , e modificare il suo tempe-
ramento in modo da renderlo più o meno suscettibile
di certe affezioni morbose.
§ 18. Né mi si accusi di descrivere un circolo vi-
zioso, se dopo aver fatto dipendere il morale dell' uo-
mo dalle cause fisiche (§ i4), ora considero queste in
certo qual modo dipendenti dal morale. Un tal circolo
sta nella stessa natura dell' uomo \ ed egli è la neces-
saria conseguenza di quell' intimo legame , che esiste
tra lo spirito e il corpo. Egualmente che questo co-
munica a quello le proprie affezioni e la propria ma-
niera di essere (§ il), lo spirito del pari non può tro-
varsi per molto tempo in una qualsiasi situazione senza
che il corpo ne senta i buoni o cattivi effetti (a). Al-
cune istituzioni dipendenti dall' azione del clima pos-
sono rispettivamente dar maggior forza ad un tale in-
flusso, e divenire anche così costanti, mercè l'impero
dell' abitudine, di sussistere per molto tempo dopo che
quello ha cessato di operare } nell' egual modo che isti-
tuzioni introdotte da prima da circostanze estranee al
clima e mantenute per qualche tempo} possono per ope-
(a) Tutto ciò si può riferire alla stretta cucitura che unisca
lo spirito al corpo , i quali si comunicano vicendevolmente la
propria sorte , Montaigne fcssais. Lib. I, cap. ao.
ra della stessa abitudine indebolire la suddetta in-
fluenza (a).
§ 19. Nessuno ignora quanto certi mestieri o pro-
fessioni influiscano sul fisico di quelli , che li esercita-
no. Si può dire che ogni officina diventi per V artigia-
no, che vi lavora, una nuova atmosfera, un nuovo cli-
ma, sia per 1' emanazione delle materie (b) , che egli
tratta, sia per gli elementi, onde si serve comunemente
per preparare quelle materie e nelle quali egli vive
quasi di continuo (e), o sia finalmente per la posizione
che il suo corpo è costretto a tenere durante il la-
voro.
§ 20. Ma questa influenza, che è forte abbastanza
per modificare, a dispetto del clima, il suo tempera-
mento ad assoggettarlo (d) a particolari malattie , non
ha minore azione sul morale. Bisogna veramente aver
chiusi gli occhi all'evidenza per porlo in dubbio. Son
passati in proverbio li giuramenti de' carrettieri} li mari-
ta) Si ha un esempio del primo caso nelle colonie , che con-
servano per lungo tempo li costumi della madre patria , quan-
tunque trasportate in nn clima assai diverso ; del secondo caso
nella religione, la quale fa ¥ nomo una tigre o un agnello., a
norma che predica il fanatismo 0 la tolleranza e la rassegna-
zione.
(b) Come , p. e. , sono li cuoi per un conciatore di essi.
(e) Si può citare l" esempio de' fabbri-ferrai e de' pescatori ,
i primi sono obbligati a lavorare vicino al fuoco, ed i secondi
passano la loro vita nell' acqua,
M) Ippocrate ne' suoi epidemici fa spesso menzione del me-
stiere esercitato dagli ammalati , siccome di una circostanza , che
potrebbe spargere molta luce sulla natura delle malattie. È co-
nosciuta l'eccellente opera del Ramazzini De morbis artifictim.
SitlV aria . ecc. Trattato. 1
i8
nai sono brillali e feroci, perchè trovatisi sempre espo-
sti alla furia de' venti e delle burrasche, ed a tutti li
capricci di un elemento che esaurisce ogni loro pazien-
za (a). Gli stessi Numi (diceva Menandro parlando dei
militari del suo tempo) non potrebbero cangiare un sol-
dato in un uomo civile (b). E se le arti e li mestieri
influiscono sulP uomo, perchè le usanze, i costumi , le
leggi o la natura del governo, le politiche e religiose
istituzioni che sono proprie del paese ove abita non
avranno un' eguale forza su lo stesso ?
§ 21. Ciò dicasi dell' influsso che possono eserci-
tare su di un' intiera nazione o sui singoli suoi mem-
bri li costumi e le usanze de' popoli stranieri , coi quali
quella si trova in istrette commerciali relazioni. L'imi-
tazione è uno de' più potenti motivi delle azioni degli
uomini. Basta ohe un Francese abbia soggiornato per
qualche tempo a Londra, perchè diventi Anglomania-
co, perchè ritornando sciorini in faccia a tutta Parigi
nuove usanze, perchè contraffaccia quale scimia gli in-
glesi costumi , e sin anche le stravaganze. Non diversa-
mente un tempo bastava ad un Ateniese di aver fatto
un viaggio a Sparta, per girare le contrade di Atene
vestito alla Spartana (e).
§ 22. La legge che proibiva alli forestieri 1' entrata
in Isparta era in verità barbara, ma non era irragione-
(a) Bodin, Method. ad farti, histor. cognition, Cap. 5.
(b) Mi venne riferito che tra coloro, che hanno insanguinato
la rivoluzione francese vi era un gran numero di macellai. Tanto
è vero che la sensibilità , come ogni altra affezione dell' uomo ,
si rintuzza a forza di essere adoperata.
(e) Demosthen. arfversùs Co non. Tom. II, pafg. 1267 , ediz.
[ Reiske.
vole. Il legislatore, avendo voluto che gli Spartani non
si occupassero esclusivamente se non dell' orribile me-
stiere della guerra, ben vide il bisogno di non offrire
loro altra cosa che distrarre li potesse. E per lo stesso
motivo Platone voleva che la sua repubblica fosse lon-
tana dal mare per timore, che li cittadini non restas-
sero infetti dal contagio de' costumi stranieri , e che il
commercio marittimo non li rendesse egoisti col bandire
dall'animo loro la generosità e la buona fede (a). E
pur forza il confessare, che poche nazioni commercianti
esistono oggidì , le quali possano andare illese dalle
tacce che Cicerone dava alla Cartaginese (b). Strabone
osserva (e) che gli Scili nomadi, tanto lodati da Omero
pel loro amore alla giustizia, a' tempi suoi eransi tal-
mente corrotti a cagione di avere abbracciato il com-
mercio marittimo, che saccheggiavano e molestavano li
forestieri quantunque sotto altri rapporrti fossero me-
glio civilizzati. Molti riterranno forse che il commercio
non abbia prodotti uguali effetti tra li popoli moderni,
essi volgano uno sguardo allo spargimento di sangue
che accompagnò la scoperta dell'America, ed al traffico
infame de' Negri , che la coltivazione di quella parte
del mondo ha richiesto } pensino all' oppressione che
molte nazioni europee ancora al presente fan pesare
(a) De legibus , lib. IV, tom. Vili, pag. 162, ediz. Bi-
pont.
(b) Carthaginenses fraudolenti et mendaces non genere ,
sed natura loci , quod propter portus suos mullis et variis mcr-
catoruni sermonibus ad studium fallendi studio quaestus voca-
banlur. Cicer. II, de ìeg . acr. § 35, Ioni. V. pag. 167 , ediz.
Olivet.
(e) Lib. VII, pag. 180, del voi. IH, ediz. e traci, di Mila-
no , i833.
20
sugli infelici indigeni de' loro possedimenti in Asia ed
in Africa- e considerino finalmente ch'egli non è che
per Futilità del commercio del Levante, che nazioni
civilizzate d'Europa sacrificano senza pietà non meno
che senza rimorso la libertà della Grecia , e dopo ciò
ardiscano essi decidere se oggidì regna maggiore uma-
nità, che non eravi un tempo tra gli Sciti.
§ 23. Ne gli effetti del commercio esterno si limi-
tano alli soli inconvenienti, che risultano da' cangiati
costumi , non che dalla speciale natura della professio-
ne, la quale non avendo altro oggetto, che di accre-
scere la pecuniaria fortuna di chi la esercita, fa sovente
passar oltre sulla delicatezza de' mezzi che s' adopra-
no } ma puossi il commercio considerare sotto altri
punti di vista non meno interessanti per il medico, che
pei filosofo politico o moralista.
§ il\. Io non parlerò di uno degli effetti più comuni
del commercio , cioè di quello di cangiare una gran
parte della uazione trafficante in marinai , e di far na-
scere con questa nuova occupazione un cambiamento
sensibile, tanto nel fisico che nel morale, cambiamento
che può mascherare o modificare gli effetti soliti del
clima. Non debbo per altro passar sotto silenzio le di-
verse malattie dal commercio esterno a noi procurate,
le quali hanno cambiato il carattere di quelle che già
c'infestavano, non men che indotto nell'economia ani-
male un'alterazione manifestissima cui necessariamente
non può rimanere indifferente il morale dell' uomo. Le
malattie mucose o catarrali , comunemente rarissime
presso gli antichi , si moltiplicarono in Europa se non
da che la malattia venerea sviluppò tutta la sua forza,
ed è vermmilmente a quest'affezione , credula dai più
31
(li natura mucosa, ohe attribuire si deve quel predomi-
nio della diatesi pituitosa , che si osserva oggidì (a).
§ 25. Le stesse produzioni dei lontani paesi, delle
quali P estensione data alle nostre commerciali rela-
zioni ci ha facilitato P acquisto, non hanno meno con-
tribuito a cangiare la forma delle nostre malattie, o pro-
durne delle nuove. Li nostri maggiori , più moderati di
quello che non siamo noi , non conoscevano tutti que-
gli incomodi e mali che devono Porigine loro alle calde
bevande di caffè, di tè , di cioccolata ecc. (b). Le no-
stre tavole coperte de' prodotti delle quattro parti del
mondo devono necessariamente neutralizzare gli effetti
degli alimenti avuti dal nostro suolo, e se non distrug-
gere , almeno mascherare potentemente P influenza del
clima , che abitiamo.
§ 26. La scoperta dell'America ed il commercio
estero avendo moltiplicato i metalli monetarj, non meno
che li rapporti di nazione con nazione, ha dovuto ne-
cessariamente facilitare il commercio interno d'ognuna
di esse, aumentare la popolazione, la industria e il lusso
loro, ammollire il corpo e reudere dolci gli animi (e),
in una parola cangiare la economia morale e fisica.
Ed ecco precisamente da che dipende quella uniformità
di costumi, che trovasi oggidì nella maggior parte delle
nazioni d'Europa, le quali non formano, quasi direb-
besi , che una sola nazione ad onta della diversità dei
climi , e sotto questo titolo diversificano dai popoli an-
(a) Grimard. Cours de Fievres. Voi. 1, pag. 188.
(6) Selle. Introd. a Vétude de la nature etc.
(e) lo suppongo troppo istrutto il lettore per non aver biso-
gno di avvertirlo che io non contraddico a quanto ho detto
al § 22.
22
tifchi per lo più isolati , e che non avevano quasi altra
comunicazione, che quella delle guerre periodiche sì
frequenti tra di loro. Si possono questi paragonare a
torrenti impetuosi , li quali non s1 immischiano di
quando in quando, che per il loro trabocco, mentre al-
l' opposto le nazioni moderne s' assomigliano benissimo
a placidi fiumi , che tra loro comunicano e si confon-
dono per li moltiplici canali dell'industria e del com-
mercio.
§ %n. Allo stesso cambiamento avvenuto nell'econo-
mia politica de' popoli devesi pure attribuire la modi-
ficazione del potere arbitrario in Europa. Qui li governi
sono tanto diversi dagli antichi tiranni o dai moderni
despoti di altre parti del mondo, quanto lo sono li con-
tadini o gli artigiani europei dagli infelici schiavi , de'
quali servivansi i popoli dell' antichità per coltivare i
loro terreni, o per esercitare un piccolo numero di me-
stieri bastanti ai loro scarsi bisogni. Li capi moderui
delle nazioni hanno veduto utile e necessario l'animare
P industria assicurando a questa il diritto di proprietà,
ed accordandole una protezione sufficiente a porla al
coperto d' ogni specie di vessazione. Una tale prote-
zione accrescendo il credito e le fortune di molti par-
ticolari ne ha accresciuta pure l' influenza, ma il tutto
resta bilanciato dall' attuale forma paterna de' go-
verni (a) (III).
§ 28. Tale presso a poco fu la marcia che nelle sue
profonde meditazioni Ippocrate dovette tenere per giun-
\a) Domandando alcuno ad Agasicle re de' Lacedemoni , come
potesse un principe senza guardia mantenersi sicuramente nel re-
gno , rispose: se comanda a' sudditi come fanno i padri ai fi-
gliuoli. Plutarco. Apoftegmi e detti notabili de' Lacedemoni.
a3
rare allo scioglimento del gran problema dell'influenza de'
climi e per istabilire per principio che » l'uomo trovasi
» dotato di questo o quel temperamento, di tale o tal
5? altro carattere morale secondo la natura delle cause
» fisiche sotto il dominio delle quali egli vive (§ i - 1 3) ;
»? ma che può per altro modificare l'influenza di que-
J5 ste cause col dar loro una diversa combinazione (§ i^),
» coli' abitudine che acquista degli effetti loro (§ i5 e
>: 16), o finalmente loro opponendo altre cause fisiche
» o morali qualunque esse sieno (§ 17-27). »
§ 29. Egli è verosimilmente per non avere fatta una
tale importante distinzione dell' influsso delle cause fi-
siche da quello, che esercitano sulP uomo le cause mo-
rali, che a giorni nostri furonvi alcuni ben distinti pel
loro sapere, li quali si opposero all' azione del clima, e
vollero tutto attribuire alle cause morali. Pure le ob-
biezioni loro non essendo fondate che sulli cambiamenti
che queste ultime possono produrre nell'uomo (cam-
biamenti sulli quali non fu mai mosso dubbio da chi so-
stiene l'influsso del clima) confermano piuttosto, per
quanto mi sembra, di quello che distruggono la realtà di
una tale potenza. Perchè non trattasi già sapere se il ca-
rattere nazionale, che in un popolo e stato indotto dalla
natura del clima, esser può alterato dalle cause morali,
ma si tratta di assicurarsi , se fatta astrazione da tali
cause, qual popolo può somigliarsi ad un altro, che
abita un clima affatto diverso} e più ancora, se le me-
desime cause morali in due climi opposti agiscono colla
slessa forza, e se vi producono effetti simili per natura
e per durata.
§ 3o. a Basta , dice Hume (a) , che in una repub-
(a) Essaijs and Treatises ou salerai subjects. London J784.
T. I, 2I7.
>4
n blica , un Bruto trovisi alla testa del governo , per-
» che il suo entusiasmo si comunichi a tutta la na-
>5 zione, e vada prendendo vigore passando da una ge-
» nerazione all' altra. » Una tale proposizione non è
meno vera della riflessione di quel generale ateniese, il
quale opinava che un esercito condotto da un leone era
più formidabile che uno di leoni guidato da cervi (a).
Io però soltanto chiederò al filosofo inglese , da che
dipende che non esistette mai un Bruto né in mezzo ai
Lapponi, né in mezzo a nazioni abitanti tra li tropici?
Se poi una combinazione di straordinarie cose ve lo fa-
cesse nascere , sarebbe più probabile che ivi si venisse
a stabilire una monarchia o una repubblica ? Se final-
mente quando quel uomo, qual altro Teseo, fosse tale
da volere accordare alli suoi concittadini, benché meno
di lui illuminati e coraggiosi , li vantaggi dell1 ugua-
glianza, non sarebbe forse facile che un tale equilibrio
di diritti venisse rotto dall'influsso del clima in un lasso
di tempo assai più breve, che s' egli invece stabilito
avesse una repubblica in un paese più temperato?
§'3i. «E massima in filosofìa, segue lo stesso au-
» tore , che considerare si debbano come non esistenti
« le cause che non cadono sotto li sensi. » Si tenga
per vera una tale massima} è però del pari vero che le
fisiche cagioni si sottraggono assolutamente a' sensi no-
stri? Vi ha forse un sol uomo, quando affatto stupido
non sia , che non si senta diversamente disposto in un
tempo sereno che in un piovoso, mentre spira il vento
di nord, o quello di mezzodì (§5 e 6)? Non è nolo come
certi venti paralizzano, quasi direbbesi, il corpo non
solo, ma anche lo spirito, talché domina una totale iner-
ta) Plutareo. Jpoflegmi di re e capuani, Cabria.
*5
zia fisica e morale ? Non sarà pur vero, che se costanti
si faranno simili cause influiranno col tempo sul nostro
temperamento, modificheranno le nostre passioni e sta-
biliranno il nostro carattere morale?
§ 32. « I Chinesi , soggiunge ancora Hume , tutti
» hanno nella vasta estensione del loro impero lo stesso
55 carattere nazionale, ad onta che il loro clima non sia
» ovunque lo stesso. v> Era forse d'uopo andar cercando
esempi in una nazione così remota per istabilire una ve-
rità , la quale, senza distruggere l'influsso del clima,
non prova tutto al più se non che tal influsso può es-
sere modificato da cause morali ? Quantunque io non
conosca li Chinesi, che per le relazioni de' viaggiatori ,
i quali confessano di averli pur conosciuti assai poco ,
oso affermare che avviene della China come d' ogni al-
tro paese che si conosce in un modo più particolare.
Il carattere nazionale di questo popolo, uniforme circa
alle cause morali che lo formarono , deve certamente
offrire, rispetto alle cause fisiche, altrettante gradazioni
quante vi sono differenti provincie: non diversamente
che in Francia, paese molto meno esteso della China e
che offre altresì un carattere nazionale ben pronunziato,
si trova una diversità sensibile tra un abitante della
Linguadoca , della Normandia, della Provenza, o un
Bretone.
§ 33. Non è del pari vero, come pretende Hume,
che gli Ebrei sieno ovunque gli stessi, benché sparsi in
queste o in quelle , e tra loro lontanissime parti del
globo. Attraverso di quella notabile uniformità, che è
1' effetto di cagioni morali, e specialmente dell' avver-
sione, che questo popolo singolare mantiene nel fug-
gire di apparentarsi con individui d'altre religioni, ben sì
^6
distingue 5 appena vi si faccia qualche attenzione , un
Ebreo polacco da un Ebreo portoghese.
§ 34. Non credo dovermi occupare più a lungo
circa le obbjezioni di quel filosofo illustre (a) , mentre
tutte s'aggirano sulle modificazioni, che le cause morali
possono produrre nella ripetuta influenza che esercita
il clima, modificazioni sulle quali per ver dire nessun
può muover dubbio, ma che a torto sarebbero riguar-
date come abbastanza possenti per distruggere affatto
T azione delle cause fisiche (b).
§ 35. Un illustre viaggiatore (e) si meraviglia, come
un clima caldo o temperato se fa sì, che gli Egiziani o
li Chinesi non insorgono contro i loro principi , non è
(a) Per l'egual motivo, credo potermi dispensare di tratte-
nermi sul sistema d1 Ehezio , che tutto attribuisce all' educa-
zione.
{b) Non posso tacere sull'autorità di Strabone alla quale Hu-
me ha voluto appoggiarsi per negare l'influenza del clima. Se-
condo la citazione di Hume risulterebbe che Strabone non am-
mette tale influenza. Ma realmente il Geografo è d' opinione che
V influenza del clima sia meno possente che quella delle cause
morali. Ed ecco il passo : « e le arti , le facoltà e gli esercizii ,
» quando una volta qualcuno li abbia introdotti, s' invigoriscono
» sempre più sotto qualsivoglia clima sebbene anche questo ab-
» bia una qualche efficacia. Laonde poi presso ogni popolo alcune
» cose si trovano da natura , altre vi sono in conseguenza delle
» istituzioni e dell' uso. Però non è effetto di natura che gli
» Ateniesi sieno amanti delle lettere e i Lacedemoni no, e nem-
» manco i Tebani che sono ancora più vicini ad Atene , ma sì
» delle istituzioni ; ne i Babilonesi e gli Egiziani sono per na-
» tura filosofi, ma per esercizio e per abitudine: eie buone qua-
» lità de' cavalli, de' buoi e degli altri animali non le producono
» i luoghi soltanto, ma ben anche gli esercizii. » Strab. lib. II,
e. 2 , ediz. cit.
(e) Volney. Foyages eri Sjrie, et en Égyptc. V. Il, cap. /\q.
27
rapace poi di togliere a questi , che non poterono a
meno di ammollirsi nei costumi, la forza di mantenere
la schiavitù nei loro popoli. Si fa in proposito osservare
che que' Capi, originai] da' climi freddi, stabilirono da
principio una tale specie di governo , che li successori
poi non credettero di propria utilità il cambiare, e che
li popoli sopportarono in seguito per abitudine.
§ 36. La forza del clima è qui dunque modificata
dall' esempio, dalle passioni e dall' uso.
§ 3^. Tale mi pare sia il vero punto di vista sotto
il quale bisogna osservare P influsso del clima. Questo
esercita il suo pieno potere sulle nazioni, che più P av-
vicinano alla natura $ e va indebolendosi più o meno a
norma eh' esse s'inciviliscono, e s'illuminano, mercè
quelle morali cagioni, che apportano l'incivilimento. Ma
può egli quest'influsso venire affatto distrutto in seguito
dall'opera delle medesime cagioni? La possibilità di scio-
gliete una tale questione dipende da un'altra di non
men difficile scioglimeuto ; io voglio parlare della per-
fettibilità dell' umana specie.
§ 38. Intendo per perfettibilità quella facoltà che
l'uomo possiede di perfezionarsi sino ad un certo se-
gno. Gli antichi filosofi greci (a) si erano di già accorti,
che l'uomo a forza d'esperienza poteva sempre più ac-
crescere le proprie cognizioni e li proprj vantaggi , sì
fisici che morali, e sino al punto di trarre tutto il pos-
sibile partito dalli soccorsi, che la natura gli offre. Era
(a) Morendo, si lagnava Teofrasto che la natura avesse posti
troppo stretti limiti alla vita degli uomini; che se vivere potes-
sero più a luugo portar potrebbero le scienze e le arti ad un sì
alto punto di perfezione, che nulla mancherebbe alla loro per-
fetta istruzione. V. Cicer. , TttscnI. lib. Ili, «28.
«l8
però riservalo ad un filosofo (a) clic illustrò i! secolo
nostro, lo sviluppare questa consolante verità. Il secolo
straordinario, che finì, ha fatto più da se solo (IV) per-
ii progressi della civilizzazione e delle cognizioni uma-
ne, che tutti li secoli che lo precedettero dopo il rina-
scimento delle lettere in Europa. La scoperta dell' A-
merica e quella della stampa fatta nei secoli anteriori
sembrano assicurarci altresì un tale vantaggio:, l'usa col-
T introdurre in Europa una nuova polìtica economia ,
che tende continuamente a moltiplicare le cognizioni
nostre mercè di una comunicazione più libera e più
estesa (§ 26) \ e V altra diramando li depositi di tali
cognizioni nel tempo stesso che li conserva per future
generazioni a dispetto del tempo e delle persecuzioni
che tutto cercano distruggere. Sembra che noi temer
non possiamo la sorte degli antichi popoli civilizzali ,
che la più piccola rivoluzione, cioè, possa generare la
barbarie • precisamente perchè le cognizioni loro , es-
sendo confinate ad un piccolo canto della terra, erano
T appannaggio di uno scarso numero di uomini predi-
letti dalla natura , secondati dalla fortuna , e perchè il
restante degli uomini provavano ostacoli insuperabili a
procurarsi gli stronfienti del sapere.
§ 39. Tali progressi dello spirito umano hanno già
creati nuovi rami di scienze ignote agli antichi, e veri-
similmente essi non mancheranno di crearne degli al-
tri, che ora ci sono ignoti. Noi abbiamo già veduto (§ 26)
che gli effetti di questa civilizzazione, prodotti da una
nuova specie di economia politica , hanno modificato
P influenza del clima in Europa per modo che quasi
(a) V. l'opera postuma di Condorcet intitolata. Esqnis.se d'un
tableau hìstorique des progrès de Vesprit humain,
29
tulli li popoli , i quali abitano questa parte del mondo
altro non sembrano che comporre una stessa nazione.
D' altra parte però non puossi dissimulare che questi
medesimi progressi della civilizzazione hanno altresì in-
dotta nel fisico del uomo una debolezza almeno rela-
tiva. Senza parlare delle nuove malattie , che l1 esten-
sione data ai nostri rapporti commerciali ci ha procu-
rate (§ 24) 5 il lusso , la sete dell' oro e 1' applicazione
alle scienze ed allearti sedentarie, coli' accrescere i no-
stri godimenti, hanno banditi da noi quella tranquillità
d'animo tanta necessaria per il miglior essere nel corpo}
talmente che sembrami assai difficile il decidere, se tutti
li vantaggi uniti che la civilizzazione ha introdotti nella
nostra società, non siano contrabbilanciali dai danni che
per necessità ne scaturiscono. Non pretendo già dire con
Rousseau , esser l'uomo che pensa un animale depra-
vato } ma non vedo potersi negare , che il perfeziona-
mento di quella preziosa facoltà , che ci distingue dai
bruti, spinta ad un certo punto, (V) diventa una sor-
gente di mali fisici e morali (a).
§ 4°« Onde la civilizzazione o , ciò che vuol dir lo
stesso, il complesso di tutte le cause morali , giungere
potesse a distruggere affatto gli effetli del clima o delle
cause fisiche, sarebbe necessario che gli uomini s1 00
(a) Furono sempre li popoli meno pensatori quelli che fu-
rono li meno depravati, e che hanno conquistati li popoli spiri-
tuali e più corrotti. Egli è vero che la tattica moderna , che fa
parte delle nostre cognizioni moltiplicate, ci pone al sicuro dalle
invasioni di que' popoli , eh' essa compensa in qualche modo
tale debolezza fisica , ma è pur vero che il filosofo occupalo in
profonde meditazioni , ed il negoziante che ha piena la testa di
calcoli mercantili , trovansi esposti alle impressioni del clima ,
quanto Y uomo il meno schiavo delle affezioni morali.
3o
cupassero esclusivamente della scienza d eli a felicità ,
cioè de' mezzi di congiungere colla maggiore forza di
corpo possibile la più grande coltura possibile dell' in-
telletto (a). Ma uon puossi arrivare ad unire insieme
queste due cose se non che coll'ajuto della medicina e
della morale, scienze le più importanti per l' umana fe-
licità.
§ 41- P^1' medicina intendo qui specialmente la parte
di questa scienza conosciuta sotto il nome di Igiene, e
di cui è oggetto il conservare la salute o prevenire le
malattie con Puso ben applicato delle sei cose che vol-
garmente chiamansi non-naturali (b). Questa parte ,
sulla quale dirigevansi specialmente gli studi degli an-
tichi , merita tutta I' attenzione de' moderni legislatori.
Ed è difatti col suo mezzo che si può se non cancel-
lare , almeno modificare sensibilmente 1' influsso del
clima. Dissodare terreni incolti :, atterrare o piantare
boschi } asciugare paludi • offrire scolo ad acque che
non scaricansi con sufficiente rapidità : riformare e ri-
durre, (e) se è possibile, le città mal esposte o di smi-
surata grandezza , e costruirne poi delle nuove su di
un piano , e con esposizione più salubre per chi deve
(a) Mentem sanarti in corpore sano. Colui il quale disse non
avervi nella vita che due soli beni il buon senso e la salute, ha
detto una grandissima verità.
{b) Queste sono; l'aria; gli alimenti e le bevande; il moto
e la quiete; il sonno e la veglia; le materie o umori ritenuti o
evacuati ; e le passioni dell' animo.
(e) Secondo Plutarco ( Contro Colat. ) , Empedocle liberò la
sua patria guardandola dall' influenza del vento di mezzogiorno.
Lo stesso scrittore ( della curiosità ) ci narra essersi data la sa-
nità a Cheronea sua patria , esponendola al vento d' oriente
quando invece da prima trovavasi esposti a quello di ponent
e.
3i
abitarle} impedire che non si allarghino eccessivamente,
o per opposto che gli abitanti ammucchiati in un piccolo
spazio vicendevolmente non si nuocano colle proprie
emanazioni :; stabilirvi esercizj d' emulazione , e bagni
pubblici , accessibili ad ogni classe di cittadini per la
tenuità del prezzo f, cangiare la costruzione e la situa-
zione degli edifizj destinati all' istruzione ed ai piaceri
del pubblico (a)} avere occhio attento sulla scelta di
tutte le sostanze che servono di bevanda o di cibo al
popolo \ pensare a distrugere le malattie che il nostro
commercio cogli stranieri ci ha procurate (§ 25), ed im-
pedire che quelle proprie di altri popoli s'introducano
ne' nostri paesi (§ if\) , Ecco gli oggetti principali , de'
quali il Governo di una nazione, ajutato dai lumi della
medicina, deve occuparsi col massimo interessamento se
vuol diminuire li cattivi , o secondare i buoni effetti
dell' influenza del clima.
(a) Gli antichi calcolavano meglio li vantaggi di questa parte
della medicina. Ne fanno testimonianza i loro esercizj, i loro ba-
gni, i loro spaziosi teatri posti all'aperto ; e che in ciò tanto di-
versificavano dai nostri. Nell'educare l'uomo, egli non aggiungevano
alli inali fisici, che per necessità risultano dall' applicazione dello
spirito, anche li mali di un locale naturalmente mal sano, o che
tale diventa per 1' unione di un gran numero di scolari; egli era
ne' campi, ne' boschi, in mezzo ai giaidini, nel passeggiare sotto
pergolati, nel respirare un' aria fresca e balsamica, che li filosofi
davano le lezioni. Una tale istruzione ambulante era ben altra
cosa che quella che noi riceviamo in certe cattive sale che chia-
mansi scuole , accademie , ginnasj , licei ecc. E bensì vero che
la dolcezza del clima della Grecia era favorevole a simile ma-
niera d' istruirsi e dilettarsi all' aria aperta, ciò che sarebbe im-
possibile fare nella maggior parte de' climi d'Europa; ma potran-
nosi mitigare gì' inconvenienti del nostro col soccorso di regola-
menti tratti da cognizioni igieniche.
3a
§ f\i. Il legislatore non caverà minore profitto dalla
morale perfezionata. Comprendo sotto questo nome la
politica^ non però quale da alcuni la s'intende, e che
altro non è che V arte d' ingannare i proprj nemici o
rivali , ma la scienza di governare gli uomini in modo
che sieno felici mercè il miglior uso delle proprie pas-
sioni (a). Ma la forza di queste passioni, non meno che
il temperamento che le determina , non essendo più o
meno che l'effetto del clima, o delle morali cagioni, co-
me li costumi e le instituzioni di un popolo , ben si
scorge come sia importante per il legislatore di sapere
calcolare gli effetti che tutte queste cause, disgiunte o
unite in diversi modi , sono capaci di produrre , onde
poterle modificare a suo piacimento.
§ 43. Onde però il legislatore possa signoreggiare
le cause fisiche colTajuto delle morali, tentar deve uua
infinità di riforme , che non possono venir tutte coro-
nate d' uo' eguale riuscita. E facile per esempio asse-
gnare ricompense alla virtù , come stabilire delle pene
per li delitti , e quantunque questa parte della legisla-
zione sia ancora imperfetta, promette però de' vantaggi
per la felicità dell'uomo nello stato sociale. Gli sarebbe
pur anche possibile, s' egli governa una nazione nume-
rosissima e che per conseguenza trovasi sparsa su di
(a) Paragonando ciò che qui dico con quanto ho fatto notare
circa le passioni considerate come oggetto della medicina (§ 4 1 9
not. a. ) si resterà sempre più convinti che non si può separare
questa scienza dalla morale ogni qual volta trattasi di rendere
gli uomini felici. Diderot scherzando mette fuori una grande ve-
rità, quando osserva nel suo Iacques le fataliste che non vi ha
massima morale di cui non si sia fatto un aforismo iu medicina ,
come non vi ha aforismo di medicina, di cui non siasi fatta una
massima di morale.
33
un' estensione di paese sottoposto a diverse latitudini ,
di temperare V asprezza di carattere di certi abitanti
colla naturale dolcezza degli altri , inducendo co' più
convenienti mezzi qualche parte della nazione a tra-
sportarsi periodicamente da una provincia all' altra3 ed
incrocicchiare così le razze (a).
§ 44- Non sarà però del pari agevole cosa pel legi-
slatore, nello stato attuale dell'economia politica adot-
tata da quasi tutte le nazioni d' Europa di diminuire il
numero delle arti meccaniche più insalubri per l'uo-
mo } sa/ebbe sin anche impolitico il tentare di farlo se
la nazione non ha altra risorsa che il commercio (VI).
Non gli riuscirà più facile d'impedire l'eccessiva ine-
guaglianza delle ricchezze senza danneggiare la libertà
del commercio , ed anche la libertà individuale di cui
ciascun cittadino deve godere nel esercizio de' proprj
talenti, e d'altronde è questa ineguaglianza, che fu
sempre sorgente la più feconda di corruzione nei co-
stumi. L' oro distribuito troppo sproporzionatamente
diviene un mezzo di seduzione nelle mani di un ricco
possessore, ed è una continua tentazione del povero, che
ne è sprovvisto , di lasciarsi sedurre. Egli è raro assai
trovare la virtù nei magazzini, e ancor di più il trovarla
sotto dorate vòlte} non è che tra gli uomini posti in una
(a) Una tale idea di Platone merita tutta l'attenzione del le-
gislatore : Questo filosofo consiglia a chi e di carattere focoso dì
non congiungersi che con famiglia d'un naturale flemmatico e tran-
quillo , e cosi pel contrario agi' individui d' un naturale portalo
per l' indolenza, di cercare i loro mariti, o le loro spose nelle fa-
miglie composte d'uomini vivaci ed attivi. V. Platone delie
leggi, lib. VI.
SitIP aria . ecc. Trattato. 3
34
felice mediocrità eh1 essa ama di stare (a). Accade nel
corpo politico di una nazione , ciò che nel corpo fi-
sico degli individui , che la compongono } nel modo
stesso che una parte di questo non può avere un au-
mento mostruoso senonchè a spese delle altre che de-
periscono in seguito} così le fortune colossali di alcuni
particolari sono una prova che Io stato è in uua specie
di marasmo (b) (VII).
§ 4^- Da tutto ciò io voglio conchiudere, che se la
perfettibilità indefinita della umana specie non è una
chimera, tutti gli ostacoli che vi si oppongono provano
almeno che essa è circoscritta entro confini assai più
ristretti , che non credesi comunemente. Forse la me-
desima non può aver luogo che sino a certi gradi di
estensione, oltre li quali all'uomo non è lecito signoreg-
giare le cause fisiche , né comandare agli elementi. E
possibile che auche ne' climi temperati le nazioni mo-
derne, arrivate ad un certo punto di perfezione morale
e politica, retrocedano ove sono partite, come avvenne
alle nazioni autiche. E pur possibile che un tale stato
di decadenza e di vecchiaia non sia per giungere vera-
(a) Una delle più belle preci con cui ci rivolgiamo all'essere
supremo è, a mio giudizio la seguente ; mendicitatem et divi-
tias ne dederis mihi: trìbue tantum vietili meo necessaria ; ne
forte satiatus illiciar ad negandum, et dicam , quis est Domi-
nus ; aut egestate compulsus furer, et perjurem nomea Dei mei.
Proverò. Cap. XXX, 8, 9.
(b) Quemadmodum enim corpus ex partibus constai, hasque
oportet ex proportione crescere , ut maneat totius et partìum
commensus ; sin minus , interit , cum pes quidem quatuor est
cubilorum, reliquum vero corpus duorum palmorum . . . ita et
cìvitas ex partibus composila est , quarum sape nonnulla oc-
culte augescit ecc. Aristotelcs de Repub, Lib. V, cap. 5.
35
mente cosi rapido per noi come lo fu per li popoli, clic;
ci hanno preceduti, attesi li grandi vantaggi che abbia-
mo su di essi (§ 38), senza per altro escludere che arri-
var possa un simile fatale momento ad onta di tutte le
precauzioni che si saranno prese per impedirlo, o per
allontanarlo.
§ 46* Aspettando la fortunata epoca in cui la mo-
rale e la medicina, ancora imperfette, insegnino agli uo-
mini 1' unirsi , ed il confondersi col mezzo della virtù
non ostante l'influsso de' climi diversi ch'essi abitano,
il dovere del legislatore consisterà a trarre il migliore
possibile partito dello stato fisico in cui trovasi la sua
nazione, ed a procurare il maggior bene al suo popolo
col minor male alle nazioni che gli stanno vicine. Non
si lusinghi egli però di poter giungere ad un tale fine
se le sue leggi non tendono tutte a procurare bastante
forza al corpo per respingere li mali fisici, ed all'animo
per non lasciarsi agitare dal tumulto delle passioni.
36
tinaia sa(g®sris)A
ANALISI DEL TRATTATO DELLE ARIE
DELLE ACQUE E DE1 LUOGHI.
§ 47» Dopo avere parlato della influenza che il cli-
ma esercita sull'uomo, è giusto ch'io presenti al lettore
una breve analisi dell'opera che tratta di tale argomento,
e che renda conto dei mezzi e dei soccorsi, de' quali
mi sono servito per dare la mia edizione. L' antichità
tutta va d' accordo nel riguardare questo trattato come
un vero parto d' Ippocrate. Non vi ha che il celebre
Haller che siasi fatto lecito di porre in dubbio una così
unanime credenza appoggiandosi ad un passaggio ma-
linteso dai traduttori} da qui risulterebbe, dietro la
falsa spiegazione che se ne è data , che V autore del
trattato delle arie^ delle acque e de'' luoghi siasi spac-
ciato per europeo, ora Ippocrate essendo nativo di
Coo, isola dell'Asia, uè verrebbe di conseguenza giu-
stissima , dice Haller , eh' esso non sia 1' autore di tal
opera (a).
§ 48. Il celebre Grunner si meraviglia a ragione di
questa strana opinione delP Haller (b), ed io mi sono con-
vinto che quest' ultimo non pose in campo un tale pa-
radosso se non che sulla fede de' traduttori e special-
mente del Settala , il quale non avendo inteso uno de'
passi più chiari di questo trattato , e del quale a suo
luogo io parlerò , ne conchiuse che Ippocrate si diede
(a) Haller, Artis medicee prìncipe*. T. IV , PrcefaL et Ri-
hliolh. medie, prcet. T. I, p. 29 e 59.
(b) Grunner. Censur. Libr. Hippocrat, , p. 5o,
per europeo ; mentre che secondo la sana critica ,
quand'anche un tal passo riguardarlo si voglia come su-
scettivo del senso forzato che gli si volle dare, non se ne
potrebbe trarre altra conseguenza se non quella che
Ippocrate aveva composto questo trattato fuori della
propria patria , in un paese spettante all' Europa. Gli
errori del Haller (dico gli errori perchè questo non è
il solo che commise relativamente a quest' opera e ad
altre dello stesso medico greco (a)), provano quanto
mai circospetto esser si deve nei giudizj, che si danno
sulle opere degli antichi; e particolarmente poi quando
non si possiede perfettamente la lingua in cui eglino
hanno scritto, e che non si ha sempre presente il com-
plesso della loro dottrina.
§ 49- P'10 comodamente questo trattato essere di-
viso in sei sezioni o capitoli. Il primo non è che una
specie d' introduzione, nella quale 1' autore stabilisce la
i necessità e l'importanza delle topografie mediche. Con-
sistere devono queste nella cognizione della natura delle
(a) V. Journal de Mèd., voi. 7^ p. 326. Nel quarto libro
degli Epidemici. Ippocrate fa menzione di un uomo chiamato
Cinico; 1' Haller prendendo questo nome come qualificativo della
setta ben nota, giudica che il quarto libro degli Epidemici è apo-
crifo perchè la setta cinica, die' egli, non ancora esisteva al tempo
d' Ippocrate. Senza riportare la poco soddisfacente maniera con
cui il reddatore di quel giornale cerca combattere 1' Haller , io
ardisco assicurare che devesi leggere Cijniscus come espressa-
samente lo si trova nel lib. VI, sect. 7 degli Epidemici, ove l'u-
guale storia della malattia stessa n' è ripetuta quasi parola per
parola : Cijniscus era un nome proprio d' uomo , come Cijnisca
di donna mollo in uso presso li Greci, e specialmente presso li
Greci d'origine dorica. V. Erodoto, lib. VI cap. 71. — Seno~
fonte. Sped. di Ciro, lib. VII e Lodi di Agesilao. — Teocrito,
Idill. XIV e suida in rJo<nV<?rsrof.
38
stagioni e del loro avvicendamento de7 venti sì generali
come locali, o che soglion dominare in un paese 5 del-
l'esposizione di una città riguardo a questi venti, al
levare o al tramontare del sole \ della qualità del suolo
e delle sue acque \ del genere di vita e del modo di
alimentarsi degli abitanti. Se si paragonano li precetti
che egli dà per ottenere una buona topografia con quelli
che trovansi registrati nelle Memorie di una celebre so-
cietà (a), si sarebbe quasi tentati di accusare Ippocrate
d'una folla di essenziali mancanze^ ma se appena si
vorrà portare l'attenzione da un lato su quella conci-
sione che caratterizza gli scritti di questo gran medico,
come di chiunque è dotato di un genio superiore, e dal-
l' altro sulla fecondità del piccolo numero de' precetti
che ci offre , chiunque non potrà a meno di avvedersi
essere queste omissioni se non corollarj , che ciascuno
può cavare facilmente dai precetti medesimi.
§ 5o. La considerazione delle stagioni ha per og-
getto non solo il loro naturale succedersi , ma pur an-
che il loro alterarsi , le loro variazioni , e la rispettiva
durata di queste ultime. Ciò è pure per li venti ; non
è soltanto l'ordinaria loro successione , le loro fisiche
proprietà di calore o di freddo , il loro soffiare più o
meno libero determinato dalle particolari località , ciò
che il medico deve considerare } bisogna altresì ch'egli
esamini le loro variazioni, il loro scostarsi dalle regole
comuni, e la durata di tal irregolarità.
§ Si, Le ricerche sulle qualità delie acque, che sca-
turiscono dalla terra , devono accompagnare 1' esame
della loro quantità più o meno considerevole relativa-
(a) V. Màmoires de la Socìété Royaìe de Médecine de Pa-
ris annèe 1776. Voi. I. Préface.
h
mente allo spazio del terreno che irrigano, E un tale
«sanie che sembra essere raccomandalo dall' autore ,
quando parla delle acque palustri , la cui tendenza è
di continuamente accumularsi e d'innondare i paesi per
mancanza del declivio, non meno che di quelle acque,
che vengono da luoghi alti, e che per ciò scorrono ra-
damente sulla superficie del suolo senza fermarvisi af-
fatto.
§ 52. Ippocrale nulla lascia a desiderare riguardo
alli preeetti che ci dà sull' esame del suolo. Ben si
comprende la diversità che esiste tra un suolo nudo ad
uno coperto d' alberi *, il primo trovandosi esposto alla
piena azione del sole, deve essere per necessità secco }
mentre che sull' altro la vegetazione mantiene della fre-
schezza, e tempera l1 ardore che seco hanno li raggi
del sole. Lo stesso si può dire d' un terreno basso re-
lativamente ad altro che lo domina*, P uno, al coperto
da' venti per le alture che lo circondano, viene per lo
più molestato da calori soffocanti*, il secondo invece,
posto al disopra del livello di quanto gli sta intorno,
deve essere rinfrescato dai venti, che da ogni lato lo as-
salgono. Delle qualità del suolo, dipendenti dalle parti
d'onde e composto, non meno che dall'umidità da cui
è imbevuto, Ippocrate parla con maggiore estensione
alla fine di questo trattato (CXXI, CXXV e CXXVI).
§ 53. Per genere di vita degli abitanti , oggetto
ugualmente degno di tutta 1' attenzione del medico, in-
tendere si deve, non solo il loro modo di vivere, o la
qualità e quantità degli alimenti, che abitualmente essi
prendono, ma ben anche la loro tendenza al lavoro o
ali" ozio in generale, e più particolarmente la maniera
con cui comportansi sì nell'uno che nell'altro, cioè, le
qualità di divertimenti a quali si abbandonano , quella
4o
de' lavori che coltivano. E ben si scorge che in que-
st' ultima categoria si comprendono per conseguenza le
diverse arti , mestieri e professioni , l' influenza delle
quali sull'uomo non può venir posta in dubbio, come
ho già dimostrato (§196 20).
$ 54. Gì' insegnamenti che ci dà circa il levare o
il tramonto degli astri è specialmente applicabile al
modo di distinguere le stagioni degli antichi Greci, co-
me farò vedere nelle mie note. E ciò serva a disingan-
nare coloro che credere volessero in Ippocrate domi-
nanti le chimere astrologiche. Gli antichi non conside-
ravano gli astri se non come punti di separazione tra
le diverse parti dell' anno, ed in quanto che queste epo-
che erano precedute, accompagnate o susseguite da certi
fenomeni meteorologici , i quali , come una lunga spe-
rienza aveva provato, dinotavano la futura costituzione
della stagione, che teneva dietro al loro apparire. Una
prova di quanto asserisco sta in ciò , che Aristotele ,
parlando della canicola , dice espressamente (a) , che
tanto il levarsi , quanto lo scomparire di questa costel-
lazione sono per lo più pericolose, perchè accadono in
un cambiamento di stagione, il primo in estate, ed il
secondo in inverno.
§ 55. Termina Ippocrate questa introduzione col-
V esortare li medici a non riguardare le cognizioni e le
ricerche meteorologiche come inutili all' arte loro , il
che fa vedere sienvi stati a' tempi suoi de' medici che
dubitavano dell'importanza di tali ricerche. Il medico
di Coo non poteva meglio rispondere agli increduli ,
che loro ricordando, seguire 1' interno del corpo li cam-
biamenti dell'atmosfera} ed appellandosi alla stessa loro
(a) Meteorologia , lib. II, cap. 5.
4«
sperienza, non che alle diverse sensazioni , eh' eglino
provavano per le diverse qualità dell' aria che gravita
da ogni lato sul corpo e che lo penetra sia per gli or-
gani della respirazione, sia per li vasi assorbenti della
pelle.
§ 56. Una tale osservazione conduce naturalmente
a considerare le diverse esposizioni riguardo ai venti ed
al sole $ il che forma il soggetto del li capitolo, che io
ho chiamato de* Climi. Il vento altro non essendo che
I' aria in moto, il medico deve pria di tutto conoscere
le qualità fisiche di questo elemento. La fisica moderna
c'insegna che il peso di un tale fluido può variare a
norma eh' egli è umido o secco, caldo o freddo, mosso
piuttosto verso questa, che verso quell'altra parte del-
l'orizzonte} e simile variazione di peso, cui trovasi
esposto il nostro corpo piuttosto in un tempo, che nel-
1' altro ,- può giungere sino quattro mila libbre. Questo
enorme peso certamente ci schiaccerebbe se l'aria con-
tenuta nella capacità del corpo non reagisse in ragione
della pressione operata sulla sua superficie dall' ai ia
esterna. Ciò non ostante, ad onta di una tale reazione,
il diminuire o V aumentare del peso dell' aria esterna
deve trarre seco disordini assai sensibili ogni qualvolta
che l'uno o 1' altro si fa bruscamente e senza tenere
una regolare gradazione. Non v' ha alcuno che salito
alla sommità di un' alta montagna ove 1' aria e molto
rarefatta, e per conseguenza meno pesante che quella
delle valli , non abbia provato almeno ai primi istanti
un incomodo ed un' alterazione molto sensibile in tulle
le funzioni , ma specialmente in quella del respiro.
§ 5^. E provato a dì nostri, che questo fluido che
costituisce la nostra atmosfera è un composto di diversi
gas, e che uno soltanto di questi serve alla respiraz io-
4,
ne , e per conseguenza a conservare la vita degli ani»
mali. Esso chiamasi aria vitale ( gas ossigene de' chi-
mici ) perchè serve appunto ad alimentare il fuoco
della vita 5 egli è perciò il vero pabulum vitae che per
altro non solo penetra in noi per li canali del respiro \
ma pur anche, come ho fatto già osservare (§ 55), per
la superficie del corpo coli' ajuto de' vasi assorbenti o
inalanti, e dir si può che il corpo respira per ogni par-
te. Questa verità comprovala dalla sperienza de' mo-
derni appartiene ugualmente al numero prodigioso delle
verità sparse nelle opere d'Ippocrate. Tutto il corpo,
dice questo grande osservatore della natura, e spira ed
inspira (#), cioè in ogni punto della superficie del me-
desimo si fa un' espirazione ed un' inspirazione simile a
quella che si eseguisce dall' organo polmonare , e da
cui risulta ciò che strettamente dicesi respirazione.
§ 58. La porzione però d' aria vitale può essere
più o meno considerevole in una data quantità d' aria
atmosferica secondo che questa è più o meno pesante
(§ 56) , con maggiore o minor frequenza rinnovata dal
moto, o secondo che , ristagnando, acquista dannose
qualità. Da ciò ne emerge la diversità, che nascere deve
dai varj climi, dalle varie esposizioni, non meno che
dalle varie stagioni dell' anno relativamente all' aria ,
che respiriamo e che vivifica di continuo la macchina
nostra riparando il calore animale. Così F aria atmo-
sferica può divenire più o meno atta alla conservazione
della vita non solamente per la porzione più o meri
grande d'aria vitale che contiene, ma pur anche per la
quantità di mofeta che entra nella composizione di
quella, ed inoltre per la quantità e qualità de' vapori
(«) Epidein, Lib. VJ, sect. VI, 2.
43
ed esalazioni, che innalza osi dalla superficie della lena
e si mischiano con la medesima.
§ 59. Quanto ai venti, i quali non sono che li di-
versi movimenti dell'aria (§ 56), soltanto nel II capitolo
Ippocrate ne parla con maggiore estensione \ o nel
IV capitolo, non meno che negli Aforismi , negli Epi-
demici (0), nel libro II della Dieta si limita a notare li
venti del Nord e del Sud, de' quali ho già riferite le
qualità relativamente all' animale economia (§ 6)} poi-
ché, del pari che fece Aristotele (b) , e' riguardava tutti
gli altri venti come appartenenti all' uno o all' altro
di que' due venti principali , secondo eh' essi parteci-
pavano dell'uno o dell'altro. Per esempio li venti oc-
cidentali, tutti cioè li venti inclusivamente , che soffia-
vano tra il ponente invernale e il ponente d' estate ,
erano considerati come spettanti al vento del Nord ;
nelP ugual maniera che li venti ortivi posti tra il le-
vante vernino e T estivo erano indicati col nome gene-
rico di venti del Sud (e) 5 se ne può vedere una prova
in ciò che dice Ippocrate (§ XXIV) della somiglianza
delle malattie delle città esposte all' Est, con quelle pro-
prie alle città esposte al Sud , e nelP analogia eh' egli
stabilisce tra li venti dell' Ovest e la stagione autunnale
(§ XXVI) a cagione delle alternative di caldo e di
freddo.
§ 60. Onde spargere maggior luce sull' influenza dei
venti 5 non sarà forse inutile di qui riferire il loro nu-
(a) Vi parla qualche volta delle Etesie , ma lo stesso era che
de' venti settentrionali (Nord Ovest).
(b) Della Repubbl. L. IV, cap. Ili, e Meteorologia. Lib. II,
cap. IV e VI. — Strab. Lib. I, pag. 19, ediz. 1587.
(e) Aristot.y Meteorolog. Lib. II, cap, VI.
mero, i nomi che gli Antichi lor davano, le qualità ri-
spettive non meno che le diverse epoche dell' anno ,
nelle quali comunemente soffiavano in Grecia. E que-
sta cognizione mi sembra tanto più importante , in
quanto che regna una confusione grandissima tra gli
scrittori ; confusione che attribuire si deve alle varie
rivoluzioni , che soffrir dovette la dottrina de' venti.
§ 61. Omero non parla che di quattro venti cardi-
nali da lui detti Boreas (Nord), Euros (Est), Notos
(Sud), Zefiros ( Ovest) (Vili). A questi quattro se ne
aggiunsero in seguito altri quattro che sono il Kaikias
o Caecias (Word-Est) $ & Euros (Sud-Est), che non era
più quello di Omero, al quale invece venne dato il nome
di Apeliotes (IX:, il Libs (Sud-Ovest), e VArgesles (Nord-
Ovest), cui si diedero altresì li nomi di Olympias , Ta-
pyoc o Sciron (a). Tali sono li venti, che riscontratisi
in Aristotele (b), in Àgatemero (e) (X) e sulla Torre dei
Pienti ancor esistente in Atene e della quale parlati Vi-
Iruvio(tZ) ed altri moderni viaggiatori (e). Plinio (f)« Ga-
leno (g) ed Aulo Gellio (h) non discordano da Aristo-
tele perii numero di otto venti se non che in ciò, che
dei due nomi Aparcthias e Boreas, che lo Stagirita
dà al vento Nord quelli autori invece non gli hanno
(a) Galeno lo chiama col nome romano di Caurus. V. il suo
Commentario MSS. sul libro d' lppocrate degli umori.
\b) Meteorologia. Lib. II, cap. ó.
(e) Geograph. Uypolyp. Lib. I, cap. 2, e lib. Il, cap. 12.
(d) Lib. I, cap. 6, L'Architettura.
(e) Pococke, Wheler e Sport. Non so perchè li due ultimi
pongano il Notos prima del Libs, andando daWOvest al Sud.
(/) Hist. fiat. Lib. II, cap. 47.
(g) Comment. sul libro degli umori d' lppocrate.
(h) Notti Attiche. Lib. Il, cap. 12.
45
conservato che il primo, dando ii secondo all' Jquilo
de' Romani , che Aristotele chiama Kaikias, Caecìas e
che è il nostro Nord- Est.
§ 62. Per altro Aristotele aggiunge (a) a questa rosa
tre altri venti , che sono il Meses, posto tra il Nord e
ii Nord-Est*, il Phoenicias tra il Sud-Est e il Sud; ed
il Thrascias posto tra il Nord- Ovest ed il Nord. In un
altro scritto attribuito ad Aristotele (b) il Meses chia-
masi Boreas; il Phoenicias, Euronotos $ ed il giro tro-
vasi compito con un dodicesimo vento detto Libonotos
o Libophoenicias , e che pone tra il Sud e il Sud-O-
vest. Questi dodici venti riscontratisi ripetuti altresì in
un' altr' opera dello stesso filosofo, ma dove il copista
ha ommesso Meses , e dato ( facilmente per distrazio-
ne ) il nome di Orthonotus al vento, che nelle altre di-
visioni porta il nome di Euronotus o Phoenicias. Vi si
scorge pur indicato col vocabolo Leuconotus ( ciò che
suonerebbe Sud-bianco ), quello che nella rosa de' do-
dici venti dicevasi Libonotus , ma questa variante non
è già un errore, poiché la si trova del pari altrove co-
me denomiuazione sinonimica. Agatemero ci dà , oltre
la lista degli otto venti , due altri compassi ciascuno di
dodici rombi , ed il primo de' quali è preso da Timo-
stene ammiraglio di Tolomeo (e) , sì 1' uno che V altro
sono conformi a quelli di Aristotele e di Plinio (d) , ed
ancor più a quelli di Seneca (e), senonchè Plinio chia-
ma Phoenix il Phoenicias della prima lista di Aristo-
(a) Del mondo. Cap. IV.
(b) Sui luoghi e sul nome de venti.
(e) Geograph. Hjpolyp. Lib. I, cap. 2, e lib. II, c;ip, là!
(d) Lib. II, cap. 47.
(e) Natur. Quaest. l.ib. V; cap. 16.
46
tele, quando invece Seneca gli conserva ìi nome à'Eu-
ronotus, qual trovasi nelle altre liste.
§ 63. Questa duplice o piuttosto triplice (§ 5i e 62)
maniera di contare i venti, non poteva a meno di con-
fondere nel doverli denominare , giacché coloro, che
parlano della rosa dei dodici venti hanno sovente im-
piegati li nomi che non convengono, che a quella de-
gli otto e così viceversa. Plinio, p. e., nelP esposizione
di quest' ultima rosa avendo chiamato Boreas o Aquilo
il Caecias d'Aristotele, viene poscia a dare lo stesso
nome a quello, che Aristotele diceva Ifeses ; ed egli
pretende che quest' ultimo nome appartenga ad un de-
cimoterzo vento, che da taluno fu posto tra il Boreas
ed il Caecias. Dà pure il nome di Phoenix all' Euro-
notus d'Aristotele, d'Agatemero e di Seneca} mentre
poco dopo parla dell' Euronoto come di un quattor-
dicesimo vento che alcuni posero tra VEurus e il
Notus.
§ 64. Onde appianare, per quanto è possibile, tutte
queste difficoltà, che esercitarono già la pazienza del
Salmasio, ho poste in apposita tavola le liste degli otto
e delli dodici venti sui dettami dei diversi scrittori greci
e romani (a), non meno che la lista dei trentadue venti
della rosa de' moderni, così che ad un colpo d'occhio
si può scorgere il numero e il nome di quelli di questi
ultimi che corrispondono ad uno o più venti antichi ,
secondo che si voglia servirsi della lista degli otto o di
(a) Non parlerò della lista dei cento ventidue venti de' Re-
mani , perchè essendo assai posteriore al secolo d' Ippoerale e
d'Aristotele, non entra nelle mie ricerche. Chi brama tali parti-
colarità può consultare le Exercilalioncs Plinianae Salmasii ,
pa'g. 878-89?.
47
quella de' dodici. Tenendo Io stesso ordine, ora riferirò
le diverse qualità sensibili de' venti , quali Aristotele e
Teofrasto avevano notate in Grecia, come pure le epo-
che o le stagioni dell' anno nelle quali più comune-
mente soffiavano} il che è molto essenziale per l'intel-
ligenza del presente trattato d' Ippocrate.
§ 65. hAparctias o Boreas era secondo Aristo-
tele (a) il vento più forte, più frequente, più secco e
più sereno} quantunque talora producesse lampi e por-
tasse grandine. Osserva egli d'altronde che questo vento
era forte specialmente al suo principiare e non indebo-
livasi se non coli' avvicinarsi al suo termine (#)} eh' esso
qualche volta traeva seco la neve (ciò che non lasciava
di fare il suo collaterale il Meses), quando invece era
piovoso per 1' Ellesponto e per Cirene (e) (XI).
§ 66. Il Caecias , che chiamavasi pur anche Helle-
spontias, poiché veuiva dalla parte dell'Ellesponto, spi-
rava per lo più verso l'equinozio di primavera. Era
umido e nuvoloso, apportando pioggia nell'Attica e nelle
isole dell' Arcipelago (d).
§ 67. \S Apeliotes era umido , ma di un' umidità
temperata, e soffiava ordinariamente di mattina (e).
§ 68. L' Eurus, che spesso confondevasi coli ^ Ape-
liotes, (§ 61) soffiava verso il solstizio d'inverno, era
caldo , secco iu principio, facevasi poscia umido, e ter-
minava per cagionar pioggia sopra tutto nell'isola di
Lesbo (f).
(a) Lib. II, cap. 6. Meteorologia.
{b) Probiem. XXVI, 41 e 47.
(e) Meteorol. Lib. II, cap. 6, Probi. XXVI, 58.
(d) lbid. (IV).
(e) Meteor., ibid. — Probi. XXVI, 35 , 54 e 5y.
(f) Metcor. ibid- — Probi, ibicl 28, 55 e 58, NuH* injvasi
48
§ 69. li Notos dominava per solito alla fine del-
l' autunno dopo il solstizio d' inverno ed al principio di
primavera (a). Umido e caldo naturalmente eca debole
da principio e non acquistava forza se non che col mag-
giormente accostarsi al suo finire. Allora copriva il cielo
di nubi e produceva pioggia (b). Quest'ultima qualità
facevasi specialmente sentire iteli' isola di Lesbo (e).
Ovunque passava prima sul mare , egli favoriva la ve-
getazione , come p. e. nella pianura dell'Attica cono-
sciuta sotto il nome di Trissia (d). Nella Libia questo
vento riusciva freddo (e).
§ 70. Galeno parla del Leuconotos, che altro non
è che il Libonotos, come di un vento secco e freddo ,
declinante dalla natura de' venti meridionali, che erano
umidi e caldi (f)\ ed Aristotele dice che soffiava dopo
il solstizio d'inverno (g).
§ 71. Il Libs era umido e nuvoloso, meno però di
quello che gli è opposto, il Caecias (h). Aveva in oltre
la proprietà di dissipare le nubi con tanta celerità con
quanta le accumulava, e facevasi sentire in Gnido, e
nell' isola di Rodi (1).
ne io Aristotele , né in Teofrasto circa le qualità dell' Euronoto
che verisimilmente devon assomigliarsi molto a quelle dei due
collaterali, l' Euro ed il Nolo.
(a) Problem. XXVI, 12-16.
(b) Ibid. XXVI, 2, 12, 20, 21, 28, 41 e 47-
(e) lbid. XXVI, 38.
(d) lbid. XXVI, 18.
(e) lbid. XXVI, i6-5r.
(f) Galeno. Comm. al lib. d'Ipp. degli umori. Secondo Stra-
bene (lib. I) è il Leuconotos , che Omero indica col nome di
Argestes-Notos.
(g) Arist. Meteorolog. Lib. 1!, cap. 5.
(h) Arisi. Meteorolog. Lik l!, ca£< 3, -- Problem.. XXYT, 27.
{1) Théophr. Dei Venti,
49
§ 72- M Zephyrus^ che spirava in primavera, al sol-
stizio di estate ed in autunno, levavasi per lo più verso
sera, e mai di mattina. Era, come dice Aristotele (a), il
più dolce de' venti 3 Teofrasto però fa osservare che in
qualche paese era freddo , quantunque lo fosse meno ,
che il Boreas $ ed a ragione aggiunge , che variavano
Je sue qualità fisiche di calore, secchezza , ed umidità
secondo la natura dei luoghi ch'esso attraversava, e ciò
serve a spiegare il motivo per cui Omero gli aveva dato
)' epiteto di Sv<re&ns (b).
§ ^3. h^Argesles era, secondo Aristotele, tanto secco
e tanto sereno, quanto V Aparctias $ quantunque non
traesse seco, come la alcune volte quest' ultimo, lampi
e grandine (e). La sua freddezza, secondo Teofrasto, si
faceva specialmente sentire a Calcide città dell' Eubea,
ove soffiando prima o dopo il solstizio d7 inverno sec-
cava gli alberi assai più che fatto non avrebbero la sic-
cità e il calore li più protratti (d). A Guido , e nelP i-
(a) Arist. Op. cit. e Problem. XXVI, 33, 35, 57, 54 e 5j.
(b) Théophr. op. citala — Uno degli scoliasti d' Omero
(Iliad., toni. 200) pubblicalo dall' erudilo cFAnsse de Villoison
nel commentare la parola Sv<rows che comunemente Iraducesi per
veemente o gravi ter spirarti, osserva assai giustamente , che Ci-
merò parla di un Zeffiro d' inverno ; stagione nella quale un tal
vento non può esser dolce nella Grecia. A mio giudizio però
sembrami più naturale il pensare (come verrò a provarlo a pro-
posito di un articolo d' Esichio) che quel poeta confonde il Zef-
firo col suo collaterale Lìbs e meglio ancora coVC Argestes , ogni
qualvolta lo dipinge come un vento impetuoso. Tale confusione
era inevitabile in un tempo in cui la rosa non era composta che
di quattro venti.
(e) Meleorolog. Lib. II, cap. 6.
{d) Théophr. Storia delle piante. Lib. IV, cap. 17, e della
cagiofl delle piante. Lib. V.
SttlF aria , ecc. Titillalo . 4
5f>!a di Rodi dietro I* autor slesso , l1 Argestes copriva
prontamente il cielo di nubi (a) , probabilmente perchè
esso arrivava dalla parte dal mare.
§ 74- Aristotele (b) attribuiva al Trascias (e) le
stesse qualità, che all' Argestes ed all' Aparctias (§ 65
e 63). Non parla di Meses, che d'incidenza (§ 65), e
nulla dice deWEuronotos come abbiamo già fatto os-
servare (§ 68 e iiotay).
§ j5. I venti Etesj (Etesias) che spiravano dopo il
solstizio d' estate ed il levarsi della Canicola erano venti
«lei Nord verso Ovest per gli abitanti de' climi occiden-
tali, e i venti di Nord verso Est per coloro che abita-
vano climi orientali. Soffiavano di notte e tacevano nel
giorno (d).
§ 76. Le Ornitie (Ornithiae) così chiamate, perchè
annunziavano il ritorno degli uccelli (e), erano una spe-
(a) Lo stesso dei venti.
(b) Meteorolog. Lib. II, cap. 6.
(e) Chiamavasi altresì Circiqs o Circas, o come vuole il Sai masi o
(l. e.) Cercias ; e secondo questi egli è Cercias invece di Cecias
che legger devesi alla fine della seconda rosa dei dodici venti di
Aristotele. Non vi ha che Agatemero (lib. II, cap. 12), che dà
inoltre il nome di Meses al Thrascias; ma a parer mio ciò non
è che un errore del copista, e nel di lui passo devesi portare la
parola Meses dopo quella di Borea , quando invece la ci si of-
fre dopo Trascias. Così Agatemero si accorderebbe con Aristo
tele, il quale dà 11 nome di Meses al vento, che gli altri chia-
mavano Borea.
\d) Arisi. Meteorolog. Lib. II, cap. 5 e 6.
(e) Lo scoliaste di Aristofane (/écharn.tijj) attribuisce un'al-
tr' origine a questa parola; pretende che le Ornitie così fossero
chiamale a cagione del loro freddo talora tanto violento da far
cadere a lena gli uccelli. Trovasi pur anche un esempio d' O»
nilie fedissime in Ippociale ( Epùicm. Lib. VII). Venivano ve-
5i
eie di venti Etesj, che sorgevano in primavera, settanta
giorni circa dopo il solstizio cT inverno. Essi erano più
deboli , più incostanti , e meno durevoli de' veri Ete-
sj (a). Erano venti del Sud che venivano nella Grecia
dalle montagne dell'Africa per 1' Egitto (b).
§ 77. Ho di già fatto osservare (§ 59), che ad onta
della loro varietà i venti erano ridotti a due classi
principali. La prima , sotto il nome generico di venti
settentrionali o del Nord, comprendeva non solo il
vento nord propriamente detto, o V Aparctias coi suoi
laterali il Meses e il Trascias (e), ma altresì li tre venti
detti occidentali e che sono YArgestes, il Zephyrus e
il Libs (d). L' altra sotto il nome di venti meridionali
risimilmente confuse coi Leueonoti (§ 70) , che soffiavano alla
stessa epoca, o, come pare più probabile, questi due venti non
erano che la cosa medesima , ma indicata con due diverse deno-
minazioni.
(a) Aristot. Meteorolog. Lib. II, cap. 5.
(ò) Con ragione V abate Richard (Hist. nat.,de fair et des
météores. (Voi. VI, pag. 279) rimprovera Aristotele di avere dato
ai venti Ornithies la origine medesima, che ai venti canicolari
o veri Etesj ; egli però non fece attenzione che non è che nel
libro del mondo (Cap. 4) che lo Stagirite riguarda le Ornithies
come venti del nord. Nella sua meteorologia ( Lib. II, cap. 5 )
vedesi invece che li mette in opposizione con li venti Etesj. Così
ben luDgi di trovare una contraddizione in questo doppio rag-
guaglio di Aristotele, non vi si scorge che un errore del copista
nel trattato del mondo y o piuttosto una prova di più che questo
trattato non è suo; di questo parere son pure alcuni dotti.
(e) Questi tre venti chiamavausi con nome comune di Borea
o venti boreali.
{d) Questi tre venti appcllavansi con nome comune Zefiri o
venti zefirini (Arist. Meteor. Lib. II, cap. 6). Con ciò si spiega
perfettamente V articolo di Esichio in cui questo grammatico * dà
u. 0F iu- ub.
fa
ò del iSwdf, comprendeva il vento del «Smg? o Notus coi
due suoi collaterali il Libonotus e V Euronotus {a) , e di
più li tre venti orientali , che sono YEurus. V Àpelioles
e il Caecias (b) (XII).
al Zephyrus il nome di Libs , e quel passo ov' egli chiama al-
tresì col nome di Zephyrus il vento Oìympias (che era lo stesso
che V Argestes) ; si può pur anche spiegare, come ho di già no-
tato (§ 72, noia), perchè Omero consideri il Zephyrus come un
vento brusco, mentre che in altra occasione lo fa soffiare abi-
tualmente nei Campi-Elisi , (Odissea IV, 567). Non conoscendo,
che la rosa de' quattro venti , egli era naturale che questo poeta
dasse maggior latitudine al Zefiro estendendolo a tutte le specie
comprese tra il Libs e Y Argestes inclusivamente, e portandolo
anche più in là ; per il che ne avveniva , che il suo Zefiro non
poteva essere sempre della natura stessa. E ciò è tanto vero che
qualche volta lo fa venire dalla Tracia (Iliad. IX, 5), cioè dal
punto stesso da cui soffiava il Thràsciàs vicino all' Argestes , e
che lo confonde altresì con Borea ; riè ciò fu ben inteso dagli
scoliasti. Strabone ( Geogr. Lib. I) pur pensa con Posidonio
che ogni qualvolta Omero rappresenta il Zefiro come un vento
spiacevole , bisogna intendere Y Argestes , come all' opposto si
dovrà intendete il nostro Zefiro propriamente detto allorché né
parla vantaggiosamente.
[a) Si dava a questi tre venti il nome comune di Noto o Venti
Notici (Arist, ibid.).
(b) Si chiamavano questi tre venti col cornuti nome di Euro o
Venti Apeliottci (Arist., ibid.). Questa denominazione spiega al-
tresì perchè Erodoto (Lib. VII, cap. 188) dia il nome d'Apelio-
tes (Est) al vento Hellespontias, che era lo stesso che il Caecias
(Nord-Est) ; e così pure il nome più generico di venti del Sud,
che si dava ai sei venti, spiega perchè lo scoliaste d' Aristofane
(Equii. 435) dica che il Caecias si chiamava anche Notus. Del
resto, quanto alla divisione de' venti in Settentrionali ed in Me-
ridionali, il Salmasio {Exercit. Plin., pag. 883) pretende doversi
intendere Aristotele iti uri senso alquanto diverso; cioè cheque
sto. filosofo chiamò venti settentrionali il Caecias , e quelli che
53
§ 78. Se ora mi si cercasse, perchè Ippocrate, par-
lando dei climi e delle acque consideri V esposizione
delle città in relazione ad un gran numero di venti; e
che nel IV. capitolo ove parla delle costituzioni epide-
miche egli si accontentò di dedurre queste costituzioni
da due stati dell' atmosfera, cioè, dallo stato australe e
dallo stato boreale, o, come consiglia egli stesso nel-
l1 Introduzione di questo Trattato (§ 7), considerò que-
ste costituzioni quali effetti della stagione calda, o della
fredda; risponderò, che 1' osservazione avendogli inse-
gnato che le malattie endemiche sono 1' effetto perma-
nente del clima o delle cagioni locali permanenti , pre-
cipua delle quali è da ritenersi 1' esposizione alli diversi
venti, che ordinariamente soffiano, era d'uopo ch'egli
parlasse più circostanziatamente di tali venti , mentre
parlava de'climi} quando invece, le malattie epidemi-
che non essendo , che 1' effetto passeggiero delle co-
stituzioni del pari passeggiere dell'aria (tra le quali
la costituzione calda o australe e la costituzione fredda
o boreale hanno gran parte), bastava al suo fine di no-
tare li due venti principali che presiedono a queste co-
stituzioni , e che dividono, per così dire, V anno medico
in due parti eguali (a).
gli tengono dietro al lato sinistro sino al Zefiro inclusivamente ;
e venti meridionali il Libs , e quelli che lo seguono sino al-
V Apeliotes inclusivo ; di modo che non ci sono che due dei tre
venti occidentali che confondonsi con li venti settentrionali , e
due dei tre orientali che si confondono con li meridionali.
(a) Uaa tale divisione non si limiterebbe esclusivamente agli
usi della medicina. Tucidide racconta li fatti della guerra pelo-
ponnesiaca e ne distingue le diverse epoche se non che per estati
e per inverni : ed in modo che 1' inverno comprende V ultima
parte dell' autunno, 1' inverno intiero v la prima parte della pri-
mavera, e tutto il restante dell' anno appartiene all' citate. V. Tu-
cidid. Lib. II, § 01.
54
§ 79- Difatti è provato dalle osservazioni di Sv-
dhenam (0), che in Europa come in Grecia li mali epi-
demici oltre P influenza che essi ricevono da una o da
molte stagioni , hanno un carattere semestrale , se è
lecito così P esprimersi , carattere che loro imprime
P equinozio di primavera e quello di autunno. Così que-
ste due stagioni dividonsi l' impero di tutto l' anno
medico , la primavera influisce su tutte le malattie, che
nascono in questa stagione e in quella di estate che le
tien dietro, e F autunno caratterizza le malattie che gli
sono proprie e quelle d'inverno. Forse un tale effetto è
dovuto, come crede Raymond (b\ all' ascendere del
sole, indi alla sua declinazione , e fors' anche dovrassi
ad altre cause che noi sino ad ora ignoriamo. Ciò che
però vi ha di certo si è che F effetto sta } e ciò che dà
luogo a particolare riflesso si è, che il dominio del-
l' autunno si estende più in là che non quello della
primavera, imprimendo il carattere della sua costitu-
zione alle malattie di tutto F anno.
§ 8o. Ippocrate, calcolando gli effetti delle diverse
esposizioni , incomincia da quella di mezzodì, che egli
riguarda come insalubrissirna a cagione dell' eccesso del
calore e delP umidità insieme uniti. Quelli che abitano
un tal clima devono essere di un temperamento deli-
cato ; esposti per la maggior parte del tempo all' im-
pressione di un calore umido, eglino aver devono la
fibra lassa, il sistema vascolare inerte , e per conse-
(a) Sect. I, cap. 2. Sydenham non diverisifica da Ippocrate
se non che in ciò che dà il nome di vernales e autumnaìes alle
malattie che quest* ultimo chiamava d' estate e d' inverno.
(b) V. Mém. de la Societé R. de Médecine , 1780-1781.
Part. II, pag. 43-45.
55
gu'tiza gli umori che vi circolano saranno poco elabo-
rati , di una consistenza e di un colore acquoso. Li mali
ai quali eglino andranno maggiormente soggetti , par-
teciperanno più o meno di quel genere che gli antichi
metodici chiamarono laocum: saranno di una diatesi
ora biliosa ed ora pituitosa secondo la stagione in cui sì
manifesteranno, e finalmente avranno maggior disposi-
zione che non le affezioni procedenti da clima di op-
posta natura, a farsi cronici, ciò dipendendo da quella
debolezza di temperamento, la quale fa che le crisi sieno
più lunghe e più difficili.
§ 81. La crisi non essendo che un'operazione della
natura, suppone sempre un' attività del sistema vasco-
lare, la quale non può trovarsi associata a debolezza o
mobilità di nervi. Essa è proceduta da una cozione , il
cui prodotto in una generale infiammazione è princi-
palmente un sedimento purulento , bianco , perfetta-
mente omogeneo, e che scorgesi al fondo dell' orina \ e
nelle infiammazioni locali consiste in una materia del
pari bianca, perfettamente omogenea e senza odore che
dicesi pus o marcia. Ora siccome le persone indebolite
da un calore umido non sono quasi mai soggette alle
malattie acute, cioè alle malattie che terminano, se non
riescono mortali , con crisi perfette, trovansi invece di-
sposte ed avere ulceri di cattivo carattere; ed accade
che la più piccola ferita in gente di tal natura, invece
di dare una lodevole suppurazione, degenera in ulceri
fagedeniche tramandanti se non che un umore sanioso
più o meno giallastro o cangiante , fetido e corrosivo ,
il quale non può essere corretto da vasi senza vigore.
Se ne ha una prova nelle ulceri degli idropici (a).
(a) Ippocrate. Aforismi VI e Predizioni. Lib. U, pag. 5oa.
56
§ 82. Egli è altresì ad una tale debolezza relativa del
sistema vascolare, che attribuire si devono le frequenti
flussioni, alle quali sono sottoposti individui di questa
natura, e che producono le paralisi e le apoplessie sie-
rose non meno che le varicosità delle vene. Ogni qual
volta gli umori di qualche parte del corpo trovansi
in un moto contro natura, essi concorrono naturalmente
verso le parti che loro presentano meno resistenza, in-
gorgano e dilatano li vasi che non hanno abbastanza di
elasticità per respingerli , e vi formano delle stasi e
delle congestioni o mortali o assai difficili a scio-
gliersi.
§ 83. Intanto la natura, che sempre offre un com-
penso nelle malattie che cagiona a' suoi figli ponendo
a quelle vicino il rimedio che le allevia, ha resi tali in-
dividui non solo meno proclivi alli mali acuti (§ 8o),
che prendono le persone dotate di una fibra più robusta,
ma rese altresì la maggior parte delle loro malattie
meno gravi e più proporzionate alle forze loro (a)} essa
giunge spesso a moderare le congestioni indicate mercè
uno scioglimento di ventre. Così , soggetti li medesimi
a delle ottalmie umide, occasionate dagli ingorghi degli
organi della vista, se ne liberano più presto che altri ,
destando una specie di rivulsione sul tubo intestina-
le (ò). Ciò dir si può delle couvulsioni , le quali essere
(a) Ciascuno animale si ammala secondo la propria forza ,
dice Ippocrate (della generazione) (§ 8). Una simile verità è spe-
cialmente sensibile nella differenza indotta dall'età ; si sa p. e.,
che ti dolori della gotta sono meno forti ne' vecchi , che ne' gio-
vani.
(&) Ippocrate trasse da quest' osservazione quell' aforismo ;
« Bene, se chi è molestato da male d' occhi vien preso da diar-
rea o. VI, 17.
57
dovranno meno forti ogni qual volta il ventre è libero,
e di ciò se ne hanno esempi ne' bambini all' epoca
della dentizione (a). Ed egli è pure in virtù di una tale
revulsione , che V emorroidi prevengono o guariscono
diverse affezioni della pelle (#), non meno che le melan-
coniche e le maniache (e).
§ 84. In un tale stato de' vasi la sanguificazione
deve essere imperfetta non meno che la chilificazione
e la digestione che la precedono. Ed ogni qual volta
che gli organi digerenti non eseguiscono bene le fun-
zioni loro, il bisogno di cibarsi deve farsi sentir meno,
quando però qualche acrimonia irritando quelli organi
non ecciti un appetito contro natura. Avviene in fatti
che, a cose pari, più un clima è caldo, meno l'uomo
ivi si trova disposto a prendere alimenti, poiché il più
piccolo eccesso accrescendo il lavoro della digestione
aumenta per necessità il calore 5 e ne soffre special-
mente la testa, per la simpatia che questa ha col tubo ali-
mentare. Così vedonsi gli abitanti de' climi caldi essere
per naturale istinto più sobrii che quelli de'freddi, pre-
ferire gli alimenti vegetabili , più o meno tendenti ad
una fermentazione acida , alle carni degli animali alca-
lescenti per natura , e che ancor più lo sono ne' climi
caldi, dove in un dato volume contengono una più ab-
bondante quantità di principi nutrienti.
§ 85. Ad un tale rilasciamento vascolare devonsi pure
attribuire le perdite uterine, la sterilità, e gli aborti, non
meno che il precoce sviluppo della pubertà nei due sessi,
la loro anticipata vecchiaja e la breve durata dalla vita.
(a) Aforism. Ili, 25 e della dentizione.
(b) Degli umori.
(e) Aforism. VI, 11 e ai. - ;
58
Quantunque Ippocrate uon riferisca espressamente que-
ste ultime circostanze, con quanto tien dietro le fa pre-
sentire, e in particolar modo coli' opposizione manifesta
eh' egli dimostra esistere tra gli abitanti de' climi me-
ridionali, e quelli de' settentrionali, ai quali ultimi attri-
buisce (§ 19 e 21) una tardiva pubertà ed una più
lunga vita.
§ 86. La stessa cosa vale per il carattere morale
de' meridionali, che, supplendo alla concisione dell'au-
tor nostro, è giuoco forza il supporre più dolce di quello
de' settentrionali, i quali sono da lui riguardati (§19)
come naturalmente inclinati alla ferocia. D' altronde il
fisico de' primi indica abbastanza qual essere deve il
loro morale. Una complessione delicata e flemmatica ,
uno stato di salute quasi malaticcio pronto a peggiorare
al più piccolo disordine , dimostrano generalmente de-
gli uomini pusillanimi , ai quali un istinto naturale è
quello che inspira la dolcezza siccome un mezzo atto
a garantirsi dagli attacchi delP uomo robusto , che dal
sentimento della propria forza vien reso intraprendente
e spesso proclive all' insolenza, se trova la minima op-
posizione.
§ 87. Dopo avere dimostrato qual sia il tempera-
mento degli abitanti de' paesi caldi ed umidi e li mali
che comunemente li molestano , esamina l' autore li
paesi esposti ai venti secchi e freddi del settentrione.
Dà a chi li abita un temperamento bilioso ed un abito
di corpo secco e robusto relativamente ai popoli esposti
ai venti umidi del mezzodì, che sono d'un temperamento
lasso e flemmatico } devesi intendere però un tempera-
mento bilioso -sanguigno (a) per li primi , e bilioso-
(a) Paragonando diversi passi d' Ippocrate, Prospero Marziano
59
flemmatico per li secondi, dietro la divisione delle ma-
lattie in biliose ed in pituitose che trovasi altrove (a).
Ad una tale mancanza di pituita ne' primi egli pare do-
versi attribuire Io stato robusto della testa: stato che
influisce altresì per simpatia sul canale alimentare , gli
dona una forza contrattile maggiore, e per conseguenza
un'azione più viva e più durevole sugli alimenti} e que-
sti dovranno per tale motivo essere più presto digeriti,
ed essere spogliati de' loro sughi nutritivi al segno che
il residuo stercoraceo diventa più duro, tenace e ribelle
ali1 azione peristaltica degli intestini.
§ 88. Una tale costipazione degli intestini posti nella
parte inferiore del ventre spinge gli umori verso la parte
superiore di esso, la umetta e la rende più facile ad esser
tenuta in moto} e notisi, che per l'indicata parte supe-
riore devesi intendere non solo la cavità del petto, ma
(Not. ad lib. de natur. human., v. 27*2, seg.) provò che nel lin-
guaggio ippocratico la bile e per conseguenza le affezioni biliose
hanno un senso più esteso , e che le febbri biliose del medico
di Coo sono quelle che Galeno ha poscia chiamale febbri putride,
ed alle quali si dà oggidì il nome dì febbri umorali. Partendo da
questo principio e dalla relazione che passa tra la bile ed il san-
gue (V. Grimaud. Cours de fièvres. T. I, p. 3o6-5o8), ed infine
dietro la natura stessa delle malattie che Ippocrate attribuisce
agli abitanti de' paesi secchi e freddi, io mi credo autorizzato ad
intendere per temperamento bilioso un temperamento bilioso san-
guigno. Del restante non mi servo qui di quella nomenclatura
morale proscritta non senza ragione dai pratici d'esperienza, ma
che a torto vien addossata tutta affatto a Galeno, se non che per
conformarmi al linguaggio d' Ippocrate e de' suoi scolari. Poco
d'altronde imporla che in teoria si dia piuttosto questo che quel
nome ad una malattia , perchè si vada d' accordo sugli effetti di
una tale causa, e suiti mezzi che le si devono opporre.
(a) De qffectwnibus. — De mot bis, lib. I, p. 1.
60 ,
quella porzione altresì del tubo alimentare posta sotto
il diaframma e conosciuta sotto il nome di ventricolo o
di stomaco. La delta porzione superiore è di un mag-
gior calibro che non il restante del canale digerente } e
per questa diversità non che per una specie di reazione
e tendenza naturale all' equilibrio accade che il vomito
ferma le dejezioni alvine (a), nell' ugual modo che que-
ste, aumentate sino ad nn certo punto, possono arre-
stare non solo il vomito, ma altresì l'espettorazione cri-
tica nelle malattie , che devono giudicarsi mercè gli
sputi (b).
§ 89. Tanto meno mi tratterrò sulle malattie pro-
prie ai paesi di secca e fredda esposizione , in quanto
che le ho dì già indicate parlando di quelle che mole-
stano li paesi caldi ed umidi, e che d' altronde conside-
rando soltanto il tono de' solidi e l'attività de' vasi di
cui sono forniti gli abitanti dei paesi freddi, è facile il
conchiudere che le loro malattie altro non possono es-
sere che affezioni acute di quel genere che gli antichi
Metodici chiamavano strictum, e che lasciano alla na-
tura, ogni qual volta non riescano fatali, bastante ener-
gia per combatterle e domarle con qnalche crisi.
§ 90. Egli è a questo tono dei solidi che attribuir
bisogna l'assorbimento di tutti gli umori superflui, e la
facilità che prova la natura a seccare con prontezza le
ulceri , le quaìi per gli abitanti di paesi umidi si fanno
centro di concorso e veri smaltitoi di tali umori (§ 81).
Nei paesi secchi , i pochi umori che vi affluiscono si
cangiano facilmente in lodevole pus, che precede la ci-
(a) Ippocral. Aforism, VI, i5. — Dei luoghi nell'uomo, se-
tion. 45.
(b) Lo stesso. Delle malattie. Lib. Il, scz. 17, 22.
6i
calrizzazione delle parti lese. Si comprende da ciò la
ragionevolezza di quella pratica , che attaccar suole le
vecchie piaghe con topici stimolanti (a), nel tempo stesso
che si amministrano internamente i rinforzanti; e ciò al-
l'oggetto di risvegliare il tono delle parti colla irrita-
zione locale j non che coli' impressione che gli organi
digestivi corroborati comunicano a tutta la macchina ,
e di dare così luogo ad una buona suppurazione, cioè,
ad una vera crisi, la quale non può essere che l'effetto
di una febbre o di un movimento analogo alla febbre ,
operato dalla natura o eccitato dall' arte (b).
§ 91. Un tale stato della facoltà digerente (§ 87)
negli abitanti de' paesi esposti in guisa di provare I? in-
fluenza de'venti freddi, abbisogna di una maggiore quan-
tità di nutrimento per soddisfare un appetito continua-
mente eccitato dalla contrazione spasmodica della pelle,
contrazione , che simpaticamente si propaga sino alle
tuniche dello stomaco. Gli abitanti di que' paesi pro-
vano, quasi direi, abitualmente quanto soffre qualunque
altro popolo nell' inverno (§ 5). La costipazione però
del ventre e della cute impedendo che si dissipi un' ec-
cessiva quantità di umori, ne segue che la vita può es-
sere più lunga.
§ 92. Avviene per egual motivo ch'essi toccano più
tardi la pubertà, cioè quell'epoca in cui comunemente
si ha Io sviluppo del corpo e in special modo degli or-
gani della riproduzione. Molteplici osservazioni hanno
comprovato che la Natura nelle operazioni dell'animale
economia tiene una progressione d'alto in basso tanto
(a) Ippocrate siili7 uso dell' umido.
(b) Ippocr. Predizion. Lib, 11.
62
per riguardo allo stato patologico, che al fisiologico (a).
Nessuno ignora che li fanciulli hanno la testa più grossa
relativamente al restante del corpo , e che le malattie
famigliari all' età loro sono le affezioni capitali } ed è
pur noto che queste non abbandonano per lo più, che
all' epoca della pubertà, cioè, quando il principio della
vita, abbandonando quel centro d'attività, comincia ad
occuparsi del perfezionamento degli organi destinati
alla propagazione della specie. Nou deve dunque sor-
prendere se ne' climi freddi la natura si concentra per
maggior tempo nella regione cefalica , da cui trae ori-
gine lo spinale midollo e tutto il sistema nervoso, al fine
di procurare maggior vigore a tutta la macchina } ed
essa non pensa allo sviluppo degli organi sessuali che
dopo di aver adempiuto a quel primo scopo.
§ 93. Ma se gli abitanti de' climi freddi sembrano
meno e più tardi disposti ali1 atto della generazione di
quello che lo siano i meridionali} essi però più che que-
sti ultimi resistono a tale operazione , e continuano più
a lungo a godere della prolifica facoltà anche per la
qualità del loro sistema nervoso capace di meglio soste-
(a) Per questa stessa legge la gioventù , la quale tien dietro
all'infanzia, è l'epoca delle affezioni di petto, e la età virile è
particolarmente molestata dalle malattie del basso venire. Dna tal
legge s'osserva altresì nelle malattie individuali. Roederero e Wa-
gner riferiscono, che nell' epidemia mucosa di cui diedero la de-
scrizione, il male cominciava dall' occupare il capo, indi passava
alla regione epigastrica come il vomito lo dimostrava, e che fi
niva col prendere il ventre destando la diarrea. Prima di essi Ip-
pocrate aveva fatta 1' osservazione medesima. « Dopo che un do-
» lore avrà preso il capo, discenderà al petto, indi ai precordj,
» e infine alla coscia : ne avvenir può che dolgano insieme que-
» sle parti. » Epidemici, lib. II , sect. V.
63
nere un atto che Democrito con acutezza paragonava
all'epilessia (a). Un' altra causa di un tale vantaggio è
lo stato della loro pelle, che più densa e più compatta
si oppone ad una traspirazione troppo abbondante che
altrimenti indebolirebbe le forze necessarie alla ripro-
duzione. Ed è noto che nell' uomo tutto ciò che rila-
scia di troppo la cute, come sono i sudoriferi, (b) nuoce
alla facoltà generativa.
§ g4« Egli è in oltre ad un tale stato de' solidi che
attribuire bisogna la sterilità delle donne ne' paesi sfer-
zati da venti freddi} sterilità che si annunzia da una
pelle compatta e, quasi vorrei dire, più virile che mu-
liebre. Ciò può spiegare l'istinto, che trae l'uomo a ri-
guardare la finezza della pelle come una delle prime
qualità fisiche , che abbelliscono il debol sesso. Simile
finezza fa supporre un tessuto cellulare più permea-
bile, organi meglio atti al coucepimento, ed una sensi-
bilità di nervi, la quale accrescendo i piaceri, deve strin-
gere maggiormente i vincoli , che uniscono i due indi-
vidui, e che insieme li confondono per ottenerne un terzo.
Ippocrate è tanto persuaso della relazione , che ha la
pelle con 1' organo in cui fabbricasi V uomo , che con-
siglia (e) di assicurarsi dell'attitudine di una donna al
procreare con un'esperienza, che consiste nel lavarle il
capo, e, dopo averla coperta di un pannolino ben netto,
nell'applicarle alla vulva pessarj odorosi. Il comunicarsi
(a) V. Galeno Opera. T. I, p. 3g8. Alcuni attribuiscono que-
sto paragone allo stesso Ippocrate; ed altri ne danno l'onore ad
un certo Erissimaco. Si vedano le note su Marco Aurelio, p. 2'i5.
Edizione di Galak.
(L) E specialmente la caufora. V. Selle Medicina clinica, t. II.
(e) Della sterilità.
64
dell'odore al pannolino del capo, è, secondo lui, nn
segno di futuro concepimento \ senza dubbio 5 perchè
1' avvenuta comunicazione fa supporre un tessuto cel-
lulare poroso e permeabilissimo.
§ 9,5. Parlando del carattere morale degli abitanti
de' paesi caldi, abbiamo veduto (§ 86) quale deve essere
quello de' popoli che abitano i climi freddi. Dotali que-
sti ultimi di un robusto temperamento trovar devono
nella conoscenza delle proprie forze quel coraggio, l'a-
buso del quale trapassa a poco a poco all' insolenza ed
alla ferocia.
§ 96. La terza esposizione, e secondo Ippoorate la
più salubre, considerandola egli la più temperata , è la
orientale. Meno umida che la meridionale, e meno
fredda che la settentrionale, una tale esposizione dona
agli abitanti un temperamento medio, e quale è oppor-
tuno per guardarli dalle malattie ohe risultano da ec-
cessi opposti. La fibra loro non è né troppo tesa né
troppo rilasciata, ed il loro sistema vascolare ha bastante
vigore per elaborare e far circolare gli umori senza
ispessirli, di troppo né produrre una putrida dissoluzio-
ne. Siccome un tale temperamento tiene luogo di mezzo
tra il temperamento de' Meridionali e quello de' Setten-
trionali, le malattie loro devono altresì offrire quel ca-
rattere che gli antichi Metodici chiamavano mioctum;
Ippocrate però saggiamente osserva che essi assomiglia-
no piuttosto a quelli de' climi caldi , e ne è chiara la
iasione. Sino a che 1' economia animale conserva la
forza generale che costituisce e mantiene la salute, an-
che li reciprochi rapporti tra le opposte costituzioni si
mantengono esattamente: ma quando vien rotto l'equi-
librio, ella è cosa ben naturale che per corpi, i quali ,
anche in istato di salute, non sono robusti quanto quelli
65
degli abitatiti esposti a borea , le malattie più o meno
si avvicinino al carattere ed al genio di quelle, che sono
comuni alle esposizioni meridionali.
§ 97. Il fisico né troppo rigido né troppo lasso delle
donne che vivono sotto f anzidetta esposizione orien-
tale fa sì ch'esse sieno fecondissime, e che non provino
difficoltà a porre alla luce li frutti concepiti e portati
in grembo senza incomodi. La salute in fatti di un cli-
ma ben temperato trovasi dipinta abitualmente sul volto
d'ambo i sessi con una florida tinta, e viene dimostrata
da un carattere più dolce ed uno spirito più penetrante
che non è quello de' popoli di un clima freddo.
§ 98. Neil' ugual modo che il medico di Coo pa-
ragona la temperatura di un esposizione orientale a
quella di primavera (§ i(\ ) , stabilisce altresì un'ana-
logia tra 1' autunno ben conosciuto per le sue vicissitu-
dini di caldo e freddo e le città esposte ai venti occi-
dentali. Questa quarta esposizione , la più insalubre dì
tutte, fa sì che gli abitanti delle città che la hanno, sono
soggetti a tutte le malattie delle esposizioni australi e
delle boreali, poiché provano alternativamente l'umidità
ora calda ed ora fredda.
§ 99. Trattando quest' argomento Ippocrate parla
altresì delle acque e preferisce quelle che sono esposte
ad oriente^ non ne tratta però che superficialmente.
Egli è nel capitolo III, affatto destinato a questa ma-
teria , che egli esamina con minutezza le acque degli
stagni , delle paludi , delle sorgenti , de' fiumi , di piog-
gia ecc. rispetto non solo all'esposizione loro, come ha
fatto nel secondo capitolo, ma altresì alla loro natura,
alla profondità, altezza o situazione del terreno da cui
sorgono , ed alla maggiore o minore rapidità del lor
Su IP aria , ecc. Trattato. 5
66
corso. Ne esamina Inoltra i! sapore, il colore, il peso e
il modo che tengono nel bollire. E siccome P acqua di
pioggia è quella che pesa meno , e bolle più presto , a
lei consagra una gran parte del capitolo 5 e parla a que-
sto proposito come oggidì parlerebbe il fisico il più
istrutto del mirabile meccanismo dell'evaporazione, che
per un perpetuo circolo diventa la perenne sorgente
delle piogge, che inaffia^o il nostro globo e che alimen-
tano il vasto serbatojo del mare. Ciò lo guida natural-
mente all'esame delle acque, della neve, e del ghiaccio,
ove trovasi un fatto curioso comprovato al presente dalle
fisiche sperienzej la diminuzione, cioè, nel peso del
ghiaccio. A giorni nostri si è preteso porre in dubbio
gli effetti che Ippocrate attribuisce alle acque in ultimo
luogo accennate riguardo all'animale economia, ma sio'o-
ra non si è potuto assolverle in modo soddisfacente dai
mali, che loro egli ha attribuiti.
§ 100. Passa in seguito V autor nostro alle acque
di fiume, e le considera in riguardo ai cattivi effetti che
produr possono nel corpo umano. Il più orribile di que-
sti effetti è la formazione della pietra nelle vie orma-
rie: quanto egli dice circa li temperamenti più o meno
disposti ad una tale crudele malattia, e la ragione che
dà dell'esservi meno soggette le donne che gli uomini,
tutto si trova conforme alle nozioni patologiche ed ana-
tomiche che si hanno a tempi nostri.
, §101. Nel capitolo IV Ippocrate parla delle ma-
lattie epidemiche e le fa dipendere dalla costituzione
atmosferica delle anteriori due o tre stagioni , combi-
nate assieme secondo li principj , che altrove ha stabi-
liti: in quella sentenza « è d* uopo considerare come
» trovinsi li corpi umani ? mentre passano da una in
67
99 altra stagione (a)} ciò che Celso ha amato esprimere
con le parole : neaue solum interest quales dies sint ,
sed edam quales ante pra?cesserint (b). Questo princi-
pio ir insegna a non giudicare della rassomiglianza o
della disomiglianza di due epidemie dietro la sola costitu-
zione atmosferica della stagione in cui si manifestano ^
ma a risalire bensì alla costituzione di due o anche di
più stagioni che precedettero. Egli riduce queste costi-
tuzioni, le quali preparano, e vanno creando, per così
dire, in silenzio, le malattie epidemiche, a due princi-
pali , cioè la boreale e P australe dietro i motivi che
altrove (§ 78) abbiamo riferiti} e la stagione in cui svi-
luppaci tali malattie è per li motivi stessi o l'inverno
o l'estate , nelP inverno comprendendosi 1' ultima parte
dell'autunno, e la prima della primavera (§ 78, not. ),
ed all'estate appartenendo tutto il restante dell'anno.
Un'altra cosa che osservare bisogua per intendere tutto
questo capitolo, non meno che il secondo, il quale tratta
de' climi, si è che gli stessi nomi non sempre indicano
le stesse malattie } le dissenterie per esempio del § 5g
non sono della natura medesima delle dissenterie del
§ 62. Quanto poi si fa notare non risguarda però che
i lettori non medici.
§ 102. Siccome un'epidemia, prendendo almeno
questo vocabolo nel suo più lato senso , non cessa che
per dare luogo ad un'altra più o meno pericolosa; egli
avverte che questi cambiamenti accadono specialmente
a quelle quattro epoche dell'anno che si convenne chia-
mare i due equinozj e i due solstizj, e che in tali epoche
il medico deve portar la sua attenzione al cambiamento^
(<?) Degli umori ; § 3.
[if) De re med. lib. 1 , Prof.
68
die prova l'epidemia regnante, ed alla natura di quella
ehe vi tien dietro ,. onde cambiare o modificare il suo
metodo curativo. Il medico greco dissuade dall'uso de'
purganti in quelle epoche, non che dalle operazioni chi-
rurgiche , poiché la natura posta tra due costituzioni
spesso opposte, una delle quali cessa, e l'altra comincia,
lascia il medico in una perplessità circa li mezzi di com-
battere le malattie, e potrebbero risultare mortiferi que"
soccorsi, che 1' arte gli pose tra le mani all'altrui guari-
gione. Dichiara che le più pericolose tra le dette epo-
che sono iì solstizio d'estate e l'equinozio d'autunno;
e termina questo interessante capitolo con un' osserva-
zione la quale spiega perfettamente, perchè un' epide-
mia affligga spesso un paese , mentre risparmia quelli
che gli sono vicini; e l'esposizione relativa ai quat-
tro punti cardinali dell' orizzonte , congiunta con al-
tre cause locali , è quella la quale fa sì che a distanze
piccolissime certi luoghi più che altri sentano l'influenza
di una costituzione dominante.
§ io3. Dopo avere parlato nel II capitolo dell'in-
fluenza che può avere 1' esposizione o il clima medico
sul fisico e sul morale dell'uomo dietro le osservazioni
fatte in Grecia , era ben naturale il bisogno di appli-
care queste osservazioni ai paesi più lontani, ed ai climi
considerati sotto l'aspetto geografico; e senza il capi-
tolo sulle acque , che non poteva essere separato dalla
teoria delle cause locali , e senza 1' altro sulle stagioni,
considerate quali cause delle malattie epidemiche, e che
doveva del pari tener dietro alle considerazioni sulle
malattie stesse, il capitolo V, doveva essere posto im-
mediatamente dopo il li. in questo egli riguardò l'espo-
sizione orientale, come la più temperata, la più analoga
alla primavera , la più salubre di tutte , e come quella
che dà agli abitanti un carattere dolce , ed uno spirito
più fino e delicato (§ 96 e 97). Nel quinto capitolo ap-
plica le proprie osservazioni all'Asia, e particolarmente
ai paesi posti in mezzo a questa parte del moudo ,
alla quale dà pure una temperatura di primavera. Ivi
parla della superiorità che que' luoghi hanno sull'Eu-
ropa riguardo alla bontà ed all' abbondanza de' pro-
dotti, non meno che alla bellezza, alla dolcezza, ed al-
l' intelletto degli abitanti ; non lascia però di farci no-
tare che una tale superiorità non va senza inconve-
nienti. La bella natura feconda e ridente per la mag-
gior parte dell' anno invita 1' uomo ai godimenti , ec-
cita e fomenta le loro passioni moltiplicando continua-
mente i loro piaceri, e termina per ammollirli al segno
di ridurli ad una pigrizia e pusillanimità tale che fug-
gono all' aspetto del lavoro e del pericolo. Essi son.
dunque meno bellicosi che gli Europei , e per conse-
guenza meglio esposti a divenire la preda del primo che
vorrà prendersi la pena di conquistarli. Questa osserva-
zione è verificata dalla storia che c'insegna come l'A-
sia sia stata soggiogata tredici volte , mentre in Europa
non conosconsi che quattro grandi rivoluzioni (a).
§ 104. Nell'egual modo che , considerando i climi,
Ippocrate osserva, che i luoghi esposti ad oriente, quan-
tunque ben più salubri che gli altri, hanno però, ri-
spetto alle malattie che vi sono più famigliari , qualche
analogia con le esposizioni meridionali (§ 96) , così in
questo capitolo , relativamente al carattere fisico e mo-
rale degli Asiatici, egli ha poste delle osservazioni ri-
guardanti quello de' popoli del mezzogiorno } sventura-
tamente però di tutto questo pezzo prezioso non rimane
(a) Montesquieu. Esprit de Loìx\ L, xvir , chap. 4«
7°
t¥he qualche frammento, ove dall'incoerenza con quanto
precede , ed ai nomi degli Egizj e de9 Libj che ri si
trovano, ben vedesi che il testo fu mutilato.
§ io5. Dopo avere fatto osservare che gli abitanti
di questa parte media e temperata dell' Asia si assomi-
gliano di figura e di statura, Tppocrate passa ai popoli
posti più al Nord di questa medesima parte del mondo,
e presso i quali riscontrasi una più grande varietà nelle
fìsonomie , e nelle figure \ egli attribuisce un tal feno-
meno ad altra cagione, cioè, all'incostanza ed al bru-
sco succedersi delle stagioni , incostanza che deriva
dall' ineguaglianza dei terreno , mentre non avvengono
tali bruschi cambiamenti nell' atmosfera dove piano è
il paese.
§ 106. Per darci un'idea degli Asiatici lontani perla
posizione loro dal centro dell' Asia, egli cita 1' esempio
di due popoli. Uno era conosciuto degli antichi sotto
il nome di Macrocefali) nome che loro veniva dato per
Puso non meno bizzarro che insensato di appianare la
testa de' bambini , e di dare a questa una forma bislun-
ga^ uso che ancora oggidì esiste presso qualche popolo
dell' Africa e delP America. Siccome ima tale pratica
continuata per molto tempo può indurre la natura a
modificarsi e dar lo stesso effetto anche molto tempo
dopo, da che l'usanza ha cessato, così egli attribuisce
un tal fenomeno alla natura stessa del liquor seminale,
il quale , secondo lui , non essendo che un estratto di
tutte le parti del corpo , niuna eccettuata , imprime al
feto tutte le forme e le dimensioni stesse di queste parti.
Simile opinione o sistema sulla generazione 5 rinnovata
a' giorni nostri da un celebre naturalista, è, checché se
ne dica , il sistema più verisimile di quanti siansene
71
immaginati su questa sorprendente operazione della
natura.
§ 107. L'altro popolo eh' egli cita sotto il nome di
abitanti del Fasi* ora è conosciuto sotto quello di Min-
grelj , ed abita quel paese dell' Asia che anticamente
chiamavasi la Colchide. Tutto quanto Ippocrate riferi-
sce circa il loro temperamento, la natura del clima, de'
frutti e de' prodotti del loro suolo, trovasi così confor-
me alle relazioni de' moderni viaggiatori più stimabili,
che si è forzati a credere, eh' egli abbia tracciata la to-
pografia della Colchide trovandosi sul luogo.
§ 108. Dopo avere così fatto un parallelo della parte
media dell' Asia con le parti più settentrionali, ritorna
sulla pusillanimità degli Asiatici (ciò che per altro in-
tender devesi in particolare degli Asiatici del centro)}
ma qui alla dolce temperatura del clima, che già riguardò
come la cagione di tale pusillanimità (§ io3), un'altra ne
aggiunge, qual è la natura del governo^ il dispoti-
smo (Vili) che pesa sul lor capo fa sì che poco interes-
sati negli affari della patria, invece d'impiegare il loro
coraggio a difendere e mantenere 1' autorità de' loro
capi , vedono con indifferenza e spesso con piacere
chiunque voglia a quelli disputare il supremo potere. E
se non trovansi liberati dal giogo che li opprime , bra-
mano almeno una vendetta momentanea. Quantunque
questa spiegazione sembri opposta a quella di Aristo-
tele (a) , il quale riguarda il dispotismo asiatico piut-
tosto come F effetto , che come la cagione della pusil-
lanimità degli abitanti dell' Asia , pure considerando
una tale questione dietro lo stretto legame che esiste
tra il morale ed il fisico dell' uomo (§ 18), si vedrà
(a) Della Repubblica. L. Ili, e. 14.
72
che quel medico e quel filosofo della Grecia non sono
veramente tra di loro in contraddizione. Il dispotismo
una volta stabilito per la pusillanimità di quelli che non
si sono opposti ai suoi primi tentativi , aumenta e per-
petua quel medesimo difetto : e sotto un tale punto
di vista egli ne diviene una vera cagione dopo esserne
stato la conseguenza.
§ 109. Ciò che prova , secondo Ippoerate , che un
governo dispotico abbatte e avvilisce gli animi, si è che
nell'Asia stessa, ad onta dell1 influenza del clima esiste-
vano dei popoli valorosi e guerrieri } tali erano tutti li
popoli non soggetti al dispotismo , ma governati dalle
loro proprie leggi. Da ciò si scorge ( non meno che da
quanto dice al § 121 in proposito degli abitanti di
paesi bassi e coperti di pascoli ) che Ippoerate cono-
sceva tutta la forza che hanno le cause morali, se non
per distruggere , almeno per potentemente modificare
l'influenza del clima. Si scorge ch'egli era convinto,
che tutti li popoli (a) sono più o me 10 suscettivi di
(a) Dietro il filosofo Ippoerate tutti li popoli sono più o meno
suscettivi di uscire dall' avvilimento in cui i loro falli gli hanno
immersi. Ma secondo il filosofo Pauw { Recherches philosophi-
ques sur les Grecs. Voi. I, p. io3) bisognerebbe eccettuarne li
Greci moderni. In essi, se creder si deve a lui, V ignoranza e
la superstizione hanno gettate radici sì tenaci e profonde, che
alcuna forza, ne alcuna potenza umana non saprebbe estir-
parle. Egli pretende di più che se li Greci moderni giungessero
all' indipendenza , il primo uso cti essi farebbero della libertà
politica, consisterebbe nel intraprendere una grande guerra di
religione, nella quale i pretesi ortodossi e li pretesi scisma-
tici si scannerebbero a vicenda sino alV ultimo per parole
eh? essi non sanno nemmen pronunciare come si deve. Ciò che
vi ha di più singolare in questa virulenta sbuffata del canonico
73
uscire dal loro stato eli avvilimento , col darsi una mi-
gliore educazione politica o ricevendola da qualche al-
tra nazione tanto umana da saper sposare la causa de-
gli oppressi contro gli oppressori, e tanto generosa da
voler rinunciare a que' miseri calcoli mercantili, per lo
più falsi, e che non possono anche realizzarsi che col
sangue di molti milioni di vittime.
Pauw» si è ch'egli confessa di essere così tratto a pensare die-
tro fatti offertigli da individui della nazione greca. Ora di due
cose 1' una ; o questi vili calunniatori ( se però e possibile che
Pauw abbia conosciuti de' Greci così snaturati ) erano persone
istrutte, e perciò esenti di ogni superstizione , ed in tal caso io
non vedo, perchè il resto della nazione non potrebbe essere ca-
pace d' istruzione quanto coloro che la hanno calunniata ; op-
pure eglino aggiungono alla più crassa ignoranza la perfidia degli
scelerati, ed in tal caso Pauw non doveva attingere le sue testi-
monianze a così infetta sorgente. Che persone le quali sentono
tenerezza per gli oppressori, cerchino a denigrare gli oppressi ,
niente vi ha di più naturale e di più frequente. Ma che Pauw il
quale non ha giammai pronunciato il nome de' padroni della
Grecia, che per consacrarlo all' indegnazione di tutte le anime
oneste e sensibili, abbia avuto il coraggio di offendere una na-
zione eh' egli non conosce , ed in un modo così scandaloso , in-
decente, e poco conforme alle regole della sana logica e della
filosofia, ch'ei vanta, è cosa difficile a concepirsi. Pauw è morto,
e non mi e permesso di fargli a nome della mia nazione tutti li
rimproveri eh' essa ha diritto di fargli. Col poco che ho voluto
dire, mio oggetto non fu quello d' insultare alla memoria di
Pauw, li cui scritti, quantunque pieni di paradossi e d' inesat-
tezze, alcune volte mi hanno però istruito, lo non ho voluto
che vendicare l' onore dell' oltreggiata mia nazione , io non ho
voluto che porre in guardia coloro che potrebbero lasciarsi in-
gannare dall' autorità di Pauw. Li Greci d' oggidì sentono in
modo il bisogno d' istruirsi , che non v' ha quasi università
d' Europa, in cui non sianvi studenti sjreci. Sdegnati per l' im-
7i
§ 110. Io ho dato al VI ed ultimo capitolo di que-
sto Trattato il titolo di Europa quantunque la maggior
parte di esso sia consacrata alla storia degli Sciti. Si
potrebbe accusare Ippocrate di disordine, per avere in-
serita la storia di un popolo asiatico in un capitolo,
che, secondo il di lui piano, deve esser dedicato a par-
punito brigandaggio e per gli assassinj , che continuamente com-
mettonsi nel seno della loro patria, non trovano altra speme di
riacquistare la libertà che neir istruzione, e questa vanno a cer-
care lungi dal suolo natio , tra popoli che devono la maggior
parte della loro gloria letteraria ai lumi de' Greci. Circa la su-
perstiz one che Pauw loro rimprovera 9 non v' ha che la mala
fede che possa far trovare li Greci più superstiosi di quello che
da non molto erano gli Europei, o che sono al presente alcuni
abitanti d' Europa. Non trovasi alcun Greco moderno che non
frema al solo rammentare li solenni massacri che gì* Europei
hanno commesso in epoche diverse in nome di un Dio di pietà
e di misericordia, e certamente non fu in Grecia ove pose sua
stanza un ufficio terribile. Senza dubbio li Greci ebbero, come
tutte le altre nazioni, de' momenti di follia e di delirio religioso ;
ma un tal tempo passò : cxcldat Ma dìes ! forma il grido della
maggior parte della nazione. L' Europa tutta non rammenta che
con errore la propria passata frenesia , la Grecia sola resterà in-
correggibile ! . . . Pauw ci rimprovera altresì di non saper pro-
nunciare la nostra lingua. Siccome tale singolare prevenzione non
è particolare a Pauw, il quale non aveva che una superScialis-
sima conoscenza del greco idioma (a), ma che è propria altresì
di qualche ellenista assai più istrutto di lui, sarà d' uopo che più
a lungo mi trattenga altrove su questo argomento. Al presente
mi limiterò a dire, che se gli scrittori del bel secolo della Gre-
cia ritornassero tra di noi, essi sentirebbero ancora il proprio
linguaggio in bocca de' loro infelici discendenti ; ma non lo rico-
noscerebbero più pel modo rozzo e barbaro con cui viene pro-
nunciato dalla maggior parte degli Europei.
(a) N« ho «lata una pro\a nul Magas. Enejclopèà , t. IV; p. ai.
?5
lar degli Europei eselusivamente. Pure con un po' d'at-
tenzione facile è il comprendere che dallo stesso suo
piano è stato condotto ad un tale apparente difetto.
Nel capitolo precedente egli parlò degli Asiatici dal
mezzo dell'Asia inclusivamente sino alla palude Meo-
tide, che, a suo parere, costituisce il confine dell'Asia e
dell' Europa. Giunto a questo punto , era naturale di
passare all' Europa per rendere del pari ragione del
fisico e del morale degli Europei , così diversi dagli
Asiatici. In questo passaggio, il primo popolo che in-
contrasi è quello degli Sciti europei ossia de' Sarmati ;
egli vi si ferma adunque per poco \ ma siccome questo
popolo non è che un ramo d' una nazione più nume-
rosa e più estesa, che occupa grandissimo spazio della
parte settentrionale ed orientale dell'Asia, egli trovasi
obbligato di ritornare a questa per non separare la sto-
ria di un popolo che V assomiglia per il modo di vivere,
per le istituzioni morali e politiche , ad onta della di-
versità de' climi. Così tutto questo lungo ragguaglio su
gli Sciti dell'Asia non bisogna considerarlo se non che
qual digressione del capitolo VI, dopo la quale ritorna
alle osservazioni riguardanti gli Europei, e che pongon
fine al presente trattalo.
§ in. Tale importante digressione ci fornisce molte
particolarità sulla natura del paese, sui costumi, e sul
modo di vivere di quella singolare nazione conosciuta
al presente sotto il nome di Tartari. Se ne trovano al-
cune che non trovansi in alcun altro antico scrittore e
né meno in Erodoto, il primo che abbia parlato con
minutezza degli Sciti. Le relazioni de' moderni viag-
giatori vanno d' accordo in gran parte coi fatti riferiti
da Ippocrate. Se di questi v' ha alcuno di cui più non
trovasi vestigio tra gli Sciti moderni, ossia tra li Tartari,
76
tale differenza dipende senza dubbio in parte dalla
poca cognizione che noi ancor abbiamo di questo po-
polo, e più ancora dalla di lui vita errante e guerriera,
per la quale le stesse popolazioni non hanno occupati
in tutti li secoli gli stessi luoghi, o perchè vennero di-
strutte da nazioni più potenti. Notasi specialmente in
questo racconto, in proposito della particolare malattia
degli Sciti antichi, quanto Ippocrate si trovasse supe-
riore ai pregiudizi del suo tempo , per li quali erano
tratti gli uomini ad accattare cause soprannaturali ,
onde spiegare li disordini fisici della nostra macchina.
§ 112. Dopo avere fatto il quadro fisico e morale
degli Sciti, ritorna alle osservazioni fisico-mediche che
spettano agli Europei, e che già aveva incominciate par-
lando de' Sarmati. Egli li pone in opposizione con gli
Asiatici circa il temperamento, ed il carattere morale
degli uni e degli altri. Spiega principalmente la varietà
di fisionomia, che in modo veramente singolare occorre
di riscontrare tra gli Europei \ il Medico greco attri-
buisce una tale varietà alle brusche vicissitudini dell' at-
mosfera, vicissitudini sconosciute nelle contrade medie e
temperate dell'Asia ( così dicasi delle regioni ghiacciali
vicine ai poli, e delle eccessivamente calde ), e le quali
fanno sì che la concrezione del liquor seminale nel for-
mare il feto eseguiscasi in molte diverse maniere, secondo
che il concepimento ha luogo in inverno e in tempo
piovoso, o in estate e in tempo secco. Una tale spie-
gazione è almeno più verisimile che quelle di Empe-
docle e di Bodin (XIV), e meglio s' avvicina alle altre
cognizioni fisiologiche che abbiamo sull' economia ani-
male.
§ il 3. Nella stessa guisa che Ippocrate attribuiva
il carattere dolce e timido degli Asiatici alla dolcezza
11
del loro clima, e poscia al dispotismo che li opprime \
così egli attribuisce 1' asprezza di carattere , e quel va-
lore guerriero, che distingue gli Europei, all' asprezza
del clima loro ed anche alla natura del governo che a
suoi tempi avevano. In proposito ripete quella massima
filosofica vera in tutti li secoli ed in tutti li paesi, che
te le leggi influiscono in particolar modo sul coraggio
y> degli uomini. ??
§ 114. Parlando dell'Asia egli aveva osservato che
non eravi che la sua parte di mezzo, che si distinguesse
per quella felice temperatura, e per quell'abbondanza
di prodotti del suolo che inspirava a' suoi abitanti la
dolcezza , la pigrizia e la pusillanimità. La stessa cosa
deve dirsi dell' Europa \ in generale meno favorita dalla
natura che l'Asia , essa racchiude però in sé qualche
luogo, che può gareggiare con quest'ultima circa la
dolce temperatura del clima 5 non meno che per l'ab-
bondanza e la bontà de' prodotti del suolo, e dove per
conseguenza gli abitanti sono dotati di un carattere che
ben s'allontana dal valore feroce del resto degli Eu-
ropei , ed è più analogo a quello degli Asiatici più
ammolliti. E siccome questa diversità trovasi in rela-
zione non solo colla temperatura dell' atmosfera, e col-
V uniforme succedersi delle stagioni, ma puranche colla
maggiore o minore elevazione, consistenza, uguaglian-
za, e umidità del terreno , colla specie de' fossili che
lo compongono , e con una vegetazione più o meno
ricca , egli prende occasione di esaminare tutte queste
qualità del suolo e gli effetti che ne risultano per il fisico
e per il morale degli uomini.
§ 11 5. Dopo avere osservato un contrasto non meno
vero che doloroso per 1' umanità , tra 1' intelligenza e
la pusillanimità degli abitanti de' climi dolci, con 1' a-
78
nimo ruvido , ed il feroce coraggio di quelli, che pro-
vano tutta P inclemenza dell' aria , era naturale il ri-
cercare se non vi fossero de' climi di mezzo tra que'
due estremi, e il cui potere influisse in modo sull'uomo,
che riunendo le qualità fisiche e morali opposte , esser
potesse intelligente e coraggioso a uu tempo, e proprio
tanto a coltivare le scienze e le arti , quanto ad eser-
citare il mestiero delle armi. Aristotele (a) risguardava
la Grecia, e Platone (b) specialmente l'Attica, come uno
di que' felici paesi, ne' quali 1' uomo riuniva la forza del
corpo ed il coraggio, che altro in fine non è che il sen-
timento di questa forza f a quella finezza d'intelletto,
che inventa e perfeziona le scienze e le arti. Dietro la
descrizione che Ippocrate ci dà (V. 1' ultimo § del
presente Trattato) di questo clima medio , d'uopo è
presupporre che parlare volesse di questa medesima
Attica, quantunque non la nomini. Posta sotto un bel
cielo , essa presenta un suolo scabro , ineguale e poco
fertile, e così la sua latitudine, combinata colle altre cir-
costanze locali , ha potuto rendere gli Ateniesi atti a
maneggiare la penna e la spada con quella superiorità
che ancora ci fa meravigliare.
(a) Politic. , lib. VII, e. 7.
(b) Nel Timeo.
79
NOTIZIE SUI MANOSCRITTI E SULLE EDIZIONI SI
GRECHE CHE LATINE, CHE HANNO PRECEDUTA
LA PRESENTE.
§ li 6. Sembra che la potenza del tempo non ab-
bia rispettata la parte, che ci rimane di questo trattato
fìiosoGco del più gran medico dell' antichità , se noti
che per farci sentire il dispiacere del restante. Senza
parlare di irreparabili lacune, che con ragione vi si so-
spettano, l'ignoranza de' copisti ne aveva trasportata
quasi la metà in un altro trattato dello stesso autore
dedicato alle ferite del capo , e che non ha alcun rap-
porto con il nostro. Alcune linee prima del fine di que-
sto trattato del! e ferite del capo trovatisi ne' manoscritti
due pezzi considerevoli di quello delle arie, delle acque
e de' luoghi} Puno di essi si estende dal nostro § 55
sino alle parole un tal brusco cambiamento deve pro-
durre le sunnominate malattie del § LXIIl } l'altro, che
da vicino lo segue, racchiude quanto ha servito a com-
porre il nostro § 63 , la fine del § 70 , queste ma-
lattie saranno brevi . . . in una piovosa , e poscia tutto
il testo dal nostro § io sino alla metà del § 55.
Egli è su manoscritti così sconvolti, che furono fatte
le prime greche edizioni di tutte le opere di Ippocrate,
cioè, quella degli Aldi (i526) e quella del Corna ri us (l)
altrimenti indicata sotto il nome di edizione di Basi-
lea o di Froben (1 538) , e così pure le prime versioni
latine.
§ 117. Simile disordine e trasposizione esisteva già
dal tempo di Galeno, che forse fu il primo ad àccor-
8o
gei-sene (a). Per mala sorte però egli ne parla in un
modo così vago, che trarre non se ne può alcun lume.
E però vero che nel suo commentario sul trattato delle
arie, delle acque e de"* luoghi li brani che ho accennati
( § 1 16) si trovano riportati nel luogo medesimo, che
occupano al presente nelF edizione del Foes , ed in
quelle che vennero dopo ; ma un tal commentario non
essendo che una versione latina di un originale greco
che più non esiste, è ben a ragione ritenuta come sup-
posto.
§ 118. Il manoscritto di Agostino Gadaldino di cui
in seguito avrò occasione di parlare, conteneva il trat-
tato tutto intiero con li frammenti, che erano stati tras-
portati in quello delle ferite del capo, ma in un ordine
che pur differisce da quello in cui noi li troviamo og-
gidì nelle edizioni greco-latine. Dei due manoscritti
che io ho consultati nella Biblioteca nazionale di Pa-
rigi, uno assomiglia, quanto all'ordine, o per dir me-
glio al disordine , alli manoscritti , de' quali eransi ser-
viti gli Aldi, Froben e Calvo (§ 116)} ed i! copista
dell'altro, in vece di trasportare li due frammenti cff
cui parlasi nel trattato delle ferite del capo , ne fa un'
opera separata sotto un nuovo titolo , posta dopo cin-
que altri trattati che tengon dietro a quello delle arie,
delle acque e de'' luoghi, e 1' ultimo de' quali è il sud»
detto delle ferite del capo.
§ 119. Cornarius sembra essere stato il primo, che
abbia ristabilito nel nostro trattato li due brani nel
nome in cui trovansi oggidì nella sua versione di tutte
le opere d' Ippocrate pubblicata a Basilea nel i546,
non che nel testo greco di Zvinger, di Foes, e di tutti
(a) Commetti, in ìiber. de rat, vict. in morbis acutis.
Si
ì seguenti editori. Quanto alla prima edizione del solo
testo greco del presente trattato pubblicato dal Corna-
rius nel i5ag, e ristampato a Parigi nel i5/J2, egli pone
in seguito a tal testo ( quale si trova nella sua edizione
greca di tutte le opere d' Ippocrate stampata a Basilea
nel 1 538, ed in quella degli Aldi ) la versione de' due
pezzi rimossi, facendo avvertire, che tratti li aveva da
un'antica versione latina di tutto l'intiero trattato, ver-
sione di cui non nomina 1' autore, né fissa 1' epoca. Si
accontenta soltanto d'indicare il posto ch'essi occupa-
vano in quella traduzione , e che occupare dovrebbero
nel suo testo greco. Pure questa antica versione non è
che una parafrasi estremamente diffusa ed inesattissima }
e le più volte i citati squarci vi sono talmente confusi, e
le loro diverse parti, paragonate con il trattato di Ippo-
crate, vi sono disposte in un modo così bizzarro ed in-
coerente, che Cornarius non osando seguirla nella ver-
sione del i546, si accontentò di adottare l'ordine, che
noi troviamo in quest'ultima, e che tutti gli editori e li
traduttori hanno adottato dopo di lui, eccettuato Anto-
tonio Pasieno , autore di una nuova disposizione di
questo trattato, e che non ha guari faremo conoscere.
§ 120. Ad onta delle speciose ragioni che Pasieno
ci dà per giustificare una tale disposizione e che mi fe-
cero esitare qualche po' sul partito , che mi restava
a prendere , io ho seguito per il mio testo V ordine
della versione del Cornarius del i546, onde così uni-
formarmi a tutti gli editori che lo seguirono, e non mi
sono permesso alcuni leggieri cambiamenti , senonche
nella mia traduzione francese , e ciò in modo di la-
sciare al lettore la libertà di seguir V ordine , che sem-
brasse il più conforme al piano di Ippocrate. Quanto
SulP aria , ecc. Trattalo. 6
alle fonti, alle quali ho attinti tutti i soccorsi , che mi
erano necessari per la versione e 1' edizione del mio te-
sto, vengo ad indicarle cominciando dai manoscritti.
§ iai. Non esistono in Francia, come ho già detto
(§ 1 1 8 ), se non che due manoscritti nella Biblioteca
nazionale, i quali contengano questo trattato d' Ippo-
crate. I! primo (n.°2i46) è scritto su carta bambacina,
e sembra essere del secolo XVI. Contiene tra gli altri
scritti d1 Ippocrate il trattato che ora si pubblica, quale
si trova nelle prime edizioni greche e nella versione di
Calvo; cioè, una parte sotto il suo vero nome delle
arie , delle acque e de^ luoghi; e 1' altra parte unita al
trattato delle ferite del capo, vale a dire affatto fuori di
luogo,
§ 122. Il secondo manoscritto ( n.° 2555) del pari
in carta bambacina è del secolo XV ad eccezione della
fine, ove trovasi il nostro trattato, e che sembra essere
di una mano e di un secolo posteriore. Esso contiene,
come il primo, una parte di questo trattato sotto il ti-
tolo delle arie , delle acque e de'' luoghi; V altra parte ,
separata dalla prima, come ho di già fatto notare (5 i i8),
porta il seguente nuovo titolo ; del modo di prevedere
e predire le costituzioni annuali , opera composta da
Ippocrate , o , secondo altri , da qualcK1 altro antico
scrittore. Ecco i soli manoscritti che io ho potuto con-
sultare ( XVI ).
§ 123. Prima di passare agli stampati farò osservare
a proposito del titolo del nostro trattato, che, quan-
tunque non lo si trovi citato dagli Antichi in una maniera
uniforme, tale diversità però s'aggira in gran parte
sulla diversa disposizione delle tre parole che lo com-
pongono, ed a torto si tenne per variante ciò, che ve-
rosimilmente non fu se non un difetto di memoria di
83
quelli che lo citarono. Galeno per esempio lo cita ora
sotto il titolo delle acque, de" luoghi , e delle arie (a),
ora sotto quello delle arie, de'' luoghi e delle acque (£),
ora sotto l'altro delle arie, delle acque e de'' luoghi (e), e
finalmente qualche volta sotto quello delle acque, del-
le arie, de1 luoghi (d). Lo si trova pur anche citato dallo
stesso greco commentatore sotto il titolo de' luoghi, arie
ed acque (e). Tutte queste lezioni, ripeto, non sono che
variauti dovute alla memoria.
(a) Commenti in Aphorism. Ili, 8, n, 12, i4«
(ò) Ibid III. ii, i3. Vedi altresì il suo glossario al vocabolo
1,lpi<preci. Sotto lo stesso titolo lo citano Palladio nel suo Com-
mentario sul libro delle Fratture, p. 918, edizione del Foès e lo
Scoliaste d'Aristofane, Nub. 33 1. Suida, il quale secondo la sua
usanza riferisce lo stesso scolio (alla parola lirpés), ci dà altresì
il titolo generico delle arie , degli uccelli e delle acquei come
appartenente alle opere che trattano della meteorologia. L'esem-
plare di questo lessicografo ( edit. di Basilea ) , che io ho sotto
gli occhi già appartenente a Guyet , porta in margine tosta»»,
scritto dalla mano stessa di Guyet, come correzione della parola
epvfSav da questo dotto proposta. Mi pare chiaro che bisogna piut-
tosto leggere : *AvHFi2N; lezione che facilmente può giustificarsi
col titolo stesso de' luoghi e delle arie eh' Eroziano dà al nostro
trattato , come si vedrà. E forse bisognerebbe anche nel titolo
mpi OVSIN tect) TOT&/V kcc\ 7tv)>s x.xì Xi&av di un' opera
scritta da un certo Socrate citato da Ateneo ( lib. IX ) sostituire
la parola 'a'HPìTN alla parola OPNI0£2Nj quando non si creda
meglio leggere uccelli, poiché di fatti in questo libro si parla di
uccelli.
(e) Comm. Ms. in libr.de Humoribus, p. 1 85 e passim,
(d) Ibid., p. ^5a, e nel suo trattato a Transibolo. Ma nel suo
trattato quod animi mores, ecc., t. I, p. 348 , si trova il titolo
delle acque, delle arie e zocì ilOT^N ove si vede necessario
il cambiare quesl' ultimo vocabolo ncll' altro TO'nQN*
(e) Conunent. Ms. in. libr. de Humoribus, p. 256.
84
§ 124. Ciò non sembra valere per titoli che rac-
chiudono vocaboli differenti o in maggior numero ', così
per esempio, delle acque e della temperatura delle sta-
gioni (a), delle arie, delle acque, de' luoghi , de"1 paesi e
delle abitazioni (b) $ delle acque, delle arie^ delle abita-
zioni, de* luoghi e de"* paesi (e) , e delle abitazioni^ delle
acque, delle stagioni e de'' paesi (d). Pure se si riflette
sulla maniera con cui si esprime qui Galeno , non si
tarda ad accorgersi , che tutti questi titoli prolungati
non sono, che parafrasi del titolo conciso d' Ippocrate.
Poiché egli dice positivamente che il titolo di abita-
zioni, di acque, di stagioni^ e di paesi converrebbe me-
glio all' opera che Ippocrate aveva intitolata de' luoghi^
delle arie, delle acque (e). Lo stesso deve dirsi del titolo
che aveva il manoscritto di Gadaldino cioè delle arie, de"*
luoghi^ delle acque, de"* tempi, de"1 venti e degli astri ( f),
come di quello che Foes (g) e Gruner (h) citano sulla
fede de' manoscritti} delle stagioni , delle arie, delle
acque e de"1 luoghi.
§ 125. Se alcuni hanno creduto dover dare forme
più. o meno lunghe al titolo, che dovrebbe essere sem-
plice, quanto lo sono comunemente tutte le produzioni
d' Ippocrate, altri invece hanno cercato di abbreviarlo.
Eroziauo (*) cita questo strattato sotto il titolo seguente
(a) Galen. quod, animi mores etc. T. I, p. 349.
(b) Idem. Comm. Ms. in Ubr. de HumoribitS) p. 23 1.
(e) Idem., ibid., p. ^3.
(d) Idem, t. IV, p. 366.
(<?) Galen. ibid.
(/) V. il § i33, più avanti.
(g) In notis.
(h) Censura librorum Hippocratis, p. 49«
(i) V. il suo Glossano nella prefazione ed alla parola OpiXi*.
85
delle stagioni e de'' luoghi. Ateneo (a) lo intitola sem-
plicemente de'' luoghi. Circa quelle parole : x*ae7 ro
%pti<rVov v8#{> ITOAY'TIMON, che quest' ultimo autore cita
qualche linea più in allo, come un passo tratto dal li-
bro cP Ippocrate, che chiama delle acque, il Casaubono
ha benissimo veduto che bisognava leggere ITOTIMONj
ma egli si è ingannato quando credette che Ateneo
avesse citato un libro ove questo passo non esisteva.
Io sono in vece persuaso che con quel titolo Ateneo ha
voluto indicare non già il trattato delle arie, delle acque
de1 luoghi( che si sarebbe potuto così indicare per ab-
breviazione), ma bensì un' altr' opera di Ippocrate og-
gidì conosciuta sotto il titolo, delV uso de liquidi (h) .
§ 126 Ho di già osservato (§ 117) che il commen-
tario a Galeno, e di cui oggidì non esiste che la ver-
sione latina, sembra essere supposto; quantunque da
noi si sappia per propria confessione di quel medico ,
eh' egli aveva veramente commentato questo trattato.
La stessa versione, che si attribuisce a Mosè Alatino me-
dico ebreo, non è stata fatta che su di un' altra ebraica.
(a) Lib. 2, p. 46.
(b) In essa si parla molto dell' uso medico dell' acqua dolce
e della salata : e forse è per questo motivo, che gli antichi le da-
vano altresì il titolo, delle acque. Ciò, che mi conferma in que-
st* opinione si è che Eroziano nel catalogo degli scritti d' Ippo-
crate, eh' egli ha inserito nella prefazione del suo Glossario , dà
il titolo, delle acque ad uno degli scritti, che non può essere se
non quello delV uso de liquidi, poiché questo non ricomparisce
più sotto alcun tìtolo, mentre 1' altro delle arie , delle acque e
de' luoghi si trova sotto quello, de' luoghi e delle stagioni. Non
mi sono trattenuto su questo punto , forse in se stesso di poca
importanza, se non che per soddisfare la curiosità degli eruditi ,
che talora bramano queste specie di particolarità.
86
La si trova nelle opere di Galeno pubblicata dai Giunta
nel 1625, ed in quelle d' Ippocrate e di Galeno, che
Chartier fece stampare insieme nel i63o, (XVII).
§ 127. Dopo Galeno noi possiamo mettere Avicenna
medico arabo del secolo X. Nel suo Canon (lib. I,
Sect. II, doctr. II. Gap. VII e XI ) egli trattò assoluta-
mente li medesimi soggetti che trovansi nel trattato
d' Ippocrate delle arie , delle acque e de' luoghi, in
maniera però che ora copia parola per parola il medico
greco, ora Io parafrasa, ora lo commenta, ed altre volte,
quantunque di rado, Io contraddice senza mai nominarlo*
Abbenchè Avicenna ci dia tutto ciò come un prodotto
del proprio intelletto , il plagio è troppo grossolano ,
perchè si possa restare ingannati. Si sa d' altronde che
questo medico, come la maggior parte de' medici arabi,
non è che un compilatore, e non vi voleva che P igno-
ranza propria del secolo XVI per attribuirgli un me-
rito maraviglioso. Checche ne sia, un tale trattato o pa-
rafrasi d'Avicenna risulta prezioso in quanto , che in
più luoghi sparge qualche lume sul libro d' Ippocrate.
§ 128. La prima edizione greca di tutte le opere
d' Ippocrate è quella degli Aldi pubblicata nel i526.
Abbiamo già detto (§ 116) che il trattato delle arie ,
delle acque e de1 luoghi trovavasi in quest' edizione se-
parato in due parti, una delle quali vi aveva il suo vero
titolo, P altra stava alla fine del trattato delle ferite del
capo* non diversamente che nel primo manoscritto da
me citato (§ 121 ).
§ 129. Tien dietro la prima versione latina di tutte
le opere d' Ippocrate che su varj manoscritti fu fatta da
Marco Fabio Calvo medico di Ravenna e pubblicata
nel i526. ( XVIII ). Il nostro trattato vi si trova spez-
zato e posto in egual foggia come nella edizione degli
87
Aldi (§ 128). Del resto questa versione, quantunque
scritta in uno stile estremamente barbaro ed insopporta-
bile a leggersi, è per altro preziosa per la fedeltà e
P esaltezza superstiziosa, che il traduttore spinge talora
al segno di esprimere letteralmente diverse varianti tro-
vate negli adoprali manoscritti. Sotto quest'aspetto Io
raccomando a tutti coloro che in avvenire vorranno
darci delle edizioni d' Ippocrate o rimediare a passi al-
terati 5 ed io posso assicurare che essa mi ha più di una
volta ajutato a togliermi d' imbroglio in mezzo a molti
passi oscuri del nostro autore.
§ i3o. Cornarius pubblicò nel i520, in un volume
in 4*° (ristampato poi nel 1542) il testo greco del no-
stro trattato con quello de' flati aggiungendovi la ver-
sione latina e qualche piccola nota. Siccome il trat-
tato delle ferite del capo non si trova in questa edi-
zione, egli era naturale che la seconda parte di quello
delle arie , delle acque e de' luoghi vi maucasse pur an-
che. Però in principio delle sue note avverte di tal man-
canza, ed indica presso a poco i luoghi del trattato ove
esistono simili lacune , così che sembra quasi voler far
conoscere P ordine che seguire abbisognerebbe per riem-
pirle} ed è quest' ordine che egli ha seguito nella sua
edizione latina, di cui fra poco parlerò , e che è quasi
la stessa che si trova nel commentario di Galeno pub-
blicato da Mosè Alatino. Cornarius aggiunge iti olire
la versione o piuttosto la parafrasi latina di tutto ciò,
che riempire dovrebbe queste lacune \ ma una tale para-
frasi, come ho già fatto notare ( § 119 ), è così confusa, e
conliene d' altronde tante altre cose non esistenti nel
trattato d1 Ippocrate, che veramente non si sa cosa cre-
dere. E degno però di osservazione di' essa si accorda
in alcuni luoghi coti la parafrasi di Avicenna (§ 127).
88
§ 1 3 1 . Nel 1 538 Cornarius pubblicò il solo testo
greco di tutte le opere d' Ippocrate. In questa edizione
che qui sopra ( § 1 1 6 ) ho indicata sotto il nome di
edizione di Froben, egli ha lasciato sussistere, rispetto
al trattato delle arie, delle acque e de' luoghi, lo stesso
disordine che trovasi in quello degli Aldi e nella ver-
sione del Calvo. Non fu che nella sua traduzione latina
di tutte le opere d' Ippocrate pubblicata nel i546, che
Cornarius ristabilì il trattato delle arie , delle acque e
de' luoghi dietro V ordine che egli aveva tracciato in
quella del i520, (§ i3o), e che rinviensi , eccetto qual-
che piccola variazione , nel commentario attribuito a
Galeno, ordine che fu poi tenuto da tutti gli editori e
commentatori posteriori a Cornarius.
§ i32. Il primo commentatore che presentasi dopo
Galeno (§ 126 ) è Adriano V Alemant medico di Parigi.
Egli (XIX) pubblicò nel i55^, in 8.° il testo greco di
questo trattato unito alla versione latina e con un com-
mentario assai buono per il tempo in cui fu scritto*
Ciò che vi si nota di più interessante si è la combina-
zione eh1 egli fa di un gran numero di passi d'Aristotele,
ogni qualvolta che questi trovasi aver trattato lo stesso
soggetto d' Ippocrate. Una tale erudizione serve a spar-
gere qualche luce sul trattato del medico di Coo, quan-
tunque PÀlemant non abbia saputo trarne tutto quel
partito , che si sarebbe potuto pretendere da un com-
mentatore.
§ 1 33. Agostino Gadaldino corresse la versione di
questo trattato fatta dal Cornarius appoggiandosi ad un
eccellente manoscritto, che Foès cita alcune fiate nelle
sue note sotto il nome di manoscritto di Gadaldino.
Simile traduzione, così corretta e munita delle varianti
del manoscritto poste in margine, è inserita nel secondo
«9
tomo ( p. i. seg. ) della quarta edizione delle opere di
Galeno pubblicata a Venezia dai Giunta nel 1 565.
§ 1 34- Cardano pubblicò nel i5^o la sola tradu-
zione latina, alla quale aggiunse un lunghissimo com-
mentario a modo suo \ cioè immischiando molte cose
utili con molte puerilità e stravaganti idee } difetti pro-
prj a tutti gli scritti di questo medico , ed i quali non
permettono che si legga , se non si possiede una pa-
zienza a tutta prova. Percorrendo questo commentario
quanto più rapidamente ho potuto j mi sono convinto
della finezza di giudizio che Boerhaave aveva dato di
quell1 uomo straordinario } Sapientior nemo, ubi sapit;
dementior nemo^ ubi errai (a). Quanto alla parte cri-
tica di un tal commentario, essa riducesi a poca cosa;
(a) Per dare un saggio della maniera di ragionare di Cardano
io prenderò a sorte un passo del suo commentario. Spiegando la
parte del trattato ippocratico ove si parla delle città rivolte ad
occidente, egli promove la seguente questione ; /' aria libera
comunque cattiva essa sia, non sarà forse ancor meno nociva
che Varia stagnante? Egli comincia dal seco felicitarsi dell'es-
ser stato il primo, che abbia agitata e sciolta questa bella que-
stione {quaestio valde pulchra). La soluzione che ne dà poi, si
è che è meglio respirare un'aria stagnante che un'aria libera,
ma carica di miasmi, e ciò per quattro motivi ; il primo si è che
i re, e i principi che chiudonsi ne' loro palazzi in tempo di
peste, si garantiscono da questo flagello , mentre che il popolo
che trascura una tale precauzione ne rimane vittima. Cioè tanto
vero, prosegue, che non vi sono che otto teste coronate tutto
al più che sieno morte di peste; ed accuratamente fa conoscere
tali teste coronate ; tale è la prima ragione che ci dà per scio-
gliere questa bella questione ; circa le altre tre io non ho ba-
stante tempo e d' altronde rispetto troppo l' uso che il lettore
deve fare dal proprio per perdermi a sciorinarle in questo
luogo.
9°
combatlesi qualche errore di l'Alemant riguardo al
senso, che questi dà a certi passi d1 Ippocrate , e s' at-
tiene quasi affatto alla traduzione del Cornarius. Tale
commentario è stato ristampato nella edizione di tutte
le opere di Cardano pubblicata a Lione nel 1 663 in
otto grossi volumi in foglio ; edizione trascurata , e che
formicola di errori.
§ 1 35. Quattro anni dopo il commentario di Car-
dano, cioè nel i5jb comparve una traduzione latina
liberissima fatta da Antonio Pasieno. È il solo degli edi-
tori posteriori a Cornarius, che , abbandonando intera-
mente P ordine che questi aveva stabilito, abbia dispo-
sto il trattato d' ippocrate in un modo assolutamente
nuovo, e che merita di esser paratamente esaminato.
Immediatamente dopo l' introduzione , ossia dopo
il nostro primo capitolo ( § i — 8 ) egli pone tutto
il IV capitolo intitolato delle stagioni ( § 58 — 70) ec-
cettuate le ultime linee del § 59 queste malattie .....
s'1 egli è piovoso , ch'egli aggiunge alla fine del § 63.
Tien dietro tutto il nostro secondo capitolo intitolato
de climi (§ 9 — 26) eccettuatele prime linee del § io
in una città così ...... in ulceri Jagedeniche , che ag-
giunge del pari alla fine del § 63 , dopo le parole
già indicate queste malattie < . . s^ egli è piovoso. Di là
passa al nostro terzo capitolo intitolato delle acque
(§22 — 5^), al quale aggiunge, senza alcuna ulte-
riore variazione d' ordine , il nostro quinto capitolo
detto delVAsia (§ 71 — 88) , non che il sesto intito-
lato delVEuj'Opa sino al fine del trattato ( § 89 —
127). Una tale distribuzione fatta da Pasieno ad onta
delle ragioni speciosissime che reca a proprio sostegno,
non fu seguitata da alcuno.
91
§ i 36. Haller (a) pone tra li traduttori del presente
trattato l' autore di una versione italiana inserita in
una collezione di viaggi pubblicati nel i5^4 sotto il ti-
tolo tli Piaggi di Ramusio. Questa versione però non
è che del solo brano che riguarda gli Scili, e forma circa
la quinta parte del trattato (XX) (XXI).
§ l3^. Teodoro Zuinger pubblicò nel 1 5^9 venti-
due trattati d' Ippocrate con la traduzione latina del
Cornarius , che corresse in un' infinità di luoghi. Egli
accompagnò tali trattati con tavole analitiche fatte con
una cura ed esattezza incredibili, e che servono nel tempo
stesso di commentario. Nel numero di esse vi sono pur
quelle delle arie^ delle acque e de^ luoghi.
§ i38. La traduzione latina associata ad un com-
mentario, e pubblicata nel i586 da Baccio Baldini, è
degna d'osservazione per alcune varianti che questo
medico aveva ricevute da un amico *, varianti che per
la maggior parte sono quelle di Gadaldino (§ ii8e 1 33),
e che sottopone ad esame con molto criterio.
§ 139. Nel i588 comparve l'edizione di tutte le
opere d' Ippocrate per cura del celebre Mercuriale :
senza voler pronunciare sul merito di questa edizione ,
io farò notare, soltanto in rapporto al nostro trattato,
che T editore si era immaginato che il disordiue, di cui
più volte abbiamo parlato , non si limitava solamente]
alla parte che mal a proposito fu trasportala nel trat-
tato delle ferite del capo , ma che si era commesso il
medesimo errore rispetto ad un altro passo considere-
vole inserito secondo lui nel libro intitolato de natura
pueri. In conseguenza di quest' opinione Mercuriale ha
trasportata una parte di quest'ultimo trattato in quello
(a) Biblioth. Mei. Pract., t. I, p. 60.
92
delle arie , delle acque e de luoghi ponendola tra due
punti, cut quello però non sembra avere che debolissima
relazione. D' altronde La aggiunto in margine alcune
varianti, ed in fine alcune piccole note, come fece per
tutte le opere d' Ippocrate.
§ i4o. Settala pubblicò nel 1590 un' edizione greca
e latina del nostro trattato con un ampio commentario,
ove, ponendo a profitto proprio i lumi e gli errori de'
suoi predecessori, si assicurò la riputazione di sapien-
tissimo medico.
§ \l\\. L'edizione di tutte le opere di Ippocrate
per cura del Foes, pubblicata per la prima volta nel i5o,5,
è troppo conosciuta, perchè faccia d' uopo che io mi
trattenga a lungo su di essa.
Io dovrei porre avanti Foes due altri commenta-
tori di questo trattato, cioè, Gerolamo Gardino, e Laz-
zaro Soto, che Foes stesso nomina tra li commenta-
tori d' Ippocrate : ma niente ho potuto trovare circa
il Gardino, e quanto al Solo , non esistono nella bi-
blioteca francese che dei commentarj su diversi trattati
d' Ippocrate , tra quali il nostro non si trova ( XXII ).
§ \l\i. Abbiamo altresì una parafrasi latina di que-
sto medesimo trattato pubblicata nel 1596 da Camillo
Flavio. Haller (a) pone ancora tra li commentatori Gio-
vanni Costeo } ma tutto ciò che egli ha fatto su questo
trattato si riduce ad una sola correzione infelice di un
passo che non aveva inteso. Essa trovasi in un libro po-
chissimo voluminoso intitolato : Joannis Costaei lau-
densis , Miscellanearum dissertationum Decas prima e
pubblicata a Padova nel i558, ed a Bologna nel 1598.
Ne parleremo a suo luogo.
(a) Op. cit.
93
§ i43. Si sa che Prospero Marziano pubblicò nel
1626 delle note a tutte le opere d' Ippocrate. In que-
ste non si occupa che de' luoghi che gli sembrano pre-
sentare qualche difficoltà. Se ne trova per conseguenza
alcuna che risguarda il nostro trattato.
§ i44- La dotta dissertazione di Baldo Baldi pub-
blicata nel 1637 s'aggira tutta su di un sol passo di
questo trattato, e non ha per oggetto che di determi-
nare quafè la vera delle due lezioni diverse, che pre-
senta il testo. Se ne farà iti seguito menzione.
§ i45. Chartier pubblicò nel i63o, la sua costosis-
sima, e quasi inutile edizione delle opere riunite d' Ip-
pocrate e di Galeno. Il trattato in discorso vi si trova
associato ad un commento latino attribuito a Gale-
no (§ 126).
§ 146. L'edizione greca e latina pubblicata nel 1646
in 4-° da Giovanni Martini, medico di Parigi, non con-
tiene che questo trattato accompagnato da un com-
mentario eruditissimo, quantunque uno de' più brevi.
§ 147. Un altro medico di Parigi chiamato Giovanni
Damasceno pose in luce la prima edizione francese di
questo trattato nel 1662 in 4-°- Siccome non fu fatta
che sulla versione latina di Cornarius, essa non merita
attenzione alcuna , quando non fosse per una lettera
dedicatoria a Luigi XIV, pezzo estremamente curioso
tanto per Io stile vaneggiato di francese e di latino;
quanto per il modo rozzo , non meno che originale ,
con cui Damasceno si scaglia contro i proprj col-
leghi (a). Se giudicare si deve dallo spirito di questa
(a) Ecco un piccolo saggio di questa singolare produzione ;
« Questi dottori di nome non sanno che delle imprecazioni, non
conoscono che la malattia della borsa , e non esercitano altra
94
lettera, V autore deve avere avuta qualche parte nei
torbidi, che allora agitavano la Francia. Pare altresì
che il buon uomo fosse infatuato delle chimere del-
l' astrologia, e che non abbia tradotto questo trattato
se non per avere creduto travedervi le idee da lui acca-
rezzate.
§ i48. L' edizione greca e latina di tutte le opere
d' Ippocrate di Van der Linden comparve in due vo-
lumi in 8.° nel i665. Si rimprovera comunemente a
questo autore di averne alterato il testo. Egli è vero
eh' esso è sovente diverso da quello degli altri editori }
ma Van der Linden morì prima di aver compita la sua
edizione, pubblicata in seguito dal proprio figlio, e se
ne avesse avuto il tempo avrebbe aggiunte delle note
che verosimilmente ci avrebbero fatto conoscere li mo-
tivi delle variazioni che vi s' incontrano, e che la sana
scienza che quella degli uccelli di rapina.... ma la disgrazia
dell' indegnazione di Dio, che si è servito dell'organo mio per
fermare la loro tirannia, è caduta su di essi, e riavendosi dal
loro errore risponderanno a Dio come Giob : Scio quod omnia
potes , et nulla te lalet cogitatio, cesio consilium sine scienlia,
ideo insipienter locutus sum ; io sono un ignorante , io chiedo
perdono. Se io ho parlato male egli è , perchè la cognizione
delle stelle e di tutti i cieli , il moto , e la luce loro sorpassa
affatto la mia capacità. Signore io mi disdico, e faccio penitenza
sulle ceneri calde . . . ab operibus eorum cognoscetis eos , me-
dicus qui sanat. Essi non hanno altro che il salasso per prodi-
galità, i clisteri per divertimento, e il vino emetizzato per di-
spiacere eec. » . In mezzo a questa bella lettera tesse un lungo
catalogo di tutti li grandi personaggi che si occuparono d'astro-
logia, cominciando dai Papi tengon dietro Imperatori, Re, Santi,
cardinali, e monaci d'ogni ordine, giureconsulti ecc. Indi ri-
prende il filo della sua lettera e continua sino al fine collo stesso
tuouo e stile.
95
critica è spesso obbligata di confermare. Si altera un
testo quando vi si inseriscono lezioni cattive e che mai
non esistettero in alcun manoscritto 3 ma ogni qual
volta una lezione, qualunque siane il suo merito, è co-
perta dall' autorità di un manoscritto, fosse questa una
sola contro cento, che ne presentassero una diversa , a
torto sarà tacciato I' editore d' infedeltà ; non si potrà
tutt' al più che riguardarlo per un cattivo critico.
§ 149. Claudio Tardy medico di Parigi pubblicò
nel 1667 in due volumi in 4-° una parafrasi francese
di diversi scritti d'ippocrate, tra' quali trovasi altresì i!
presente trattato. Per la ragione istessa che Haller ha
contata tra le traduzioni quella italiana nel brano spet-
tante agli Sciti inserito nei viaggi del Ramusio (§ i36),
noi possiamo ricordare qui Nicola Witsen borgomastro
d?Amsterdam. Egli , ad imitazione di quegli ha intro-
dotta la versione dello stesso pezzo nella descrizione
della Tartaria pubblicata in Olandese nel 1692 sotto il
titolo di Noord en Oost Tartarye , ofte bondìgh ora-
werp van cenige dierlanden en volke.r zo ah voormaels
bekent zyn geweest^ ecc. Quest' opera non è che una
compilazione , ove Witsen ha riunito (in un volume in
foglio di ^5o pag.) con una rara erudizione tutto quanto
fu detto sui Tartari da tutti gli storici e viaggiatori si
antichi che moderni , cioè , sin all' epoca in cui egli
scriveva.
§ i5o Una terza versione francese di questo trat-
tato fu pubblicata nel 1697 da Dacier. La si trova nella
collezione de' diversi trattati d' Ippocrate che questo
dotto ha tradotti e pubblicati in due piccoli volumi
in 8.°. Dacier non era medico pure, bisogna dirlo a
suo onore, simile ardita intrapresa di tradurre Ippo-
crate non è stata, fatte piccole eccezioni , così mal ese-
96
guita come si sarebbe potuto immaginare. Quantunque
egli segua comunemente Gornarius e Zvinger, Dacier
sapeva troppo bene il greco per non abbandonare quei
traduttori ogni qualvolta le loro versioni serabravangli
inesatte. Gli amatori della dottrina d' Ippocrate gli an-
dranno sempre riconoscenti di essere stato il primo che
abbia data in moderna lingua una traduzione di quel-
V autore fatta sul testo greco collazionato su manoscrit-
ti. Il nostro trattato è l'ultimo del secondo volume
della sua raccolta.
Ecco quali furono li commentatori e traduttori del
secolo XVI e XVII.
§ 1 5 1. Il primo che ci si presenta nel secolo XVIII
è Glifton medico inglese. Egli ne pubblicò nel 1734 una
traduzione inglese in 8.°, alla quale aggiunse quella di
lutto ciò che trovasi sparso negli altri scritti d' Ippo-
crate relativamente agli slessi oggetti che trattansi in
quello delle arie, delle acque e aV luoghi. Fornì il tutto
di molte note critiche, che quantunque non sieno sem-
pre felici , provano almeno che il traduttore possedeva
la lingua greca, e ch'egli aveva bene studiati gli scrittori
di questa lingua, e specialmente Ippocrate. La tradu-
zione di Dacier gli era nota (XXIII).
In seguito a Clifton potrei porre il celebre Triller
con assai maggior ragione che non ebbi di citare Co-
steo (§ if\i). Triller aveva lavorato per tutta la sua vita
in Ippocrate, ne aveva pur anche promessa una edi-
zione. Alcune delle correzioni che ha fatte su questo
autore nelle sue Obseivationes criticae , pubblicate
nel 1742 in &*° ^a so'a cne concerne il nostro trat-
tato è la più infelice di tutte come a suo luogo dimo-
strerò. Quanto alla promessa edizione di tutte le opere
del medico di Goo, giudicar volendo da un saggio che
97
ne pubblicò nel 1728 , essa sembra piuttosto tale da
provare la vasta erudizione di questo stimabile medi-
co, di quello che il suo genio critico. Lo stesso può dirsi
di quella dell' erudito Hemsterhuis. Questo celebre let-
terato, non essendo medico, non si occupò d' Ippocra-
te. Io non conosco di lui che una sola correzione re-
lativa al nostro trattato, e che trovasi nella sua edizione
del Plutus d* Aristophane pubblicato nel 1744 m 8«°
Questa correzione porta li caratteri di una tale evi-
denza, che bisognerebbe essere più che ignorante per
esitare ad ammetterla nel testo.
§ 1 52. Mach, medico di Vienna d'Austria, pubblicò
un'edizione greca e latina delle opere d' Ippocrate
nel 1743 in due volumi in foglio, che per altro non con-
tiene presso a poco che la metà degli scritti d* Ippo-
crate per essere morto l'editore prima di aver compito
il lavoro. Questa edizione dovrebbe essere la migliore
di tutte quelle che la hanno preceduta, attesi li soccorsi
che gli venivano forniti nella Biblioteca di Vienna da
due manoscritti , che avevano appartenuto uno a Cor-
narius, P altro a Sambuc e che nessuno prima di lui
aveva collazionato. Mack però sembra non avere a-
vuto che una cognizione troppo superficiale della lin-
gua greca per poter essere editore d' Ippocrate. Quan-
tunque egli abbia copiate tutte le varianti di questi ma-
noscritti, non ne seppe per altro trarre partito. Quanto
alle note che accompaguano il suo testo, le ha quasi
tutte copiate dal Foes. Ha d'altronde lasciato sussi-
stere nella versione latina quasi tutti gli errori di chi
lo precedette, e quelli esistenti nella traduzione dì Da-
cier , della quale avrebbe potuto approfittare se ne
avesse avuta cognizione} a meno che ignorasse assolu-
tamente la lingua francese, cosa difficile a credersi.
Suir aria , ecc. Trattalo. 7
9»
§ 1 53. Il solo medico ellenista del nostro secolo,
che fosse capace di darci una buona edizione delle
opere d' Ippocrate, era Heringa. Profondamente ver-
sato nella lingua greca e dotato di eccellente critica ,
spesso sicuro, e sempre ingegnoso, questo dotto medico
avrebbe ben meritato del suo secolo e della posterità
se si fosse addossato simile lavoro. Ma la modestia che
sempre accompagna i veri talenti, non ha nemmeno
permesso di tentarlo. Si accontentò di proporre nelle
sue Observationes criticae pubblicate nel i ^49 *n 8.°
alcune correzioni relative ai diversi passi d' Ippocrate}
tra' quali se ne trovano alcuni riguardanti il nostro
trattato, e che farò in seguito conoscere.
§ 1 54- Io non parlerò qui della traduzione inserita
nel secondo volume ( pag. i 54 ) deWHistoire naturelle
de Phomme considerò dans Vétat de maladie pubblicato
da Clerc a Parigi nei 1768 in 8.° Questa traduzione, con
qualche piccola diversità , non è che una ripetizione
compendiata di quella di Dacier. Tutti conoscono l'edi-
zione latina delle opere d'Ippocrate pubblicata dal ce-
lebre Haller nel 1769, unitamente a quelle degli altri
medici antichi sotto il titolo di Artis medicae Princi-
pes $ e si può vedere altrove (a) il giudizio che se ne
diede, e che pur troppo è appoggiato (XXIV).
§ 1 55. L' erudito medico tedesco il D. Gruner ha
tradotto qualche trattato d' Ippocrate nella sua Biblio-
theca medicorum veterum pubblicata a Lipsia nel 1780
in due volumi in 8.°. Ma siccome io sfortunatamente
non conosco questa raccolta preziosa, senonchè per la
prefazione di Grimm e per li cataloghi tedeschi, non
so se il trattato delle arie, delle acque e de* luoghi sia nel
(a) V. Journ. de médec. Voi. LXXIV, pag. 5'i6.
99
numero di quelli che Gruner ha tradotti. Se ciò fosse
avrei tanto più motivo di dispiacere, in quanto che da
qualche tempo ho l1 onore di trovarmi legato con que-
sto celebre professore con un commercio epistolare per
me non meno dilettevole che istruttivo. E siccome
Gruner sapeva ch'io m'applicava a questo trattato,
mi trovo forzato a lamentarmi dell' estrema sua mode-
stia, che mi avrebbe privato di approfittare de' suoi lu-
mi, e di rendere omaggio al raro suo merito. La Ger-
mania deve al dotto suo medico il dott. Grimm una
buona traduzione tedesca di tutte le opere d' Ippocrate
fornite di piccole note esplicative. Essa è compresa in
quattro volumi in 12,.0 pubblicati sucessivamente nel
1781, 82, 85 e 92 ad Altenbourg.
§ 1 56. Finalmente l'ultima traduzione del nostro
trattato è quella del dott. Magnan pubblicata in fran-
cese nel 1787. Egli è spiacevole che questo medico ab-
bia voluto porsi su di una nuova strada, allontanandosi
da quella che battono ordinariamente quelli che si oc-
cupano nel tradurre gli scritti degli autori antichi. A
forza di voler essere fedele in un modo affatto nuovo
egli si è reso inintelligibile.
§ 15^. Ecco tutti gli editori, traduttori e commen-
tatori giunti a mia cognizione (XXV), non si creda per
altro che io abbia avuto il tempo e la pazienza di leg-
gerli tutti. In quel gran numero pochi ve ne sono che
meritino di esser letti per intiero } colla lettura di sole
poche pagine si può giudicare delle altre. In ogni genere
di cose il buouo è sempre raro, ma lo è principalmen-
te, quando trattasi di rischiarare le opere degli anti-
chi, la maggior parte delle quali non pervenne sino a
noi se non che sfigurata dall'ignoranza de' copisti. Per
spiegare gli scritti di un medico greco qual è Ippocrate
IOO
bisogna necessariamente unire le mediche cognizioni
ad un perfetto sapere della lingua greca, e specialmente
essersi resa famigliare la dottrina di questo medico. Nò
ciò basta } se a tali proprietà non sì associa un buon
raziocinio critico , ad ogni passo si verrà fermati dagli
ostacoli , che oppone un testo alterato.
§ 1 58. Non possedendo tali qualità che ad un grado
mediocre, miglior partito sarà forse quello di astenersi
dal tradurre o commentare Ippocrate. Io però ho con-
sultato il pubblico interesse piuttosto che le mie forze.
Quantunque io non abbia la sciocca vanità di credere
di essere meglio riuscito che altri a render intelligibile
un'opera della più alta importanza per li medici e per
li filosofi, non ho per altro queir ipocrita molestia pro-
pria delle sole anime servili , di far credere, cioè, agli
altri che io nulla abbia aggiunto al lavoro di quelli che
mi precedettero in simile carriera. Ho approfittato dei
loro lumi ed anche de' loro errori , come si potrà ap-
profittare di quelli che io avrò commessi. Il mìo piano
avrebbe forse potuto essere meglio eseguito se io avessi
avuto maggior salute , maggior tempo , e migliori ri-
sorse.
§ 159. Un avviso importantissimo per chiunque vo-
lesse per V avvenire occuparsi degli scritti ne1 quali Ip-
pocrate presenta osservazioni meteorologiche, e costi-
tuzioni epidemiche, egli è di procurarsi delle esatte to-
pografie di tutti li paesi della Grecia, e specialmente di
quelli ne' quali questo gran uomo esercitò la medicina.
Son certo che col mezzo di questi soccorsi si vedrà
scomparire dalle di lui opere tutto quanto sembra con-
traddire le idee che da noi si hanno al presente su molti
punti di medica meteorologia. Egli era in Grecia che
Ippocrate faceva le proprie osservazioni ; e desse non
101
potrebbero essere applicabili ad altri climi, se non in
quanto si troveranno concorrerò in questi in maggiore
o minor numero le stesse circostanze locali.
§ 160 Quando abbandonai la mia patria io non
aveva alcuna idea della medicina, né inspirazione alcuna
per verificare sul luogo le ippocratiche osservazioni. Il
dispiacere che ora ne provo è tanto più doloroso, in
quanto che io non avrò mai più la soddisfazione di ri-
vedere questo eletto paese già culla delle scienze e delle
arti, indi caduto nella barbarie. Ma colui, io lo ripe-
to, che ci darà una topografia medica ben particola-
rizzata di tutte le parti della Grecia farà il miglior com-
mentario delle opere d' Ippocrate (XXVI).
§ 161. Per trarre tutto il vantaggio possibile da si-
mile topografia farebbe d' uopo che chi avesse il corag-
gio d' intraprenderla vi facesse concorrere oltre le no-
zioni fisiche e mediche anche la conoscenza profonda
sì della lingua d' Ippocrate che di quella che è parlata
dai Greci moderni. Abbisognerebbe sopra tutto, dimen-
ticando i pregiudizj europei, eh' egli sì risolvesse a pro-
nunziare l'uria e l'altra come si pronunziano oggidì in
Grecia. Pretendere che gli Europei pronuncino meglio
il greco, che li nativi di Grecia, è una stravaganza de-
gna del secolo decimosesto, che la vide nascere 5 ma
che avrebbe dovuto scomparire innanzi alla luce del
nostro (a).
(a) Egli è difficile di calcolare tutti gli ostacoli che una tale
diversità di pronunzia ha sino ad ora opposto ai progressi delle
nostre cognizioni. Noi non abbiamo ancora un viaggio istruttivo
sulla Grecia, perchè la maggior parte de' viaggiatori ostinandosi
a conservare il lor modo di pronunziare, non poterono farsi in-
tendere , uè intender gli altri. Senza un tal pregiudizio gli Eu-
ropei avrebbero potulo raccogliere dalla bocca de7 Greci moderai
102
§ 162. Privo dei soccorsi che avrei potuto ottenere
dall' ispezione stessa de' luoghi della Grecia ove Ippo-
crate faceva le sue osservazioni , io ho supplito a tale
mancanza con tutti i lumi , che ho potuto trarre dalle
topografie de' diversi paesi d^ Europa e particolarmente
della Francia^ topografie che mi vennero fornite da
diverse opere periodiche come le Mèmoires de la So-
ciété Royale de Médecine , il Journal de Médecine ed
altri scritti di tal natura. Ho scelto specialmente quelle
che sembraronmi presentare un concorso di circostanze
locali analoghe a quelle che indica Ippocrate. Questa
maniera di considerare l'influsso di un clima prova
nello stesso tempo che egli è piuttosto la particolare
situazione di una città o di un paese , che non la sua
latitudine, quella che decide dello stato fisico e morale
degli abitanti (XXVII).
assai grandi cognizioni in falto di botanica , di storia naturale ,
di medicina, o di monumenti di belle arti. Senza un tal pregiu-
dizio i critici d' Europa avrebbero avuta assai maggiore facilità
a ristabilire gli scrittori alterati dall' ignoranza de' copisti; eglino
si sarebbero affrettati d' imparare il greco moderno e si sareb-
bero posti in salvo dal ridicolo in cui caddero sovente per non
essere al possesso di un tal linguaggio , per vero dire corrotto ,
ma che ad onta di ciò offre grande soccorso per la perfetta in-
telligenza del greco antico. Nessuno ignora essere stato Erasmo
quello che per il primo si mise in capo di riformare la pronun-
zia del greco in Europa ; ma ciò che tutti non sanno , e che è
d' altronde necessario a sapersi , si è che una tale riforma di
Erasmo non fu che il risultato di una cattiva burla, e che esli
stesso continuò sino alla fine del viver suo a servirsi della pro-
nunzia che aveva proscritto (V. Vossy, Aristarchi Libi. I, cap. 28
e Joh. Rod. Vetsteny prò Graec. et Genuin. Ling. Graec. prò-
nunc. Orat. apologeilcae, pag. 11 4- 11 8. Ediz. di Basilea 1686,
in 8.°
ANNOTAZIONI
DEL TRADUTTORE
A L
DISCORSO PRELIMINARE
DI ADAMANZIO CORAT.
(I) Neil' isola di Coo e probabilmente l'anno 4^0
avanti V era cristiana nacque Ippocrate II o il grande
ad Eraclide discendente dagli Asclepiadi sacerdoti di
Esculapio ed esclusivamente dedicati all' arte medica.
Visse contemporaneo di Socrate, di Zenone d' Elea, di
Anassagora, di Platone, e della guerra del Peloponneso.
Fu scolare di Erodico, di Gorgia e fors' anco di Demo-
crito d'Abdera (a). Quantunque Coo abitata fosse da
popolo di origine dorica (b) , ad imitazione d' altri do-
rici scrittori, Ippocrate usò piuttosto il dialetto ionico,
forse perchè a tempi suoi era lodato qual più elegante
e facile. Esercitò la medicina in patria, indi, come scor-
gesi dalle sue opere, in moltissimi luoghi della Grecia.
Pare aver egli però spinti li suoi viaggi sino nella Tra-
(a) Sprengel. Storia prammatica della medicina, t. II. p. 3i.
{b) Strabene. Geografia tradotta a Milano, 1. XIV, e. 2.
io4
eia, nella Scizia e nel regno di Ponto. Morì a Larissa
in Tessaglia più che ottuagenario. Non possonsi per al-
tro da una sana critica ammettere tra le storiche verità
molte particolarità o aneddoti della sua vita (a).
Le opere tante, delle quali lo si fa autore, non tutte
gli appartengono veramente, come dotti e profondi eru-
diti hanno dimostrato.
Si sa che colla sua erudizione e diligenza Gerola-
mo Mercuriale aveva , tra li settanta due libri (b) co-
munemente attribuiti ad Ippocrate, indicati per veri e
genuini i seguenti :
i. De natura humana.
2. De aeribus, aquis et locis.
3. AphorismL
l\. Prognostica.
5. De morbis popularibus.
6. De morbis acutis.
7. De vulneribus capitis.
8. De fracturis.
9. De articulis.
10. De officina medici.
1 1 . Mochlicum , sive de ossium structura.
12. De alimento.
i3. De humoribus.
i4- De ulceribus (e).
A questi il Le Glerc (d) aggiunse quello de' locis in
ho mine.
(a) J. Schulzii Han. Hist. medie, eie. Lipsiae, 1728. Period. I.
Sect. HI, e. 1.
(b) Sprengel, 1. e. , p. 27.
(e) Opera Hippocratis. Venel. Junt. i588, t. I.
(d) Hisioire de la Médecirie. A la Haijc, 1729.
io5
L' Hondart (a) ammette come legittimi , quantun-
que alterati, i soli seguenti :
1. Gli aforismi.
2. Li pronostici.
3. Il I, e il III, degli Epidemj.
4. Sulla dieta nei mali acuti.
5. Sulle ferite del capo.
6. Delle arie, dell'acqua e de' luoghi.
7. Dell'officina del medico.
8. Il giuramento.
Recentemente poi il Littré (b) riconosce a tutta evi-
denza , come veramente appartenenti ad Ippocrate :
1. Li pronostici,
a. Gli aforismi.
3. Il I, e il III libro degli Epidemj.
4. Sulla dieta ne' mali acuti.
5. Delle arie, delle acque e de' luoghi.
6. Delle articolazioni.
7. Sulle fratture.
8. Dell' officina del medico.
9. Sulle ferite del capo,
io. Il giuramento.
1 1. La legge.
12. Dei luoghi nell'uomo.
Ricapitolando adunque, sarebbero per unanime con-
senso di Hondart e di Littré da togliersi dall' elenco di
Mercuriale li trattati.
(a) Etudes historìqaes et critiques sur la vie et la doctrine
d'Hippocrate etc. Paris, i836. Livr. I., p. 48.
{b) OEuvres d' Hìppocrate, nouvelle traduction etc. Paris ,
i838, V. Journal de.s debats etc. 1 Fevrier, i83p.
io6
i. De natura humana.
2. De morbis acutis.
3. Mochlicum , sive de ossium structura.
4- De alimento.
5. De humoribus.
6. De ulceribus.
E Ira le settantadue si ridurrebbero le opere genuine
d' Tppocrate alle seguenti :
1. Delle arie, delle aeque e dei luoghi.
2. Gli aforismi.
3. Gli pronostici.
4. Il I, e il III, libro degli Epidemj.
5. Sulle ferite del capo.
6. Sulle fratture.
7. Delle articolazioni.
8. Dell' officina del medico.
9. Sulla dieta ne' mali acuti,
io. Il giuramento.
1 1. La legge.
1 2. Dei luoghi nell' uomo.
Ho voluto sul argomento dell' autenticità de' libri
del figlio d' Eraclide ridurre le cose, direi quasi, ai mi-
nimi termini } dolendomi di vedere comunemente ci-
tarsi, secondo dettano il bisogno e l'intenzione di chi
scrive , de' passi delle opere così dette d' Ippocrate ,
quantunque esse conoscansi per apocrife, dubbie , o al-
terate per le sinistre vicende che si sa aver sofferto gli
scritti del Medico di Goo ai tempi de' Tolomei e di
Adriano (a), ed i quali passi sono talora contraddittori
ad altri , ed anche difettosi per anacronismo : facendo
(a) Sprengel, 1. e. , p. 4o> 43.
107
dire a quel medico delle cose , che furono posterior-
mente scoperte.
Venendo finalmente a quel trattato di cui qui offro
la traduzione, ritener devesi esser egli legittimo. Non ne
lasciano dubbio lo stile e la caratteristica ippocratica
concisione, V autorità affermativa di Eroziano (a), di-
Palladio (Z>), di Ateneo (e) , dello Scoliaste di Aristo-
fane secondo Suida (d), e di Galeno tra gli antichi (e)}
non che tra i moderni per quella del Mercuriale (f\
del Baccio Baldini (g), del Limosio (h) , del Gruner (/"),
del Gora y (/), di Jourdan e Boisseau (m) , del Hon-
dart (7?), del Littré (o). E quel Haller (p) , cui nacque
scrupolo sulla legittimità di questo libro, ordinando li
suoi artis medicae principes (</), non solo onorò Ippo-
(à) Vocum, quae apud Hippocratem sunt, collectio cum an-
not, etc. Venetiisj i566, pag. 81, sub. voc. ò^<A*jj.
(b) Comm. in L. de Fracturis apud Foès, p. 147, sect. VI.
(e) Deipnosopliistarum, libri XV, lib. II. Lugduni, i583.
(d) Sub. voc. ' Apisotpóiviis cit. a Gruner.
(e) De propriis libris, e. 6. — In III. Epid. Comment. —
Libr. ad Thransybul. e. 3g. — Lib. quod animi mores.
(f) Censura operimi Hippocr. nel t. I. , Op. cit.
(g) In librimi Hippocratis de aquis, aere et locis Commen-
tar. Florentiae, i586.
(h) ludicium operum magni Hippocratis. Venetiis , i5g2 ,
cap. V, p. i3.
(i) Censur. libr. Hippocr. etc. Uratislaviae, 1772, pag. 49*
(/) Discor. prelim.
(m) Biographie medicale. Paris, 1822, p. 21 5.
(n) Oper. cit.
(o) Oper. cit.
(p) Bibliothecae Medicinae practicae , etc. Bernae, 1776 ,
pag. 59.
(7) li.'iusannac, 17G9, t. I, p. 5.
io8
crate del primo posto , ma in froute alle di lui opere
pose appunto la presente Traduzione.
(II) Il dott. Ménuret nelli suoi Essais sur V histoire
mèdico -topo graphiq uè de Paris , pubblicati nel 1786 e
ristampati nel i8o5 aveva già detto;, « Egli è Ippocrate,
il primo e il più grande de' medici , quello che ha no-
tato che la forma^ li costumi ^ le malattie degli uomini,
stanno in relazione per grandissima parte colla natura
del paese che essi abitano $ ed io non posso tacere,
prosegue il medico francese, per V interesse della verità
e ad onore della nostra professione, che le grandi idee
eh' egli ha sparse nel suo trattato delle arie , delle
acque ecc. , riguardo ad una tale dipendenza fisica ,
morale e politica, sono state il germe e la sorgente di
quelle che Montesquieu ha sì felicemente sviluppate
circa il rapporto de' costumi e delle leggi col clima. »
Il signor Coray, il quale ha tacciato d' ingratitudine il
Barone di Secondat per non aver resa giustizia ad Ip-
pocrate in questo argomento, non fu per sua parte giu-
sto nel tacere, che il nostro Filangieri, con assai mag-
gior criterio ed imparzialità di quello avesse fatto il po-
litico francese , diede il vero valore all'influenza del
clima sull' uomo ( Trad. ).
(Ili) Non si sarebbe aspettato che il Coray, il quale
aveva incominciato col presentarci in tanto sfavorevole
aspetto il commercio , abbia terminato con sentimenti
cosi ragionevoli, e che abbia dipinte così bene in que-
ste ultime parole più lo stato odierno delle nazioni di
Europa, che quello, in cui esse trovavansi trentanove
anni or sono.
L'esercizio del commercio sia tra popoli, che tra
individui , può corrompere gli animi e far declinare dai
principi del giusto e dell' onesto, non meno , che 1' e-
I09
sercizio di qualunque altra professione , quando si ag-
giungano particolari circostanze , politiche o personali ,
circostanze, che saranno però sempre da ritenersi come
puramente accessorie , intruse ed estrinseche , o come
altrettanti effetti della corruzione che V uomo induce
nelle cose le più buone. E così pure il commercio può
essere dannoso alla salute sì delle nazioni, quanto de-
gli individui, che le compongono, nell' ugual modo che
di danno riuscire possono V esercizio delle slesse fun-
zioni naturali del corpo , e l'uso delle cose più neces-
sarie 5 quando gli eccessi e gli abusi vengano in campo.
Devesi piuttosto ritenere, che il commercio è tra i di-
versi popoli del mondo intiero ciò che sono le relazioni
tra membri di una famiglia, di un villaggio, di una città
0 di uno stato. L'uomo, destinato dalla sua natura
stessa alla società, mercè tali relazioni, si pone in istato
di meglio ricevere ciò che gli manca , e di fornire ad
altri quanto gli è superfluo. Nascono pel commercio ,
sì nel piccolo che nel grande , legami di reciproca di-
pendenza nell' interesse non solo , ma più anche nelle
affezioni. Se poi la pace ha dovuto essere vittima del
commercio e la guerra una conseguenza , ciò avvenne
perchè prevalsero 1' ingordigia e V avarizia o altre pas-
sioni di pochi al principio di procurare con quello co-
modi e ben essere, meglio divisi e numerosi per tutte le
classi componenti una nazione. E que' popoli che Io
esercitarono accoppiato alla violenza, alla barbarie, al*
1 ingiustizia si videro averne in vece guasti li costumi
ed alla fin fine trarne ignoranza e miseria. Che se poi
dalle commerciali relazioni ebbe lì uomo a veramente
acquistare particolari malattie, ciò fu per avere mancato
di porre in pratica quelle cautele e provvidenze che un
I IO
sano criterio e sufficienti cognizioni gli avevano già mo-
strate le più opportune ad evitare simili danni.
Io sono di fermo parere che il commercio eserci-
tato con dolcezza, equità, minor egoismo, e più di av-
vedutezza , avrebbero sempre, mediante l'acquisto di
nuove sostanze alimentari o medicinali, e d' altri mezzi
di comodità e di agiatezza, avrebbe, dico, fornito mag-
giore'felicità alle diverse sezioni dell' umana famiglia. E
parmi bensì possa ritenere, che li principj da me espo-
sti sieno consoni alla ragione ed omogenei alla generale
maniera di sentire delle nazioni, in quanto che al dì
d' oggi quel consenso universale, per esprimermi col Fi-
langeri, che in altri tempi obbligava ciascun popolo a
divenire guerriero, è quello che ci obbliga a divenire
commercianti ( Trad. ).
(IV) Quanto dice il Coray per il secolo XVIII non
potrà a meno di essere replicato da chi vivrà nel se-
colo XX a riguardo del presente ( Trad. ).
(V) E veramente nella spinta eccessiva, e negli ol-
trepassati confini, ove sta il male ( Trad. ).
(VI) Avvi per altro la risorsa di rendere meno in-
salubri certi mestieri , ed anche di togliere ad alcuno
quanto vi ha in esso di nocevole ( Trad. ).
(VII) Buone leggi che tutelino il povero , il debole,
V innocente contro il ricco, il potente, e il vizioso} li-
bertà del commercio e nelle professioni toglieranno i
danni dell'accumulamento delle ricchezze in pochi. An-
dranno cioè operando un naturale, direi quasi, necessa-
rio passaggio da uno in altro, ed un'equa e vantaggiosa
divisione di esse, e daranno luogo a molli mezzani e fe-
lici stati nella società ( Trad. ).
(Vili) Il pezzo compreso tra i §§ 60 e 79 inclusi-
vamente di questo discorso del Coray fu inserito nel
1 1 1
t. I, della Geografia di Stratone che il Sonzogno co-
minciò a stampare in Milano nel 1827 , e subito dopo
le Illustrazioni sopra le diverse rose dei venti degli an-
tichi: lavoro di P. F. I. Gosselin. Siccome a tal brano
si trovano applicate, oltre le note relative del Goray , e
quali io ho lasciate in calce a questa traduzione del
detto discorso, anche alcune del celebre Mustoxicli, così
credo far cosa grata il qui riferirle, una sotto questo
numero, e le altre sotto li seguenti IX. XXI.
Ulissea lib. V, 295 a a3i. Gli antichi tennero che
non vi fossero più di quattro venti, secondo le quattro
parti del mondo con grossa e debil ragione, siccome poi
s'è conosciuto (Plin., lib. II, e. 47)* Posidonio dichiara
che quando Omero parla di Zefiro soavemente spirante
(Uliss. IV) accenna il vero Zefiro o Ponente, e che
quando gli dà l'epiteto d? impetuoso ( v. 296) denota
VArgestes o Maestro. Al che nulla si può opporre, es-
sendo Argestes anch'esso uno dei Zefiri. Bensì né Posi-
donio né Strabone ( Geogr., 1. I) mi persuadono, allor-
ché spiegando i versi 3o6, del IX e 334 del XXI del-
l'Illiade 5, stimano che l'Argeste-Noto, ivi nominalo, sia
il Leuco-Noto solo che possa raccogliere alquante nu-
vole, le quali sono dissipate da Zefiro. Il Leuco-NoLo è
al dir di Teofrasto anzi un vento sereno e dissipa egli
stesso le nuvole. Pare adunque che i due filosofi sieno
stati indotti in quella loro credenza dall' etimologia ,
perche Argestes^ come Leuco : significa bianco. Ma lo
stesso epiteto corrispondendo anche a celere^ credo con
Esichio che in questo secondo significato se ne sia valso
Omero. La velocità e la veemenza sono qualità proprie
de' venti, e però a Zefiro dà Esiodo 1' aggiunto di ar-
geste ( Teog. 349 e 870 ). Nò Omero parla di un vento
debole, nò del Lenco-Noto quando dice (II., XXI, v. 53/j)
142
che Zefiro e PArges te-Nolo destano gravi procelle. Quindi
Orfeo negli inni così celebra Noto:
Celere salto , che per V umido aere
Passeggi con veloci ali agitato.
Esiodo, la cui autorità non debbesi in questa sorta
d' indagini trasandate , non nomina mai Euro e per ben
due volte ( Teog., 1. e. ) Noto, Zefiro, Borea. E a questi
tre venti soli Orfeo abbrucia incensi. Perchè adunque
questo silenzio ? Forse perchè Euro , come pare si
possa dedurre da Aristotele e da Strabone , si confon-
deva con Noto.
(IX) Ai tempi di Erodoto già prevaleva la nomen-
clatura e la divisione degli otto venti f, perchè lo storico
fa menzione dell'Apeliote ( 1. Ili e VII ).
(X) Geograph. Hypotjp. I. I, e. 2, e 1. II, e. 12. —
o per meglio dire in Timostene citato da Agateraero.
Neil' anemoscopio scolpito da certo Eutropio ed illu-
strato dal Paciaudi {Mori. Pelop. t., II, p. 1 1 5 ), i nomi
greci dei dodici venti sono scritti in caratteri latini se-
condo T ordine di Timostene.
(XI) Meteorologia, 1. II, e. 6. Problem. XXVI, 58. —
Merita anche una particolare attenzione quanto scrivono
Teofiasto nel suo apposito Trattato e Plinio (1. e. )
intorno alle proprietà dei varj venti, ed al periodo della
loro durata. — Neil' omerica descrizione che Esindo
fa del verno ( Delle Op. e de'' Giom. v. 5o5 ) consiglia
a guardarsi da Borea che soffia nel mese Leneone, cioè
fra gennaio e febbraio. Adduce ghiacci e freddo, solleva
le onde, svelle querce ed abeti.
(XII) Al § 64. Vedi le Tavole qui unite.
(XIII) Dispotismo : Governo di un solo che regge
u o sjì i> t: i y K 31 T «
bri mrtei i is l i H d ito d u i
ALTA KOS \ MI NODKKNI
E DELLE VAI
COMPARATE
♦ ROSA
DI Vili VEKT1
d'Aristotele
Libs
Y
ESPOSIZIONE DELLE VARIE ROSE DE' VENTI DEGLI ANTICHI
COMFAHATE ALLA ROSA DE' MODERNI.
ROSA
de gli ant. Greci
ROSA
I Vili VES-I
d'Omero
ZEPHYROS. / ZEPHYROS
Argestc
-Zephyr
zepiiyros, Fjromus 1 faioxws.
ni,
Notos-Apcliotes .
APARCTIAS, SEPTENTR.)sEPTEiXT[ì. .
_-__ Galìicus . . . .
Borea) , Aquile, ) Superna) . . . .
I Aquilo
APELIOTES, SUBSOL.
Euros , Vulturnus .
1 SOLANVS . .
Ornilhiae . . .
' Caccia) ....
Sud-Oui str-quart-Ouot.
Quest-Sud'-Òùe'st '. '. '.
0DES1
Ouot-quart-Nard-Ouot.
Quest-Nord-Ouest. . . .
Mord-Outìl-quar't-OueW.
WoBD ( li SST
Nord-Ouest-quarl-ITord.
Nord Nord-Ouést '.'.'.'.
N°ril-quart-Nord-Oiiesl .
NORD
Nord-quart-Nord-Esi '. '.
«ord-Eti-ouart-Nord.
NoBD-Est
Nerd-Est-quarl-Est '. '.
Est-Nord-Est
E)l-e/uart-Nonl-Est .
EST
Est-c/uarl-Sml-Est. '.
Nolos-Argestes.
ZEPHYROS. / ZEPHYROS
Borcas-Zephyr
Argestcs ,
NOTOS, AVSTElì.
Libs , Africus
< Vulturi,,,)
t AUSTEfl
' Altari,,) .
\~LÌbc~„o~tu) ,
ZEPHYROS, FAVONWS.
Argestes , Corus
( Subvcspcru) . .
Argene) ....
FAVON1US. .
Etesiac
Circiu) . . . . ~
Stfd-Est-quart-Jlst . . .
Sud-Est.
Sud-Est-auart-Sud. . . .
Sud-Sud^Esi '.
Sud-quart-Sud-Eat. . . .
sud:
Sud-tfHui*-&,d-Ouert . .
Sod-Sud-Oueat
t-quart-Sud . .
Sud-O,
Sun-Oi
SuU-Oiiot-quart-Oucst .
Òucst-Sud'-Òùcst' '.'.'.'.
Otust-quart-Surl-Oiieìt .
OUEST
Olusl-quart-Nord-Uuest.
Oucst-Xord-Oucst .
n3
senza leggi , ma a proprio arbitrio e libera volontà.
( Trad. ).
(XIV) « Perchè nascano i figli simili ad altri e non
a' padri, dice Plutarco (<z), la maggior parte de' medici
attribuiscono alla fortuna ed al caso, cioè, che raffred-
dato il seme dell' uomo e della donna, nascono figliuoli,
che non li somigliano. Empedocle vuole che V immagina-
zione della donna nel formare il concetto figuri i bam-
bini, perchè sovente avvenne che donne amarono fi-
gure e statue, a cui poi furono somiglianti i parti. »
Anche Bodin (b) pensa che la somiglianza o dissi-
miglianza nel volto dell' uomo , in generale , provenga
dall'immaginazione. Ad eludere certe eccezioni che si
potrebbero fare, io stesso autore poco più innanzi pro-
cura di dare la spiegazione al fenomeno ponendolo nel
maggior o minor miscuglio de' differenti popoli. Le na-
zioni che non ricevettero colonie da altri popoli, e che
per conseguenza non contrassero matrimonj con esse,
conservano la fisonomia nazionale uniforme. E siccome
la maggior parte delle emigrazioni si fecero sempre
dalle regioni troppo fredde o troppo calde verso quelle
di una media temperatura, cosi dovette necessariamente
accadere che in queste abbia avuto luogo la maggiore
varietà di fìsonomie.
Io conosco qualche villaggio, ove le fìsonomie de-
gli abitanti sono sì caratteristiche , che visti i medesimi
anche in lontani paesi s' indovina che a quello appar-
(a) Dell' opinione de' filosofi , lib. V. Opuscoli di Plutarco
volgarizzati da Marc. Adriani. Milano, 1829, p. 282.
{b) Methodus ad facilem historiarum cognitionem. Parisis ,
i566, in 4-° e. V, p. 212.
Sultana, ecc. Tratta lo. 8
"4
Jengono. Ed ivi appunto è dove usasi contrarre con
grande costanza nozze tra compaesani , talché a que-
st'ora ad ogni momento si abbisogna invocare dispense
di matrimoni in causa delle parentele, le quali frequen-
temente incatenano i contraenti ( Trad. ).
(XV) Siccome il vocabolo Cornarius è bensì un
particolare soprannome dato al medico tedesco Gio-
vanni Hagenbut, ma non serve già a latinizzare il nome
di Cornara, così io, a togliere qualunque ambignità ri-
feribile a cognome italiano , e a differenza di ciò , che
altri fece, ho usato il preciso vocabolo Cornarius, col
quale secondo il costume di que' tempi si latinizzò V al-
tro vocabolo Hagenbut. Giovanni Hagenbut o Haynpol
nacque a Zwickau in Sassonia nel i5oo, fu addotto-
rato in Medicina a Pavia e morì il 16 marzo 1 558 a Jena.
Egli è benemerito dell' arte salutare per essere stato
uno dei primi a rivolgere le sue cure agli originali greci,
bandendo gli Arabi, non che a spurgare e pubblicare le
opere d' Ippocrate in originale. Se la sua traduzione non
è delle migliori per la fedeltà e per la pura latinità ,
non è però tale da meritare le amare critiche che le fece
Leonardo Fuchs. La migliore edizione è quella di Ba-
silea del i558, per Froben (Trad.).
(XVI) L' Mailer (a) cita un Ms. greco esistente nella
Biblioteca di S- Marco in Venezia.
(XVII) Mosè Alatino isrealita e medico di Spoleto
fiorì verso il finire del secolo XVI e sul principio del se-
guente. Di lui non fanno cenno né 1' Eloy né V Enci-
clopedia metodica, né le recenti biografie universale e
medica. Ne parlarono Cristoforo Volfio nella sua Biblio-
theca Hebraica. Voi. I, p. 8o3 e Voi. Ili, p. 729, e il
(a) Bibliolh. Medie, t. I, p. 60.
n5
Mazzucchelli nel l. I, p. 267 della sua opera Gii scritr-
tori <V Italia (Brescia 1^53 ), opera sventuratamente né
da lui né da altri proseguita ( Trad. ).
(XVIII) Veramente la prima edizione della versione
del Calvo fu data a Roma da Francesco Mmizio Calvo
comasco nel 1 525. Quella del i5a6 di Basilea per An-
drea Cratandro si trova mista a particolari traduzioni
di diversi altri trattati fatte da Guglielmo Copo, Nicola
Leoniceno, Andrea Brenzio (Trad.).
(XIX) L' opera di Adriano , l'Alemant ( non Lale-
mant, come nel testo del nostro autore , e che è poi
f Adrianus Alemanus di Settala (a) e di Haller (b) è in-
titolata Hìppocratis medicorum omnium principis a de
aere, aquis et locis , liber olim mancus, mine integer ,
qui Galeno de habitationibus et aquis et temporibus et
jegionibus: Commentarii quatuor ilìustratus : parisi is
i55^ , in 8.° Altra edizione si fece a Ginevra nel i5^i
in 8.° — Anche il citato Settala dice di lui (p. 71) Ale^
manus, qui primus, quod sciam^inter recent iores com*
mentaria in hunc librum edidìt ( Trad. ).
(XX) Trovasi nel t. II, p, 198 dell'edizione di Ve-
nezia 1606 appresso i Giunti. Tale traduzione è per
molti titoli barbara. Essa però si limita al passo riguar-
dante gli Sciti, che sta tra il § 89 e il § 1 13 di questa
traduzione.
(XXI) Pare ehe il Coray non abbia conosciuti li
Commentarii fatti in quest'epoca alla presente, come
alle altre opere d' Ippocrate, da Giovanni Marinelli. Li
unì questi alla traduzione del Cornarius ( non del C^lvo,
(a) Comment., p. 71.
(b) Biblioth. Medie. , t. I, \). 60.
n6
come asserisce THaller per errore (a)) ponendoli per
ordine alfabetico in fine del libro. La prima edizione fu
fatta nel 177$ (non nel 1773 come scrive il Dizionario
storico di Bassano, t. XI) dal tipografo Valgrision, Ve-
nezia in un volume in foglio. Essa è assai rara ed esiste
nella biblioteca , già Pasta , dello spedale maggiore di
Bergamo. Strano è però il vedere come, se si eccettuino
gli argomenti di Giovanni Culman de Geppinger, ivi
manchino certe aggiunte, correzioni, ed indice, il tutto
m fronte del libro annunciato, e ciò abbenchè il volume
sia intatto e ben conservato.
Sembra che 1' Eloy (b) siasi ingannato nelT annun-
ziare una edizione di que' commentarii fatta a Lione
nel 1 564. Altre bensì ve ne sono, una di Vicenza del 1610
in foglio e due di Venezia 1619 e 1679 parimente in
foglio. L'ultima edizione fu data dal tipografo Radici
nel 1787 a Venezia in tre volumi in foglio per cura del
medico Giovanni Battista Paitoni col titolo — Hippo-
cratis opera omnia eoe Jani Cornai ii versione una cum
Io. Marinelli Commentariis ac Petri Matthaei Pini
indice. —
Siccome poi cotesto Giovanni Marinelli sembrami
per tali commenti degno di essere ricordato, così assai
mal volentieri scorgo essersi dimenticato da tutte le
biografie, ed universali e mediche anche le più diffuse
e recenti , se si eccettui il negletto Dizionario storico
tradotto e stampato alla fine dello scorso secolo a Bas-
sano. Non riuscirà adunque discaro , che io aggiunga
che fu creduto essere Giovanni Marinelli veneziano, ma
veramente da una lettera , con cui la di lui figlia Lu-
{a) Biblioth. Medie, t. 1, p. cp.
{b) Dici, hist, de la med.* t. II, p. 555,
II?
erezia nel 1602 accompagnò alla duchessa di Modena
il suo poema di Maria Vergine, lettera che si conserva
nel ducale archivio di Modena, risulta essere egli nato
in questa città. Pare passasse ancor giovane a Venezia
e poscia pur anche vi morisse. Fu padre della citata
Lucrezia, e del medico Curzio Marinelli. - — Sono sue
opere.
i.° Della copia delle parole. Parte 1. e a. Vene-
zia, i582.
2.0 Ornamenti delle donne. Venezia, 1662 e 157/j.
S.° Le medicine pertinenti alle infermità delle donne
Venezia, i5^4 e 1610.
4-° Commentarla in ffippocrati? Coi opera. Venetiis,
1 5^5 ecc. (Vedi sopra).
5.° Hippocratis Aphorismi Nicolao Leoniceno in-
terprete. Io. Marinelli in eosdem Commentaria, ecc. Ve-
netiis, 1 583.
6.° De peste et pestilenti contagio. Venetiis , *577»
7.0 Scholia in Io. Arculani practicam. Venetiis ,
1 56o, ed altre, delle quali può vedersi la Biblioteca
Modenese. Voi. Ili, p. i58, ove si hanno ulteriori no-
tizie di lui (Trad.).
(XXII) E vero che dal Foès tra coloro che lavora-
rono intorno alle opere d' Ippocrate nominasi un Ge-
rolamo Gardino 3 è pur vero che P Haller nella sua
Biblioteca Medicinae practicae, non già dove parla del
nostro Trattato, ma altrove (t. II, p. 180, Basilea, 1776),
lo cita ne' seguenti termini Hier. Gardini in Hippocra-*
tem. de aere, aquis et locis. Basileae, 1570, in fol., ed
è finalmente vero che P Haller fu in ciò copiato da'G.
B. Paitoni nell' edizione , che egli diede delle opere
d' Ippocrate commentate dal Marinelli (Venezia, 17^7).
Non trovando per altro che né un Girolamo Cardino,
n8
uè una tale opera sono accennati, né dall' F.ioy ( Dict<
histor. de la méd. Bfons , 1778) ire dall' Encyclo-
pedie me'thodique, uè dalla Biographie medicale ( Pa-
ris) 1820-25, uè in alcun dizionario biografico, io du-
bito assai che siasi incorso Dell1 errore di leggere o
scrivere da prima, indi stampare il cognome di Gar-
dinus in luogo di quello di Cardanus. E confermano
il mio dubbio. i.° L'inutilità delle ricerche dell'eru-
dito e laborioso Coray} 2.0 il non vedere dal Foès ci-
tato il titolo dell'opera: 3.° L'uguaglianza del nome
Hìeronimus } 4«° '' citarsi dall' Haller e dal Paitoni 1' o-
pera in discorso coli' impressione di Basilea del 1570
in foglio sì pel preteso Gardino che pel Cardano, e in
fatti è cosa un po'difficile che nella stessa città, nello
stesso anno si stampassero sotto un uguale titolo due
opere sul medesimo soggetto, e che quella del Cardano
sia conosciuta , 1' altra in vece se non citata nel modo
che ho detto di sopra ( Trad. ).
(XXUI) La traduzione di Francesco Clifton è inti-
tolata — Hippocrates upon air, water, and situa-
tion etc. London, 1734, in 8.°. Chaumelon nel relativo
articolo della Biographie unwerselle dice che vi è ag-
giunta la traduzione degli Epidemici e de' Pronostici
nelle malattie acute e la Descrizione della peste di
Atene di Tucidide. Clifton ha ottimamente ordinati
siffatti materiali , e gli ha arricchiti di note importanti.
( Trad. )
(XXIV) Il testo nella sua opera — De vitalibus pe-
liodis aegrotantiam et sanorum : seu dementa dyna-
micae animalis. Londini , 1787 , destina un capitolo a
far notare gli errori dell' edizione d' Ippocrate fatta a
Losanna per cura dell' Haller, ove questi , lungi dal-
ll9
V approfittare delle correzioni del Foes e de' posteriori
editori, ve ne introdusse de' nuovi ( Trad. ).
(XXV) Aggiungendo quanto sui commentatori e tra-
duttori d' Ippocrate è a mia cognizione dirò che tra
gli antichi e precisamente circa il nostro Trattato sa-
rebbe da aggiungersi 1' opera di Giacomo Curion me-
dico sassone che morì professore ad Eidelberga ii i.°
luglio i5^2, intitolata Hippocratis Coi, medici vetustis-
simi, et omnium aliorum principis de naturate; tempo*
rum anni, et aeris irregularium constitutionum propriis,
hominisque omnium aetatum morbìs theoria etc. Fran-
cophurti, 1596, in 8.° Tra i moderni poi le traduzioni
in tedesco, una di G. de Hoeglmueller stampata a Vien-
na nel 1804, e P altra di A. F. Lindau a Breslavia
nel 181 5 , e finalmente la francese di I. N. Chailly
sotto il titolo: Traité d'1 Hippocrate de s aire s, des eauoc.
et des lieuoc$ traduction laterale accompagnée du teste
greCj de variantes , de notes critiques et medicales , et
d^une table synoptique de Vouwrage , Paris, 181 7,
in 12.0.
Riguardo alle opere in generale del nostro Medico
greco trovasi che nel Giornale per servire alla storia
ragionata della medicina del secolo XFTII ( Vene-
zia , 1799, t. XII) si dà notizia della traduzione del
greco in francese di tutte le opere d' Ippocrate fatta da
I. N. Balin-de-Ballu professore di lingua e letteratura
greca nella scuola centrale del dipartimento della Gi-
ronda. Non so però se abbia effettivamente avuto fine
una tale impresa, poiché nel caso affermativo sembra
che avrebbe dovuto esser noto un tal lavoro al Coray
che appunto scriveva in quel tempo. E poi degno a no-
tarsi, come il compilatore del citato Giornale veneto ,
il celebre fu dottor Aglietti , nel dar notizia di quella
12*»
versione aggiungesse, che molli trattati d' Ippocrate fu-
rono tradotti in francese, e che quello delle arie* delle
acque e de'* luoghi fu sfigurato alcuni anni prima da un
medico che ignorava affatto l'arte dello scrivere. Ma
che il dotto Koray (sic ) medico in Parigi, uno de'
uomini li più versati nella lingua e negli scritti d'Ippo-
crate , aveva fatta una eccellente traduzione di quel
bel trattato con un testo purissimo a fronte 5 ma che
temevasi avesse l' iniquità dei tempi sepolto questo
capo d? opera.
Gardeil per lo spazio di trent' anni pose ogni sua
cura nel tradurre le opere d' Ippocrate sul testo greco
del Foes, e furono da lui, ma senza nome ^ pubblicate
in 4 volumi in 8.° Tolosa nel 1801, alcuni anni prima
cioè della sua morte, che avvenne il 19 aprile 1808.
Quantunque Gardeil abbia ommessa la ottava sezione
ritenendola anch' egli come apocrifa, è però, per quanto
ne dice Chamberet (Biogr. Univ.), la sua versione la
più compiuta che in Francia si possiede.
Martin Henri de Bazas diede una versione di tutte
le opere d' Ippocrate in 3 volumi a Parigi nel 1816 e
1827: Ed ugualmente a Parigi nell'anno 1827 e se-
guenti furono stampate le Oeuvres completes d?Hippo-
cràte en grec^ latin et frane ai s : précédées d'une notice
sur la vie et les ouvrages d\H ippocrate : et suivies des
oeuvres de Celse en latin et francais$ traduites par
Jfornier.
Nello scorso anno fu dato il seguente annunzio. —
Oeuvres completes d 'B Ippocrate , nouvelle traduction ,
teocte grec en ì^egard collationnée sur les manuscrits et
toutes les éditions: précédées adirne Introduction^ et ac~
compagnées de commentaires , de notes médicales , et
philologique et suivie d\ine table generale^ des matiéres:
121
par E. Litre, j voi. in 8.° de' quali uno deve essere
stato stampato alla fine del i838.
Finalmente venne da pochi mesi annunziata ( Me-
moriale della medicina contemporanea. Venezia. No-
vembre i838 ) una prima versione italiana delle opere
compiute aV Ippocrate fatta dal dott. M. G. Levi col la-
tino a fronte di Annunzio Foèsio, e da stamparsi a Ve-
nezia in due volumi.
Comunque io sia d' opinione che grata dovrà essere
P Italia al dott. Levi di averle donato in propria lingua
le opere d' Ippocrate , nel che essa trovavasi inferiore
alle altre colte nazioni, non so però trovare un ragione-
vole motivo, perchè egli non lavorando ne su l'originale,
né sulle versioni latine , ma su di una francese, benché
assai apprezzata, \oglia rendere voluminosa 1' opera con
contrapposta latina traduzione , poiché quando a sod-
disfacimento di certi studiosi non credeva offrire il te-
sto greco, inutile mi sembra l'aggiunta si della latina,
come della francese traduzione.
Siccome poi una sana critica aveva già molti anni
sono consigliato al Gardeil di ommettere 1' ottava se-
zione, sarebbe stato forse pe' tempi nostri sufficiente il
non dare che quelle tra le opere del figlio di Eraclide
che ora sono le sole dai dotti giudicate genuine (V. la
nota prima ) , e siccome poi tanto a conoscere il me-
todo con cui questi pel primo seppe introdurre nella
medicina uno spirilo d' osservazione tutto particolare, e
per il che specialmente si rese sì benemerito e vene-
rando, quanto a farsi un'idea de' principi , che a quel-
l'epoca dominavano nell'arte salutare e scienze acces-
sorie, bastare possono le citate poche opere tra le tante
che passano sotto il di lui nome, così meglio a giudizio
mio sarebbe che il nuovo lodevole traduttore non sol-
172
toponesse se stesso ad una grande e per la maggior
parte inutile fatica, ed il lettore alla ripetizione di cose
note , a tempi nostri inutili , e sulla legittimità delle
quali devonsi nutrire dei dubbii. Quantunque , come
già ho detto, egli siasi appigliato per dare* la propria
ad una lodata traduzione francese, non dovrebbe per
altro far torto a' benemeriti italiani , che già affatica-
rono su alcuni trattati del Medico di Coo volgendoli ia
nostra lingua. Così li tanto celebrati aforismi Io fu-
rono.
i.° Da Lucilio Filalteo (Pavia, i55a) medico forse
della famiglia Maggi o Salvioni di Brescia, e che fu pro-
fessore a Pavia ed anche a Torino ove morì nel i5^o:
2.0 Da Giambattista Sori ( Milano, i6i5 ) :
3.° Da Giuseppe Rosaccio , e trovansi parafrasati
nella ridicola di lui opera intitolata il Medico ( Vene-
zia, 1621 ) :
4«° Da Anselmo Lazioso (Viterbo, 166/71):
5.° Dall' illustre Bernardino Genga vennero tradotti
e commentati in italiano gli aforismi spettanti alla chi-
rurgia. E ciò trovasi nella sua opera annunziata col se-
guente titolo latino. In Hìppocratis aphorismos ad
chirurgiam spectantes commentaria etc. , a Bei'nardino
Genga etc. , latino ac. italico idiomate ad communio-
rem intelligentiam eocarata. Romae^ Typis Rev. Coni.
Apost. 1604, e ristampata a Bologna nel 1727:
6.° Da Carmine Vincenti (Napoli, 181 3, in 8.°), il
quale li tradusse liberamente non solo, ma commentò in
modo di conciliare le antiche colle moderne mediche
dottrine.
II Trattato poi delle ferite della testa fu con molta
purezza di lingua tradotto da Bernardino Falcinelli let-
ia3
tore di chirurgia nello spedalo di S. M. Nuova di Fi-,
renze (Firenze, i65^ — ivi i6o,3).
Il Giuramento trovasi volgarizzato cogli aforismi dal
citato Lucilio Filalteo. Con una traduzione italiana di
quest'opuscolo posta a riscontro della latina, dassi prin-
cipio alla Raccolta di opere mediche moderne italiane,
che *' incominciò a stampare dal Marsiglj a Bologna
nel 1827.
Circa il nostro Trattato sono persuaso che la opero-
sità e le cognizioni già favorevolmente ben conosciute
del signor dottor Levi possano soddisfare meglio il pub-
blico e la scienza di quello che io abbia potuto fare de-
dicandovi tutta la buona volontà, né risparmiando fa-
tica. Trad.
(XXVI) Al desiderio manifestato qui dal signor
Corny possono avere rimediato il Viaggio in Morea ,
Costantinopoli ed in Albania dal 1798 al 1801 del
dottor Pouqueville, opera tradotta a Milano nel 1816. —
Ij Histoire medicale de Varmée francaise en Morée
pendant la campagne de 1828 par G. Rouoc. Pa-
ris 1829 , e finalmente la Relation du voyage de la
Commission scientifique de Morée: de M. Bory de
Saint-Vincent, Paris, i8363 2 voi., in &.° avec /Jo pian-
ches (Trad.).
(XXVII) A compire le cognizioni che in questa
terza parte del bel suo discorso ci dà il Coray su co-
loro che si applicarono in diversi modi al nostro trat-
tato di Ippocrate resta a parlare di lui, il che non fa-
cendo, mi sembra che con l' ingratitudine si pagherebbe
un dotto sì benemerito per 1' immensa fatica che con-
sacrò a questa lodevolissima opera.
Adamanzio Coray o Corais originario dell' isola di
Scio nacque a Smirne il 27 aprile , j 74^* P!l furono
genitori Giovanni e Thomaide Ryzius, un fratello della
quale lo fece erede di una buona biblioteca. Assai tardi
apprese la lingua latina da Bernardo Keun elemosi-
niere della cappella del console di Olanda alle Smirne.
Venuto in Europa nel 1772, per sei anni attese al com-
mercio in Amsterdam. Nel 1779 ritornato alla sua pa-1
tria, ne ripartì per Montpellier ove cominciò il 9 otto-
bre 1782 il corso di medicina, nella quale Facoltà no-
minato dottore, si rese finalmente a Parigi il 28 mag-
gio 1788, ove morì il 6 aprile i833 senza mai farsi na-
turalizzare francese , e lasciando la sua biblioteca al
ginnasio di Scio.
Questo laborioso medico, letterato ed ellenista si di-
stinse con opere moltissime. Io tralascerò di parlare
delle belle edizioni di greci autori, delle traduzioni de'
Caratteri di Teofrasto , della Geografìa di Strabone ,
dell' opera del nostro Beccaria dei delitti e delle pene ecc.,
ma mi limiterò ad accennare le sue cose mediche , e
quanto si riferisce al presente trattato.
La sua tesi inaugurale portò il titolo di Pyretolo-
gia? synopsis. Montpellier 1786 in t\.°. Divenuto me-
dico diede le seguenti versioni : La medécine clinique
de Selle traduite de V allemanda Montpellier, 1787. —
Introduction à Vètude de la nature et de la mèdecine
traduite de Vallèmand de Selle-, Montpellier, 1795. —
Vademecum du mcdecin , ou Precis de mèdecine pra^
tique, eoctrait des ouvrages des plus celebre s mèdecins,
trad. de Vanglais. Paris, 1796. — Esquise d^une hi-
stoire de la mèdecine et de là chirurgie depuis leur
commencemenl jusquà nos jouj-s: traduit de Vanglais
de JBlak. Paris, 1797. — Galiène et Xénocrate sur la
nouriture tirèe des animawr. aquatiques. en grec. Pa-
ris, 181 4, in 8.° avec des notes grecques.
125
Tratte & Hippoc rate des airs^ des eaucr et des lieux.
Traduction nouvelle avec le teacte grec collationné sur
deucc manuscrits^ des notes critiques^ historiques et mé-
dicales, un disco urs preliminare^ un tableau comparatif
des vents anciens et modernes^ une carte gèographique^
et les index nècessaires , i voi. in 8.° Paris de l'impri-
merle de Baudelot et Eberhart. L'an IX (1800).
L'edizione fu fatta a spese di alcuni Greci generosi
e in meno di quindici anni trovossi esaurita. Nel 1810
fa quest'opera coronata del premio decennale dell'Isti-
tuto di Francia dietro il rapporto del Jury , il quale
giudicò che le osservazioni del Coray avevano sparso
sul trattato d'Ippocrate una chiarezza nuova; che il
numero de' passi ch'egli aveva restituiti, corretti e spie-
gati in una maniera soddisfacente era degna di conside-
razione } che la sagacia della sua critica e la felicità
delle sue congetture lo conducevano sovente sino all' e-
videnza \ che la filologia e la scienza medica, sparse con
scelta e senza profusione nelle note, rendono la lettura
di questo trattato non meno interessante che istruttiva.
Nel 181 6 il Coray fece ristampare da Eberhart il
testo greco del trattato e la traduzione francese senza
note, proponendosi di rifarle affatto. A questa ristampa
unì il testo greco e la traduzione francese della legge
d'Ippocrate, ed il testo greco del trattato di Galeno,
il miglior medico deve essere anche filosofo. Il volume
termina con note in greco antico sui due trattati ag-
giunti a questa edizione, e con uno specimen di un fram-
mento dei precetti d' Ippocrate corretti e spiegati.
Il riparto fatto dal Coray del nostro trattato e le
correzioni da esso fatte furono adottale da Chaillj di
Versailles nella edizione che fece (Paris, 181 7 cfcez
126
Delalain in i6.°) del lesto, non che per la sua tradu-
zione letterale francese.
Il dottor Hoeglrauller riprodusse in tedesco la ver-
sione e le note dello stesso Coray e le pubblicò a
Vienna nel i8o4 in un volume in 8.°
Comparve a Madrid nel 1808 anche una traduzione
spagnuola del discorso preliminare e del testo del pre-
sente trattato fatta dal prof. D. Francesco Bonafon , il
quale vi aggiuuse un proprio prologo ( Trad. ).
SULLE ARIE, SULLE ACQUE E SUI LUOGHI
TRATTATO
IW a 9 2 :■:* <B ìk À W a (i)
CAPITOLO PRIMO.
INTRODUZIONE.
I. Chi si prefigge esatte ricerche in medicina deve
primieramente considerare le stagioni dell' anno ed i
loro effetti. Giacché ben lungi dall' assomigliarsi, elleno
son diverse, né soltanto le une dalle altre, ma ciascuna
è iti sé stessa soggetta a variazioni. Conoscere gli è
d' uopo i venti caldi ed i freddi , e prima quelli , che
sono comuni a tutti i popoli , indi li proprj di ciascuu
paese. Deve finalmente esaminare le proprietà delle
acque, le quali siccome pel sapore e pel peso, posson
pure diversificare in virtù tra di loro.
II. Così chi arriva in una città che non per anco
gli è nota, cerchi avverarne la posizione : ed il modo
in cui sta rispetto ai venti ed al levare del sole } poiché
prova effetti diversi una città esposta a settentrione ed
altra che Io è a meriggio, e Io stesso dicasi di una ri-
volta a levante, e d'altra a ponente. E su ciò porre de-
vesi molta attenzione.
128
III. Indagar deve qua! sia la natura delle acque,
delle quali si fa uso , se palustri, molli ovvero dure:
se provengano da luoghi alti e da rocce, o se sieno sal-
mastre e crude.
IV. Gonviengli in oltre osservare se il terreno è
nudo e secco, piuttosto che coperto ed umido} se è in«*
fossato e caldo, se alto e freddo.
V. Saper finalmente procuri qual modo di vivere
agli abitanti sia prediletto : se mangioni o beoni e dati
all' ozio, o se operosi e tolleranti delle fatiche mangino
molto, ma sieno nel bevere moderati. Tutto ciò è ne-
cessario d'investigare.
VI. Il medico cui ben note saranno tutte queste
cose, o almeno la maggior parte di esse , saprà cono-
scere la natura del luogo dove giunge, e le malattie
particolari che vi dominano \ né potrà errare nel cu-
rarle. L' opposto accadere dovendo a coloro, che da
prima non si saranno procurate tali cognizioni.
VII. Istrutto del cangiarsi d} ogni stagione e della
costituzione dell' auno agevole gli sarà predire quali
malattie d' uniforme natura regneranno comunemente
nella città sì nelF estate che nelP inverno, e quali sof-
frire dovrà ciascun abitante pel diverso modo di vivere.
Imperocché col porsi al fatto dei diversi cambiamenti
delle stagioni , del sorgere o tramontare degli astri e
del modo con cui tutto ciò succede, egli saprà qual sia
per essere la costituzione del futuro anno. Così , inda-
gando e prevedendo le opportune circostanze de' tem-
pi, perverrà a conoscere quanto in particolar modo
importa a ridonare a molti la salute ed a battere la
medica carriera colla maggior gloria (2).
VII. Se ad alcuno queste indagini (3) sembrassero
frivolezze meteorologiche , quando altrimenti rifletta,
12$
ben s'avvedrà, che l'astronomia (4), lungi dall'essere
inutile alla medicina, assai invece le giova } giacché lo
stato del ventre cangiasi con quello delle stagioni (5).
Vili. Ora vengo ad esporre minutamente il modo
con cui far debbansi le singole ricerche, che ho sin qui
indicate.
CAPITOLO II.
DEI CLIMI (6).
IX. Qualunque città trovasi esposta a caldi venti ,
che spirano cioè tra 1' oriente ed occaso invernali , ed
anzi ha tali venti famigliari non provando que' di set-
tentrione^ abbondanti ha le acque, però salmastre e su-
perficiali , onde calde nella state e fredde nell' inverno.
Esse sono contrarie alla salute dell' uomo , e cagionare
gli devono diverse malattie (7).
X. Ivi una ferita, per qualunque cagione sia avve-
nuta , facilmente si cangerà in ulcera corrodente (8).
Allorché il verno è freddo quelli abitanti hanno la te-
sta umida e piena di pituita : e questa pituita scarican-
dosi sul ventre frequentemente lo disturberà. Per la
maggior parte sono essi senza forza , mangiano e be-
vono poco, e siccome hanno debole la testa, sopportar
non possono il vino, il cui eccesso generalmente è loro
in ispecial modo dannoso (9).
XI. Circa alli mali ivi volgari , le donne sono in-
fermicce, e soggette a perdite uterine 5 molte sono ste-
rili piuttosto per malattia che per natura , o frequen-
temente abortiscono.
XII. Li fanciulli vengono presi da convulsioni , e
Snir aria , ecc. Trattato. 9
i3o
dall' asma, malattie che attribuite essendo alla divinità
furon dette sacre (io).
XIII. Gli uomini sottoposti sono alle dissenterie ,
alle diarree, alle epiali (i i), alle febbri lunghe d'inver-
no, a molte epinittidi (12) ed alle emorroidi ; di raro
invece alle pleuritici , alle peripneuraonie (i3), alle feb-
bri ardenti, ed a quelli che diconsi morbi acuti, né per
verità regnare possono simili mali ove il ventre è rila-
sciato.
XIV. Ivi nascono pure le oftalmie umide, né gravi
né lunghe, quando domini una malattia epidemica (i^)
prodotta da cambiamenti di stagione. Allorché sono
scorsi li cinquant' anni si generano catarri al cervello
che rendono gli uomini paraplettici ogni qualvolta che
repentinamente espongano il capo al sole o al freddo.
Tali sono le malattie particolari agli abitanti delle dette
città, i quali pur anche partecipano a quelle generali
prodotte da'cambiamenti di stagioni.
XV. Per le città che sono situate al contrario di
quanto or si disse, e che abitualmente ricevono li venti
freddi che soffiano tra il levante ed il ponente estivi ,
e trovansi riparate dai venti umidi e caldi , notasi per
esse ciò che segue. Primieramente le acque vi sono dure
e fredde, e difficile è renderle migliori.
XVI. Per necessità gli uomini esser devono robusti
e secchi. In generale la parte bassa del loro ventre è
costipata, ed umida invece la superiore. Sono essi piut-
tosto biliosi che pituitosi. Hanno la testa sana e fer-
ma, e disposti sono alla rottura de' vasi.
XVII. Le malattie che regnano epidemiche tra di
loro sono le pleuritidi e tutte quelle, che acute si chia-
mano, e non altrimenti avvenire deve per chi ha I' alvo
duro. La più piccola causa spesso ba^la per dar luogo
i3i
a suppurazioni polmonari , ma la principale sta nella
tensione del corpo e nella durezza del ventre. Dalla ri-
gidità, del corpo congiunta colla freddezza delle acque
deriva il facile rompersi de' vasi. Gli uomini di tale tem-
peramento mangiano molto e bevono poco ; poiché non
è possibile sieno nel medesimo tempo grandi mangia-
tori e grandi bevitori (i5).
XVIII. Le oftalmie si manifestano di quando in
quando, pertinaci però e sì forti da cagionare rottura
dell' occhio. Quelli che giunti ancora non sono all' età
di trentanni provano nelP estate forti emorragie nasa-
li } e li morbi che diconsi sacri se di rado si mostra-
no, sono per altro veementi.
XIX. E ben naturale che questi uomini vivano più
lungamente } che le ulceri in essi non sieno né bavose, né
facili a dilatarsi : e che abbiano costumi più rozzi che
dolci (16). Tali sono le malattie proprie agli abitanti di
dette città, soffrendo eglino però ugualmente quelle che
dipendono dalli cambiamenti delle stagioni (17).
XX. Delle donne molte diventano sterili per le acque
dure , crude e fredde. Nou hanno purghe mensili facili,
ma scarse e di cattiva qualità. Partoriscono in oltre con
difficoltà, e di rado si sconciano. Quando poi siensi
sgravate, nutrire non possono il neonato, poiché la du-
rezza e crudità delle acque estinguono in esse il latte.
Al parto frequente seguono le tisi , poiché gli sforzi
ragionano stirature e rotture.
XXI. Ne' fanciulli, quanto più teneri sono, meglio
comparisce 1' idropisia dello scroto , la quale va dissi-
pandosi coli' avanzare dell' età. In questi paesi tarda è
la pubertà (18).
Così stanno le cose circa li venti caldi e li freddi ,
e circa le città che loro sono esposte.
102
XXII. Ora dirò delle città le quali rieevono li venti
che soffiano tra il levante estivo e V invernale , e di
quelle che trovansi in opposta situazione. Le città ri-
volte all' oriente devono per natura essere più salubri ,
di quelle che guardano al nord, e delle altre esposte ai
venti caldi, quand' anche queste città non fossero tra di
loro distanti che un solo stadio. In prima perchè più mo-
derato vi è tanto il calore che il freddo, indi perchè le
acque delle sorgenti percosse dal levare del sole sono
necessariamente limpide , senza odore , molli e grate a
bersi , venendo elleno corrette da1 nascenti raggi del
sole , soliti a dissipare la nebbia che d' ordinario in-
gombra 1' atmosfera alla mattina.
XXIII. Gli uomini hanno un colorito più vivace e
florido a meno che qualche malattia si opponga. La
loro voce è chiara (19) , e sono più dolci e perspicaci
che non quelli delle città esposte a settentrione. E così
pure tutto ciò che ivi nasce è migliore.
XXIV. La moderazione del freddo e del caldo fa
che le città così poste abbiano una temperatura di pri-
mavera. Ivi le malattie sono in minor numero , meno
forti , e simili a quelle dominanti nelle città esposte a
venti caldi. Assai feconde vi sono le donne, e facilmente
partoriscono.
Anche per questi luoghi si è detto come slieno le
cose.
XXV. Le città rivolte ad occidente , che son ripa-
rate da venti di levante e appena tocche sì da quelli
boreali che dagli australi, devono per necessità essere
insalubri al sommo. Primieramente le loro acque non
sono limpide , poiché i vapori che per lo più di mat-
tina ingombrano V aria , s' immischiano con esse alte-
randone la trasparenza, ne possono sentire il beneficio
i33
del sole se non quando è molto innalzato sull' orizzonte.
In secondo luogo nel mattino d' estate spirano freschi
venticelli, e cade rugiada } e quando poi il sole verge
all'occaso riscalda eccessivamente gli abitatori. Dal che
avvenir deve eh1 essi sieno pallidi , infermicci e soggetti
a tutte queìle malattie che rammentate si sono, senza
che alcuna sia loro particolare. Hanno la voce bassa e
rauca per l'aria sovente impura e malsana} non è que-
sta agitata dalla forza de' venti settentrionali ch'ivi non
si fanno sentire, mentre quelli che dominano continua-
mente sono umidissimi e tali infatti esser devono gli
occidentali.
XXVI. La temperatura delle città, che sono così espo-
ste, è analoga a quella dell'autunno per le alternative
che in essa avvengono si alla mattina che alla sera.
Così stanno le cose rispetto ai venti salubri ed a
quelli che non Io sono.
CAPITOLO III.
DELLE ACQUE.
XXVII. Ora vengo a dire delle acque, quali sieno
cioè le sane e quali le nocive , e quanto di bene e di
male nascere può dalle medesime, grande essendo l'in-
fluenza loro sulla salute.
XXVIII. Le acque paludose, stagnanti e non smosse
per necessità divengono nell'estate calde, dense e puz-
zolenti. Scaricantisi non mai, ma accresciute dalle piog-
ge e continuamente riscaldate dal sole , alterare si de-
vono pel calore , farsi cattive e proprie ad accrescere
la bile. Nell'inverno invece, dalle nevi e dal ghiaccio
rese freddissime e torbide, generano pituita e raucedine.
i34
XXIX. A chi ne beve sempre si fa la milza grossa
e pesante , il ventre duro , teso e caldo , le spalle , il
collo e la faccia assai dimagrano. Le carni diminuiscono
a spese della milza, onde la emaciazione. Tali indivi-
dui assai mangiano e bevono. Ed hanno talmente secca
tanto la parte superiore, quanto la inferiore del ventre,
che de1 più forti rimedi abbisognano (20). Da tale ma-
lattia sono eglino affetti sì nelF estate che nelF inverno.
XXX. Seguono poi le idropisie raicidialissime. Poi-
ché chi fa uso di quelle acque vien preso ripetutamente
nelF estate da dissenterie , da diarrea e da febbri quar-
tane lunghissime , e queste finiscono col render idro-
pico e dar la morte (21). Ecco le malattie ivi comuni
nelF estate.
XXXI. Neil' inverno poi le peripneumonie e le af-
fezioni maniache colpiscono i giovani, come le febbri
ardenti i vecchi per F alvina costipazione.
XXXII. Sono le donne soggette agli edema ed alle
leucoflemmasie. Con difficoltà concepiscono e partori-
scono. I bambini eh' esse danno alla luce da principio
sono grossi e tumidi , indi coli' alimentarli dimagrano
e si fanno peggiori. Né le purghe dopo il parto sono
quali essere devono.
XXXIIL Le ernie sono famigliarissime ai fanciulli,
come le varici e le ulceri delle gambe agli uomini, do-
tati questi di tale natura non possono trarre lunga la
vita , ma presto loro sopraggiunge la vecchiaia.
XXXIV. Inoltre avviene, che le donne credonsi in-
cinte , e quando è giunta F epoca del parto , il volume
del ventre sparisce, giacché tal pretesa gravidanza con-
sisteva nelF idropisia dell' utero.
Simili acque sono da me tenute per cattive sotto
qualunque aspetto.
i35
XXXV. A queste per mala qualità tengono dietro
quelle altre che scaturiscono sia dai sassi (22) ( per ne-
cessità essendo allora dure), sia dal suolo ove trovatisi
acque calde , sia da quello che racchiude ferro , rame,
argento, oro, zolfo, allume (23), asfalto o nitro (24),
sostanze tutte generate dal calore. Le acque uscendo
da terre siffatte non possono essere buone , ma bensì
dure e riscaldanti \ diffìcilmente passano per orina e
piuttosto generano stitichezza.
XXXVI. Le acque migliori sono quelle che sorgono
da' luoghi eminenti e da colline di terra: poiché sono
grate al gusto e chiare : e sopportar possono una pic-
cola quantità di vino. Trovansi calde nelP inverno e
fredde nell' estate uscendo da profondissime sorgenti.
Grandemente sono poi da lodarsi quelle che derivano
da fonti esposte a levante e specialmente al levante e-
stivo : poiché sono per necessità più limpide , prive di
ogni cattivo odore e leggiere.
XXXVII. Tutte le acque salse, crude e dure non
sono buone a beversi , v'hanno però alcuni tempera-
menti e certe malattie , ove queste acque convengono.
E di queste fra poco dirò. Ecco ciò che resta a notarsi.
XXXVIII. Le acque migliori sono quelle le cui sor-
genti guardano il mezzo tra i punti , da' quali nasce il
sole : seguono le altre che scorrono verso 1' oriente e
verso T occaso estivi, ma inclinano di più al primo
punto: tengono il terzo luogo le nascenti tra il ponente
estivo e l'invernale. Peggiori di tutte sono le acque ri-
volte al vento di mezzodì , come pure le altre che na-
scono tra il levante ed il ponente invernali, e di queste
assaissimo cattive quelle che sono affatto esposte ad au-
stro , meno se tendono a settentrione.
XXXIX. Circa Fuso delle acque:, chiunque è sano
i36
e robusto bever deve senza distinzione alcuna quelle clic
ha. Che se a cagione di malattia sceglier gli è d' uopo
l'acqua a lui più conveniente, osservando quando se-
gue , acquistar potrà perfetta salute.
XL. Coloro che hanno il ventre duro , e sono di-
sposti alle infiammazioni, troveranno vantaggiose le a-
cque dolcissime, leggierissime e limpidissime. Invece le
acque durissime, crudissime e salmastre meglio conver-
ranno a chi ha il ventre molle , umido e pituitoso, po-
tendo in tal modo perdere 1' umidità.
XLI. Imperocché tutte le acque che meglio servono
a cuocere, e sono assai molli devono pur essere molto
opportune a sciogliere e tener lubrico il ventre, mentre
che le crude e dure e che non corrispondono alla cot-
tura Io rendono costipato e secco.
XLII. E circa le acque salse , per difetto d' espe-
rienza ingannati vivono coloro, che le riguardano come
purganti e solventi } giacche infatti si mostrano contra-
rie al rilasciamento ed al secesso. Crude essendo e poco
atte a cuocere stringono piuttosto che sciogliere il ven-
tre. E ciò è quanto riguarda le acque di sorgente (25).
XLIII. Ora vengo a dire di quelle di pioggia e
delle altre, che dalla neve si hanno (26). Sono le prime
tra le acque tutte le più leggiere , le più dolci , le più
sottili e le più limpide, poiché il sole estrae ed innalza
ciò che è più tenue e leggiero (27). Nel sale se uè ha
la prova. La parte salsa rimane, attesa la sua densità e
il suo peso, e così formasi il sale, tratto a se avendo il
sole, quanto eravi di più tenue e leggiero.
XLIV Nò il sole leva soltanto la parte più sottile e
leggiera alle acque delle paludi, ma altresì a quelle del
mare, non che ai corpi che contengono umidità, e ve-
lì?
rnmenle nessuno uè privo. E finalmente anche agli
uomini toglie qualunque più tenue e leggiero umore.
XLV. Serve a ciò di valida conferma l'osservare ,
che ogni qualvolta alcuno siede o cammina coperto dalle
vesti , le parti a nudo esposte al sole non mostransi
bagnate, poiché il sole quanto compare di sudore tutto
a sé attrae. Quando in vece accade che promovendosi
e spremendosi bensì il sudore dal sole , ma impedendo
le vesti o altra cosa che quello sia da questo dissipato
1' uomo trovasi inumidito. E così s'egli passa all'om-
bra, il suo corpo tutto vedrassi coperto di sudore, poi-
ché cessata è I' azione del sole.
XLVI. Per la stessa cagione i' acqua di pioggia è
la più pronta a guastarsi e prender cattivo odore , ri-
sultando ella di un miscuglio d' altre sostanze non può
a meno di passare alla corruzione.
XLVII. Tutti gli speciali vapori dopo essere stati dal
sole attratti ed innalzati , immischiansl coli' aria , che
seco ovunque li trasporta. Allora la parte loro più tor-
bida ed opaca si separa e forma aria e nebbia } mentre
il restante più sottile e più leggiero rimane , e nelP es-
sere riscaldato e cotto dal sole diviene dolce : ciò che
accade per qualunque altra sostanza , quando venga
cotta.
XLVIII. Sino a che queste parti sottili e leggiere
sono disperse senza avere ancora acquistata alcuna con-
sistenza esse continuano a portarsi verso le regioni su-
periori. Quando poi da venti tra loro contrarli sieno ra-
pidamente insieme raccolte e strette, si rompono in
quella parte dove trovansi maggiormente addensate. E
ciò specialmente succeder deve ogni qual volta che nubi
spinte da vento impetuoso ad un tratto vengono ri-
spinte da altre nubi pur elleno urtate da un vento op-
j38
posto. Allora quelle che precedono acquistano densità,
densità che fassi maggiore per altre nubi, che tengono
dietro. In tal modo cresce la loro massa, e fattesi nere
per il peso si rompono e precipitano in pioggia. Que-
ste acque esser devono le migliori. Hanno però bisogno
di essere colte e purgate , altrimenti prendono cattivo
odore e cagionano raucedine ed abbassamento di voce
a chi ne usa.
XLIX. Le acque che si ottengono dalla neve e dal
ghiaccio sono tutte cattive (28), giacché dopo aver esse
avuta forma concreta , non ricuperano più le naturali
loro qualità. Dissipato essendosi quanto vi era di lim-
pido, di leggiero e di dolce, non resta che la parte più
torbida e pesante.
L. Ciò potrai verificare nel modo che segue. Se,
riempito un vaso di una daia quantità d'acqua, lo
esporrai in tempo d' inverno all' aria aperta onde per-
fettamente quella si geli, indi lo porterai in luogo caldo,
onde il ghiaccio completamente si fonda, misurato che
avrai il liquido ottenuto, lo troverai in minor quantità.
Prova questo fatto (29) che colla congelazione, quanto
v' ha di più leggiero e di più tenue si svolge e perde ,
ciò che accadere non può della parte più densa e grave,
la quale restar deve. E per tale ragione che pessime
sotto ogni aspetto io giudico le acque risultanti dalla
neve o dal ghiaccio, o quelle che loro sono analoghe.
Ecco dunque come stanno le cose circa le acque di
pioggia, e circa le altre, che dalla neve e dal ghiaccio
si ottengono.
LI. Vanno assai soggetti alla pietra , alla malattia
de' reni, alla stranguria, all' ischiade ed alle ernie co-
loro che bevono ogni sorta di acque, quelle di fiume, in
cui altre si scaricano, quelle di paludi formate da riga-
i3c)
gnoli eli molte e diverse acque, e quelle che non da vi-
cina, ma da lontana sorgente derivano.
LII. Poiché egli non è possibile che tali acque
tutte sieno di un eguale natura. Ma le une essendo
dolci altre salse ed alluminose , ed alcune uscendo da
luoghi caldi, se insieme immischiatisi tra loro , respin-
gonsi, e quella che è più potente la vince. Nò sempre
la stessa è la più forte, or 1' una or l1 altra riesce tale.
A questa dà forza Borea, a quella Austro, e così dicasi
per altri venti. Le acque di cui si parla devono per ne-
cessità deporre fango ed arena ne' vasi ove stanno, e a
produrre in chi ne beve le malattie che ho accennale.
Perchè poi ciò non avvenga in tutti gli uomini ora verrò
a dire.
LUI. Coloro, che hanno il ventre libero e sano, la
cui vescica non è riscaldata, ne il di lei collo molto ri-
stretto, orinano facilmente} e nella vescica non possono
farsi concrezioni. In quelli che in vece, ne' quali il ven-
tre è ardente, deve per necessità anche la vescica di-
venir tale, e se questa trovasi riscaldata più che natura
il comporta, anche il suo collo devesi infiammare. Al-
lora non si scaricano le orine, ma trattenute si cuocono
e riscaldano, ciò che per altro di più tenue si trova in
esse viene separato , e la parte più dura passa ed esce
coli' orina, quanto invece v,' ha di più denso e torbido
si raccoglie e si rappiglia in leggier grado da prima, po-
scia in maggiore. E questa concrezione aggirandosi nel-
1 orina , ciò che vi trova di denso a sé stessa adatta ,
e così ingrossa ed acquista durezza.
LIV. Neil' atto di doversi evacuare T orina , quel
corpo spinto da questo fluido al collo della vescica ne
impedisce la uscita e desta dolore veemente. Per tal
motivo li fanciulli affetti da pietra fregano e stirano la
l/|0
verga, loro sembrando stare In essa la cagione della
difficoltà di orinare.
LV. Uria prova poi dell' essere veramente la cosa
come veniamo di esporla sta in ciò , che li calcolosi
scaricano orine limpidissime simili al siero di latte, re-
stando, e facendosi concreto quanto v' ha di più spesso
e di più torbido. Ecco in qual modo molti divengono
calcolosi.
LVI. Sì genera pure la pietra ne' bambini se il latte
non è salubre, ma calido e bilioso , imperocché questo
riscaldando assai il ventre e la vescica , fattasi ardente
l'orina, si generano pietre. Ed io ritengo essere meglio
dare ai fanciulli il vino assai diluto con acqua , perche
meno riscalda e secca le vene.
LVII. La stessa cosa non avviene nelle donne ,
nelle quali 1' uretra è più corta , più larga, e più facil-
mente l'orina si scarica. Elleno non fregano le parti
sessuali come fanno li maschi, né toccano la estremità
dell' uretra che si apre tra le pudende. Essendo poi in
esse li condotti dell' orina più ampj bevono più che li
fanciulli. Così adunque su questo argomento stanno le
cose, o almeno da quanto si è detto molto non si di-
scostano.
CAPITOLO IV.
\
DELLE STAGIONI.
LVIII. Circa gli anni poi , mediante 1' osservazione
giungere potrassi a conoscere quale di essi sia per es-
sere salubre e quale morbifero (3o). In fatti se li segni,
che accompagnano il levare e il tramontare degli astri
saranno quali esser devono, se pioverà in autunno, se
,4.
moderato sarà V inverno, cioè ne mollo dolce, né oltre-
modo freddo, e se nella primavera e nell'estate ca-
dranno a suo tempo le piogge, l'anno esser dovrà sa-
luberrimo.
LIX. Se in vece sarà 1' inverno secco e boreale ,
la primavera piovosa ed australe, per necessità 1' estate
seco trarrà febbri ed ottalmie. E veramente se ad un
tratto comparisce il caldo, e se la terra è molle per le
piogge di primavera e pel dominare dell'austro, forza
e che il caldo si raddoppii tanto per 1' umido calore del
suolo, che per 1' ardore del sole. Allora il ventre sarà
rilasciato, come il cervello zeppo di umori , poiché tale
essendo la primavera non può a meno di accadere, che
il corpo e le carni per 1' umidità acquistino lassezza.
Così le febbri saranno generalmente acutissime, ma più
per li pituitosi , e le dissenterie assaliranno le donne
non che gli uomini di un umidissimo temperamento.
Queste malattie saranno brevi in un'estate secca, più
lunghe in una piovosa.
LX. Che se col levarsi della Canicola compariscono
piogge e temporali, e spirano i venti etesii , sperare si
può che cessino tali malattie e che 1' autunno possa es-
sere salubre. Ma se 1' opposto avviene, è a temersi che
elleno sieno fatali ai fanciulli , ed alle donne piuttosto
che alli vecchi, e che si cangino ( per coloro che sfug-
giranno alla morte) in febbre degenerante poi in idro-
pisia.
LXI. Se l' inverno sarà australe, piovoso e dolce, e
la primavera boreale, secca ed aspra, avverrà da prima
che le incinte, le quali in questa ultima stagione do-
vranno sgravarsi, facilmente si sconcino} che se poi a
giusto termine partoriscano, i bambini saranno deboli ed
i4*
infermicci, onde o tosto muoiano, o vivano magri, de-
boli e malsani. Così sarà per le donne.
LXII. Una tale costituzione cagiouerà agli altri in-
dividui dissenterie , ottalmie secche ed a qualcuno al-
tresì catarro, che dal capo passerà al polmone. Proba-
bilmente saranno presi da dissenteria gli uomini flem-
matici e le donne , pel loro umido temperamento ab-
bassandosi dal capo li catarrali umori. Quando in vece
per il calore e la secchezza delle carni saranno li bi-
liosi esposti alle secche ottalmie. Nei vecchi abbonderà
il catarro a cagione della tenuità e rilasciamento delle
loro vene, e così gli uni saranno colpiti da morte im-
provvisa , altri da paraplegia in questo o in quel
lato (3i).
LXIII. Ogni qualvolta che ad un inverno australe,
piovoso e caldo, durante il quale né il corpo ne le sue
vene non hanno potuto rinserrarsi, tien dietro una pri-
mavera boreale, secca e fredda , il cervello che espan-
dere si doveva e spurgarsi dal catarro del naso e delle
fauci, si addensa e stringe. Che se avviene poi che li
calori dell' estate lo trovino in quello stato, un tal bru-
sco cambiamento deve produrre le summentovate malat-
tie, alle quali finalmente tengono dietro le lienterie e
le idropi per la difficoltà che il ventre prova ad essic-
carsi.
LX1V. Se 1' estate è piovosa ed australe, né diverso
sia P autunno, il seguente inverno sarà necessariamente
morbifero. GP individui d' un temperamento flemmatico
e quelli che avranno passata V età di quarant' anni sa-
ranno presi da febbri ardenti, e li biliosi poi da pleuri-
tidi e da peripneumonie.
LXV. Se ad un' estate secca e boreale lien dietro
un autunno piovoso ed australe: nel prossimo inverno
i43
si manifesteranno cefalalgie e sfaceli del cervello (32),
catarri del naso e delle fauci , tossi , ed in certuni le
tisi.
LXVI. Ma se l'autunno è boreale e secco, e non
sienu cadute piogge né al levare della Canicola , né a
quello d'Arturo , tale costituzione sarà favorevole alli
temperamenti flemmatici ed alle donne, mentre riuscirà
infestissima?alli biliosi, poiché, troppo disseccandoli, loro
produrrà ottalmie secche , febbri acute e croniche ,
non che in qualcuno le melanconie.
LXVII. La parte più liquida ed acquosa della bile
e del sangue consumandosi, e rimanendo la parte più
densa ed acre, forz'è che succedano tali malattie ne'
biliosi, mentre che un tale stato sarà favorevole ai flem-
matici, giacché si disseccano e giungono all'inverno non
pregni, ma privi di umidità.
LXVIII. Chiunque tutto ciò farà oggetto di sua
considerazione prevedere una gran parte degli effetti ,
che saranno per avvenire da tali mutazioni.
Bisognerà aver molto riguardo alli principali cambia-
menti delle stagioni, onde in questi non somministrare
rimedi con troppa facilità, ne portare il taglio o il fuoco
in vicinanza del ventre , quando non sieno scorsi al-
meno dieci giorni da quelle epoche.
Pericolosissimi sono i due solstizj, e più l'estivo. Pe-
ricoloso è sì l'uno che l'altro equinozio, e più l'au-
tunnale.
LXIX. Grande alterazione aver si deve al levare
degli astri e della Canicola principalmente. E così al
tramontare di Arturo e delle Plejadi. Imperocché egli è
specialmente in questi tempi , che certe malattie pro-
vano le crisi (33). Alcune terminano colla morte, altre
'44
cessano, ed altre in fine cangiansi in mali di natura di-
versa.
LXX. Le città, che sono in una felice esposizione
riguardo a Ili venti ed al sole e che hanno buone acque
meno soffrono dai cangiamenti de' quali si disse. Quelle
in vece che sono male situate, e che servonsi d1 acque
paludose e stagnanti soffrire ne devono.
Così vanno adunque le cose intorno a quanto si
trattò.
CAPITOLO V.
DELL' ASIA (34).
LXXI. Ora voglio presentare la differenza che tra
l'Asia e 1' Europa esiste in molte cose } e negli abitanti
così diversi tra loro nelle forme. Ma siccome troppo
lungo sarebbe il parlare di tutto, così mi limiterò a dire
di quelle cose, che io troverò più importanti, e che tra
loro maggiormente diversificano.
LXXI1. A mio giudizio adunque assaissimo differi-
sce l'Asia dall'Europa per la natura de' generi dalla
terra prodotti e per quella degli uomini. Nell'Asia ogni
cosa è più grande e più bella che in Europa, il clima
di quella è più mite , e gli uomini sono d' indole più
mansueta e dolce.
LXXIII. Ciò dipende dalla temperatura delle sta-
gioni, giacché l'Asia essendo posta ad oriente in mezzo
ai due punti del levare del sole, trovasi lontana dall'ec-
cesso e del freddo e del caldo. Ne l' incremento e la
bontà delle produzioni devono mancare dove niente vi
ha di eccessivo, ma regna in tutto una forza eguale.
LXXIV. Non però l'Asia dovunque è la stessa (35),
i45
Quella regione di lei posta tra il freddo e il caldo è
abbondantissima in prodotti del suolo e in alberi , è
d' aria dolcissima dotata non meno che d' acque sì sor-
genti che dal cielo derivanti. Il suolo non vi è abbrucia-
to da un ardente caldo, non dissecca per mancanza d'a-
cqua, né è leso dal rigor del freddo. Vi spira l'austro e
viene bagnato da molte piogge o dalle nevi.
LXXV. In tale regione a suo tempo maturar de-
vono molti {rutti forniti da piante nate da sparsi semi
o spontanee , ma deli' uomo trapiantate e rese dome-
stiche a proprio uso ! Il bestiame ivi meglio cresce , è
più fecondo e con facilità può allevarsi.
Gli uomini sono più complessi, più belli, di grande
mole , e sì nelle forme che nella statura tra loro non
molto disuguali.
LXXVI. Certamente che tale regione deve godere
di una dolcezza di clima simile a quella della più tem-
perata stagione dell' anuo. Ma dominare non potranno
nell' uomo la robustezza , V audacia , la tolleranza alle
privazioni ed al lavoro. Ivi costante non è l'amore, ma
prepondera la tendenza alla voluttà. Onde tanta varietà
nelle forme delle fiere. E ciò sembrami confermato da
quanto vedesi tra gli Egizj ed i Libj (36).
LXXVII. Riguardo a coloro che abitano alla destra
del levante estivo sino alla palude Meotide, limite del-
l'Asia e dell' Europa , stanno le cose nel modo se-
guente. Assai maggiore è la diversità che passa tra que-
ste genti, che non quella accennata tra le descrìtte, ciò
che dipende e dalla variazione delle stagioni e della na-
tura del paese.
LXXVIII. Ciò che è per la terra , avviene anche
per gli uomini. Ove assai forti e frequentissimi sono li
SulV aria , ecc . Trattato. io
■ 46
cambiamenti nelle stagioni , ivi il paese è agreste ed
assai ineguale ; ritroverai molti e selvosi monti tra le
pianure e i prati. Nelle regioni in vece, o nella tempe-
ratura non soffre sbalzi, anche il suolo è uguale.
LXXIX. Lo stesso è per gli uomini, se vi si rifletta.
Gli uni hanno una natura analoga ai paesi montuosi ,
coperti di boschi ed umidi. Gli altri a terre secche e
leggiere. Questi assomigliano ad un suolo paludoso o a
prati, e quelli a pianure aride e nude. Le stagioni colla
loro diversità cangiano la natura e la forma degli uo-
mini, e più quelle varieranno, ognor più. varie saranno
le forme di essi (3^).
LXXX. Tralasciando di parlare delle genti , tra le
quali questa differenza è poco sensibile , io dirò delle
altre, che o per natura o per le leggi o per le usanze ci
offrono notevoli diversità.
Comincerò dai Macrocefali , perchè nessun altro
popolo ha la testa alla loro eguale. Da principio non
fu che effetto di costumanza 1' aver essi la testa allun-
gata. Ora a ciò cospirano e la natura e la costumanza.
Uso è presso di loro il riguardare generosissimo chi
porta la testa assai lunga (38).
LXXXI. Appena un fanciullo ivi nasce, tosto colle
mani gli si comprime il capo, ancor tenero e cedevole,
sì che s'allunghi, ed aggiungono altresì lacci o partico-
lari ordigni onde si perda la forma sferoidale del capo
e sempre più acquisti in lunghezza. In seguito ciò, che
P arte faceva, la natura imitò. Né quella pratica divenne
più necessaria, trovandosi già naturalmente simile con-
formazione (39).
LXXXII. In fatti il seme emana da tutte le parli
del corpo, sano se dalle parti in istato normale, mor-
boso se da quelle che non lo sono (4o). Ora dunque
i47
se li calvi, gli occhiglauchi , e li contraffatti ( così pur
dicasi di tutti quelli, che deviano in altro modo dal-
l' ordinario ) generano figli simili a sé stessi , cosa im-
pedirà che gente a lunga testa produca gente a lunga
testa? Se per altro ciò non avviene al presente, n' è
cagione la trascuranza invalsa per quell' uso. Tale è su
ciò il parere mio.
LXXXIII. Ora degli abitanti lungo il Fasi (/fi). Il
loro paese è paludoso, caldo, umido ed ingombro da bo-
schi, in ogni tempo dell' anno vi cadono molte e fortis-
sime piogge , eglino passano la vita iu mezzo alle pa-
ludi e nell' acqua stessa piantano le loro case di legno
e di canne} di là poco s' allontanano per andare alle
città o ai mercati, ma con navicelle fatte d' un sol le-
gno salgono e discendono per li canali eh' ivi sono nu-
merosi. Bevono acque calde e stagnanti che il sole
putrefa e le piogge accrescono. Il Fasi va lentissimo e
più che qualunque altro fiume facilmente stagna. Li frutti
vi sono insalubri, sbiaditi e per la eccessiva pioggia im-
perfettamente maturi. Immerso è quel paese nella neb-
bia che sollevasi dalle acque (4a).
LXXXIV. Per questi motivi i Fasiani riguardo alle
forme diversificano da tutti gli altri uomini. Sono di
gran mole e grassi in modo che su di essi né le arti-
colazioni né le vene si scorgono. Il loro colore è gial-
lognolo non diverso da quello degli itterici ? hanno più
delle altre genti la voce bassa , siccome quelli che re-
spirano un' aria non serena, ma nebbiosa ed al sommo
umida. La natura loro è assai nemica alle fatiche.
Ivi le stagioni noti soffrono grandi mutazioni sia
pel freddo, sia pel caldo. I venti sono per lo più tutti
australi, se uno se ne eccettui proprio di quel paese, il
quale talora è molestissimo, violentiamo e caldo, ceri-
i48
chrona vien detto. Borea per loro non soffia, ma se ti
giunge è debole e leggiero. Tali sono le diversità che
passano tanto pel temperamento quanto per la forma
tra gli Asiatici e gli Europei.
LXXXV. Se gli Asiatici sono più timidi e molli, se
meno bellicosi, se più mansueti ne' costumi che gli Eu-
ropei, ciò è da attribuirsi specialmente alle stagioni, le
quali soggette non vanno a grandi cambiamenti sì pel
caldo che pel freddo , ma regnano uniformi. Per tale
uguaglianza 1' animo non prova forti scosse, né il corpo
quelle brusche mutazioni, che P uomo rendono pronto
all'ira e facile ad alterarsi nell'intelletto e nel calore.
I violenti passaggi in ogni cosa sono quelli che eccitano
la mente dell'uomo, e non gli concedono riposo.
LXXXVI. Per la mancanza di essi sono gli Asiatici
in generale imbelli (43), al che in oltre influiscono an-
che le leggi, trovandosi i loro paesi quasi tutti soggetti
ai re. E dovunque V uomo non ha garantita la persona,
nò è fornito di leggi proprie, ma è in potere di despoti,
ivi in vece di darsi alla guerra, procura di dimostrarsene
alieno, poiché li pericoli non hanno per tutti lo stesso
valore (44)-
LXXXVII. E in fatti se vengono mandati alla
guerra, ne sopportano ogni disagio , abbandonano mo-
gli, figlj e amici, perdono anche la vita , ma il bottino
col loro coraggio acquistato serve ad arricchire i loro
despoti , e ad aumentarne il potere. In oltre per le
guerre frequenti vedono gli abitanti restare incolto e de-
vastato il paese (4^). Così chiunque per anche vi si
trova coraggioso e intraprendente viene disanimato
dalla natura del governo.
LXXXVIII. A conferma di quanto ho detto viene
il fatto, che quelli tra Greci e tra li barbari (46) che
*49
non sono schiavi, ma leggi hanno proprie e lavorano
a profitto di sé medesimi , sono bellicosissimi , affron-
tando da sé i pericoli, ed a loro tocca il premio acqui-
stato col coraggio o la pena meritata colla viltà.
Tra gli Asiatici stessi però troverai molta differenza,
alcuni valorosissimi, altri vilissimi, il che provviene da-
gli accennati cambiamenti delle stagioni.
E ciò sia detto per l'Asia.
CAPITOLO VI.
LXXXIX. Tra le schiatte degli Sciti (47) che stanno
in Europa intorno alla palude Meotide , una ve n' ha
dalle altre diversa, quella de' Sauromati. Le donne loro
cavalcano, usano Parco, d'in su i cavalli lanciano gia-
vellotti , battendosi contro i nemici mentre ancora son
vergini, e sol dopo uccisine tre, perder possono il fior
verginale j né maritarsi prima di aver fatti i voluti sa-
grifizj. Poiché una giovane ha marito cessa di andare
a cavallo , fino a che però non la obblighi a prendere
le armi una generale spedizione (4^)-
XC. Quelle donne non hanno la destra mammella (49)?
perocché ad esse ancor bambine usan le madri abbru-
ciarla con rovente stromento di rame a tal uso fabbri-
cato (5o) ; onde così quella non crescendo , sviluppo e
forza maggiore acquisti il braccio.
XCI. Del resto gli Sciti sono tanto somiglianti tra
di loro, quanto diversi da tutti gli altri popoli} fenomeno
che pur ha luogo per gli Egizj , e parte da una eguale
cagione , cioè, che questi sono oppressi dal calore come
quelli dal freddo (5i).
1 DO
XCII, Ciò the dicesi deserto della Scizia consiste
in una grande pianura, alta, senza alberi , abbondante
di erba, discretamente umida, poiché le acque si get-
tano nei grandi fiumi che la solcano.
XCIII. Ivi stanno gli Scili, che chiamatisi Nomadi,
perchè non abitano case (Sa), ma su carri , de' quali i
più piccoli sono forniti di quattro ruote , e gli altri di
sei (53) 3* coperti essendo di feltro e composti di due e
sino di tre camere ben difese dalla pioggia , dalla neve
e dai venti , sono vere case. Tali carri sono tratti da
due o da tre paja di buoi , che non hanno corna a ca-
gione del freddo (54).
XCIV. Su di essi stanno le donne, e gli uomini ca-
valcano tenendo lor dietro in viaggio V armento di ca-
valli , buoi e pecore. Si fermano in un luogo sino a
eh' esso fornisce pastura al loro bestiame, quando man-
ca questa passano in altro. Mangiano carni cotte e be-
vono latte di cavalla (55) , con cui fanno altresì una
specie di formaggio , che dicono ippace (56). Tali sono
le usanze ed il modo di alimentarsi degli Sciti.
XCV. Ora delle stagioni e delle forme degli abitanti
della Scizia , i quali , come si disse, non altrimenti che
accade tra gli Egizj , hanno tanta somiglianza tra loro,
quanto differiscono da ogni altro popolo. Sono eglino
poco fecondi. Il loro paese ha pochi e piccoli animali ,
è posto sotto l'orsa e sotto i monti Rifei (5?), da'quali
soffia il vento borea.
XCVI. Il sole non vi compare che giunto al solsti-
zio d' estate e per breve tempo lo riscalda (58). 1 venti
che spirano da luoghi caldi vi arrivano o di rado e de-
boli o non mai, quelli invece che provengono dalla parte
dell' Orsa sono costanti e freddi per le piogge , le nevi
ed i ghiacci , che mai non abbandonauo que' monti.
i5i
Tutto ciò rende questa regione quasi inabitabile. Do-
mina quasi per tutto il giorno un'aria nuvolosa su quelle
pianure, e chi vi abita si trova immerso nell'umidità.
È quasi perpetuo V inverno, pochi giorni dura l'estate,
ed ha poca forza, poiché ivi non sonovi che alte e nude
pianure, le quali cominciano sotto l'Orsa e si stendono
innalzandosi sempre di più , senza essere cinte dai
monti.
XCVII. Non vi nascono grossi animali selvaggi ,
ma quali appena possono mettersi al coperto sotto terra.
L' inverno e la nudità del suolo obbligandoli a rifuggir-
visi. Le stagioni dell' anno hanno né molti , né forti
cambiamenti , ma uniformi decorrono. Perciò gli Sciti
serbano tra loro uguaglianza di forme. Si cibano e si
coprono nella stessa maniera sì in estate che in inverno.
Inspirano un' aria densa ed umida , e bevono V acqua
che risulta dallo sciogliersi del ghiaccio o della neve.
Sono neghittosi , poiché riè il corpo , né 1' animo può
darsi ad un esercizio nei paesi , dove le stagioni non
traggono seco forti cambiamenti (5g).
XCVIII. Per tali cagioni il loro corpo è grasso e
carnoso, le articolazioni deboli ed umide , lubrico è
tutto il ventre , ma specialmente l' infima di lui parte ,
né per verità il ventre può disseccarsi in un tal clima,
ed in uomini di tale temperamento.
XGIX. In riguardo alla pinguedine e per la man-
canza di peli gli uomini hanno un aspetto uniforme ,
come le donne s' assomigliano tra di loro (60). L'ugua-
glianza poi tra le stagioni fa sì che nel comporsi del
liquor seminale non avviene corruzione né vizio alcuno,
a meno che ciò non accada per accidente o per ma-
lattia.
C. Arrecherò una prova dell' umidità propria agli
l52
Sciti ed è questa : che la maggior parte di essi , e par-
ticolarmente quelli che diconsi Nomadi , applicansi il
fuoco alle spalle , alle braccia , ai carpi , al petto , alle
anche ed ai lombi , onde sottrarre 1' umidità e rime-
diare così alla naturale mollezza (61). E veramente e-
glino non potrebbero tendere 1' arco , né lanciare un
dardo a cagione dell' umidità e della debolezza delle
braccia , ma P abbruciatura togliendo dalle loro arti-
colazioni molto umore, queste s' invigoriscono ed i loro
corpi divengono più forti , e meglio nutriti.
CI. Gli Sciti sono nel corpo grossi e acquosi , in
primo luogo , perchè non stringono ( ciò che pur si fa
dagli Egizj) i bambini nelle fasce, e così li rendono più
atti a tenersi sul cavallo (62)} secondariamente inerte è
la vita. Sino a che li maschi non sono in istato di ca-
valcare stanno continuamente sui carri, e ben di rado
si mnovono co'proprj piedi per cagione de'giri continui
e delle trasmigrazioni che sono obbligati a fare. È sor-
prendente la natura floscia delle donne.
CU. Le genti scitiche sono di color fulvo (63), per-
chè se il sole non li ferisce , il freddo così li tinge ab-
bruciando la pelle (6/j).
CHI. Né la natura loro può essere prolifica, debole
è la tendenza degli uomini alP altro sesso , ed in fatti
il corpo umido , la rilassatezza e freddezza del ventre
devono spegnere la voluttà (65). Il cavalcare continuo
deve pur indebolirli e renderli meno atti alla genera-
zione. Queste sono le cause del non essere fecondi gli
uomini.
C1V. La grassezza e la umidità rende pur tali le
donne. La pinguedine otturando la bocca delP utero
impedisce che questo ricever possa Pumor seminale.
53
Hanno purghe mensili tarde e scarse. Sono grasse, date
all' inerzia , di ventre molle e freddo.
Per gli addotti motivi deve dunque la nazione scita
essere poco feconda.
CV. Una prova di quanto si è detto qui sopra per
Je donne scite si ha nelle schiave loro, le quali, appena
abbiano avuto commercio cogli uomini trovansi incinte,
il che avviene, perchè elleno ali1 opposto delle loro pa-
drone , sono magre e tengono il corpo in esercizio.
CVI. Vi sono in oltre nella Scizia molti, che diven-
gono impotenti j attendono questi alle faccende delle
donne, e ne hanno anche la voce e perciò chiamansi
anandri (66).
Gli Sciti riguardano Dio come cagione di tal feno-
meno, onde adorano e venerano quegl' infelici, ognuno
temendo simili disavventura.
CVII. Io per altro credo che quella malattia sia di-
vina come qualunque} e che le malattie non sono più
divine o più umane le une che le altre , ma tutte esser
divine } ognuna avendo una propria natura, ed essendo
effetto di cause naturali. Ora verrò a dire come a me
sembri avvenga una tale imperfezione (67).
CVIII. Lo star sempre a cavallo e l'aver sempre le
gambe a penzolone cagiona agli Sciti pertinaci dolori
alle estremità } se il male si aggrava , divengono zoppi
e le cosce si contraggono (68). Quando la malattia è
sul cominciare , nella seguente maniera si medicano.
Dall' uno e dall'altro lato aprono una vena dietro le
orecchie. Uscito il sangue , per la debolezza si addor-
mentano , e quando si destano alcuni trovansi guariti ,
ed altri no. A me sembra però che con tal rimedio
si guastino. Giacché sonovi delle vene dietro le orec-
,54
chie , le quali, se tagliate, inducono sterilità, e ciò
potrà avvenire agli Sciti, che parmi aprano tali vene.
CIX. Se poscia eglino s'accostano alle lor donne,
né soddisfar possono all' intento, da prima non si danno
pena , ma se per due , e tre o più volte i loro tenta-
tivi inutili riescono , credendo loro ciò accadere per
colpa contro Dio commessa , preso 1' abito femminile ,
apertamente confessano la loro impotenza, e s' acco-
munano colle donne, delle quali si danno ad esercitare
i mestieri.
CX. Da questa malattia per altro vengono presi i
ricchissimi tra gli Sciti , non la plebe. Poiché preva-
lendo quelli per nascita e per potere col continuo ca-
valcare ciò si procacciano} il che ne' poveri invece meno
avviene , come in quelli che poco stanno a cavallo.
CXI. Se poi una tale malattia venisse da Dio me-
glio che altre , essa non sarebbe propria soltanto dei
nobilissimi e ricchissimi tra gli Sciti , ma di chiunque.
Ed anzi maggiormente affliggerebbe i poveri, che non
fanno agli Dei quelle offerte , per le quali questi lar-
giscono beneficii. Quando invece i ricchi tributan loro
sagrifizj e doni , ben avendone il potere. Né solamente,
perchè questo manca, soglion i poveri offendere gli Dei,
ma coli' accusarli altresì della propria miseria. Sembra
adunqne che questi ultimi e non i primi portar doves-
sero una pena. Veramente, come dissi, quella malat-
tia procede dagli Dei come tutte le altre, ha una ca-
gione naturale, ed avviene agli Sciti nel modo indicato.
CXII. Anche altrove coloro che frequentemente o
di continuo cavalcano sono presi da pertinaci dolori
alle articolazioni, da ischiadi , da podagra e divengono
impotenti.
CXIII. A quanto si è detto , e che rende gli Sciti
meno degli altri uomini atti alla copula si aggiunge
eh1 essi portando sempre brache e stando per lo più
sul cavallo, non portano mai le mani alle parti sessuali.
Il freddo e la stanchezza poi fanno loro perdere il de-
siderio per le donne, e non osano porsi all'atto, che
fatti ben certi di non essere impotenti. Sin qui per ciò
che appartiene agli Sciti.
CXIV. Circa al restante degli Europei sono questi
tra loro assai differenti tanto per la corporatura , che
per 1' aspetto a cagione de' cambiamenti , che forti e
frequenti avvengono nelle stagioni. Intenso è il caldo e
pungenti gl'inverni; ora si ha grande quantità di piog-
gia, ed ora all'incontro una lunga siccità e molti venti.
Da tutto ciò poi seguono tante altre variazioni.
CXV. Ben è certo che la generazione dovrà va-
riare a norma della natura del liquor seminale che non
sarà eguale nell' estate o nell' inverno , nel tempo pio-
voso o nel secco. A tal circostanza io attribuisco il tro-
varsi tra gli Europei assai più che tra gli Asiatici una
diversità di forme e di struttura, diversità che scorgesi
sin anche tra gli abitanti delle singole città. Non puossi
negare che il seme nella sua composizione variar deve
maggiormente dove il clima è sottoposto a' cambia-
menti , che là dove è costante.
CXVI. La stessa cosa avvenir deve pe' costumi.
Tali variazioni fanno sì che gli Europei sieno per na-
tura aspri , insociabili ed impetuosi , inducendo le fre-
quenti scosse dell' animo la durezza nel cuore , e ban-
dendone la dolcezza e la trattabilità. Per lo stesso mo-
tivo li giudico più coraggiosi degli Asiatici. Quando le
stagioni sono sempre nell' uguale stato nasce 1' indo-
lenza, se invece si cangiano, il corpo e 1' animo acqui-
stano operosità. Cioè dal riposo e dalla pigrizia si gc-
i56
nera la timidezza , e dall' esercizio e dal lavoro il co-
raggio.
CXVII. E perciò gli Europei sono più bellicosi che
gli Asiastici, al che per altro influiscono le leggi. Non
sono quelli sottoposti a schiavitù come gli abitanti del-
l'Asia, e veramente in questo stato, come già ho detto,
i popoli devono essere timidi, poiché 1' animo loro op-
presso dal servaggio non permette eh' espongansi di
buona voglia ai pericoli per accrescere V altrui potere.
CXVIII. Gli Europei al contrario che godouo di
proprie leggi, affrontano pericoli per sé, con ardore vin-
cono li più forti ostacoli, poiché per loro vantaggio sono
i premi della vittoria. Tanto è vero che le leggi influi-
scono sul coraggio. In generale così stanno le cose ri-
spetto all'Europa ed all'Asia.
CXIX. Del resto 1' Europa stessa ha genti tra loro
ben diverse di forme e di coraggio. Le cagioni di ciò
sono quelle che di sopra ho esposte , e sulle quali mi
tratterrò anche più minutamente.
CXX. Coloro, che abitano un paese montuoso, aspro,
alto, asciutto e soggetto ad opposte variazioni di tempe-
ratura essere devono di struttura grande, atti alla fatica
ed alle intraprese, ma di natura selvaggia e fiera.
CXXI. Quelli in vece che vivono in luoghi bassi ,
erbosi, da calore dominati , e più a venti caldi, che a'
freddi esposti , e bevono tiepide acque , non sono di
corpo né alto né regolare, ma bensì grossi e carnosi,
di capelli neri, di una tinta più fosca che bianca, e più
abbondanti di bile, che di pituita. Per natura loro non
sono ardimentosi, né tolleranti delle fatiche, eglino però
cangiar si possono se le leggi vi concorrano. Che se nel
loro paese scorrano fiumi , li quali acque di pioggia e
paludose seco portino, di miglior colore e più sani sa-
it>7
ranno gli abitanti. Ma soffriranno al ventre ed alla
milza se, privi di fiumi, faranno uso di acque puzzolenti
e slagnanti.
CXXII. Gli abitatori di un paese alto, piano, umido
ed esposto ai venti sono alti di statura , tra loro somi-
glianti, di animo più dolce, ma meno coraggiosi.
CXXIII. Quegli altri in vece , che stanno su di un
suolo magro, privo d'acqua e nudo, dove temperati non
sono li cambiamenti delle stagioni, godono di forme più
pronunziate e robuste, di una tinta meglio al fulvo che
al nero tendente , e d' animo pertinace ed arrogante.
Adunque in que' luoghi ove dominano forti cambia-
menti delle stagioni sonovi altresì gli uomini tra loro
assai differenti tanto per la forma, che per il tempera-
mento e li costumi.
CXXIV. Le variazioni accennate sono le più po-
tenti cause della diversa natura degli uomini. Vi tien
dietro la qualità del suolo che loro somministra gli ali-
menti, indi quella delle acque. Così la forma e li co-
stumi degli uomini per lo più armonizzano con la qua-
lità del luogo che abitano.
GXXV. Ovunque il suolo è grasso, molle ed umido,
e le acque sono sì poco profonde che calde si abbiano
in estate e fredde nel verno ^dove regolari sono gli av-
vicendamenti della temperatura , ivi generalmente gli
uomini trovansi carnosi , non sviluppati nelle articola-
zioni, umidi, pigri e sovente d' animo cattivo. Inclinano
alla indolenza ed al sonno. A trattare le arti non sono
destri ed acuti, ma torpidi.
CXXVI. In un paese nudo, aperto, aspro, oppresso
ugualmente e dal freddo rigoroso dell' inverno e dal
caldo abbruciante dell'estate, saranno gli abitanti sec-
chi, forti ? di articolazioni pronunciate, nerboruti e pe-
i58
losi} per natura perspicaci, tolleranti del lavoro, pronti
all' ira, arroganti e pertinaci. Fieri più che mansueti ,
destri nelle arti , ed ottimi nel guerreggiare. In somma
tutto ciò che dalla terra deriva sentirne deve V in-
fluenza.
CXXVII. Ecco quali sono le forme e le nature
più opposte tra loro. Considerate queste, per induzione
non potrai ingannarli volendo giudicare delle altre.
ANNOTAZIONI
DEL TRADUTTORE
AL TESTO
(i) Onde offrire di quest' operetta una versione ita-
liana, per quanto spetta alla fedeltà , la migliore possi-
bile, ne ho consultate quasi tutte le edizioni , e tradu-
zioni spendendo molto tempo e non risparmiando pa-
zienza. Dietro le note tristi vicende, alle quali gli scritti
degli antichi e particolarmente poi quelli d' Ippocrate
furono soggetti (a), è facile il pensare come anche que-
sto trattato in diversi luoghi dovesse trovarsi alterato e
guasto (b). Io non ho voluto però né ingrossare ecces-
sivamente il volume , né tediare la maggior parte de'
lettori col riferire le varianti, e le opinioni particolari a
questi o a quelli circa la preferibile interpretazione di
alcuni passi , amando piuttosto inviare il curioso o il
malcontento alle ragioni svolte in varj modi e con
molta estensione dal Baldini, dal Settala, dal Foes, dal
Coray, dal Chailly e da altri all' ombra della cui auto-
fa) Sprengel. St. pramm. della medicina, t. II, p. 4°43.
(b) Fabiitii. BibL Giacca. Hanburg. 1730, t. 1, p. 845-
i6o
torità starà silenzioso il debole mio ingegno. Quanto a
me, ne casi dubbii, io non ho sprezzato i pareri di que'
traduttori, ma uon ho dimenticato di avere la mia dose
di criterio.
E stata mia intenzione l'offrire una fedele cognizione
dell'opera ed anche una precisa de' qualsiensi concetti
del Greco medico. Ho detto qualsiensi concetti, poiché
nessuno vorrà, spero, pretendere che ommettere o al-
terarne si dovessero certe asserzioni dell' autor mio, per-
chè non corrispondenti all' attuale maniera di essere o
di vedere li fatti, vale a dire , perchè non si accordano
le ossevazioni fatte ventitré secoli fa ed in altri paesi
a quanto si vede tra noi ed all' età nostra.
A vie più sostenere 1' assunto che il P. G. Rasori
si era prefisso nella sua prolusione sul preteso genio
d' Ippocrate (a) trasse egli in campo anche il nostro
Trattato, e da cose pure in questo, come in altre opere
dettate dal Vecchio di Goo, credette poter dedurre es-
sere questi presontuoso , venditore di merce vecchia e
non propria, storto osservatore , ignorante in fisica ed
anzi nei varj rami della medicina. Nelle annotazioni, che
io mi sono ingegnato aggiungere a questa versione , a
mancanza mi si attribuirebbe un silenzio e sul merito
della tesi rasoriana e su quello del sapere d' Ippocrate,
onde mi è d' uopo dire e su di uno e su dell' altro con
tutta imparzialità quanto sento.
Convengo benissimo , che quantunque il Medico di
Coo, a non dubitarne, abbia applicato d' assai la pro-
pria osservazione , non sia giunto però nella maggior
parte de' casi a sceverare le realtà dalle apparenze, a fis-
sare i veri rapporti delle cose, a valutare rettamente le
(a) Opuscoli di Medicina di G. Rasoi i. Milano, i83o, p. '226,
circostanze ed i fenomeni, ed a bene afferrare le cause
e gli effetti. E concedo che per ciò molte volte i fatti
riuscirono male interpretati e mal dedotte le conse-
guenze. Né mi rifiuto dal convenire che ben a torto
siasi a lui, come avvenne ad Aristotele nella filosofia ,
tributata per tanti secoli una troppo grande venera-
zione (a). Se poi egli è a compiangersi , che ciò siasi
fatto in epoche, nelle quali li mezzi di ogni genere man-
cavano allo svolgersi delle umane cognizioni , è poi a
farsi largo rimprovero, perchè siasi ancora proseguito a
citare ed a proporre ad imitazione li precetti d' Ippo-
crate (b) in un tempo in cui già le scienze, o perchè ri-
sorte o perchè create o perchè spinte infine molto in-
nanzi, tale luce avevano sparsa sulla fisica animale e
sulla medicina pratica , che le cose sotto ben altro
aspetto ed in un più ampio orizzonte venivano ad of-
frirsi. Sono per altro d' opinione , che le opere d' Jppo-
crate meritavano piuttosto un benigno esame, una pa-
ziente scella , una imparziale applicazione di un buon
raziocinio alla loro analisi, di quello che una continuata
e cieca adulazione : la quale però quantunque mostrasse
più ignoranza negli adulatori che nelP adulato, serviva
nullameno a tenere incatenato lo spirito de' giovani
medici, e ad imbeverli d'errori a grave detrimento de'
progressi della scienza e della pubblica utilità.
(a) DivinaSn non ex humano ore, progressas voces Hippo-
cratis esse putant. — Suidas ad voc. Hippocr.
[b) Baglivi. Prax. med. 1. I, e. 1, § 3. — E il de Haeu :
Hippocratis praecepta tanquam Apollinis oraculum. Rat. med.,
t. Vili, p. i3. — E così sotto il rapporto di cui ora parlo ,
non trovo che troppo soddisfacciano li Discorsi del prof. Puc-
cinotti intorno alla sapienza d' Jppocrate (Foligno, i83i).
SùlP aria , ecc. Trattato. i i
103
Egli è verissimo che troppo pochi furono quelli che
resero alla scienza il vantaggioso uffìzio di scegliere
il buono ed eliminare il cattivo nelle opere degli anti-
chi , non devesi però credere , come sembra risultare
dalle asserzioni di Rasori, che Bacone pel pi imo abbia
impugnato Ippocrate, poiché non sulle generali, ma ve-
ramente ove il caso lo esigeva lo stesso Galeno non
lasciò di mostrare ciò che del Medico di Goo era de-
gno di esser rigettato, e se molti simili, più della verità
che amici del greco medico, non vi hanno, certamente
vi ha il medico ungherese Michele Luigi [a) Senf detto
Sinapio, il quale ne' suoi Absurda vera , sive Parado-
xa medica ha un apposito trattato de vantiate, faìsitate
et tncertitudine aphorismoram Hippocratis (b). Esa-
mina egli e critica ad uno ad uno gli aforismi delle prime
quattro sezioni. Né in questo trattato soltanto , ma nei
due antecedenti egli aveva combattuto diversi priucipj
antichi : e p. e. che non erano veri elementi il fuoco ,
l'aria, I? acqua e la terra : che il caldo e il freddo, 1' u-
mido e il secco non sono le cause prime alle quali deve
aver rispetto il medico^ che assurdi e falsi sono gli umo-
ri e li temperamenti galenici \ che fondasi sopra inezie
la dottrina delle crisi ecc. E bensì vero che nella sua
critica egli ragionava da fanatico Paracelsista, ma non
manca però di dire delle verità a svantaggio della cieca
devozione ad Ippocrate. E il Rasori avrebbe , volendo
illuminare in questo argomento, dovuto far passo passo
lo stesso ragionando o da bronniano o da controstimo-
lista. Avrebbe dovuto porre in pratica quanto inse-
(a) Nou Angelo come V Mailer scrive. Bibl. mtd. , tom. IV,
pag. 98.
(b) Genevae, 1697.
i63
gnava a9 suoi scolari dieci anni dopo (b). che, cioè, sa-
rebbe stato d' uopo ad utile perfezionamento della rae^
« dicina d' investigare con sana critica : e cernire fran-
?? camente il poco che v' ha di reale dal molto che
» v'ha di chimerico nella storia dei fatti... additare le
» molte e vaste lacune , che pur rimangono a riempirsi
» nell' interrottissima serie dei fatti conosciuti. » Avreb-
be egli potuto benissimo rappresentare, come poche in
mezzo alle tante cose che Ippocrate e li suoi vicini se-
guaci hanno scritto ( e che tutte poi a quello comune-
mente soglionsi attribuire) siano veramente quelle che
corrispondano e reggano alle scoperte avvenute e alle
cognizioni in seguito acquistate. Era suo dovere il di-
mostrare che gli effetti topografici esposti dal Medico
greco, e che qui tra noi non si verificano, non avevano
pur luogo anche dove questi faceva le sue osservazioni.
Avrebbe dovuto far vedere, come gli antichi fossero su
certe cose all' oscuro ed anzi in errore. Ed a vantaggio
del secolo nostro, il quale, abbenchè assai tronfio, spi-
rerà senza aver tutti sciolti gli enimmi della natura, era
prezzo dell' opera il farci conoscere ciò che ritardò o
ritardare ancor potrà P avanzamento dell' arte medica.
Così fece il suo prediletto, e da tutti stimato Bacone sì
nella Prefazione, che nel libro J, § 77 e seg. del suo
Novum organum scientiarum. Esamina questi i tempi
e le circostanze, nota le cagioni del ritardato sviluppo
delle scienze e tra quelle annovera con assai fonda-
mento un' iudebita venerazione agli antichi : ma non
lascia egli però di conoscere e di far notare che assai
malamente chiamatisi que' tempi antichi, dovendosi in*
vece vedere in essi la gioventù delle scienze.
(a) Sul metodo degli studj medici. Opus. cit. pag. 291 .
i64
11 Rasori però nell' aver voluto mostrarci Ippocrate
ignorante in fisica ed in anatomia nel trarre conse-
guenze: e rappresentarcelo presontuoso ed ardito per-
chè abbia voluto parlare di ciò che non conosceva, Ra-
sori, dico, ha voluto giudicarlo reo di non avere vis-
suto a tempi quai sono li presenti, ne' quali l'arte di
ragionare, di osservare e di esperimentare è portata a
sì alto grado $ ne' quali la libertà d'indagare sul cada-
vere è sì ampia 5 ne' quali si sono conseguiti tanti ma-
teriali, felici frutti delle fatiche de' dotti. Le frasi di umi-
dità o essiccamento del cerebro, di bile, di pituita dice
il Clinico milanese, non istanno più bene se non in
bocca delV ignorante volgo: e ciò esclama come se Ip-
pocrate avesse pronuziate queste parole un' ora prima
eh' egli salisse la cattedra della Università pavese a
confutarlo. Altro si è il dimostrare che uno vide male,
o che errò, altro il pretendere che veder dovesse bene,
o non dire che la verità. Questa pretesa è tanto fuor
di luogo a' tempi nostri , quanto ai tempi d' Fppocrate
era lecito il dire degli errori. Poiché, cronologicamente
parlando , le verità e gli errori nelle scienze fisiche
sono relativi. Anni sono gli alcali erano principi sem-
plici, ora sono corpi composti. Ora il cloro è un prin-
cipio semplice, e da prima ritenevasi un acido. E per-
ciò saranno a trattarsi d' ignoranti que' primi chimici ,
che non videro come i secondi? In mezzo alle stupende
cose d'oggidì sull'elettricità, sul magnetismo, sulla luce
e sul calorico, chi sa che con maggior fondamento di
quello avesse il Rasori a riguardo d' Ippocrate, gridare
alcun potesse oh quanti errori si spacciano oggi su que-
ste materie ! oh quanto presontuosi sono quelli che
esperimentano e scrivono ! Tre secoli futuri e forse un
tempo molto minore dimostreranno che non del tutto
m
a torto alcuno avrà così esclamato. D'altronde poi, a
che togliere il merito di un'osservazione agli antichi,
perchè non hanno saputo darne una ragione, precisarne
la vera causa? Sarà sempre lodevole ed utile F osser-
vazione fatta da Ippocrate che certe acque non sono
atte a cuocere i legumi 5 anche senza ci abbia indicato
che la causa sta nella selenite che quelle contengono ecc.
Poiché adunque per una benefica luce l'intelletto
nostro trovasi di molto maggiori e più estese cognizioni
dotato, senza superbia come senza riguardo ai nomi, ai
tempi, alla nazionalità dobbiamo cercare di conoscere e
ripudiare gli errori sì d' Ippocrate che di chiunque al-
tro, non dimenticando la gratitudine dovuta loro per
ciò che ci hanno appreso e tramandato. Se il nostro
Medico, Aristotele, Teofrasto , Plinio ecc. , comunque
non sempre veritieri, non avessero esistito, le nostre co-
gnizioni non spazierebbero al certo per un sì vasto
orizzonte, né Sydenham, né Baglivi, né Linneo, né Buf-
fon, né Cuvier avrebbero potuto essi medesimi giungere
là dove la grata posterità li ammira. E parlando in par-
ticolare d'Ippocrate conchiuderò ch'egli dovrà sempre
riguardarsi come il primo tra i maestri nell'arte di os-
servare (a), ed il vero esempio da seguirsi in quest'arte
quanto difficile , altrettanto immensamente prolifica di
(a) « Sentire una stima per Ippocrate , rendere omaggio alla
sua superiorità, riguardarlo come il vero fondatore della medi-
cina d' osservazione, questo non è già credere, eh' egli abbia tutto
veduto, tutto osservato; questo non è adottare servilmente tutto
ciò che e stato pubblicato sotto il suo nome, ne ammettere cieca-
mente tutte le sue opinioni e i suoi principi nel trattamento delle
malattie. Quanti oggetti sono fuggiti alla sua sagacità ! Quante
proposizioni troppo generali da modificare, da ristringere ! ecc. »
Pinel F. Nosografia filosofica, trad. Palermo, 1816, t. I, j. 36,
m
Vantaggi nelle scienze cui si sa applicarla, ma che de!
resto^ dirò col Houdart (a) « fu tutto ciò eh' egli do-
veva essere per il tempo in cui visse, nel che si conviene
co' suoi apologisti, ma che bisogna guardarsi , che un
eccesso di ammirazione ci faccia vedere in lui ciò che
non vi si deve vedere. » Se ?' ha poi scritto del figlio
d^Eraclide, che servir possa di modello circa il modo
di osservare si è il presente , e ciò in grado eminente.
E portandoci noi col pensiero a tempi suoi è forza il
restare sorpresi dell'estensione delle viste dell' autore 9
e della quantità degli oggetti su quali posò la sua rifles-
sione.
(2) Forz' è che avvenga veramente ciò che Ippocrate
dice in questo paragrafo. In fatti potrà essere che al-
cuno, perchè favorito dal caso o dall' opinione pubblica
(non sempre eco del vero ) sembri , quantunque non
lo sia, al possesso delle necessarie cognizioni anche to-
pografiche per ben riuscire nella cura de' suoi amma-
lati, ma il pratico osservatore e conscenzioso non potrà
negare che passando egli ad un paese nuovo gli si of-
frirono sì nelle loro cause^ che nel loro aspetto assai di-
verse le malattie, e sensibilmente imbarazzata la cura,
quando in vece in altro luogo per la posseduta cogni-
zione del clima, del modo di vivere, del carattere ecc* ,
degli abitanti, più felice ed agevole gli sarà stato 1' e-
sercizio della professione.
(3) Mentre qui Ippocrate presenta gli elementi ezio-
logici , a* quali il medico deve rivolgere 1' attenzione
onde esercitare la pratica con vantaggio degli infermi e
della propria gloria, offre altresì allo statista ed ai ma-
gistrati lumi e cognizioni riguardo all' igiene pubblica
(a) Oper, cit.
167
e privata. Egli in somma ci dà quasi tutta 1' orditura di
una medica topografia : e moltissimi medici che già da
molto tempo cene andarono somministrando delle spe-
ciali, fu da questo scritto d' Ippocrate che ne assunsero
le prime idee , e che se lo proposero ad esempio. Era
però a sperarsi che al tempo nostro in cui un sì ampio
orizzonte scientifico ci è aperto innanzi, in cui Io spirito
di ricerca e di analisi si va tanto sublimando , in cui
questa specie di studj e di lavori emerse di un' impor-
tanza sì dimostrata per la salute e miglior essere de' po-
poli, al tempo nostro, dico, era sperarsi che coloro i
quali intesero offrirci statistiche o topografie mediche si
sarebbero meglio giovati dei lumi proprj di quest'opera ,
se li avessero congiunti colle cognizioni contemporanee.
(4) L1 astronomia che Ippocrate vede necessaria al
medico si è la cognizione de' regolari moti degli astri ,
e s' egli usa indicare questi in modo, come noi diremmo,
mitologico o figurato, cioè col sorgere della Canicola o
di Arturo, col tramonto delle Pleiadi ecc., si è bensì
per dinotare i grandi e periodici cambiamenti delle sta-
gioni, non già per alludere ad un1 influenza di que' se-
gni astronomici sulla terra, ad un'influenza che direb-
besi meglio astronomica , ad un' influenza in somma
diversa da quella a cui si riducono le variazioni occor-
renti nr Ilo stato dell' atmosfera. In fatti per li Greci
V equinozio di primavera indicava il cominciare di que-
sta stagione. La state loro era condotta dal levare delle
Pleiadi ed era divisa in due, la cui seconda parte prin-
cipiava col levare della Canicola, ossia il gran cane di
Tolomeo, e giorni canicolari erano quelli tra il il\ di
luglio e il 23 di agosto. Al sorgere di Arturo comin-
ciava T autunno , e quest' epoca , che era quella della
vendemmia al tempo di Galeno, precedeva di dodici
i68
giorni l'equinozio autunnale. Lo scomparire delle Pleiadi
indicava l'entrata nel verno.
Da quanto troviamo in Aristotele (de general, hu-
man.^ 1. IV, e. io), in Cicerone (de Diviniti 1. II), in
Orazio (1. II , Satir. 4, v. 3o ) , in Golumella (I. II ,
e. ic), in Palladio (1. II, e. 6), in Plinio ( H. N., 1. II,
e. 102, io4, 1. XVIII, e. 29, 32) e in Macrobio ( de
Somn.j Scip.) I. I, e. 19. — Saturn.,]. VII, e. 16) anti-
camente ritenevasi avere la luna una chiara influenza
sui vegetabili , sugli animali e sulT uomo. Anche Ga-
leno (de dieb. decr., e. 2. 3. 5. 6. 8) credette vedere che
li periodi critici delle malattie, ed il ritorno delle febbri
intermittenti in ispecial modo, fossero dipendenti dalle
rivoluzioni lunari. Pure ( se si eccettui la debole appa-
rizione in Roma del ciarlatano Cri nate ai tempi di Ne-
rone ) non fu che dopo le Crociate che 1' astrologia ,
ramo particolare della pseudo-filosofia orientale, si fece
entrare nella medicina (Sprengel, op. cit., t. IV, p. 201),
non potendosi di ciò incolpare nemmeno gli Arabi. Al-
lora i vaneggiamenti astrologici , come al presente gli
omeopatici , entrarono a formar parte umiliante della
storia della medicina. E siccome per tali superstiziose
dottrine astrologiche non potevasi intraprendere alcun
affare, non vestirsi, non viaggiare , non attaccar batta-
glia se non se ne aveva una guida in un astro, così an-
che in medicina, p. e., secondo Marsilio Ficino il sa-
lasso non poteva farsi che quando appariva una data
costellazione. Le fasi lunari dovevano dettare una tale
operazione, ed il tempo più opportuno si era allorché la
luna trovavasi nel segno del Cancro. Quando essa con-
giungevasi con Saturno toglieva l'attività ai rimedi e spe-
cialmente ai purganti. Certe pillole non potevansi pre-
parare durante la congiunzione di Giove con Venere.
169
Tali sciocchezze mediche si videro sostenute anche da
principi , come furono li Visconti di Milano ( Murat.,
Sciip. rerum, hai., v. XX, p. io 17 ). Nel sedicesimo se-
colo poi 1' astrologia fu riguardata come una scienza
vera ed utile. Ne furono gran professori, p. e., Davide
Herlich in Germania. Michele Nostradamus illustre me-
dico , astrologo , vaticinatore e profeta \ Antonio Mi-
zauld, Giovanni Carvin in Francia ; il Cardano, Tom-
maso Gianozzi, Clemente dementino, Giuseppe Rosac-
cio, Luigi Settala in Italia. In quel tempo slesso li me-
dici s' incaricarono della compilazione de' lunarj per
aggiungervi li pronostici sulle stagioni, e sulle malattie e
per segnarvi li giorni in cui farsi salassare. A vantaggio
del buon senso e della medicina, del pari che Avicen-
na, il quale aveva già fatto vedere ( Fen. II, Tract. l\,
e. 8 ) essere la dottrina di Galeno in questo proposito
poco conforme all'osservazione, anche il celebre Gio-
vanni Pico della Mirandola ed il cancelliere Gerson
( de erroribus circa artem magicam) combatterono tali
follie. Ad onta però che in seguito insigni medici, come
Tommaso Erasto , Francesco Valleriola , Luigi Mon-
della ed altri abbiano dimostrato V erroneità dell' astro-
logia, ed il Gassendi poi nel secolo XVII le abbia dato
l'ultimo crollo, e quantunque le ragioni addotte da per-
sone così autorevoli, gli avanzamenti dell' arte critica
e della logica, e le posteriori spregiudicate osservazioni
abbiano in generale distrutto il vergognoso impero, che
nelle epoche succitate aveva una tale pretesa scienza
nell' arte medica, pure per nostra umiliazione si videro
in questi ultimi tempi Darwin (Zoonom., t. Ili, p. 29)
ed altri ancora attribuire a certi fenomeni cosmico-
tellurici alcune malattie, che erano di troppo chiara
origine, nò ancora si vede affatto sradicata certa per-
suasione per V influenza del satellite terrestre nella pro-
duzione delle malattie, o almeno di qualche fenomeno
di esse.
Che la luna ed anche il sole abbiano un' azione
sulle acque del mare e specialmente su quelle dell' O-
ceano, per cui ne avvenga il flusso e riflusso , era cosa
conosciuta dagli antichi ( Plin., 1. II , e. go,. — Plu-
tarc. delle opinioni de"1 filosofi. — Strabon., I. Ili, e. 5 )
non ignorata da Dante , il quale cantò ( Parad., e. 16 )
E come 7 volger del ciel della luna
Cuopre ed iscuopre i liti senza posay
Così fa dì Fiorenza la fortuna ;
e dimostrata altresì da' più gran fisici e matematici mo-
derni (V. Belli. Corso eleni, di fisica sperai. I, p. 82),
ma che la luna eserciti tale azione sul uomo sano e in-
fermo è cosa aucor più mal fondata di quella, che dal
volgo si ritiene avere sui vegetabili (SulV infl. della lana
nella veget. del C. M. Leoni. Ann. di stat., ag. 183^,
p. 2,17)} e se Balfour , Réch. asiatiq. , t. Vili, p. 1 )
Sauvages, Mead, Lind. 1' ammisero riguardo alle malat-
tie specialmente ne' paesi equatoriali , vi fu chi la negò
apertamente da molti anni ( Ruschig. de lunae impe-
rio in valutidinem corporis humani nullo. Virtemberga,
1 787 ). E di fatti Deslandes trovandosi prefetto marit-
timo nei porti dell'Oceano di Rocheford e di Brest,
ove la marea essendo assai sensibile , forti effetti ana-
loghi si dovrebbero avere sul corpo umano, Deslandes,
dico , facendo attente osservazioni comparative sulle
malattie, che regnavano negli spedali trovò all' appog-
gio de' fatti statistici di potere rovesciare la supersti-
ziosa credenza nell1 influsso lunare.
Chi voglia prestar fede agli antichi storici, e natu-
I7.
raìisti ed ai poeti potrà ben trovarsi apparentemente
sussidiato, o, per meglio dire , posto in lusinghiera si-
tuazione per poter credere all' influenza degli ecclissi e
e delle comete sui corpi umani sì uello stato normale,
che patologico, non così sarà per chi voglia dimostrarla
appoggiandosi ai fatti nudi dai pregiudizi e da super-
stizione. A lode del vero e de' tempi nostri le aurore
boreali, certi altri fuochi o fenomeni nelP alto delP atmo-
sfera ( a quali secondo la loro Ggura , o la fantasia di
chi li osservava, davansi strane interpretazioni ), le co-
mete , gli ecclissi al presente danno più lavoro agli
astronomi, di quello che influiscano sul cervello del po-
polo, il quale con 1' animo da questi fenomeni per nulla
alterato con tutta tranquillità ad altre di maggiore van-
taggio rivolge la propria attenzione.
Sin' anche P azione del sole puossi ben dire essere
da noi sentita colP intermezzo delle cose che ci stanno
intorno. In fatti essa è diversa non solo secondo P al-
tezza della terra , che la prova , ma secondo il mezzo
altresì per cui passano i suoi raggi. Così questi non
agiranno nello stesso modo su chi trovasi sul Chini-
borazzo , e su chi sta in una valle quasi al livello del
mare , perchè Paria diversa ne' due siti e per densità
e per vapori contenuti ecc. , modificherà Inattività di
essi. Né diversamente, se la luna avrà mai qualche in-
fluenza , la dovrà ai cangiamenti avvenuti nelP atmo-
sfera. Con osservazioni fatte in Germania pel corso di
ventotto anni credette dimostrare il P. Schiibler di
Tubinga, che piove più frequentemente nel periodo di
luna crescente che in quello in cui cala ( Récueil indù-
striel, num. 7/j. Février i833 per Moléon, p. 187 ). Ma
ciò pure ammesso , se i corpi umani sentiranno alcuni
cangiamenti 0 incomodi , ne sarà sempre la causa più
I ">2
t
nello stato diverso o per umidità o secchezza indotto
nella nostra atmosfera -, che non per diretta influenza
lunare. Se poi non del tutto a torto gli equinozj sono
riguardati come insalubri , ciò dipende dall' accadere
appunto con essi li più sensibili passaggi dal freddo al
caldo o da questo a quello. E ben si sa che gli effetti di
tali cangiamenti nell' atmosfera sono ugualmente dan-
nosi al nostro corpo se avvenga di provarli in mezzo
al verno od alla state.
Quantunque il medico dato alla pratica dell'arte
fìsso debba tenere Io sguardo sugli infermi o sulle cose
che più da vicino li circondano , e portare la mente [ri-
flessiva e meglio ancora la mano esperta sulla località
affetta, piuttosto che rivolgersi alle comete, o alla luna
e consultare gli almanacchi, non dovrà però sprezzare
le osservazioni meteorologiche, quelle cioè, che gli in-
dicano Io stato e le variazioni dell' atmosfera in cui vi-
viamo , ed ebbe assai torto il Ramel di così assoluta-
mente negare la utilità di tali osservazioni (Apercu et
doutes sur la meteorologie appliquée à la médecine
Aix, 1787), non che il Rasori di farvi ec. ( op. cit.,
p. 260). Il calore o la di lui mancanza nell'aria in cui
siamo e che respiriamo , 1' umidità e il peso della me-
desima, non sono un etere , non un' emanazione plane-
taria, non uno spiritus lunae^ ma sono altrettante fisiche
circostanze, che hanno una vera e diretta azione sulla
macchina animale, ed un' influenza sullo stato di salute
o di malattia della medesima.
Egli è vero che molto ci resta, ad onta de' lavori
meteorologici applicati alla medicina da Iluxham , da
Penada , da Brera e da altri molti, perchè giungiamo
a conoscere li rapporti quanto più minuti , altrettanto
più utili, che hanno le atmosferiche modificazioni colle
i93
diverse malattie, ma l'osservazione prolungata di chi cori
pazienza e criterio vi si applicherà ci guideranno alla
fine ad ottenere de' risultati assai soddisfacenti : « La
difficoltà, dicono opportunemente Halle e Thillaye
( D/'ct. des sciences méd. art. Meteorologi) , di unire gli
elementi, che devono comporre un tale risultato defi-
nitivo è per verità il maggiore ostacolo che ci presenta
questa specie di ricerche, e non sarà che a forza di per-
severanza, che si riuscirà a spargere luce su di un og-
getto , che li medici più. celebri de' giorni nostri ri-
guardano come uno de' più utili , opinione che pur li
medici dell' antichità hanno professata, e ripetiamo che
se l'immortale Trattato delle arie^ delle accjue^ e de" luo-
ghi è la prima opera di topografia, è pur anche il più
antico libro di meteorologia. ?>
(5) Risulta da quanto qui dice Ippocrate non che
in altri luoghi ( Aphor. I, i5, 18) ch'egli considerava
il ventre come la parte da cui emana il fisiologico e il
patologico dell' organismo animale.
(6) Ben riflettendo sulle asserzioni emesse e sulle
conseguenze dedotte da Ippocrate circa la dipendenza
di certi effetti da cause relative alle posizioni topogra-
fiche, alla temperatura ecc. , facilmente si potrà con-
vincersi come sarebbe irragionevole il pretendere che
quanto egli dice sia da ritenersi equivalente ad altret-
tanti aforismi, ma come debba in vece accorgersi eh' ei
non dava che una topografia de' luoghi che conosceva.
In fatti qui dice che li venti caldi sono quelli che pro-
vengono dallo spazio limitato tra li due punti dell' o-
riente ed occidente invernali, sentendo eglino V influenza
del mezzodì. Ciò veramente non può ammettersi per
massima generale, poiché noi sappiamo, che li venti
appunto del sud son freddi per la Svevia e per la Ba-
*?4
viera, perchè passano sulle Alpi. Così gli stessi venti au-
strali, che passano sull'Atlante coperto di neve son del
pari freddi per l'Affrica cisatlantica. Lo stesso avviene
a Parigi per quelli che passano sui monti dell'Alvergna
(Malte-Brun., Geogr., 1. XXXIX ). Anche presso gli an-
tichi trovasi che secondo gli scrittori , i tempi e le si-
tuazioni cousideravansi diversamente li venti, così men-
tre per lo più V austro si riteneva caldo ed umido, Ga-
leno (ad III de morb. vulg., Comment. 3 ) asserisce che
qualche austro è secco ed auzi freddo , e Giunone in
Omero impetra da Vulcano l'austro secco e freddo.
(7) Ad onta dell' attraente aspetto di cui godono i
siti esposti a mezzodì , pare avermi V esperienza mo-
strato che nei villaggi, nelle case, e nelle città, le quali
non hanno se non il sole ed i venti da meriggio, es-
sendo prive de' venti settentrionali o per natura de1 luo-
ghi , o per inconsideratezza degli uomini , ivi , dico ,
gli abitanti uè abbiano nel loro abito esterno quelle vi-
vaci tinte , né nelle forme quello sviluppo, che lasciano
scorgere godersi da' medesimi di funzioni digerenti e
sanguificanti , quali veramente sono necessarie ad una
buona salute e ad una lunga vita. Credo che chi avrà
scorsi con medica attenzione alcuni paesi situati come
sopra ho detto, avrà fatti da aggiungere in favore delle
mia asserzione.
(8) Egli è un predominio linfatico nella macchina e
nelle affezioni del fegato e della milza, sì comuni tanto
come malattie primitive che secondarie nei climi bassi
umidi ed australi , che rendono facili e pertinaci le ul-
ceri specialmente degli arti inferiori.
(9) Nei climi e paesi caldi , e particolarmente poi
negli umidi gli uomini mangiano meno , ed anche u-
sano di istanze vegetabili piuttosto che di animali.
>7r,
Sui monti si mangia più che alla pianura , ne' paesi
freddi più che nei caldi. Già Raglivi ci diceva che a
Roma si mangia poco, e che tal uso per stare bene de-
vono adottare i forestieri. A Trento invece si fanno non
meno di quattro pasti al giorno. Il primo de' quali di
buon mattino , e 1' ultimo appena prima di coricarsi.
E la diversità dei clima fa sì che gli abitatori sieno vi-
gorosi e ben nutriti non meno a Roma che a Trento.
(io) Piuttosto che all'opinione di Coray , il quale
vorrebbe che lppocrate qui alludesse strettamente alla
epilessia ossia morbo sacro , io mi accosto a quella
di Chailly , al quale sembra invece che il greco me-
dico parlare intenda in generale , e chiami sacre le
convulsioni e le difficoltà di respiro che assaliscono li
fanciulli. In fatti noi vediamo a quante convulsioni sieno
eglino soggetti, esclusa anche la epilessia, la quale anzi
è in ess imeno frequente. E tali sono l'eclamsia ed al-
tri fenomeni nervosi derivanti da dentizione , da ver-
mini e dalle indisposizioni fìsiche e morali delle nu-
trici. Anche le malattie delle quali è sintoma principale
ed imponente la difficile respirazione, sono pur troppo
frequenti, ed anzi fatali ai bambini e teneri fanciulli, e
tali sono la tosse convulsiva ( se non pei tempi d' lppo-
crate almeno per noi), le angine , le tracheiti , e le la-
ringiti anche sotto quella terribile loro forma che di-
cesi croup.
Quelle malattie pertinaci , lunghe , di oscura ori-
gine , penose sin anche a vedersi e per Io più fatali ,
chiamavansi tutte sacre , da ciò che iera o sacre dice-
vansi da Greci le cose orrende (Keuchen. ad Samonic,
p. 2/J6, 285 — Amaltheum etc. ad veib. Hieros), ese-
crabili (Virgil. e Serv.), grandi , onde Celso (1. Ili, c.a3)
chiama la epilessia anche morbus major ^ si vede nel
i^6
trattato ippocratico de morbo sacro ( dì chiunque poi
sia) che sacra nomavasi tale malattia per l'ammira-
zione che destava, per nou sapersene indicare la ca-
gione e dietro appunto quest' idea la cura consisteva
in incantesimi ed espiazioni. E però parere di Platone
( Oper omn., trad. Mars. Ficini , t. Ili , p. 606 ) che
tal nome l'avesse dall' attaccare il capo, parte del corpo
in cui v'ha qnalche cosa di divino. L'imponenza di que-
sta affezione e la sua caparbietà , replico , 1' avranno
fatta chiamar sacra, quando ciò non fosse dal ritenerla
un' invasione di qualche superiore emanazione , o un
castigo divino , in fatti Areteo ( Morb. diutur., L. I ,
e. IV) riferisce che per superstizione dicevansene presi
coloro che peccavano contro la luna , e lunatici chia-
maronsi per vero dire gli epilettici nelle Sacre Carte
( Matth. Cap. IV, a45 27 ). Che da un demone fossero
gli epilettici invasi nort è poi opinione assai estranea a
noi , ove non è remoto il tempo in cui essi , come le
donne isteriche e li furbi che simulavano convulsioni ,
venivano in certi giorni solenni , ed in certi santuarj
celebri condotti , ammirati e soccorsi di elemosine.
(11) Assai di poco merito ritengo la fatica del Co-
ray diretta a farci credere doversi intendere 1' incubo
per V epiale d'Ippocrate. Bensì quello sarà per me non
F epiale ma Y epialtes o ephialtes che Plinio (L. XXV,
e. io) chiamò altresì ludibrium Faunorum. L' epiale ,
secondo l'autore ippocratico del lib. IV degli Epidemj,
e secondo questo passo d'ippocrate, era una malattia
de' siti caldi ed umidi, e dietro Galeno (de dif.febr.,
L. Il, e. 6 ) epiali chiamavansi le febbri, nelle quali
il calore era misto al freddo. E siccome questo feno-
meno morboso è appunto proprio delle febbri intermit-
tenti larvate, e delle subcontinue, comuni ai climi caldi
m
ed umidi, così ben confermasi che una specie di febbre,
e non un sintonia nervoso piuttosto raro ed a qualun-
que clima proprio , indicar volle Ippocrate con tal vo-
cabolo.
(12) Concorrono i medici antichi e moderni a rico-
noscere nelT epinittide d' ippocrate una malattia in cui
compariscono nella notte delle pustole, le quali poi sva-
niscono nel giorno. Un tal morbo fu da me veduto più
coi caratteri dell' esseva di Vogel, che con quelli del-
l' epinyctis di Celso (L. V, e. 28, s. 1 5 ). Con quesful-
timo autore ne ho verificata la cagione nell' allatta-
mento e nell' abuso dei cibi acri.
(i3) In questa occasione, di essermi servito in ita-
liano del vocabolo dissenteria , dirò che oramai chiara-
mente rilevasi 1? utilità d' introdurre nella nostra lingua
vocaboli di tutte le altre, quando questi valgano a me-
glio precisarne il senso , ossia darne un' idea adequata
e chiara , e che perciò sarà bene nell' indicare le ma-
lattie servirsi di quelli scientifici, onde porre i medici
d' accordo col popolo nell' esprimersi e nell' intendersi,
A meglio ciò ottenere sarà però necessario , che nelle
definizioni sieno unanimi e precisi prima di tutto gli
stessi dell'arte (sul che vi ha ancor molto a desiderare),
onde togliere quelle contestazioni che terminare pos-
sono non soltanto nel rendere ridicoli i medici , come
quelli che non s' accordano tra di loro nemmeno nel
linguaggio e nelle idee, ma possono cagionare immensi
danni ( v. la nota seg.). In vista di quanto ho detto di
sopra non ho creduto usare, invece della parola dissen-
teria, le espressioni, da altri adoprate , di termini di
ventre, di difficoltà d? intestini, e per la ragion mede-
sima ho usati vocaboli ottalmia in luogo di lippitudine,
SulV aria ? ecc. grattato, 1 2
e catarro in luogo dì flussione , assai poco corrispon-
dendo le espressioni di tormini di ventre , di difficoltà
d? intestini, di lippitudine j di flussione ai più precisi
vocaboli di dissenteria , di ottalmia e di catarro.
Col nome di epidemie indicò Ippocrate le malattie
comuni che in maggior numero regnano nel popolo o
per li cambiamenti naturalmente pedissequi del mutarsi
delle stagioni, o per gli accidentali avvenuti nell'atmosfera
o nelle stagioni medesime, o finalmente anche pel modo
di vivere degli abitanti (a). Galeno pose tra gli epide-
mici anche i morbi pestilenti. Si passò in seguito a chia-
mar epidemiche quelle malattie che ritenevausi dipendere
da qualità speciali dell'aria, da principj nocivi, o da
vizj in essa , né ciò soltanto, ma si andò innanzi al se-
gno di dare tale qualificazione anche a quelle, le quali da
tutt' altro conoscevansi aver origine che da cangiamenti
atmosferici o da vizj nelP aria. Ammesso che veramente
anche a tempi nostri si fa uno strano e dannoso uso del
vocabolo epidemia, per meglio combinare i pareri e to-
glier confusioni sì nelP esprimersi , che nell' intendersi,
e ciò per onor de' medici ed anche dell'umanità, come
dissi altrove ( v. nota antecedente), sarebbe a mio de-
bole parere più opportuno l'applicare il ripetuto nome
a quelle malattie che dominano straordinariamente in
un luogo, assalgono nello stesso tempo e con uniforme
carattere una grande quantità d'individui, indi cessano,
sia poi la loro qualunque cagione nota e comune , sia
sconosciuta e forestiera. Sta in seguito nell'acutezza non
(a) Appoggiandosi alcuni a quanto si trova nei trattati de Jla-
tibus e de natura fiumana, vogliono che Ippocrate non veda la
causa delle malattie epidemiche se non nell'aria. Ma secondo Ga-
leno ed i critici posteriori questi trattati non sono genuini.
J79
solo , ma altresì nella coscienza del medico il sapere
ben classificare le malattie epidemiche , quali cioè da
contagio , quali dall' aria dipendano , quali sieno pro-
dotte da cibi o bevande o da accidentali e sin anche
da morali cagioni 5 e in quest' opera affatto dovuta al
medico sta la maggiore importanza , poiché da un er-
rore di classificazione immenso danno può avvenire alle
popolazioni (V. le mie Considerazioni sulle epidemie e
sulle infiammazioni di petto, Milano, i83o ).
(i5) Corrisponde pienamente all'odierna generale os-
servazione, che ne'siti bassi, umidi e caldi reguano, come
diceva Ippocrate,le emorroidi, le idropisie, le ulceri depa-
scenti, diarree, ec. nello stesso modo che in siti di op-
posta natura e dominati da venti freddi sono proprie le
malattie acute, le costipazioni di ventre, le emorragie ,
le pleuriti, le peripneumonie, le bronchiti, alle quali o
per trascurata cura , o per cattiva couformazione, o fi-
nalmente per disposizione ereditaria tengono dietro ta-
lora le tisi. Vediamo vicino a no» nella parte alta, asciutta
della Lombardia regnare frequenti e gravi le accennate
infiammatorie malattie, ed invece nella parte bassa le
febbri da irritazione , o le flogosi lente de1 visceri del-
l' addome , non che le conseguenze delle diuturnità ed
irresolvibihtà di queste. Non diversamente sappiamo ac-
cadere per la Toscana, per lo Stato romano B per il
regno di Napoli in Italia , per 1' Alvergna , la Sologna
e la Eresse (a) in Francia , quando paragonar si vo-
gliano le loro parti basse, australi, colle alte, montuose
e settentrionali.
(a) Mém. de la Soc. roy. de méd. 1782, 1783, p. II, p. 3 16
e 017. — Monlfalcou, Hist. méd. des marais , Paris j8ì6 , 2.e
edition.
Anche una parte dì una città ( e ciò serva di nota
ad un'osservazione dell'autore, che vedrassi al § XXII)
più esposta al nord o alta è soggetta a malattie infiam-
matorie, mentre la parte bassa della stessa la è alle
lente , ciò si osservò a Montpellier (a) ed a Provins (b)y
nella cui parte alta, come verificò Naudot , regnano li
mali di petto e soffrono i tossicolosi, mentre nella bassa
sono comuni le febbri intermittenti. Fece già notare il
dottor De Renzi, (e) ed ora lo ripete il professore Bar-
zellotti (d) , che la vastità di Napoli, l'ineguaglianza del
suolo ov' è fabbricata , la direzione di certi venti che
vi spirano, offrono invece di un clima, una varietà di
climi; giusta le diverse situazioni diversa n' è la tem-
peratura , e diverse anche le malattie popolari.
(16) Se dalle diversità morbose tra gli abitanti dei
paesi esposti al mezzodì e quelli che lo sono a setten-
trione passiamo alle fisiologiche e tra queste non dimen-
tichiamo le morali, bisognerà in questo argomento con-
venire con Ippocrate. In fatti tra li montanari , che tra
noi attesa 1' altezza in cui son posti equivalgono a' set-
tentrionali presi in considerazione da Ippocrate , do-
mina maggior secchezza e rigidità di corpo, robustezza,
maggior appetito e lunghezza di vita. Gli abitanti degli
Abruzzi sono intraprendenti , coraggiosi ed aspri non
solo secondo Virgilio (e), ma altresì secondo Richard (f)
(a) Rècueil (Vobs. de méd. des hóp. mìlitaires, t. 1, p. 5 e 16.
(b) Journ. de méd., Juillet , 1^85.
(e) Osservazioni sulla Topografia-medica del Regno di Na-
poli. Napoli, 1829, p. II, cap. IV e XIX, $ 5.
(d) Avvisi agli stranieri che amano di viaggiare in Italia o di-
morarvi, ecc. Firenze, 1 838 , pag. 176.
(e) Genus aere virum Marsos, pubetnque Sabcllum. Georg.,
li, 167.
(/') {listi de l'air et des méteor. T. VI.
151
e per le prove che se ne ebbero nella loro resistenza
alP ultima invasione francese. Ad onta di essere meri*
dionali , sono li Provenzali e li Guasconi più bellicosi ,
e ciò vuoisi dipenda dall' essere eglino esposti ai venti
Volturno e Coro degli antichi. L' altezza o bassezza di
un paese induce anche nel morale degli abitanti una
diversità non solo in un ampio tratto di paese , ma ac-
cade di ciò verificare anche riguardo ad una città. Si
notò dal P. Cotte che a Montmorency vi è un luogo
più alto ove gli abitanti, e specialmente i fanciulli hanno
uno spirito, una perspicacia, che non si trova tra gli
abitatori della vera città (a).
(17) Quanto dice intorno ai costumi Ippocrate in
questo paragrafo non che nei seguenti XXIII, LXXVI,
LXXXIV, LXXXV, CX VI, CXX, CXXVI depongono
contro Raymond , il quale nella sua bella Topografia
di Marsiglia (b) aveva detto , che in quest' opera il me-
dico di Coo non ha trattato che le fisiche influenze}
mentre si vede che non vi ha perduto di vista le mo-
rali , e così anche a questo riguardo l'antichissimo può
servir d' esempio ai moderni scrittori di statistica.
(18) La pubertà e con questa la tendenza tra i sessi
e la facoltà generativa compariscono prima ne' luoghi
caldi, bassi, meridionali, e ritardano ne'siti alti freddi a
settentrionali, e ciò per regola generale. Sarebbe tanto
facile quanto seccante il trarre da ciò che scrissero i
viaggiatori ed i naturalisti una quantità grande di fatti
comprovanti questa asserzione. I costumi per altro, le
letture, le conversazioni possono far anticipare la pu-
(a) Meni, de la Soc. roy. de mèd. Anno 1779, p- II, p. 85.
{b) Menu de la Soc. roy. de mèd. Anno 1777, 1778, p. 11,
pag. 66.
182
berla. A Parigi si vede assai più precoce lo sviluppo
nelle fanciulle che non in molti paesi della Francia po-
sti più a mezzo giorno. Li Samoiedi che vivono a 70
gradi di latitudine nord dovrebbero essere puberi più
tardi che li Russi e gli Svedesi, ed invece lo sono quanto
gli abitanti del mezzodì, a cagione, come osserva 1' ab.
Chappe ( T^oy. eri Sibèrie, i. I, p. 1 ), dell' estremo li-
bertinaggio cui dà ansa il loro modo di convivere nelle
capanne.
(19) Secondo quanto qui dice Ippocrate ed in altri
luoghi (XXV e LXXXIV ) Paria umida rende la voce
ruvida e bassa. L'esser ella troppo acuta, rauca ed
aspra sembra derivi tanto dal troppo caldo , che dal
troppo freddo, in fatti tale è quella degli Arabi (Ri-
chard, Op. cit. t. II ), e tale quella de' Lapponi e Groen-
landesi (Buffon Hist. nat.^ t. III). In vece ili clima tem-
perato, intermedio, com'è degli Asiatici e degli Ita-
liani, la voce è più dolce omogenea, gradita e sonora.
Gbelin è d' opinione che li climi abbiano avuta influenza
nel far nascere i varj dialetti , e li suoni della parola
che trovansi sulla terra. Il caldo dell'aria facilitando
Taprimento della bocca, e coli' agire rilassando le fi-
bre dello stromento vocale, ed il freddo colT operare
in senso contrario, si ha ne' paesi caldi un suono dolce,
più largo, più smanioso, e l'opposto nei freddi ( Puc-
ci notti, Sapienza d "Ippocrate , pag. 5i). Il linguaggio
cammina colla stessa regola* che abbiamo detto per il
tuono della voce. Quello de' settentrionali abbonda di
consonanti e riesce duro, aspro, difficile, il contrario è
de' meridionali. Una prova la si può avere, come osserva
Coray dal paragonare i primi versi dell' Iliade , della
Gerusalemme liberata. dell' Euriade, e del Paradiso per-
i83
dnto, acquali io aggiungerei anche il primo verso del
primo e del secondo libro dell'Eneide.
(20) Il padre Lamberti nella sua Relazione della
Colchide oggi detta Mingrelia (Napoli, i654,cap. 19J,
ove domina l' umidità e son pessime le acque così
dice. « In quel paese o sia la robustezza del corpo, o
la quantità degli umori, se le medicine si danno al peso
della nostra Italia, non oprano cosa alcuna. Pertanto è
necessario replicare e triplicarci pesi, affinchè sortano
il loro effetto. Anzi sino i nostri Italiani dopo avere di-
morato per qualche tempo in quelle parti, bisogna con
gagliardi purgativi, al modo del paese , purgarli. » Ne'
luoghi umidi veramente l'alvo è per lo più rilasciato, e
ciò sarebbe in contraddizione a quanto ha osservato
il P. Lamberti. La cattiva qualità di quelle acque può
essere però tale da produrre stitichezza, come quelle di
Parigi e d' altri luoghi operano in contrario.
(21) Le malattie , che ci enumera Ippocrate in
questi paragrafi, siono quelle che si scorgono regnare in
qualunque parte del mondo, ove sonovi acque paludose}
se si eccettuino i paesi molto alti sul livello del mare,
o molto settentrionali. In fatti il Brocchi notò che
certe acque stagnanti per lo trovarsi su di un monte di
Calabria presso Cosenza non producevano febbri inter-
mittenti. Il che accade pure per le paludi della Polonia
o della Filandia. Eco ad Ippocrate fecero li citati P.
Lamberti, e Montfalcon ne! descriverci uno la Colchide,
l'altro la Sologna e la Bresse, il già prefetto Bosio nella
statistica del dipartimento dell'^zw, il Lancisi e chiun-
que altro nel parlarci della campagna romana , delle
paludi Pontine, delle maremme toscane , delle pianure
ove coltivasi il riso, o delle acque stagnanti ove si ma-
cera canape e lino. Ippocrate però ed altri ancora sono
i84
di parere , che tali malattie dipendano dal beversi fa
que' luoghi le acque palustri. Quando però si rifletta
che pur coloro, i quali non le bevono, vengono anch'es-
si presi da febbri periodiche con tutte le conseguenze
di ingrossamenti di milza , di idropisie ecc. , come non
di rado avviene a chi è passato per que' luoghi, p. e., tra
le paludi Pontine, o tra le risaje vercellesi, devesi piut-
tosto conchiudere che il miasma paludoso nato per la
corruzione di sostanze organiche e promesso dal caldo o
dall'umido sia veramente il produttore di simili malat-
tie, le quali da prima e per lo più si svolgono sotto
forma di febbri periodiche di diverso tipo e gravezza ,
ma qualche volta di altro aspetto e sotto più fiera na-
tura a norma dei climi e degli individui.
(22) L' Haller aveva rimproverato Ippocrate, perchè
avesse avvilite le acque di roccia ( Art. med. princi-
pes, t. I, Prcef). Non sembra per altro che la critica sia
molto giudiziosa, poiché da prima devesi osservare che
il medico greco parla comparativamente e le dice infe-
riori ad altre senza dirle cattive, e così interpretò que-
sto passo Avvicenna dicendo atamen quae (aquae) ex
pura sinceraque terra meliora sunt iis quae ex saxis
prorumpunt. D' altra parte non puossi escludere , che
alcune rocce sia per la loro composizione , sia per es-
sere immediato lo scioglimento delle nevi , non danno
delle acque troppo buone.
(23) Per Ippocrate e gli antichi erano diverse le ma- ».
terie, alle quali da Celso e da Plinio venne dato il no-
me di alumen. Esse, secondo crede Beckmann Comm.
Soc. R. Scient. Gottinga V. I, p. ni ) erano altrettante
sostanze vitrioliche.
Trovasi rammentato da Celso , da Dioscoride , da
Plinio e da altri V allume dell' isola di Milo nella Gre-
i85
^ia, della Macedonia, dell' Egitto, e da Diodoro quello
dell' isola di Lipari. L' allume ossia solfato di allumina
di potassa o di ammoniaca , quale è da noi sotto tal
nome conosciuto ed usato, chiamasi di rocca, o rupeum
assai malamente in latino, non già come vuole il Mer-
cati ( Metallotheca, p. 54 ) perchè cavato eoe praerupto
monte, ma perchè il primo allume e sino al secolo XV
fu tratto dagli Italiani da Edessa di Soria, che secondo
Niebuhr chiamavasi un tempo Roha, Rhue, Oifu ed an-
che Rocca. Giovanni da Castro fu il primo a scoprire
il minerale alluminoso della Tolfa nello Stato romano,
ed a prevalersi del metodo eh' egli aveva appreso in
Siria per fabbricare l'allume. Lo si cava pure alla Sol-
fatara vicino a Napoli, ed a Montioni presso Piombino.
(24) La sostanza che gli antichi chiamavano nitro, se-
condo il Micheli, non è la stessa di quella che sotto un
ugual nome ora si conosce da noi. Egli vuole che quello
di Plinio fosse il natron o carbonato di soda , e quello
degli Ebrei il carbonato di potassa.
(25) Non è tanto all' esposizione che hanno le sor-
genti verso questo, piuttosto che verso quel punto car-
dinale, cui devesi la buona o cattiva qualità delle acque.
Le sostanze per le quali passano prima di venire in
contatto dell' aria, e quelle alle quali immischiansi dopo
possono farle diversificare. Ciò è dimostrato in grande
dalle molte e diverse acque minerali, e dal trovarsi mi-
gliori le acque de' fiumi che rapide scorrono su ter-
reni ghiajosi e sabbiosi , che non quelle lente , serpeg-
gianti su di un fondo impregnato di materie organiche.
Le acque di fonte e di pozzo di certi paesi, p. e., di
Bergamo contengono maggior quantità di selenite, che
quelle dei due fiumi, il Brembo e il Serio, che passano
alla distanza di alcune miglia da quelle città, giacché
i8G
le prime traggono seco delle materie proprie del ter-
reno per cui scorrono , e le seconde risultano per la
maggior parte di acque prodotte da neve squagliala o
da pioggia. Le acque di Pavia e di Milano contengono
minori sali calcari, poiché pel corso di moltissime mi-
glia filtrano per un suolo ghiajoso , siliceo , sabbioso ,
com'è per lo più la nostra pianura a sinistra del Ti-
cino e del Po. Le acque finalmente delle grandi città
sono impure per le sostanze organiche , che vi s' im-
mischiano. Alcune in vece, p. e. nell'Alvergna, sono pure
quasi come P acqua distillata, perchè attraversano lave
che nulla loro comunicano.
Le acque migliori noti devono avere ne colore né
odore, nessun sapore , ma dare al palato quel giusto
senso, che li bevitori d'acqua e dotati di gusto normale,
vi sanno riscontrare il migliore. Devono contenere del-
l' aria atmosferica, sciogliere bene il sapone e cuocere
i legumi. Quando Pacqua sia cruda, cioè contenga della
selenite, non è atta a sciogliere il sapone, giacché P olio
di questo, unendosi alla calce del solfato , si aggruma
( Dici, des sciences med. t. Ili, p. 225) , né a cuocere
i legumi secchi , giacché le sostanze alcaline che essi
contengono, decompongono il solfato calcare dell'acqua,
e la calce forma colla materia vegeto-animale di que'
legumi un composto indissolubile [Dict. cit^ t. X, p. 491)*
(26) Secondo li calcoli di Halley dal solo mare Me-
diterraneo s' innalzano iti i[\ ore almeno cinquemila
duecento e ottanta milioni di tonnellate d' acqua \ la
quale, attraversando in istato di vapore l'atmosfera e
passando in una più fredda temperatura, cade poscia in
pioggia o in neve, e questa sulle alte montagne serve
a mantenere i fiumi e le sorgenti che riducono al mare
i8;
l'acqua in sostituzione della giornalmente perduta per
1' evaporazione ( Encicl. méthod, Eau ).
Si crede che il mare sia più salato nei climi caldi a
cagione della maggiore evaporazione che vi succede
(Richard , op. cit., V., p. 85). E per la stessa ragione
può essere più salata in estate che in inverno come
credevano gli antichi ( Plutarc. Quaest. natur.).
(27) Tutti concorrono nel ritenere le acque di
pioggia come le più pure, ma altresì come le più fa-
cili a guastarsi se raccolgonsi in cisterne senza avere
prima usate delle cautele. Onde V acqua di pioggia sia
pura e si conservi sarà necessario raccoglierla dopo
qualche tempo, che ha cominciato a cadere avendo così
già lavato V atmosfera delle materie eterogenee che può
contenere. In fatti dalle recenti osservazioni e*d analisi
di Daubery, di Zimermann e di Witting risulta che la
pioggia, la neve, la rugiada contengono talora piccole
dosi di ferro , di nikel , di manganese , di muriato di
potassa, di acido fosforico, muriatico e nitrico , e final-
mente una materia organica detta da poco pynina, da
Ehrenberg attribuita a uova di una classe particolare
di animali infusorj poligastrici ( Bibl. di farmacia ecc. ,
del dott. A. Gatteneo, Die. i838, p. 356). È necessario
che li recipienti ove raccogliesi l'acqua di pioggia sieno
netti. E perciò si eviti che in essi, come sono le cisterne,
s'introducano le materie che l'acqua seco trae dai tetti
o dal suolo o dai canali. A Cadice ( Dict. eh., t. X,
p. 4^3 ) ed a Venezia , città costretta a bere quasi af-
fatto acque di pioggia o de' fiumi, ma versate da prima
nelle cisterne , conoseesi 1' arte di ben costruire questi
ricetti , ed a depurare le acque che vi s' introducono.
(28) Alle acque risultanti dalla neve hanno molti
voluto attribuire alcune speciali malattie tra le quali
i8i
particolarmente il gozzo. Una estesa osservazione non
conferma un tal modo di vedere rispetto a questa ma-
lattia. Non si può per altro negare che V acqua, che si
ha dal ghiaccio o dalla neve fusi, mancando di aria, se
sia bevuta o usata in certa quantità possa essere dannosa;
in fatti Forster ( Comm. in rebus in seleni, natur. et
med. gestis., v. XXIV, p. 224) descrive gli incomodi
sopraggiunti a tal bevanda.
(29) L' esperimento o fatto che pone qui in campo
Ippoerate della perdita che soffre 1' acqua a cagione
degli agghiacciamenti , non che la spiegazione che egli
ne dà sono arrecati dal Rasori per provare l'ignoranza
d' Ippoerate non solo perchè non sapesse di fisica , ma
perchè con buona dose di arditezza e di stupidezza di-
sputar volesse su di ciò che non sapeva. Dice Ippoerate
adunque che la diminuzione dell'acqua, dopo che era
stata resa solida pel gelo , dipende dal perdere essa
una parte tenue e leggiera , ma Rasori rimprovera la
rozzezza del Greco sperimentatore che non si avvide
ciò dipendere dalle evaporazioni.
A questa critica del medico moderno io mi farei
lecito il fare le seguenti osservazioni.
O Ippoerate inteudeva parlare di diminuzione di
acqua da acqua, della quantità cioè anteriore alla con-
gelazione o di quella posteriore \ ovvero dal diminuito
volume dell' acqua ottenuta da! ghiaccio in confronto
del volume di questo, al che è assai più probabile al-
ludesse Ippoerate come a cosa , che assai sensibile si
offriva agli occhi senza dubbio più rozzi in qne' tempi.
Quando in vece la differenza in primo luogo notata ,
cioè da acqua ad acqua, è assai meno percettibile.
Nel primo caso, quantunque il Medico di Coo non
abbia usato, come pretendeva Rasori, il vocabolo èva-
i89
porazione ( vocabolo che per altro esprimerebbe an-
ch'esso un complesso di fenomeni ) nulla si trova in
contrario al fatto s' egli ci dice che nel passare allo
stato concreto l'acqua perde parti tenui. In fatti nel
diacciarsi non perde essa il suo calorico libero , ed il
latente, come dimostra 1' aumento della temperatura de'
corpi circostanti allorché succede la congelazione ( Mo-
ratelli, lez. XV. — Libes Trattato di fisica, § l\ 16). Come
che rapite dal calorico svolgentesi adunque sensibilmente
non vi avrà pure dispersione di mollecole acquose ? di-
spersione che maggiore si farà quando sia l'aria più
rara e meno calda (Belli, corso ehm., Sez. Ili, p. 366).
Questa perdita per evaporazione non si fa ella forse
anche quando 1' acqua è allo stato di ghiaccio (Poli,
fisica, § 1 3 1 3. — Morat. I. e. ). La maniera divedere e
d' interpretare il fatto sarebbe adunque la stessa da Ra-
sori usata , e soltanto diversa quella dallo esprimersi.
Che se poi Ippocrate intese di fare un confronto del
volume dell'acqua in istato di ghiaccio con quello di
essa ottenuta per la di lui fusione , egli è certo che la
diversità de' volumi essendo reale è però apparente
quella dell'acqua, asserendo i fisici che questa anzi di-
minuisce di volume, perchè diviene più densa agghiac-
ciando, ma sotto forma di ghiaccio tiene maggior spa-
zio : ciò dovendosi sì all'aria nell'acqua rinchiusa, la
quale in quella mutazione occupa 8oo volte più spazio
di prima (Dict. de chimie, par. e. i, Cadet , Eau) , sì
a quella disposizione particolare che prendono i cri-
stalli dell' acqua lasciando de' vacui tra di loro (Belli ,
lib. C).
La spiegazione adunque di quest' ul lima maniera di
varialo volume dell' acqua sarebbe stata mal data da
i9o
Ippocrate non solo, ina pur anche da chi a3oo anni
dopo credette veder meglio.
(3o) Tutti i pronostici che trarre si possono dagli
antecedenti o presenti stali dell1 atmosfera a riguardo
di quanto in questa può aver luogo in seguito , sono in
generale assai incerti ed ingannevoli , pure quando essi
partano da osservazioni diligentemente ed a lungo ri-
petute in un dato luogo aver possono qualche maggiore
realtà ed essere pronunciati ed applicati con certo fon-
damento, sempre però in quel luogo ove tali osserva-
zioni furono fatte, poiché e le distanze dai poli, e le al-
tezze, e le esposizioni, e i monti, e le acque, e i venti,
e tante altre cose devono indurre le più grandi diver-
sità nel dominio delle stagioni, nel caldo, nelP umido,
nel freddo, nelle piogge per li diversi paesi , sicché gli
aforismi meteorologici di un osservatore , non combi-
neranno mai con quelli di un altro che abita una di-
versa regione. Cosi mentre si dovrà ammirare in Ippo-
crate il più antico e diligente osservatore , anzi il vero
precettore in questo argomento , non potremo a lode
della verità ritenere da noi adottabile quanto viene dal
sentenziare. Il clima delle isole della Grecia, della Tes-
saglia o dell'Asia minore, ove Ippocrate esercitava P arte
sua, ben diverso essendo da quello di Lombardia, sa-
rebbe ingiusta pretesa il voler vedere verificate le sen-
tenze di lui. Quanto per altro sarà innegabile il profitto
che molti medici trarre sapranno dalle proprie osserva-
zioni e riflessi sulla meteorologia del proprio paese, po-
sta essa in rapporto colle malattie dominanti , e lode-
vole la sana riserva con cui se ne gioveranno per P eco-
logia, per il pronostico e per la cura, altrettanto non
potrà essere che biasimevole P impudenza colla quale
alcuni, facendo punto fisso sulla propria ignoranza, voi-
!9>
ranno attribuire all' umido , al secco , a! caldo o al
freddo certe malattie come il vaiuolo , la petecchia , il
cholera e simili.
(3i) Già da qualche tempo i medici intendono per
paraplegia la paralisi delle inferiori estremità accompa-
gnata talora anche da quella di qualche viscera dei
basso ventre. Ippocrate e Galeno in vece intendevano
per paraplegia la paralisi di una parte del corpo (V.
Septala Comment. ad lib. IV). Né questa il Medico di
Coo indicava con tal vocabolo soltanto, ma altresì con
quello di apoplessia, come vedesi nelle Coace (477)?
ove parlando delle paralisi parziali che accadono dietro
ferite, dice apoplettici della parte destra o sinistra del
corpo.
(32) Secondo alcuni , tra quali il Gadaldino ed il
Martin, lo sfacelo del cervello sarebbe 1' apoplessia , e
questa opinione troverebbe un appoggio nelT accordo
che passa tra la sentenza d' Ippocrate e la descrizione
che il Baglivi ci lasciò della costituzione che precedette
ed accompagnò le apoplessie epidemiche d' Italia del
1694 e 1695. Borsieri in vece ritiene essere quella ma-
lattia la cefalite associata a particolari sintomi e che
termina rapidamente in insensibilità.
(33) La dottrina delle crisi meriterebbe molte pa-
role, come quella che ebbe un lunghissimo e tirannico
dominio in medicina, ma in un libro anche ai non me-
dici destinato il discorrerne sarebbe per la maggior parte
fuor di luogo *, se debbo però dire ciò che sento, e che
può anche da chiunque essere inteso, si è eh' egli e in
in gran parte alla diminuita fede nelle crisi enei giorni
critici, ed al non più cieco e grande, ma al ragionato e
ristretto valore dato oggidì alla forza medicatrice della
natura , è dovuto il fatto innegabile di vedere , in
10,3
un dato numero cP infermi curati , morirne meno n\
presente che non per lo passato.
(34) Il nome di Asia secondo Omero , Erodoto ed
Euripide era proprio di un paese della Lidia , irrigato
dal Caistro, ed ancora posteriormente all' epoca loro
vi si conosceva una tribù di Asioni ed una città detta
Asia. Da Omero dividevasi la terra in due parti , una
settentrionale, 1' altra meridionale mediami i mari Nero,
Egeo , e Mediterraneo , non che col fiume Fasi ( Ar-
riani , Peripl. Pont. Euxin. ). Più tardi da Anassiman-
dro furono applicati i nomi alla prima di Europa , alla
seconda di Asia. Ippocrate ( V. § LXXVII ) poneva la
palude Meotide qual coufine fra l'Asia e 1' Europa } e
sì questi che Erodoto pare ammettessero una terza
parte del mondo nella Libia ( Malte-Brun, 1. Il, III, IV),
(35) * Ciò che Ippocrate dice dell'Asia in generale
fa osservare Malte-Brun ( XLVIII) , deve certamente
applicarsi all'Asia minore: » Ed Erodoto insegnava
che la Ionia, la quale era pure nell'Asia minore, era
ad un'eguale distanza dal freddo e dal caldo ( lib. I,
142). Attribuivate adunque alla parte della terra col
nome d' Asia chiamata poche variazioni, e dolcezza
nella temperatura. Se cosi però era per essi, ben di-
versa è la cosa per noi, che al presente consideriamo
l'Asia con altri limiti e in una grandissima estensione.
Noi troviamo in essa li più opposti climi sia per la vi-
cinanza all' equatore o al polo, sia per l' altezze diverse
sul livello del mare. Ben diceva in proposito il più gran
geografo moderno : « L'Asia meridionale , 1' India , si-
mile ad un magnifico giardino sul quale furono dal-
l' arte e dalla mano coltivatrice concentrati i raggi del
sole, riparata dai venti gelati del settentrione dalle mon-
tagne del Tibet 5 declina fortemente verso i tropici e
i93
T equatore. Quel ricco terreno irrigato da larghi e nu-
merosi fiumi è sempre riscaldato dal sole e s'impregna
delle esalazioni di un mare non mai incatenato dai ri-
gori del verno. Quale contrasto fra quelle regioni e le
triste solitudini dell'Asia settentrionale, di quella vasta
Siberia che , tutta pendente verso il polo e verso il
mare Gelato, non respira mai il dolce soffio de' venti
del tropico , e la cui atmosfera non riceve da' vicini
mari che particelle pregne del freddo polare» (Malte-
Brun, 1. XLVI ).
(36) Sembrami, che con assai fondato criterio Coray
e Zwinger ammettano delle lacune in questo luogo.
(3^) Li paesi per certa estensione e grado piuttosto
montuosi che piani hanno essi medesimi un'influenza
sulle stagioni e sulla temperatura. L' altezza e forma
stessa con cui terminano le montagne :, la loro nudità
e piuttosto li boschi che le coprono } la profondità e di-
rezione delle valli: le pianure estese, piuttosto umide
che secche, con una o tal altra inclinazione : la qualità
del terreno, sono tutte circostanze che rendono il caldo
e il freddo nell' atmosfera o precoce o tardivo, minore
o maggiore; abbondante o scarsa l'umidità. Così sotto
gli stessi gradi di latitudine vi avrà un paese più freddo
o più caldo , sterile o ferace , si troverà in uno que'
frutti che iti altro mancano. Le stagioni poi unitamente
alla qualità degli alimenti somministrati dal suolo, ed
alla specie d'opera, che esige per ottenerli, imprime-
ranno una costituzione particolare al fisico ed al mo-
rale degli abitatiti del monte ovvero del piano. Quelli
delle vallate o pianure, e specialmente poi se ubertose ,
furono in generale sempre ritenuti per meno perspicaci,
meno agili e forti, di più dolci modi e miti costumi,
SulV aria , ecc. Trattato. 1 3
*#4
di corpo molle, nell'ugual modo che quelli de' monti
soglionsi riguardare come acuti d' ingegno , aspri, deli-
berati, franchi , magri e robusti. Se ne potrebbero ar-
recare mille prove tratte dalle osservazioni geografico-
fisiche ed etnografiche. Sin Erodoto (1. IX, e. 122) e
Plutarco ( Apoft. ) ci raccontano che Ciro distoglieva i
Persiani di trasportarsi nella Media facendo loro vedere
che un terreno molle snerva e ammollisce gli uomini.
Nò diversamente vedeva il più grand' epico italiano (Gè-
rusal. Canto I. — 62).
Ma cinque mila Stefano d^Ambuosa,
E di B lesse e di Turs in guerra adduce.
Non è gente robusta, o faticosa,
Sebben tutta di /erro ella riluce.
La terra molle e lieta e dilettosa,
Simili a se gli abitator produce;
Impeto Jan nelle battaglie prime,
Ma di leggier poi langue e si reprime.
Una nazione può contare diversa natura fisica e
morale de' suoi abitanti, se nei paese da lei abitati v' ha
irregolarità nella superficie del suolo, Il coltivatore delle
huertas di Valenza in Spagna è ben diverso dall'Ara-
gonese, 1' abitatore della Valle Brembana in Lombardia
da quello de' piani lodigiani, il montanaro ligure o sa-
vojardo dal contadino di Lomellina o del Vercellese
negli stati di Piemonte, i Maratli dell'India, dagli abi-
tanti intorno al Delta, del Gange ecc.
(38) Forse Ippocrate avrebbe potuto nella slessa
Grecia ed Asia minore da lui conosciute trovare molti
esempi delle varietà degli uomini a seconda della di-
versità de' luoghi o della natura di questi, ma col pas-
sare eh' egli fa a descrivere certe varietà che nel!' uomo
i95
dipendono da usanze, come è pei macrocefali, mi sem-
bra abbia voluto fare una digressione, e sotto questo ti-
tolo solo è compatibile, non già se avesse preteso tro-
vare coerenza di un tal fenomeno con quanto aveva da
prima asserito riguardo all' influenza delle stagioni o del
clima. Poiché quand'anche fosse vero , che tale mo-
struosità, indotta dall' arte , avesse terminato col farsi
ereditaria, ciò sarebbe forse avvenuto perchè si può
in fatti verificare che alcune mostruosità si propagano
alla progenie, ma ciò non accaderebbe mai per effetto
del clima. Né questo aveva influenza a propagare il ses-
digitalismo o 1' aderenza delle dita fra loro in qualche
famiglia che ho veduto , né la calvizie che osservò il
professor Mangili.
(39) In riguardo ai Macrocefali o uomini a testa
lunga Ippocrate in questo luogo, Plinio (1. VI, e. 4 )>
Pomponio Mela ( 1. 1, e. 1 ), e Strabone (1. XI , e. 16 )
combinano nel porli in una tale parte dell'Asia , ed il
citato Strabone indica veramente essere i Sigini che
ivi ad arte rendono prominente la fronte de' bambini.
Nessun viaggiatore moderno, per quanto io so, ha par-
lato di una tale mostruosità nei contorni della città di
Cerasus da Plinio indicata, o al mezzodì del mar Nero.
Vi ha però Pallas che nel suo viaggio in Russia ecc.
(t. II, p. i56 ) dice avere trovata qualche orda di Tar-
tari montanari a testa allungata. Se per altro non gli si
può negar fede in ciò sia perchè viaggiatore cosi veri-
tiero, sia per essere, come dirò, per nulla strana una
tale procurata mostruosità, sarà però a rigettarsi quel-
1' opinione del russo osservatore, che tal gente sia deri-
vata da' Genovesi passati ad abitare nella Tauride , e
che secondo lo Scaligero, serbavano il costume de' Mori
loro progenitori di comprimere le tempia ai bambini
i96
(I. V, e. IX, p. 287): ho detto sarà a rigettarsi, per-
chè popoli con tal vero o preteso difetto erano già stati
descritti da citati antichi srittori , in epoca cioè in cui
li Genovesi non conoscevano ancora que' paesi , né
parmi siasi mai notata tale usanza tra i Liguri antichi,
né tra i moderni, e perchè finalmente i Genovesi che
le speculazioni mercantili portarono ad abitar l'Asia non
devono essersi immischiati in modo coi Tartari da com-
municare loro particolari proprietà o mostruosità, quan-
d' anche ne avessero avute.
È cosa notevole che l'usanza di dare una partico-
lare forma al capo con mezzi violenti , pressioni ma-
nuali, legature, stromenti , trovasi sparsa in parti mol-
tissime e tra loro lontane della terra , il che farebbe
supporre ciò si facesse per darsi i popoli una forma
nazionale, atta a farli distinguere nel loro stato di bar-
barie e di continua guerra. Non solo in fatti li Tartari
succitati, ma pur anche gli abitanti di Aracan nell'Asia
{Hist. génér. des voyages, t. IX, p. 67 ) e certuni del-
l' isola di Sumatra appiattiscono le teste de' bambini, lo
stesso fanno in America gli Semiti indigeni della Gior-
gia, i Vaxfuwi della Carolina, li Peruviani , gli Omagni
(Malte-Brun, 1. XLIV), i Caraibi (Humboldt et Bon-
plant ( V^oy. auoc régions équinooc. Relation historiqn
V. Ili ) ; nelle isole di Sandewich si dà in vece alle te-
ste la forma di pan di zucchero. Dalle espressioni usate
nel luogo citato dallo Scaligero in proposito de' Geno-
vesi sembra che egli abbia voluto piuttosto motteggiare
che discorrerla da naturalista, ad ogni modo però tro-
viamo che il Bodin ( Meth. adjacil, hist. cognita e. V)
assicura che i Francesi usavano di fare allungare dalle
mammane la testa dei teneri fanciulli, perchè riguarda-
vano come più belle le teste lunghe.
(4o) Questa dottrina è sviluppata in un particolare
trattato (de generatone) che non è d' Ippocrate, quan-
tunque facente parte delle così dette di lui opere. De-
mocrito ed Epicuro riguardano il seme come un estratto
di tutte le parti del corpo , e Buffon a tempi moderni
ha dato nuova vita a tal sistema.
(4i) Il fiume Phasis corrisponde al moderno Rioni,
prende la sua sorgente ali1 est del monte El-brouz , at-
traversa L' Imerethi (Iberia), separa la Mingrelia ( Col-
chide ) dal Gouriel ed entra nel mar Nero non lungi
da Poti (Balbi, Abregé de géograph., i834, p. 784). Narra
Strabone ( 1. XI , e. i4) che si passava sopra cento-
venti ponti a motivo della sua tortuosità. Secondo que-
sto autore era rapido, e ciò viene confermato anche da
Procopio e da Chardin ( Voy en Perse , Voi. I ). Se
Ippocrate in vece dice essere lento egli è perchè questi
parla di esso quando è dilatato, formante stagni, e dopo
di avere ricevuto i fiumi da Strabone detti Glauco ed
Ippo. In fatti il p. Lamberti scrive di esso « .... Ma
poi calato al piano, così soavemente cammina, che ap-
pena scorgere si può in quale parte scorra » ( I. C,
e. 29, p. 203 ).
Questo fiume che si versa , come si disse nel mar
Nero, ed il Kur (Ciro) che si scarica nel Caspio, e di-
stanti tra loro quattro giorni di un viaggio fatto su carri
come dice Strabone (1. XI, e. 3 ) , erano quelli, che
servivano a far tenere agli Europei le mercanzie delle
Indie, mentre dopo le loro invasioni i Maomettani del-
l' Oriente non spedivano per le solite vie le merci in-
diane alle città mercantili del Mediterraneo. E questa
via commerciale così ci viene descritta dal Robertson
( Ricer. storiche sulV India antica. T. I , p. 74 )• * La
difficoltà che faceva d'uopo vincere a tal oggetto sono
i98
la più robusta proya del gran conto che si faceva in
que' tempi delle merci orientali. Si comperava la seta
della China nella provincia di Cheusi, che è la contrada
più occidentale di quell' impero, e di là una carovana
la trasportava per un cammino di 80 e talvolta di 100
giornate fino alle sponde dell' Oxo, d'onde era spedita
per il letto di questo fiume fino al mar Caspio. Dopo
un pericoloso viaggio a traverso questo mare, e rimon-
tando il Kur , fino all' ultima sua parte navigabile . la
seta veniva condotta per terra per il cammino di cin-
que giornate fino al Fasi , fiume che mette foce nel-
l'Eussino o mar Nero, sul quale per una strada cono-
sciutissima arrivava a Costantinopoli. ?? Come narra
Strabone ( 1. XI, e. 3 e 4) il Fasi si navigava contro la
sua conente dalla sua foce, ove trovavasi una città detta
Fasi, emporio de^ Colchi, sino a quella di Sarapana ,
oggi rovine di Schoraban.
(4^) La descrizione che a tempi poco loutani diede
della Colchide il più volte citato p. Lamberti pare una
copia di quella qui fatta da Ippocrate. Malle-Brun par-
lando poi dello stato presente così dice (1. XLVII ) :
(* La Mingrelia è ancor umida, calda e febbrifera, come
ai tempi in cui la descrisse Ippocrate. » Un tempo
dava lino e canape , ora riso e miglio , il miele riesce
amaro, come diceva Strabone, per la presenza dell'^-
zalea pontica in que'luoghi. 55 1 Mingrelj sono ladri, com-
merciano di schiavi, di seta , di pellicce , specialmente
di castoro, sono superstiziosi e sempre in guerra tra di
loro. 55 Alla Colchide non va meno congiunta adunque
V idea di un infelice paese, come 1' altra del celebrato
vello d' oro. Senza approfondirsi in ricerche atte a svol-
gerci la verità in questo argomento, dirò soltanto che
Strabone ( 1. XI, e. 3 ) chiama questa una favola nata
'99
dal esserci in que' luoghi torrenti die portano oro, il
quale i barbari raccoglievano in cestelle forate o in
pelli lanose.
(43) Nella situazione in cui siamo oggidì di esten-
dere meglio l' occhio sulla vastissima parte del globo
che costituisce l'Asia , non potremmo considerare con
Ippocrate tutti li suoi abitanti come imbelli , molli ,
inerti, ed a ciò fare ne induce V offrirci ella il Druso
frugale , il feroce Malese ^ il guerriero Circasso, 1? in*
domabile Maratto. Non si può ommettere per altro di
confessare che molte nazioni asiatiche conservarono da
remotissimo tempo certa uniformità tra loro, che per
nulla uguale la cercheremmo tra quelle d'Europa, dove
una uniformità di tal specie non ha mai esistito, e dove
li costumi stessi orientali devono scomparire finalmente,
come avvieue di animali o vegetabili, che originarj della
zona torrida non possono resistere, perpetuarsi ne'climi
freddi e quasi né meno ne' temperati : una prova ne
fanno li cangiamenti già successi nel viverej uelle leggi
e nella tattica degli Ottomani. Ed egli è degno di rife-
rire le sagge e belle considerazioni che Malte-Btun fa
su questo argomento ( lib. XLVI ) : « Si converrà ^
die' egli , che i popoli d'Asia van debitori ad alcune
geografiche circostanze d'idee politiche e morali assai
diverse da quelle, che regnano in Europa. La vita no-
made e patriarcale è prescritta dalla natura stessa a
molte nazioni d'Asia } il potere illimitato del padre di
famiglia diventa dunque per necessità il tipo del potere
monarchico. La mancanza di grandi città popolate da
un industriosa cittadinanza fa che non nasca fra quelle
nazioni alcuna idea di patto sociale o di libertà poli-
tica. Nelle altre regioni dell'Asia la fertilità uniforme
del suolo, e la costaute dolcezza del clima^ troppo ra-
200
pidamente premiando il più leggiero travaglio , soffoca
quasi nel nascere suo 1' energia dell'uomo, che per non
ritentarsi deve essere stimolata dal bisogno e dagli osta-
coli. L' una e l1 altra maniera di vita trae l' animo ed
il corpo ad un' inerzia, che divenuta ereditaria sembra
indicare frale nazioni asiatiche una generale inferiorità
di attività e di coraggio. Questa lentezza di mente men-
tre rende perpetue alcune massime virtuose, pacifiche
ed ospitali, rende eterno del pari l'impero delle super-
stiziose religioni, sotto il cui giogo vedesi principalmente
languire l'Asia orientale e centrale} mentre il Cristianesi-
mo della chiesa greca penetra lentamente pel nord, e il
maomettanismo è ancora in fiore nelle regioni occidentali.
La poligamia conservata in tutta l'Asia dallo stesso si-
stema abitudinario, eccettuato il solo Giappone, avvilisce
i vincoli di famiglia e fa svanire tutto il prestigio della
vita togliendo al bel sesso influenza e considerazione,
mentre opponendosi poi alle leggi di natura fa decrescere
la popolazione e degenerare le razze. Ma questa immo-
bilità di carattere non è già un fenomeno particolare
all'Asia, per tutto ove la natura sopraffa l' industria in
bene o in male, 1' uomo riceve dal clima un' invariabile
ed irresistibile impulso. I pastori dell'Alpi, il pescatore
dell'Arcipelago, il nomade Lappone, V agricoltore di Si-
cilia hann' essi cangiato di carattere? Se in Asia i feno-
meni della civiltà e barbarie ci colpiscono di vantag-
gio ciò nasce dalla maggiore estensione che occupano
le nazioni. ?>
(44) Bodin, l'Ab. da Bos, Montesquieu ed altri pen-
sarono e sostennero, che il genio e l' indole di una na-
zione dipendano quasi unicamente dalla qualità dei
cibi, dall' aria, dai suolo ed anzi di quell' ultimo filosofo
francese si disse , che come Malebranche vedeva ogui
201
cosa in Dio, così egli vedere ogni cosa nel clima. Ma-
chiavelli, Davide Hurne, e Sismondi ritennero in vece,
che la qualità, la fortuna, il carattere di una nazione ven-
gano dalle cause morali e dalla qualità del governo che
la regge. Neil' appigliarsi così esclusivamente ad un prin-
cipio non peccò , come fecero li citati autori, il nostro
Ippocrate, il quale le morali non meno chele cause fisiche
annesse al clima chiamò in campo. E per avere PAIgarotli
imitato nelP osservare e nel riflettere il greco Medico,
circa la grande questione se le qualità varie de' popoli
originate sieno dall' azione del clima, ovvero dalla legisla-
zione, con assai buon senso disse ( Opere. Cremona ,
1779, t. IV, p. 240). « In somiglianti questioni il sistema
temperato è di tutti il migliore. Che a formare P indole
e il genio delle nazioni influiscono le cause fìsiche non
meno che le morali, benché lo influsso di queste ultime
sia senza dubbio di maggior efficacia e virtù : » Né di-
versamente la intendeva Malte-Brun ( lib. XLV): « Il
carattere generale di una nazione , soggiunge , risulta
da tutte le circostanze fisiche in cui ella si trova , e
dalle istituzioni politiche che modificano tali circostanze.
E dunque assurdo il far dipendere un tal carattere dal
solo clima. Certamente che V estremo freddo , come
P estremo caldo , comprimono gli slanci di un popolo
indebolendone la costituzione, ma le istituzioni ed i co-
stumi combattono vantaggiosamente contro il clima ;
l'Egitto sotto il tropico e la Scandinavia sotto il circolo
polare videro nascere egualmente gP ingegni , i saggi e
gli eroi. »
Ciò che pensa il Coray si è veduto al § 35 del di-
scorso preliminare.
(45) Menandro presso Stobeo fa dire ad un Ate-
niese che « le rocce producono abbastanza per alimen-
202
tare in tempo di pace l'uomo che le coltiva. Quando
in vece la guerra distrugge l'abbondanza ne' più fertili
campi. ?'
(46) È opinione di Strabone (I. XIV, e. 2) che da
principio con la voce barbari siansi per oriomatopeia
chiamati coloro che parlavano con difficoltà ed in modo
rozzo ed aspro : e siccome ciò parve di riscontrare in
chi non era ellenico , così barbari si dissero gli stranieri.
Onde quel vocabolo che prima usossi come scherno o
in vista del difetto della pronuncia^ lo si usò in seguito
come un nome etnico comune per indicare i popoli che
non erano elleni. Ài Carii poi che erano sparsi per
tutta T Eliade come soldati mercenarj , ed erano i più
conosciuti e notati per lo stentato modo di parlare il
greco, si applicò , come fece Omero , il soprannome di
barbarofoni.
(/J7) Dai confini delP ìndia sino al Danubio v* avej
vano popoli, a' quali davasi il nome di Sciti (Erod., I. IV,
§§ 48, 4q, 5i, 99. — Strab. 1. XI, e. 1, 8). Que'di là del
mar Caspio conoscevansi solto il nome di Daii, di Mas-
sageti e di Saci (Strab., Il X, e. 1 1 ), e la Scizia asiatica
de'Greci era a levante del detto mare ne' paesi , ove
scorrono l'Osso e V Iassarte ( Malte-Brun. L. XLVII ).
Tra il Caspio e il Don ( Tanai ) abitavano i Celto-Sciti
( Strab. 1. XI, e. 8 ). Degli Sciti poi d' Europa alcuni
stavano intorno al Ponto Eussino, crudeli sì che sagri-
fìcavano li forestieri, ne mangiavano le carni, e ne face-
vano tazze de' cranj (Erod., 1. IV, § 65. — Strab., 1. Vii,
e. 2 ), altri di questa medesima nazione come gli Abii
erano in vece da Omero chiamati giustissimi (Strab.,
1. VII, e. 2) e come dice Giustino (1. II ) più per prin*
cipio , che forzati dalle leggi professavano la giustizia.
Molti erano i nomi che loro davansi (Strab., 1. XI,
2o3
e. n ). Dislinguevansi tra di essi i famosi Ippomolglii,
i Galattofagi (Strab., I. VII, e. 2, 1. XI, e. 2), gli Amas-
sici abitanti sui carri ( Strab., 1. VII, e. 1, 2. — 1. XI,
e. 2), i Georgi o aratori o agricoltori ( Erocl., 1. IV ,
§§ 17, 18, 52, 54. — Strab., 1. VII, e. 4) e tralasciando
di rammentarne molti altri, non possonsi dimenticare i
Nomadi da tutti ricordati. Forse fu con la prima loro
invasione, che gli Sciti, penetrando in Europa dalla
parte del mar Caspio, soggiogarono e dispersero verso
il settentrione e verso V est della Russia que' Finii e
quegli Slavi , i quali , obbedendo al moto d1 oriente in
occidente seguito nella diffusione dell'uman genere da
un punto dell'Asia , eransi da gran tempo innanzi
stabiliti i primi sul Tanai , i secondi sul Boristene
(Malte-Brun, l. Ili, XII, CXXV ). Con altre scorre-
rie scacciarono i Cimmerii o Treri da' contorni dello
stretto di Caffa ( Strab., I. VII , e. 3, 4. — Erod., I. I,
§ i5); ai Traci ed ai Triballi fecero passar l' Istro
( Strab., I. VII, e. 2 ) ; penetrarono nell'Asia superiore
togliendo il dominio ai Medi, e per anni 28 signoreg-
giandolo ( Erod. , 1. I, §§ io3, 104 , 1. IV, § 11, 12 ) }
discesero sino nella Palestina a spaventare i re d' E-
gitto e la depredarono (Erod., 1. I, § io5). « Gli Sciti,
dice Malte-Brun (1. XLVI ), affrontarono la potenza eli
Dario } diedero una grande e sublime lezione ad Ales-
sandro il grande } udirono lo strepito delle armi vitto-
riose di Roma , ma non ne sentirono il peso. Più di
venti volte conquistarono essi l'Asia e l'Europa orien-
tale , e fondarono stati in Persia ed alla China , in
Russia ed alle Indie. Gl'imperi di Tamerlano e di
Gengls-Ran abbracciavano metà dell' antico continente. «
Di Scitica origine erano pure i Sauromati ed abi-
vano il Caucaso, estendendosi tra il Tanai ed il Ca-
204
spio ( Slrab., I. XI, e. 2, 3, 8.) ed intorno alla palude
Meotide forse misti alle Amazzoni o donne vedove e
disperse d'altra Scitica tribù (Erod., 1. IV, §§ ai, n6),
o a Medi prigionieri degli Sciti conquistatori ivi mandati
( Diod., 1. II, § 4^). Ma un maggior numero di essi
passò il Tanai, entrò in Europa ad instigazione di Mi-
tridate , tal movimento cominciato verso V anno 8i.°
prima di G. G. durò più di un secolo. Allora il numero
degli Sciti scemò, anzi si estinse (Malte-Brun, I. VI
e CXXXIV ) e primeggiò quello de' Sarmati. Il nome
de' quali al tempo dei Romani secondo Plinio e Tacito
si diffuse con il loro progredire per la Lituania e la Prus-
sia sino al Baltico, che chiamossi anche Oceano sarma-
tico ( Malte-Bruu, 1. VI, XII, XIV, CXVI). E fu poco
dopo Strabone, come si sa vivente ai tempi di Tiberio,
che li Sarmati principiarono a scendere de' loro carri ,
e lasciata la vita vagabonda si stabilirono nella Lituania
e vicinanze, dove poi servirono di stipite a nazioni del
tutto estranee alla stirpe schiavona. Né i Polacchi sono
discendenti de' Sarmati , come una vanità malintesa ,
dice Malte-Bruu (LXXXIV), loro vorrebbe far cre-
dere.
Altri popoli Sciti e di razza finnica vennero poste-
riormente conosciuti sotto li nomi di Tartari, di Hunni,
di Hunugari o Hungri ( Malte-Brun, 1. CXXIII ). E gli
ultimi anni dello scorso secolo ed i primi lustri del pre-
sente videro la Lombardia, la Svizzera, la Germania, e
la stessa Parigi , uomini di tal razza sotto il nome di
Cosacchi nelle guerre contro la Francia , uomini che
appunto al presente abitano al settentrione del mar
Nero, ove avevano sede gli antenati loro , e sotto quel
nome conosconsi , aboliti quelli di Sciti e di Sarmati.
Quantunque Costantino Porfirogenito faccia menzione
ao5
di un paese tra il mar Nero ed il Caspio al piede del
Caucaso e detto Kosacchia , e che secondo gli storici
russi Mistislaf figlio del gran Valdomiro principe di
Trautarakan abbia nel 1021 combattuto un popolo chia-
mato Rosaki, sembra però che il nome di Cosacco sia
d' origine tartara, e significar voglia uomo armato, chia-
mandosi cosacchi li contadini destinati a far parte della
milizia del paese da essi abitato. L'origine poi de1 Co-
sacchi della piccola Russia è dall' epoca della conquista
di Kiow fatta da Gedemino granduca di Lituania
nel i320. Il terrore da lui incusso fece nascere questa
militare repubblica da Sciami di fuggitivi, che abban-
donarono la loro patria. Fermatisi all' imboccatura del
Don si unirono e si diedero una costituzione guerriera
onde difendersi dai Tartari e dai Lituani ( Malte-Brun,
1. XX). Crebbero di più quando Kiow fu presa e sac-
cheggiata dai Tartari nel i^^j e ancor meglio quando
questo principato fu unito alla Lituania ed alla Polonia
e si estese sino al Bug ed al Dniester. Il re Sigismondo
nel i54o cedette per sempre ai Cosacchi i paesi posti
superiormente alle cateratte del Dnieper, e Stefano Ba-
thory 1' ordinò in regolare milizia dando loro un capi-
tano o etman. Soggetti oggidì alla Russia , questo loro
capo sta nel figlio primogenito dell'Imperatore.
La descrizione che Ippocrate ci dà degli Sciti o de'
Sauromati tra di essi, assai conviene alla razza finnica,
ai Mongolli, agli Unni , come ben osserva il riputato
geografo moderno ( I. CXXIII, CXXV ), popoli asiatici
tutti di un medesimo stipite e che ora trovansi sparsi
dalla nordica Scandinavia fino al settentrione dell'Asia
e di là fino al Volga ed al mar Caspio.
(48) L'indole guerriera e la mancanza di una mam-
206
niella nelle donne degli Sciti Sauroraati sono in que-
sto passo del libro due circostanze che ce le devono far
vedere come discendenti da quelle famose Amazzoni ,
delle quali ci parlano Erodoto, Diodoro Siculo, Stra-
bone, Plutarco, Trogo Pompeo oltre i poeti. E di fatti
il nostro autore altrove alludendo ad altra loro strana
usanza (de art. edit. Mercur. t. I ? 3i4- D. 9) le chia-
ma Amazzonidi.
Circa le Amazzoni considerate come formanti uno
stato di sole donne, ed aventi molti singolari e piutto-
sto inammissibili costumi , io mi pongo dalla parte di
Slrabone ( I. XI, e. 6 ) e di tutti quelli, che non credono
abbia potuto esistere un esercito, una città, una nazione
di donne , né loro si possono attribuire spedizioni ed
invasioni. Quando elleno ritenere non vogliansi come
create dalla fantasia de' poeti, si potrà ammettere con
Procopio e Malte-Brun (1. VII) che tra le diverse tribù,
di scitica origine e di scitici costumi, date alle escur-
sioni anche lontane, avvenisse una temporanea separa-
zione degli uomini dal restante delle famiglie, ma che
le più giovani in tali spedizioni prendessero parte a
quelle guerre da masnadieri. Né certo voglio negare che
pregio acquistassero nel dimostrarsi valorose o nelPab-
battere nemici, ma comunque la barbarie dell'uomo
abbia esempi, che anche contro voglia è forza il cre-
dere, pure mi sarà lecito il dubitare sulla necessità
delle prove che Ippocrate ed Erodoto (1. IV, § 117)
asseriscono dovessero dare quelle giovani, onde passare
a marito. Ancora sul merito dell' esistenza di questa
femminile repubblica rifletterò , che scorgendo discor-
dare fra loro Erodoto, Fréret, Rlaprot ed altri intorno
alla radice etimologica dei vocabolo Amazzone, merita
2.07
riflessione quanto dice Strabone (1. XII, e. 2 e XIV,
e. 5) che vi fossero genti scitiche ( sulle quali regna
moltissima oscurità ad onta che sieno rammentate pur
da* Erodoto (1. IV, § 17, 5a), dette Alazoni o Alizoni
invece di Amazzoni , e che veramente non abbiano
data vita a donne } così chiamate unicamente per la vita
errante e intraprendente di tali popoli , le loro forme
straordinarie, ed in Gne la fervida e brillante fantasia
de' Greci.
Estesa questa qualunquesiasi nota , comparve 1* o-
peretta del signor Francesco Predari — Le Amazzoni
rivendicate alla verità della storia. Milano, 1889. — *
Il titolo del libro mi fé sollecito a leggerlo, onde, ab-
bisognando, emendare le mie asserzioni. Le argomen-
tazioni addotte e la vasta erudizione spiegata dal dotto
ed egregio autore a difesa della sua tesi non poterono
però persuadermi a cangiare su questo argomento 1' o-
pinione che io aveva da prima concepita ed esposta.
(do,) L' uomo per capriccio, per modo, per principj
religiosi , che meglio direbbonsi superstiziosi , giunge è
vero ad inveire contro la propria carne. Ne abbiamo
esempi nella semicastrazione in uso presso varj popoli
africani (Malte-Brun, 1. LXXXIV. — Vaillant. Viag-
gi ecc., t. IV, p. 11 5, ediz. milan. ) nell' incisione del
labbro inferiore praticata nelle isole del mar Pacifico, e
nell'America meridionale (La Perouse. — Àzara Viagg.
trad. milan. ) nella tatuazione da troppa quantità di
popoli antichi e moderni praticata perchè debbansi que-
sti enumerare , nella compressione del cranio , già di
sopra indicata, o in quella de' piedi presso i Cinesi ecc.
Ma parlando dell' usanza di distruggere alle fanciulle
scile uua mammella ella non è ammessa da rispettabi-
208
lissimi moderni critici ed antiquarii , né Strabone ne
parla, né Erodoto (a).
(5o) Ad onta che Ippocrate indichi di rame lo slro-
mento , con cui le madri abbruciavano la mammella
alle proprie figlie, pure il Calvo , il Foes , il Goray, il
Chailly, e il Witsen vollero tradurre di ferro. Io però
mi sono attenuto all'autore, imitando in ciò il Corna-
rius, il Mercuriale, il Baldini, il Settala , V italiano tra-
duttore nel Ramusio, ed appoggiato alle seguenti consi-
derazioni, senza per altro ciò fare al fine di confermare
il racconto.
Sebbene sì antica e pregevole sia l'arte di lavorare
il ferro che non solo a molti popoli antichissimi si volle
attribuirla, come ai Fenici , ai Cretesi, ai Calibi, ai Ci-
clopi, ma altresì alli semidei Vulcano e Prometeo, pure
noi troviamo che quelli utensigli e quelle armi che ora
sono di ferro, erano in vece di rame presso la più re-
mota antichità. Ciò rilevasi da sacri libri (Gouguet }
dell'Origine delle leggi, delle arti ecc. L. II, e. IV), da
Esiodo (Teogon. — Oper. ) , da Omero (Iliaci., 1. IV,
V, XIII, XV. — Odiss., lib. V, XXI), da Erodoto (1. I,
§ 21 5, IV, § 8i), da Ateneo (Dipnosoph. 1. VI, e. Ili,
IV), da Pausania (1. Ili, 3), da Plutarco (Teseo), da
Macrobio (Saturn.^ 1. V, e. 19), da Servio (ad Mneid.,
1. I ), e 1' occhio nostro medesimo può ciò verificare
esaminando l' immensa quantità di utensigli , di sfo-
rnenti e di armi che trovasi raccolta nel R. Museo di
Napoli e tratta dagli scavi di Pompei e di Stabia. Su
quest'oggetto cantava pure Lucrezio ( 1. V, v. 1287).
(a) Non ho potuto rinvenire il passo ove , secondo il signor
Predari ( Op. cit, pag. 66, l. II ), Erodoto indicò il fatto della
mancanza della mammella.
ao0
*
Et prior aeris erat (/unni ferri cognitus usus :
Quo facills rnagis est natura, et copia maior.
Aere solimi terme fractabant, aereaue belli
Miscebant fluctus, et vulnera vasta serebant.
Et pecus, ataue agros adimebant: nani facile ollis
Omnia cedebant armatis nuda et inerma.
Inde minuta tini processit ferreus ensis,
Versaaue in opprobrium species est f aids ahenae^
Et ferro coepere solum proscindere terrae :
Exaequataaue sunt creperi certamina belli.
Anche il P. Soave in varj luoghi della sua tradu-
zione delT Odissea amò dire di ferro ciò che Omero in-
dicò di rame, adducendo in appoggio di sua licenza ,
che il gran Poeta in varj luoghi parla altresì del ferro,
e che Y essersi da questo detti di rame gli stromenti o
le armi, da ciò dipendesse , eh' eglino essendo stati da
prima di rame , siasi continuato a chiamarli di ferro ,
benché fossero di rame. Ma, comunque la cosa sia, an-
che il Soave concorrerebbe a confessare 1' uso ante*
riore del rame, ed a confermare r opinione che Jppo-
crate, parlando come qui fa, di popoli antichi e molto
addietro nella civilizzazione, avrà indicato di rame ciò
che veramente era di tal metallo. Ed in proposito può
giovare quanto diceva Plinio (Hist. natur , 1. VII, e. 5? )
Aes con/lare et temperare Aristoteles Lydum Scyten
monstrasse^ Theophrastus Delam Phrygem putat. E
PAjasson a questo passo manifesta il suo parere che
nella Scizia siasi rinvenuto il primo rame \ e di fatti in
Siberia, ne' monti Aitai, e negli Urali, e principalmente
in Turia-Wasilieskoi, Froleskoi e Olgowskoi vi è grande
quantità di rame.
(5i) Riferisce Strabone (I. VII, e. 2) che i con*
SulP aria , ecc. Trattalo. là
2IO
torni della palude Meotide e del Boristene ( Dnieper )
erano si freddi, che i fluidi congelandosi spaccavano i
i vasi che li contenevano \ ed il braccio di mare tra
Fanagoria sulla costa europea , e Ponticapea sull' asia-
tica tal ghiaccio diveniva che carreggiare si poteva : fi-
nalmente era d' uopo seppellire le viti per conservarle
vive. Non tace però il greco Geografo che in quel me-
desimo sito anche il calore si faceva sentire all'eccesso.
11 Malte-Brun (1. CXV) replica la cosa stessa nel men-
tre ne adduce anche le cause } « poiché l'antica Po-
lonia, die" egli , sulla drittura di Memel , Pinsk e Cher-
son ha quasi nessuna differenza di livello, il clima delle
coste del Ponto Eussino , e quelle del Baltico dovreb-
bero differire esattamente in ragione della loro latitu-
dine} ma come il primo è più prossimo alle terre ele-
vate dell' Asia , così non gode di tutti i vantaggi della
sua latitudine. Un' altra sezione dell' Europa, presa tra
il mar Bianco ed il Nero , secondo una linea tracciata
per Arcangelo , Mosca e Cherson ci offre una pianura
immensa che, alzandosi insensibilmente nel mezzo, non
ha neppure una sola catena di colline , di modo che il
freddo aumentato per la maggiore elevatezza del suolo
nelle parti centrali si propaga liberamente secondo tutte
le direzioni. Se si traccia un profilo da Pietroburgo fino
ad Astracan scorgesi il fenomeno singolare dell' inferio-
rità del livello del mar Caspio di circa i5o piedi a quello
del mar Baltico o dell' Oceano, la quale differenza però
essendo troppo poco considerevole , non può avere in-
fluenza sul clima fisico. Ciò non ostante la temperatura
elevatissima cui è soggetta Astracan in estate non esi-
sterebbe, se questa città si trovasse allo stesso livello
di Mosca e di Lember^a . né il freddo eccessivo ch-e a
tale calore succede si farebbe pur seutire in una pia-
21 I
rima sì bassa e ad una latitudine di 46 gifcldij se una
catena di montagne riparasse queste regioni al nord: »
ed altrove ( 1. CXXIV) dice che nella pianura tra il
Dniesler (Tyras) ed il Dnieper (Boristene) mentre il
freddo giunge a it\ gradi, il calore all'estate dissecca i
fiumi.
In questo deserto della Scizia o almeno in alcune
parte di esso poco mancò non perisse Dario di sete in
una di lui spedizione contro gli Sciti, e da questo pure
a gran fatica si trasse Carlo XII di Svezia nel 1709
dopo l'infelice battaglia di Pultawa.
(5a) Gli Sciti nomadi non meno che gli Abii , gli
Amassobii o Amassici e i Galattofagi vivevano anche
per testimonianza di Strabone ( 1. VII, e. 2 - 1. XI, e. 2)
sotto tende di feltro piantate su carri :
Di una rivolta
Verso oriente, in seminati campi
Scorrendo , giungerai presso gli erranti
Sciti , che in case di cotesti vinchi ,
SA girevoli carri alto locate
Stanno , e lungevibranti archi alle spalle
Portano appesi. A (j nella infesta gente
Non € accostar
Eschilo nel Promet. trad. del Belletti.
E secondo Malte-Brun (I. VI ) sol poco tempo dopo
Strabone gli Sciti sarmati principiarono a scendere da
loro carri , e lasciata la vita vagante si stabilirono nella
Lituania e nelle vicinanze. Li Missionarj mandati nel-
l'Asia da Innocenzo IV nel 1247 e Marco Polo descri-
vono queste capanne di feltro impermeabili all' acqua e
poste sui carri; i Calmucchi oggidì abitanti il centro del-
l Asia hanno pur simili tende , e li Tartari non meuo 4
aia
i quali , tolte dal suolo, le caricano sui cavalli ( Malte-
Brun , I. LX — Pallas , Viaggi in Russia ecc., t. I. —
Viaggi del Ramusio , t. II).
(53) Dovendo i carri degli Sciti servire per case mo-
bili e contenere famiglia, attrezzi, arnesi ecc. in quan-
tità e peso certamente non lieve , sarà stato necessario
fossero assai lunghi e sostenuti da sei ruote , onde riu-
scissero più solidi, e per evitare li danni di un rovescia-
mento nel rompersi una sala o una ruota. Anche a*
tempi moderni si vide talora la necessità di tali carri, e
si cercò di togliere loro alcuni inconvenienti. Così Tarn-
miraglio Sidney-Smith ottenne un brevetto d'invenzione
per avere pensato a legare con due spranghe o due
catene V estremità destra della sala anteriore sinistra
coli' estremità sinistra della posteriore. Ma ciò può farsi
allorché l'inflessione della sala anteriore è piccola, non
così se grande, succedendone imbarazzo. Il signor Dietz
propose un mezzo non così semplice però qual era quello
dell'ammiraglio inglese, e con cui si conserva un'ap-
prossimata uguaglianza nelle diagonali e quindi negli
angoli di deviazione , anche allora quando questi fos-
sero considerevoli. L' Accademia delle scienze di Pa-
rigi fece esaminare tale invenzione dai signori Prony ,
Arago, Poncelet e Cariolis, e questi giudicarono che li
carri a sei ruote di Dietz sono appoggiati a buoni prin-
cipj (Biblioteca Italiana , marzo, i838). Non so se
sia di questi carri a sei ruote e capaci di ventiquattro
persone che si fece prova a Parigi nel gennajo 1839
come riferì V Eco della Borsa di Milano del 17 gen-
najo 1839, n. 3.
(54) Aristotele (Stor. Nat., li III, e. 3) assicurava
esistessero in Frigia ed altrove de' buoi che movevano
le corna come le loro orecchie: Eliano ( I. IV, e. 2/4)
2l3
(lice altrettanto, ed Azara ( op. cit.) assicura averne
veduti de' simili al Paraguai.
Strabone ( 1. VII , e. a ) replica ciò che dicono Ip-
pocrate ed Erodoto (1. IV, e. 29) incolpando il freddo,
aggiungendo però che si tolgono con la lima perchè mal
potrebbero resistere al freddo. Malte-Brun (1. CXXVI )
dice che li buoi condotti dai coloni finni in Lapponia
vi perdono le corna e le vacche divengono bianche.
Tessier (Diz. d^Jgi'icolt., trad. a Padova, t. V, p. 53)
nomina pur egli il bue senza corna , che ha invece un
cranio sodo con una prominenza nel mezzo poco ap-
parente sull1 animale vivo , ma sensibilissima quando si
esamina la bestia spogliata della pelle e della carne.
Egli ritiene sulla fede di Arturo Young che ve ne sieno
anche in Inghilterra.
(55) Le genti vaganti che o per costume o per non.
aver ancor gustati i maggiori comodi della vita agricola,
o per la qualità del suolo che abitano, o perchè dovreb-
bero fuggire troppo spesso da pericolosi vicini e così
abbandonare il fruito dei campestri lavori, quelle genti,
dico , traggono 1' alimento dagli animali che loro sono
compagni , onde le carni di bue , di pecora e di ca-
vallo ( Strab., 1. VII, e. 2 e 3), ed il latte di queste
tre specie di animali formano adesso come un tempo
(Erod., I. IV, § 186) il cibo de'Nomadi dell'Asia e
dell' Africa, de' pastori delle Alpi e degli Apennini, che
cangiano dimora dal monte al piano o viceversa a nor-
ma delle stagioni.
(56) Galattofagi (mangiatori di latte) chiamavansi
gli Sciti di una particolare tribù (Strab. VII, 2,4 —
Omer., Iliad. XIII); ma io ritengo che i Nomadi pa-
stori di quella vastissima parte dell' Asia e dell' Europa
(la Scizia) avranno tutti fatto uso del latte sì delle vac-
che , clic delle pecore e delle cavalle. Alcuni Sciti fu-
rono anche detti mungitori di cavalle ( ippomolghi ), e
V uso clie quelli in generale e li Tartari moderni fanno
del latte di cavalla era com1 è tuttora una particolarità
de1 popoli di que' paesi , infatti tutti i viaggiatori del-
l' Asia frequentemente ne parlano. E da pochi anni il
maresciallo Marmont (piaggio ecc., t. II, p. i3/J, No-
vara) ebbe a notare che li Tartari noghesi*, quantunque
divenuti agricoli per le cure del coute di Maison, non
abbandonarono ancora l'uso del latte di cavalla.
Con questo medesimo latte già fermentato preparano
i Tartari ^ i Calmucchi e simili genti, il kumis , liquore
spiritoso, che per la prima volta fece conoscere il Ru-
brnquis dopo i suoi viaggi tra i Mogolli. Così pure il
semplice latte acido metlevasi a profitto dagli Scili qual
companatico (Strab., VII, e. /[)•
Era proprio degli Sciti anche il formaggio di ca-
valla , detto ippace dal nostro autore , da Strabene (l.VII,
e. 2), da Dioscoride {Materia med.^ e. 80) , da Plinio
(1. XXVIII, 34), ed esso è ancora in uso presso i Tar-
tari ed altri popoli Nomadi dell'Asia, a'quali è comodo
alimento nelle loro spedizioni (Ramusio, v. II).
Ippocrate qui non accenna il butirro} sappiamo però
da Erodoto (1. IV, e. 2 ) e da Polibio, autore del li-
bro delle malattìe attribuito ad Ippocrate ( Mercurìal.
Cariar, lect^ 1. I, e. 16, Venet. 1 5^ 1 ) che il butirro
fabbricavasi dagli Sciti non diversamente che noi fac-
ciamo. E in vero non solo del latte di cavalla ma al-
tresì da quello delle renne ottenerlo si può ^ come ve-
rificasi tra i Lapponi (Acerbi, Viaggi al capo Nord ,
e. 21 ). Plinio ( I. XXX , e. 3^, 1. e. 39 , 5 ) e Diosco-
ride ( Mater. medie, trad. dal Fausto. Venezia, 1 54^ ?
e. 8i ) indicarono pure conoscersi il butirro caprino e
perorino. I Greci ed i Romani non conobbero questa
sostanza che assai lardi, e Columella sembrami il primo
die abbia usato il vocabolo butyrrum, Que' popoli usa-
vano come condimento piuttosto V olio ebe il burro (al-
l'opposto di quanto diceva Strabone (1. Ili, e. 3) de'
Lusitani). Però, secondo Plinio (1. XXVIII, 35) P uso
di esso barbararum gentium laudatissimus cibus faceva
distinguere dalla plebe i ricebi, e perchè forse i dotti a
questi non sogliono ordinariamente appartenere , così
Ateneo non ne parla nel suo convivio. Circa gli Ebrei,
Michaelis dimostrò che quanto dicevasi nella Bibbia
(Job., e. 20, v. 17, e. ii/J, v. 6) non devesi intendere
per butirro , ma per latte pingue. Siccome potrebbesi
confondere P ìppace col cacio-cavallo del regno di Na-
poli, è a sapersi che questo si fa col vero latte di vacca,
e non ottiene tal nome se non perchè fassi stagionare
e conservasi accavallato ad una trave della dispensa
(Gagliardi Bibl. di Campagna. T. I, p 177).
(57) Senza dilungarci in indagini la cui copia forse
produrrebbe piuttosto confusione che luce, riferiremo la
rispettabile opinione del chiarissimo Malte-Brun sui
Rifei. « Questi monti, die' egli ( lib. II), chiamati Ripi
da più antichi autori, non erano che un aggregato im-
maginario di oggetti reali in se stessi. I monti di Tracia
dove lo Strinatine ha la sorgente , le parti ove nasce il
Danubio, le Alpi, i Pirenei, i monti Ercinj , in una pa-
rola tutte le montagne conosciute successivamente in
Europa, perfino il Caucaso, e lo stesso monte Tauro in
Asia, furono confusi sotto questa denominazione gene-
rale, che non sembra essere che un termine appellativo
per ogni sorta di montagne preso da qualche idioma
gotico o slavo. Quando si cominciò a conoscere i Pire-
nei, e più tardi le Alpi, si dovettero confinare verso la
2l6
Scizia i monti Rifei e tutto il loro favoloso corteggio. «
(58) Il quadro che qui ci dà Ippocrate del paese
degli Sciti non si adatta a quello che veramente conver-
rebbe agli Sciti stanziati vicino alla palude Meotide tra
li gradi 5o e 55 di latitudine nord , poiché ivi in fatti
non avviene quanto narra il medico greco. Egli con
l'induzione fisica ed astronomica estendevasi coll'ima-
ginazione sin dove supponeva inoltrarsi tal pianura abi-
tata dagli Sciti.
E verissimo d'altronde ciò che qui dice Ippocrate
(e ciò che non tutti intesero, ed anzi pare prendessero
cura di capovolgere ( che la pianura della Scizia pro-
priamente detta, o, come diremmo noi, della Tartaria,
Va innalzandosi anche dal nord al sud, poiché vi vedia-
mo nascere fiumi che corrono verso il polo, e non è poi
men vero che anche da mezzodì si salga verso di essa,
giacché molti altri fiumi si versano nel mar Caspio, nel
mar Nero ecc. Montesquieu chiamava montagna piatta
la Tartaria.
(5cj) Secondo Aristotele [de t'ep., I. I) li popoli nomadi
sono per sé pigri , e ciò conferma quanto aveva detto
Ippocrate ì Pallas (op. cit. ) , parlando de' Calmucchi
trova ben naturale che li nomadi liberi e senza ambi-
zione amino T ozio. Se ben si rifletta, vedesi che v' ha
grande diversità tra 1' agricoltore ed il pastore, quello
deve spremere a forza di fatica dalla terra quanto lo
deve sostenere in vita. Il pastore in vece non fa che
guidare la sua greggia ove trova naturalmente da pa-
scolare, e cibasi del latte e della carne di quella.
(6o) Ippocrate qui nota la mancanza di peli, Ero-
doto pure parla di Sciti calvi detti Argippei ( 1. IV,
§ 23 ), a naso simo e mento grande , di un linguaggio
proprio e che usavano scitico vestimento, forse i nostri
217
Calmucchi. Anche Mela ( lib. I. 19) aveva detto degli
Sciti et feminis et maribus nuda suut capita , e Plinio
( 1. VI, e. i4) capillus juxta feminis virisque in probro
existimatur. Non solo i popoli settentrionali ( se se ne
eccettuano alcune tribù) hanno pochi peli, come i Chi-
nesi , i Samoiedi , ma hanno la cura , come riferisce
Pallas, di estirparli forse per superstizione. In fatti anche
li Saukis, selvaggi dell'America (non diversamente de-
gli Sciti indicati da Plinio, di alcuni Greci e Romani, e
de' nostri cavallari, circa la criniera de' cavalli ) credono
che ne' capelli o ne' peli annidi il folletto o uno spirito
maligno, e se li estirpano sin dalla gioventù, ed in modo
di non tenerne sul capo che un ciuffo , ed avere sul
corpo se non una lanuggine ( I. G. Beltrami. La décou-
verte des sources du Mississipy etc. Nouvelle- Orléans ,
1824, p. 56).
L' uniformità poi del volto è propria non solo dei
Lapponi, de' Samoiedi, degli Ostiaci nell'antico mondo,
ma altresì si estende a' Groenlandesi, ed agli Esquimali
nel nuovo , e li naturali del Canada hanno tratti di
volto simili ai Tartari orientali (Buffon, v. III). Malte-
Bruu ( 1. CXXV ) offre i caratteri seguenti dei Finni che
erano di razza scitica, o per altrimenti esprimermi de-
gli Sciti che erano di razza finnica. « Capelli rossi o
giallo-bruni, o sia dei pomelli protuberanti , guance af-
fondate, barba rara, colorito bruno sporco. »
(61) Anche oggidì gli Ostiaci adoprano quella ma-
niera di abbruciatura che li medici chiamano moxa
fatta con un pezzo d'agarico (Pallas, v. IV). Erodoto
( 1. IV, § 187) aveva già detto che molti nomadi della
Libia cauterizzavano la testa de' loro figlj all' età di
quattro anni, onde distogliere la flemma o umidità che
-olava dal capo, ed in fatti riuscivano sanissimi. Pro-
>4*
2l8
spero Alpino (de med. EgypL, 1. Ili, e. 12) dice che
1' uso del fuoco per guarire da' reumi è comune tra gli
Arabi. Presso i Cinesi e li Giapponesi questo modo di
ustione è in pratica da tempo immemorabile, e sembra
che da que' paesi, non men che iì nome mooca, sia esso
provenuto.
Le cauterizzazioni fatte o colla mooca o con mezzi
analoghi, come il ferro rovente, le radici escarotiche ecc.,
manifestarono sempre ottimi risultamene maneggiate
da' medici, da qualunque vista teorica fossero a ciò in-
dotti, o in qualunque modo ne rendessero ragione , a
norma delle professate dottrine , della benefica azione
rivulsiva di tali agenti , capaci altresì di por fine alle
infiammazioni lunghe e pericolose.
(62) Pare che gli Greci, eccettuati per altro gli Spar-
tani , abbiano usate le fasce pei bambini ( Ippocr. delle
fratture. — Plutarc. in Licurgo ). Platone ( legg. VII )
consigliava di fasciarli sino a due anni d'età: Aristotele
al contrario ( della repubbl. VII ) non si mostrò cosi
amico delle fasce. Il non fasciare i bambini , nella
quale usanza molti trovano il maggior sviluppo di certi
popoli, e come avviene appunto tra i barbari ed in tutta
l'Asia (Frank. Poliz. med., Sez. II, Art. I, i3) è dal
nostro autore in vece riguardato come inconveniente
a cagione della lassezza degli Sciti. Li medici ed i fi-
lantropi scrissero, parlarono per abolire le. fasce , ma
sino ad ora, nei paesi ove si usavano non si ottenne in
generale il desiderato cambiamento, ammettendone ap-
pena qualche eccezione in alcuni ospizj di maternità ,
e presso singolari privati. Non v' ha dubbio che i bam-
bini abbisognano di certe coperture ben diverse da quelle
degli adulti sia per ripararli meglio dal freddo , sia per
la loro maggior nettezza, sin per essere senza danno e
2I9
con più. sicurezza maneggiati, ma in tali casi non si do-
vrebbero adunque invilupparli affatto nelle fasce al-
l' eslate, e si potrebbero allacciare tali coperture senza
stringere, come ora fassi, le membra de' teneri bambini.
Non pare che le fasce sieno necessarie per dar forma e
forza al corpo da che son comuni a riscontrarsi ove
non usansi, persone ben sviluppate , dritte e sane. Che
se soggiungasi che si vedono tra di noi uomini e donne
ben sviluppate e robuste , non sarà diffìcile lo contra-
porre che v'hanno moltissimi casi in contrario, ne sino
ad ora si è fatto i! calcolo delle mortalità relative , ac-
cadute cioè ove non adopransi , e dove sì. Che in vece
le fasce sieno innocue , non lo possiamo asserire , poi-
ché i nostri bambini vanno soggetti ad una caterva di
malattie, e la mortalità tra di essi è assai grande. E cer-
tamente il fasciare appunto con certa forza coli' idea di
tenere dritto il tronco e le estremità , in un tempo in
cui si sa accadere un grande sviluppo nel corpo, certa-
mente si accosta a quella violenza per cui presso Certi
popoli si vuole conformare diversamente la testa de'
bambini ed f piedi delle donne, si può dire che li bam-
bini si trovano meno legati nell' utero materno. In fatti
molte volte anche il solo pianto, per non parlare degli
altri mali di maggior conseguenza , il pianto , dico , è
prodotto sì certamente dallo stato di molestia in cui
trovasi il bambino , poiché appena sfasciato agita le
estremità con alacrità, rasserena il ciglio, si fa ilare e
manifesta contento e soddisfazione. Comunque la nu-
trice porti attenzione , il che generalmente è ben lon-
tano dall' accadere nel volgo , al grado di strettezza
ch'essa dà alle fasce, queste non potranno ameno che
di cagionare un più o men grande impedimento sì alla
circolazione escentrica che a quella del polmone, del
220
cuore e del cervello. Di qui, io credo , la facilità delle
morti repentine, delle asfissie ecc. , cui vanno soggetti
i bambini , e che comunemente soglionsi attribuire ai
vermi, alle convulsioni , ed a simili cose insussistenti,
come cause morbose in tali casi. Quanto mai un tale
impedito sviluppo del torace , e perciò altresì degli or-
gani ch'entro vi stanno, può essere cagione della faci-
lità delle malattie de' polmoni e delle tisi polmonari
nella gioventù.
(63) Erodoto aveva già detto (1. IV, § 109) che i
Budini, i quali corrispondono, secondo Busching (Géogr.,
t. Ili) ai moderni Tartari Budziaks , avevano colore
diverso da quello de' Greci. Ciò è confermato riguardo
ai Tartari in generale da Buffon (V. Ili) e da Pallas
(t. I, V), descrivendoli di color fulvo, giallastro, fosco.
(64) L' abbruciar del freddo è una maniera figu-
rata di esprimersi usata anche da altri, e p. e. da Vir-
gilio (Georg. I, 93).
Boreae penetrabile frigus adurat.
(65) Quanto qui dice lppocrate circa la potenza ge-
nerativa degli Sciti sembra essere una illazione da lui
tratta dalle sue idee di temperie e di umori. Ma que-
sti teoretici principj essendo erronei, deve ritenersi an-
che assai mal basato il suo giudizio in questo argomento.
e noi non abbiamo fatti che provino la poca facoltà
prolifica de' varj Sciti d' allora o de' varj Tartari de'
tempi nostri : se non vogliasi supporla o dedurla scarsa
dalla vita vagante, e pastorale, e disagiata, dalli mezzi
di sussistenza talora mancanti per guerre, spedizioni, e
forz'anche dalla poligamia. Circa l'equitazione, il no-
stro autore ritenendola capace a spegnere V ardore a
Venere, trovasi in opposizione a quanto credeva Ari-
stotele ( Probi Sect. W),
11\
(66) L' esistenza di alcuni tra gli Sciti mancanti
della virilità e ridotti all' apparente stato di femmine
non solo è riferita dal nostro autore e da Erodoto
(LI, § io5, 1. IV} § 67 ) , ma è confermata dai mo-
derni riguardo ai Tartari e, p. e., Giulio Klaproth par-
lando {Voy. en Geòrgie et au Mont Caucase , Pa-
ris, i823) dei nomadi Nogay per natura dotati di
pochissima barba, riferisce che o per vecchiaia o per
certa malattia , chiamata Choss , la pelle loro si rag-
grinza , cadono i peli , divengono impotenti , ed assu-
mono un aspetto affatto femminile , fuggono gli uomini
e immischiansi colle donne , delle quali prendono an-
che 1' abito e sembrano vecchiacce stomachevoli. Que-
sta testimonianza annulla adunque P ipolesi di Coray
( t. II, nota pag. 334), cne tale malattia non fosse che
un1 affezione ipocondriaca , nervosa, la quale col tur-
bare P immaginazione avviliva gli Sciti, e faceva loro
credere di essere cangiali in donne.
Mentre questi esseri infelici sono detti da Ippo-
crate anandri ossia senza maschilità ( Ramusio ), uo-
mini femmine ( Mustoxidi , ad Erod., lib. IV, § 67 ) ,
Erodoto li chiama enarei , é ne offre la seguente ori-
gine (a).
Quando gli Sciti nomadi d'Europa passarono in
Asia (1. I, § i5, 1. IV, § 11 ) e ne tolsero il dominio
ai Medi, s'avviavano verso l'Egitto. Ma Psammetico re
di questo paese venne loro incontro sino nella Pale-
(a) Assai male Coray e Chailly tradussero èffeminès\ che
meglio, come riflette il Mustoxidi , si riferisce al morale. Il vo-
cabolo evirati adoprato dal Calvo e da altri traduttori latini può
usarsi forse in italiano sull' esempio^ se non mi tradisce la me-
moria, di qualche buon poeta ?
111
stina e con suppliche e doni ottenne non s1 «avanzas-
sero. Passando nel ritorno per Ascaìona città della Si-
ria, alcuni degli Sciti ivi posero a sacco l'antichissimo
tempio di Venere celeste , ma la Dea que' spogliatoi*!
non solo , ma i discendenti loro percosse del morbo
femminile , e sosteneva Erodoto (1. I, § io5) che in
fatti vedevansi gli enarei tra gli Sciti, i quali per quella
maledizione ritengono infermare.
Aggiunge lo storico d^Alicarnasso (ivi) che risguar-
davansi tra quel popolo gli enarei come indovini , ve-
nivano consultati sin anche nelle malattie , il che com-
bina con quanto dice il nostro autore d' essere eglino,
cioè, venerati. E di tal fatto sembranmi due poter es*
sere le ragioni.
Primieramente, perchè delle malattie oscure la cui
causa non è palese o la guarigione difficile , ed anche
impossibile, non solo si amava attribuire V origine alla
divinità e perciò chiamavansi divine o sacre , ma si
acquistava altresì certa devota ammirazione per coloro
che ne erano affetti. Né ciò solo avveniva tra gli anti-
chi, ma pur anche i cretini nel Vallese sono riguardati
come esseri favoriti dal Cielo , e soglionsi chiamare
anime buone, anime senza peccato (Coxe, Lettres sur
la Suisse. P. II ). Li Turchi sì barbari e fanatici hanno
un rispetto portato sino alla venerazione per gl'idioti.
In secondo luogo si sa che furono sempre riguardati
con rispetto, meraviglia, ed ossequio coloro che si asten-
gono da piaceri carnali. Li sacerdoti quasi tutti d' ogni
età e di ogni nazione con questo sacrifìcio per tutta la loro
vita o per certo tempo} o soltanto prima delle sacre fun-
zioni (Frank, Polizia meo7., Sez. 1, art i.) acquistavano
maggiori riguardi dal popolo. In un supplemento al codi-
ce de' Calmucchi si legge, « I sacerdoti offenderanno la
21i3
propria dignità avendo commercio coìP altro sesso »
(Pallas, op. cit. V. I). La contemplazione, l'astinenza
del vitto e quella del coito fece nascere la vita degli
cremi e quella de' conventi. E quantunque i Bonzi nel-
l'India, e nei primitivi tempi della Chiesa tra noi i due
sessi vivessero assieme (V. Ronchetti, Mem. ist. della
Città e chiesa di Bergamo. T. V, pag. 62), pure sì
astenevano da ogni carnale commercio, e da ciò accre-
scevasi il pregio di loro vita»
Così pure fu già ascritto a merito il privarsi anche
degli organi virili, il che facevano i sacerdoti di Cibele
o di Cerere, i Cureti o Coribanti, e li fanatici di alcune
sette cristiane, alla qual pratica però si opposero forte*
mente alcuni Concilj.
Poiché si accennarono i Cureti egli è degno di os-
servazione: 1 .° come essi mantengano certa analogia cogli
indovini o sacerdoti degli Sciti detti Enarei. I Cureti che
furono i primi sacerdoti vati e medici della Grecia,
oriundi del Caucaso e della Colchide (Strab. 1 X, e. 6),
si stabilirono nella Tessaglia e nella Tracia, e final-
mente passarono in Creta. Eglino vestivano abiti mu-
liebri. 2.0 Come nella Tracia dirozzata da' Cureti sia
nata la musica. Traci sono slati Orfeo ed Euolpo , e
tra noi gli evirati furono 5 sino a pochi anni or sono ,
pregiati cantori per la loro voce femminile.
(67) TI quid diviniim ( to Su'*») d' Ippocrate è una
parola comunissima, un detto misterioso , cui trovano
comoda cosa il ricorrere que' medici, che non volendo
o non sapendo far le necessarie ricerche in caso di do*
minanti epidemie, celano la propria pigrizia ed igno-
ranza sotto il velame di quel vocabolo, e intanto ingan-
nano i magistrati addetti alla pubblica salute e rovinano
le popolazioni. Questi tali che pronunciano con tanta
facilità e sì magistralmente il quid divinimi meritano il
giudizio seguente dato dall' autore del trattato della ma~
lattici sacra, « Del resto coloro, che pei primi chiama-
rono questa ( la epilessia ) malattia sacra , sembratimi
esser quali sono i magi j gli scongiuratori , ed i ciarla-
tani, ed anzi ben arroganti, siccome quelli che vogliono
imporre colla loro simulata pietà e far credere di sa-
perne più di chicchessia. Costoro non potendo arrecare
de' fatti, col trarre in campo !a divinità procurano na?
scondere la loro scarsezza d' intelletto e di criterio , e
così , perchè la propria ignoranza chiara non risulti ,
sacra chiamarono tale affezione. ?? Né men bene è adat-
tata la sentenza di Gicerone ( De divinai. 1. II, e. 26).
Omnino enim magna stultitia est earum rerum ( quas
natura offert) Deos facere effectores , caussas rerum
non queerere. Dal presente passo e dall' altro al § CXI
si scorge che Ippocrate qual causa divina delle malattie
riguardava un' influenza per nulla affatto soprannatu-
rale o astratta, ma dipendente da cause naturali, ed a
tale opinione faceva poi eco Cicerone (ivi e. 18) di-
cendo: Quidquid oritur qualecumque est, caussam a na-
tura habeat necesse est, ut edam si praeter naturam
tamen non possit existere. Caussam igitur investigato
in re nova, atque admirabili, si potes. Si nullam repe-
ries, illud tamen exploratum habeto, nihil fieri potuis se
sine caussa : eumque errorem quem rei novitas attulerit,
naturae ratione depellito. ??
Che se alcuno, poco valutando quanto di sopra ho
detto e troppo strettamente interpretando le cose dirà
che Ippocrate si contraddice, giacche in altri luoghi dis-
se: gran potere aver sugli uomini la divinità (ro &/«*)
( de nat. muliebr., § 1 ). — E se v* ha nelle malattie
alcun che di divino, anche di ciò deve il medico aver
22D
preconoscenza ( Prognost., § i )^ farò riflettere eirca al
primo passo con lo Schultz ( Hist. med. period. I ,
Sect. 3, e. 3 ) che quel libro non appartiene ad Ippo-
crate; riguardo al secondo Galeno stesso nel commen-
tarlo ( Class. IV, Venet. apud Junt. i 54 1 5 pag. 192 )
si mostra contrario all'opinione di chi crede ivi allu-
dersi dal Vecchio di Coo al potere degli Dei , ed anzi
conchiude che questi in nessuna opera sua abbia at-
tribuita la cagione delle malattie agli Dei. Che se mai
questo Ippocrate secondo fosse egli stesso 1' autore del
libro de morbo sacro, abbiamo veduto come in questo
egli attribuisse a ciarlataneria e ad ignoranza il dare il
nome di sacra all'epilessia, e facesse vedere che non si
deve ricorrere a cose astratte, ma bensì a materiali, vi-
sibili e palpabili. E una prova di ciò si ha, quando sog-
giunge che se si taglia il cervello delle capre, che vanno
soggette frequentemente a tale malattia, si trova il cer-
vello umido, puzzolente e con trasudamento, ed escla-
ma: Da questo fatto conoscerai che non è Dio, ma la
malattia che affligge il corpo. Lo stesso avviene riguardo
aW uomo (§ i3).
(68) Che 1' eccessivo rimanersi sul cavallo possa
essere nocivo, ella è cosa , che da nessuno sarà posta
in dubbio, e quando ciò non fosse, potrebbe altresì ser-
vire d' appoggio il riferirsi da Pallas , che li Tartari
Kirguis divengono curvi nelle gambe per quel motivo}
da Mawe ( Viagg. al Brasile, t. Il, p. 280) che al
Brasile è frequente la sciatica specialmente per chi
viaggia troppo a cavallo de' muli. Ciò che per altro non
corrisponde al fatto anatomico e patologico si è quanto
lo stesso nostro autore dice qui ed altrove (de'' luoghi
neW uomo) sulle conseguenze, e ripete poi l'autore
del trattato della generazione-
226
Sul proposito poi della cura potrebbe ripetersi la
medesima eccezionej come basata su di una erronea idea
intorno alle vene sì di lui che di suo genero Polibio
(delle vene, § XII). L'incisione alle orecchie qual me-
todo curativo della malattia in discorso o della sciatica,
che precisamente indica per nome più sotto al § GXII,
e che è rammentato anche dall' autore del sesto libro
degli epidemj , mi fa sovvenire l! abbruciatura dietro
all'orecchio usata anticamente al Giappone e riferita
da Zacuto Lusitauo, indi posta in pratica da quel prete
ricordato dal dottor Colla di Parma ( Gior. medico-*
chirurgico, voi I ).
INDICE
Al lettore , Pag. 5
Discorso preliminare di Adamanzio Coray » y
Parte prima - Dell'influenza del clima sull'uomo . » ivi
Parte seconda - Analisi del Trattato delle arie, delle
acque e de' luoghi » 36
Parte terza - Notizie sui manoscritti e sulle edizioni sì
greche che latine, che hanno preceduta la presente » 79
Annotazioni del traduttore al discorso preliminare di Ada-
manzio Coray . . . »io5
Sulle arie, sulle acque e sui luoghi, Trattato d'Ippocrate » 127
Capitolo I. - Introduzione . » ivi
Capitolo II. - Dei climi M »^9
Capitolo III. - Delle acque . , , » 1 55
Capitolo IV. - Delle stagioni , . . » i4o
Capitolo V. - Dell'Asia » i4i
Capitolo FI. - Dell'Europa » i/jcj
Annotazioni del traduttore al lesto . » i5<j
-5ìi-l
SUL CLIMA
DELLA
BASSA LOMBARDIA
RICERCHE
POLITICO-MEDICO-STATISTICHE
DEL DOTTOR
MEDICO DIRETTORE
DEGLI SPEDALI DI BERGAMO
Est quo dam prò dire tenus,
si non da tur ultra,
Hoìiat. Epist. I.
MILANO
COI TIPI DI PAOLO EMILIO GIUSTI
i839.
linde nos admonet divina providentìa , non res ìnsipienter
vituperare, sed utìlitatem rerum diligenler inquirere:
et ubi nostrum ingenium vel infirmitas deficit, ita cre-
dere occulta, sicut erant quwdam guaì vix potuimus
invenire,
D. A. Augustini. De civitate Bei.
Lib. XI, Gap. xxi i.
AVVERTIMENTO
AL LETTORE
ib egli è vero che la salute contare si deve
come il maggior bene che godere si possa , sarà
pur vero che le presenti Ricerche, considerando
appunto nel Clima della Bassa-Lombardia, quan-
to a quella si riferisce, utili devono risultare.
Importanti per il ben essere del popolo sono i
punti a' quali ho diretto le mie riflessioni. Quan-
tunque però io creda eh' essi sin'ora non sieno
stati svolti e trattati da altri in quel modo che
meritavano, non oso dichiararmi persuaso d'es-
sere giunto io stesso a tale importantissimo fine.
Il pubblico giudicherà s'io ho fatto qualche passo
di più di coloro che mi precedettero. Se poi ad
alcuno sembrassero eccessive le autorità alle
quali ho appoggiato quanto veniva esponendo,
rifletta che nella scienza della salute non sono
veramente mai bastanti le prove e le testimo-
nianze che servir devono a farci accostare o
giungere alla verità.
Ciò che meno aveva connessione coli' argo-
mento , ma che però non era estraneo o inutile
al medesimo, si è confinato nelle note. Ivi quan-
to io ho saputo esporre , sarà fuori del caso di
riuscire seccante a certuni , mentre potrà forse
soddisfare la curiosità di altri.
SUL CLIMA
DELLA
BASSA LOMBARDIA
INTRODUZIONE
lerchè non solo a soddisfazione di pura curiosità , ma
per il vantaggio, che a tutti ne può risultare , le verità
ascose vengano al giorno, credo non si possa far di meglio
che raccogliere ed unire la maggiore possibile quantità
di fatti , poscia esaminarli , paragonarli ed avvicinarli nei
punti ove manifestano tra di loro relazione ed analogia.
L'osservazione, voglio dire, estesa su di molti oggetti, il
paragone instituito tra i medesimi, ed il ravvicinamento
de* loro rispettivi rapporti formeranno , a mio parere , il
metodo il pia conveniente per guidarci a migliori risultati
nelle scientifiche ricerche. Sarà per mezzo di esso che la
Natura verrà forzata a lasciare a poco a poco cadere, in
£ran parte almeno, quel velo, che ricopre le innumere-*
voli e misteriose sue bellezze, e sarà col di lui sussidio,
che il filosofo, quantunque persuaso, che essa qual bel*
la sovrumana non si mostrerà mai affatto nuda all'oc-
chio dell'uomo , otterrà almeno in premio de' molti suoi
sudori di ammirarne qualche piccola parte ancor nascosta.
Finché nelle filosofiche indagini , e nello studio delle
naturali discipline specialmente, si prefisse allo sguardo
un troppo ristretto orizzonte: finche si innalzarono ostacoli
all'occhio ov' esso avrebbe dovuto spaziare più libero: fin-
ché si sottoposero alla considerazione isoiati i fatti, non si
analizzarono pienamente i fenomeni, non si generalizza-
rono i particolari e singoli caratteri loro, pochi passi si
fecero sul sentiero della verità, anzi più sovente si de-
viò affatto dal medesimo per immergersi con soddisfazione
e diletto in ipotesi quanto brillanti e lusinghiere altret-
tanto insussistenti e fallaci (a).
La storia della Medicina e quella della Geologia collo
schierarci innanzi un'innumerevole serie di sistemi, d'ipo-
tesi e di teorie talora spregevoli, qualche volta speciose,
tal altra umilianti il buon senso e sin anche dannose, pos-
sono ben fornire una conferma di quanto asserisco: ma tra-
lasciando queste prove negative, che in grande copia potrei
addurre , e che tutte ugualmente dimostrerebbero quale
abuso l' uomo possa fare di quell' intelligenza e di quella
fantasia, che tanto lo fanno andar superbo, amo meglio ri-
volgermi alle veramente positive.
Quale diversità non esistette per secoli e tuttora non
esiste all'occhio del volgo tra l'ambra gialla bel oggetto di
lusso e di galanteria , ed il fulmine terribile ministro di
spavento e di morte? Eppure quando lo sgu ardo del filoso-
fo si estese su di una quantità d'analoghi effetti , quando
ben diretto dall'osservazione fermossi sulle proprietà della
prima e su quelle di quest'ultimo, giunse allora a scoprire,
che una cagione comune anima certi fenomeni che ri-
spettivamente manifestano. L* analitica considerazione di
quegli altri fenomeni, che offre il fluido galvanico, l'elet-
3
trico e il magnetico ha pur fatto vedere la loro identità.
Egli non è che allo spirito filosofico moderno , il quale
geppe scoprire nel vile, nero e fragile barbone, e nel pre-
zioso, splendente e durissimo diamante una comune prin-
cipale proprietà (la combustibilità), che è dovuta la dimo-
strazione di una indentila nei principj, che compongono
questi due corpi apparentemente- tanto tra loro dissimili ,
e dissimili realmente in figura e in pregio.
Avendo considerato il metodo or'ora da me lodato quale
fonte de* migliori successi nell'investigazione del vero, non
ho saputo da esso dipartirmi nelle Ricerche che mi son
proposto di fare onde scoprire e far conoscere a* quali ca-
gioni veramente attribuire si debba quanto di pregiudi-
zievole, per non ingiusta universale sentenza, ha seco il
Clima della Bassa-Lombardia. Ad ottenere lo scopo mio
ho procurato prima di tutto farmi una chiara idea degli
oggetti intorno ai quali è richiesto dalla natura dell'argo-
mento lo aggirarsi: ho cercato far servire le cose note allo
scoprimento delle ignote . di addurre fattr senza risparmio
e di moltiplicare le prove. Così da prima dopo averne
analizzate le qualità , ho creduto conveniente di stabilire
la classe cui appartenere può il clima dell'accennata re-
gione e far conoscere la influenza eh' egli esercita sugli
esseri organici che lo popolano. Dopo di che1 giudicai
necessario di passare all' esame delle circostanze d' altri
analoghi climi e degli effetti ad essi proprj, onde, contrap-
posto poi l'effetto morboso che riscontrasi nel nostro, dai
vicendevoli rapporti venga chiara a scaturirne la cagione.
Trovai poscia opportuno e ragionevole, che dalla consi-
derazione dell'influenza generale del clima dovessi di-
scendere a rintracciare quelle altre cagioni particolari, le
4
quali, o fomite dalla natura o dall'uomo procurate, danno
luogo a speciali e piti limitati effetti: ne le mie indagini
credetti al loro termine giunte, se non quando coll'analisi
per ciascuna instituita di tali cagioni, arrivare potessi con
numerosi esempi a dimostrare la identità, che le collega e
stabilire la identità degli elfettl che ne derivano.
Siccome per dare maggior base ai principi da me pro-
posti, stimai prevalermi delle logiche induzioni tratte
dall'attenta e ripetuta osservazione, non che da una
scrupolosa interpretazione de' fatti , così onde persegui-
tare sino nelle più oscure originarie latebre certi principj
dannosi all' abitante del suolo basso-lombardo, e forzarli
a manifestare la intima loro natura a vantaggio delle igiene
e della medicina, colpa sarebbe stato il trascurare i sus-
sidj, che porge sì quella scienza sublime, che tanto in
breve tempo penetrò nella cognizione della recondita es-
senza dei corpi, non che quell' altra che le superficiali
proprietà e le modificazioni ne considera e misura : ed io
perciò colla scorta della chimica e della fisica mi sono
prefisso di spingermi a quel lodevole intento sin dove esse
mi sapranno guidare , non dolente per altro di dovermi
arrestare a quel termine , oltre al quale nell' età nostra
non è lecito il passare
CAPO PRIMO
Colpo d'occhio sulla Bassa-Lombardia.
Se da quelli eminenti luoghi che compongono i Monti
Orofoii o le Colline Oltrepadane, luoghi tanto favoriti
dalla natura e tanto prediletti dall'uomo per la loro ame-
nità e per 1' aere lieve e salubre , si lascia spaziare lo
sguardo, questo libero percorre la lombarda pianura non
arrestato che dagli ultimi scalini delle Alpi a settentrione
ed a ponente, e da quelli degli Appennini a mezzogiorno.
Per essa che a levante inclina vedesi scorrere maestoso
serpeggiando il Pò sempre torbido e ricco delle acque,
che tanti fiumi e torrenti versano nel suo seno. Per le
pioggie abbondanti o per le squagliate nevi esso s'innalza
e sorte talora dal suo letto; ma la sua piena, come quella
del Nilo, né invocano, né benedicono gli agricoltori, poi-
ché atterrisce chi vi sta vicino, seco trae le abitazioni e
gli ubertosi campi, o deponendo sui terreni, che allaga,
sterile arena , ne sospende per molto tempo i più neces-
sai j prodotti. E sotto tale aspetto che Lucano lo dipinse
con que' versi :
Gonfio così sulle sicure sponde
Sale e pe' campi il Pò libero spazia.
All' urto de'suoi flutti in van resistere
Può il suolo istesso che soccombe e frana.
Allor coli' ampio suo volume scorre
Per nuove strade e a chi 1' avito campo
Rapisce e chi d'altro fa lieto e ricco.
Il Ticino, fiume del Pò il più ricco tributario, percorre
6
puro ampia parte della pianura stessa e colle limpide
sue acque arricchisce l'industrioso abitante assai più che
non coll'oro che travolge al basso tra sue selciose arene.
La superficie di questa gran valle italo-settentrionale
óffresi per estesissimi spazj coperta da prati , che il bel
verde d'erba orgogliosa, ed un tapeto di fiori rendono
ameni e ridenti la maggior parte dell' anno : ivi l'acqua
di secondarj fiumi, di canali, e quella che ad arte o natu-
ralmente sorge dal suolo con corso or rapido or lento, ma
sempre ridondante , suddivisa in fossi e rigagnoli apporta
vita e copioso nutrimento ai vegetabili de' campi e , sui
margini di questi , a numerosi salici e ad ampj ramosi
pioppi.
Quando pure la neve ha nascosto sotto bianca coperta
tutto il suolo lombardo e mentre il gelo altrove ferma e
rappiglia ogni umore, qui invece allettano lo sguardo,
quali oasis in mezzo a libico deserto, verdi campi, pingui
pascoli sempre irrigati da limpida e placidamente scorre-
vole acqua : e ben di questi può dirsi
Che primavera o estate ognor qui versa
Bellezze sue nella stagion più avversa.
Ove qualche laguna ritrovasi, ha coronata la sponda da
mobili canne e ornate le fosc' acque dalle ampie foglie e
dal fiore or giallo or candido della ninfea.
Altre lagune poi ben più numerose ed ampie, che l'arte
ha prodotte e regolarmente disposte, offrono il lor grembo
alla vegetazione del riso.
Posciachè quelle praterie o queste risaje pel voluto
tempo hanno dato all' agricoltore i loro ampj prodotti, som-
ministrano altra volta a vicenda or frumento, or ravizzone,
7
or grano turco, or avena, or lino assai e poca canape , og-
getti tutti, che compensano con abbondante frutto, potendo
molti tra essi, a norma del bisogno, venire soccorsi coir ir-
rigazione.
Il viaggiatore osserva maravigliato scorrere a torme i
i cavalli; e numerose mandre di vacche corpulenti e brune
mandate dalle Alpi svizzere, bergamasche e bresciane or
pascolare su que' verdi prati ed or raccolte in ariose ed
aperte stalle dare in "gran copia quel latte, che per la
maggior parte cangiasi nel cacio oltremonte ed oltremare
assurdamente chiamato parmigiano. In altro lato vede
colossali buoi ed elvetici cavalli lenti ed appajati trarre
su carri e treggie le copiose raccolte di cereali, di fieni e
d' erba, non che il pingue alimento de' campi. Ma s' egli
cerca le abitazioni , queste ascose dalla copia , altezza e
densità degli alberi non gli verranno indicate che dallo
stridulo e ripetulo canto del gallo o da' vortici di fummo,
che a stento tentano oltrepassare la pesante atmosfera.
Ivi coperto d' ampio cappello ed appoggiato a lungo ba-
stone trovasi il fitta juolo (che ben rari sono i proprietarj),
il quale or attento osserva chi munito d'ampi stivali at-
tende, perchè le acque de' prati o delle risaje si distribui-
scano a norma del bisogno, ma colla maggiore economia:
ora invigila , onde colla più grande speditezza lunghe file
di contadini discesi dalli alti circostanti luoghi si affretti-
no a coglier la messe : ora perchè, deposta questa sull'aja,
venga ben battuta dal rullo o dal calpestio de' cavalli.
Se scarsa vedesi la popolazione rispetto alla superficie
territoriale ed ai bisogno de' campestri lavori , scorgonsi
però gli abitanti e specialmente coloro che attendono alle
mandre vaccine , ed al lavoro del latte, pingui , torosi , di
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color bruno e barbuti. E se in generale tal loro aspetto
dimostra un ben essere prodotto dall'abbondanza degli ali-
menti, dalla sufficienza de'necessarj mezzi, e da miti fa*
tiche: quelli altri invece , die nella state avanzata e nel-
l'autunno o vedonsi squallidi, tumidi la faccia e il ventre,
malfermi aggirarsi intorno ai loro casolari , o che trovansi
popolare numerosi in quest' epoca gli spedali , offrono una
triste non meno che indubitabile prova del malefico prin-
cipio nell' atmosfera nascosto.
Se qui gli augelli non ci sorprendono coi colori de'quali
fanno bella mostra in altre parti del mondo, è qui perb
a di tigri e di leon la rabbia ignota ». Qui non ci spaventa
fiera alcuna, ma vediamo il cervo queto moltiplicarsi ne'feo-
schi, che fanno ala al Ticino all'ombra delle leggi, che
ne impediscono la distruzione : vive il tasso vicino ai fon-
tanili, e la sola volpe s'asconde tra noi per sortire furtiva
a far guasto del nostro pollame. Non ha il serpente a so-
nagli, non ha il boa la Bassa-Lombardia , ma bensì la vi-
pera, la quale però pia frequentemente cagiona spavento
che danno, ed ha quegli innocenti serpi, che in grandi masse
raccolgonsi in luoghi abbandonati , o s' introducono nelle
abitazioni e nuli' altro destare, che ribrezzo. Numerose le
talpe sollevano qua e là la bella e compatta superficie
de* prati e, col danno che portano, risvegliano l'ingegno,
onde rinvenire sempre migliori mezzi alti a .distruggerle.
Nelle risaje e nellì stagni la benefica sanguisuga male
a proposito offende lo scalzo piede de' pacifici contadini
o dell' industre pescatore e qui mentre
le querele
Antiche rinnovar s'odon cantando
Le roche rane entro il palustre limo:
9
t' assorda pure l'acuta voce del grillo nella notte e
nelle ore più calde dell'estive giornate
la cicala col nojoso metro
Fra i densi rami del fronzuto stelo;
né soltanto l'orecchio con molesto ronzio, ma la pelle pur
anche verso sera ti ferisce con acuto pungolo immensa la
schiera delle zanzare, rome nel più caldo della giornata
il tafano punge acerbamente e fa scalpitare il più man-
sueto cavallo.
Vedonsi sui prati colla loro viva luce numerosissime
lucide far brillare il nero manto della notte e di giorno
leggermente alleggiare sulle acque le damigelle; le va-
riopinte farfalle spiegare intorno l' incerto lor volo, ed al-
l'ombra de' bianchi salici ci ricrea l'odorato il fragrante
cerambice.
Alla fine di marzo comparisce giuliva a posare qui suo
nido la rondine, cui tien dietro a rallegrarci col suo canto
l'usignuolo. Nell'estate fa di sé sacrifizio alla nostra ta-
vola la quaglia e la pavoncella, come all' autunno la
beccaccia e la beccaccina.
Non il cocodrillo, non l'ippopotamo, ma la lontra al-
berga vicino alle nostre acque che pia numerosi offrono i
granchi. Danno i fiumi finalmente in abbondanza le an-
guille, il pesce persico, la trota, il temolo, la carpana, il
barbio, la tinca, il luccio, ed il solo Pò, re de' nostri fiumi,
ci olire il re de' nostri pesci lo storione.
IO
CAPO II.
Determinazione del clima della Bassa-Lombardia die-
tro le circostanze sue topografiche ed effetti fisiolo-
gici di tal clima.
I fiumi che scorrono dal pendio meridionale ed orien-
tale di quella non interotta catena di monti che cingono
al nord-est ed all'ovest la Lombardia, e le sorgenti in
gran parte perenni, che per la inclinazione del suolo si
versano sugi' inferiori piani (f), offrono quell'abbondanza
di acqua , che già una volta (2), rendeva paludosa questa
eletta contrada di Europa , ma che in migliori tempi ha
consigliata e favorita la irrigazione de' prati in ogni stagio-
ne dell* anno e quella passaggiera a vantaggio di molti
altri prodotti agrarj : non che ha fatto adottare da qualche
secolo la coltivazione del riso (3). A ragione pare si possa
ritenere , la parte superiore della valle lombarda che si
stende da Torino a Mantova essere al presente umida e
miasmatica (4) per causa dell' arte, mentre la parte infe-
riore che va avvicinandosi all' Adriatico trova esserlo spe-
cialmente per naturale necessità, cioè per la grandissima
copia delle acque che vi concorrono (5), per le innumere-
voli divisioni di tanti fiumi, per la lentezza del loro corso,
quando stanno per versarsi in seno al mare, per lo sta-
gnamento e la mistione in varie paludi dell'acqua dolce
colla marina, e finalmente per i facili e ripetuti straripa-
menti de' fiumi. E più ancora dovrebbe essa riesci re ino-
spite e fatale se l' arte non fosse accorsa con colossali la-
vori a contenerli , non che a dirigerli per più retta e fa-
cile strada.
Che poi il noto aumento di tali procurate e naturali
1 1
circostanze abbia fatto aumentare ia umidità del nostro
paese viene confermato anche della fisica meteorologica.
In fatti risulta da lunghe osservazioni dall' astronomo mi-
lanese de Gesaris che la quantità media della pioggia la
quale dal 1764 al 1790 fu di pollici 33, 6, dal 1791 al
181 7 trovossi di pollici 37,2 (6).
Un vasto tratto di paese ove l' acqua abbonda , ove cori
ogni sforzo e cura se ne impedisce il rapido corso, la s'in-
nalza, raffrena ed arresta a norma de' vai j bisogni, ove
si moltiplica all'infinito la superficie evaporante della
stessa non solo per un'immensa rete di canali, condotti ad
irrigare innumerevoli campi, ma per quella altresì che fuor
di essi si spande onde formare vaste lagune artificiali de-
stinate alla coltivazione del suindicato cereale , un siffatto
paese, io dico, certamente deve costituire un clima che a
tutta ragione chiamerassi umido.
A queste cagioni indigene d'umidità altra non puossi
lasciar d' aggiungere che dir potrebbesi esotica. Il bacino
che costituisce questa bella parte dell'Europa meridionale
è bensì chiuso all'ovest ed al nord dalle Alpi, ed al sud
dalla catena degli Appennini ma trovasi aperto alla di
lui parte inferiore , voglio dire ad oriente ; è da questa
parte appunto per cui le acque che lo scorrono, sboccano
nell'Adriatico, e per cui entrano nell'estate specialmente
malefici venti (7), i quali gravidi di umidità e di maligne
esalazioni pel loro passaggio sul golfo, sulle paludose foci
del Pò, sull'umido suolo del Polesine, del Ferrarese e
del Mantovano , sono altresì a noi apportatori di pioggia.
E quantunque veramente le nubi sciroccali siano attratte
con forza dalle alte cime de' monti, che ci stanno a tergo,
e che nelle vicinanze di questi maggiore sia la quantità,
12
media annuale di pioggia ohe non nella Bassa-Lombardia,
pure qui ìa mancanza di frequente [ventilazione per le
troppo lontane gole montuose e per gli alberi che spessi
ed alti ne intersecano la superfìcie fa sì che l' umidità si
fermi, ristagni ed abbondi : non altrimente, come riferisce
Volney, là dove ha corso l'Ohio, le immense foreste che
gli sono vicine vengon contrassegnate da un fiume aereo
di nebbie; e vide Gautieri (8) tra, le Alpi godere molti
paesi del sole mentre i boschi vicini ad essi e posti allo
stesso livello di quelli erano coperti di nebbie e di nubi.
Se poi umido ci indicano il clima le or ricordate cir-
costanze, umido ce lo dimostreranno quelle altre di vedervi
regnare frequentemente la nebbia, di trovare molte sostanze
che abbiamo intorno, coperte di muffa ed i metalli con fa-
cilità offesi dalla ruggine , di sentire le vesti nostre ed i
capelli quasi costantemente bagnati ed abbondantemente
poi nelle ore, che un abbassamento di temperatura fa pre-
cipitare gli acquosi vapori dell'atmosfera, di prosperare
straordinariamente i vegetabili e quelli tra di essi che o
difficilmente o nuli' affatto vivon in luogo asciutto, di ab-
bondarvi certi animali, come le lumache, le rane, le zan-
zare (9) 0 simili indigeni abitatori di suolo ed aria umida,
di esser finalmente di un sapore scipito tanto i frutti e li
ortaggi, abbenchè di gran volume, quanto gli animali stessi
che ci servono di cibo (io).
Ma tra gli effetti dell'umidità dominante nel nostro,
come in qualunque paese, devesi specialmente considerare
quella modificazione eh' essa induce nello stato naturale
e sano dell' uomo.
Gli abitanti che vi soggiornano godono in generale di
facoltà mentali meno attive ed energiche: la immagina-
i3
zione loro è ottusa: la riflessione limitata e tarda: le sen-
sazioni sono per essi meno vive. Difatti dagli antichi tro-
viamo notata la diversità esistente tra lo spirito degli Ate-
niesi e quello de' Beozi (i i). Nel Dipartimento del Jura
gli abitanti della parte montuosa del territorio di Luns-
le-Saulnier, la quale s'alza all'est della città, passano per
attivi , industriosi , quelli invece che coltivano il piano
consideratisi quali uomini apati a nienf altro capaci che
all'agricoltura (12). Narra T. Livio (i3) che i Sanniti
montanari e fieri spregiavano gli abitanti del piano e delle
maremme e venivano a saccheggiarli. Sappiamo che i co-
loni dell' alto-piano dei Messico tengono a vile quelli della
Vera-Cruz e che già un tempo i fieri e carnivori Pitti
delia montuosa Caledonia chiamavano con ischerno Cruit-
nich 0 mangiatori di frumeiito li Scoti che vivevano al piano
(i4), come oggidì li montanari della Scozia guardano con
certo sprezzo i Low-Landres ossia i pianigiani.
E poi per noi facile il paragonare lo spirito intrapren-
dente del nativo della Provincia di Como attivo, amante
della migrazione, sempre disposto pei più lunghi viaggi,
per le pia ardite speculazioni e destro nel mercanteggiare,
con quello del contadino pavese e lodigiano, che stassi
aderente al grasso (1 5) suolo che lo vide nascere, non
pensa a cangiar cielo, né desidera miglior stato (16).
La statura in generale di chi vive nei fertili campi della
Bassa-Lombardia d'ordinario non è alta: havvi in esso in-
clinazione ad impinguare, non aride e pronunziale, ma
rotonde e piene ne sono le forme , da ciò forse una minor
forza ed agilità; e difatti i faticosi lavori nelle città e nei
porti come a Milano, Mantova, Livorno , Genova e Vene-
zia son sostenuti da uomini provenienti dall'alto , non già
dagli indigeni (.ir,).
Colui che dai basso si trasferisce sui colli alpini od ap-
pennini sente un appetito piti vivo, digerisce pia presto e
meglio, non sente stanchezza: l'opposto avviene all'abi-
tante de'luoghi eminenti se portasi al basso. La digestione
nel clima in discorso è generalmente pia lenta (18), l'a-
gricoltore trova ìieir uso del vino un reale vantaggio , non
il danno che per lo più n'ha il colono dell' alto; la nu-
trizione e la sanguificazione alteransi con facilità, la pu-
bertà è tarda, la fecondità maggiore e la cessazione dei
procreare aniicipata (Vedi il Quadro A).
La salute vi è più frequentemente lesa (19), maggiore
numero essendovi di cause morbose. L' Autore della parte
medica degli Elementi d'agricoltura pratica (20) fa notare
che i malati nella valle del Ticino, quasi tutta coltivata a
rieaje, sono circa da 5o a 60 per mille. Nelle Provincie
di Milano e Pavia, ove esse abbondano, da 3o a 35, intorno
a Milano da 20 a 25 e che la cattiva influenza va mino-
rando coir innalzarsi. Thouvenel faceva ascendere a 5o
0 60 mille per anno in tutta l'estensione delle coste del
continente e delle coste insulari d'Italia soggette alla
malaria, le vittime delia malattia, che loro è propria (a 1 ).
Ivi però r uomo vede le infermità con colori meno tetri e
spaventevoli, senza lamentarsene sopporta per mesi ed
anni una febbre intermittente; non altrimenti nella Cam-
pagna di Roma 0 nelle Paludi Pontine si offre spesso al
viaggiatore chi sul terreno coricato lasciapassare l'accesso
febbrile per poi riprendere i lavori consueti; 0 colle parole
di Dante
Qual è colui, e' ha sì presso il riprezzo
Della quartana, e' ha già l'unghie smorte
E trema tutto pur guardando il rezzo (a'aj.
i5
L'essere la durata della vita sensibilmente minore (23),
diede luogo all'osservazione, che la mortalità di un paese
è sempre in ragione diretta dei gradi dell' igrometro. «La
« mortalità nell'Olanda, dice Gioja (24), generalmente
« parlando, è superiore a quella che si osserva negli altri
« paesi d'Europa. Nella Mingrelia, paese umidissimo, è
« cosa rara che agli abitanti vivano più di 60 anni, e nelli
« Stati-Uniti d' America nelle regioni marittime supera
« quella che si osserva nelle ragioni più elevate e di-
« stanti. » (Vedi i Quadri B e C). Nel Brabante olandese
l'acqua che imbeve la terra giunge sin quasi alla super-
ficie e Pringle (Mal. d'arni. 71. p. 5) diceva che dalla sola
ispezione de' pozzi si può giudicare delle febbri intermit-
tenti che regnar devono in un villaggio.
Tali sono que' pregi udizj, i quali, non diversamente che
in altri paesi della terra, anche nella bassa pianura lom-
barda derivano dalla predominante umidità, pregiudizj che
qui non fermano comunemente la riflessione, passando ora
inosservati ed ora non venendo abbastanza calcolati quan-
tunque e per la lora somma , e col decorrere degli anni
abbiano un effetto sensibilissimo sui singoli individui e
sulla popolazione (25).
Quali eccezioni a questa generale situazione di cose,sono
da considerarsi alcuni luoghi, i quali abbenchè siano posti
sulla linea media della Bassa-Lombardia, godono un clima
più asciutto, ciò che però devesi 0 all'altezza loro 0 alla lon-
tananza delle risaje e delle acque stagnanti; tali sono le
Colline di S. Colombano da paragonarsi ai Colli Euganei
del Veneto. E ciò pur deve ripetersi per gli uomini , de'
quali alcuni tra gli abitanti delle vallate del Pò 0 dei Ti-
cino offrono mole corporea erculea, essendo giunti coll'as-
fuefazione (26) a sfidare la trista influenza del clima.
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OSSERVAZIONI 1
va dalla Discussione economica sul Dipartimento d'Olona di M. Gioja (Milano i8o3)
ll'epoca Lainate contava i356 e Bissone 83g abitanti.
Nel Comune di Bissone Provinci
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CAPO 111.
Degli effetti morbosi de* climi umidi ossia delle malat-
tie che credonsi avere origine dai medesimi, e di auella
propria del clima della Bassa-Lombardia.
Una grande quantità di malattie si attribuì general-
mente ai climi umidi delle varie regioni del globo. Sic-
come però molte di esse non sono in realtà che risultati e
conseguenze di vere malattie primarie, p. e. le idropisie 9
gli ingrossamenti di milza, di fegato, le ulceri alle estremi-
tà, certa specie di scorbuto, e siccome di alcuni altri morbi
affatto erroneamente sonosi incolpati o tempi o luoghi umidi,
così, volendo ridurre quest'argomento alla sua semplicità
ne avvolgersi o perdersi in un laberinto di apparenze o
di contraddizioni , uopo sarà fissare quelle essenziali affe-
zioni che non sono proprie se non dei climi umidi o che
dominando anche in asciutti sono prodotte da quelle stesse
cagioni morbose le quali dominano nei primi; ed è a que-
sto oggetto che ho destinato il presente capitolo.
I. Ai tempi nostri Fodere (27), Fournier, Begin (28) e
Parise! (29) vollero far rivivere V antica opinione che de-
riva dall' umidità del Basso-Egitto la peste bubbonica.
Anzi quest'ultimo volle pure considerarla qual febbre
intermittente perniciosa (3o). E però assai probabile che
tal morbo eminentemente contagioso non sia originario
dell' umido delta del Nilo, quanto non lo è di tante salubri
ed asciutte regioni e città della Siria , dell' Asia minore ,
e della stessa amenissima Costantinopoli , siti che si
frequentemente ne sono molestati. Io spero che l'adot-
tamento e la perfetta osservanza in tai paesi di quelle sa-
20
nitarie discipline, mercè le quali da qualche secolo l'Eu-
ropa si è sottratta alle visite, che da prima la peste vi fa-
ceva troppo spesso , dimostreranno l'erroneità della suc-
ceunata opinione. Erano pur state attribuite all' umidità,
alle pioggie, alle inondazioni le pesti, che dominarono nel
i348 in Inghilterra, nel i^jS e 1^6 in Italia, nel 1 346
e i35o in Germania (3 1), ma quante volte dappoi le sta*
gioni dominarono estremamente piovose, strariparono fiu-
mi in quei paesi senza che mai più si appalesasse un sol
caso di peste ?
Ciò che per altro non è stato, per quanto io so, da al-
cuno sostenuto , né credo sarà mai provato, si è l' identità
della peste colla febbre intermittente perniciosa.
Fu stile di molti che presero a descrivere una malattia
oppure ad estendere le loro ricerche sopra una causa mor-
bosa, 1' andar frugando tra le suppellettili mediche 0 sto-
riche dell'antichità, onde trovare 0 quella 0 questa già
coperta di una classica veste (3 2). Se la critica e le inda-
gini, le quali ho pur io messe in opera per ciò che spetta
all' argomento che sono per trattare , mi condurranno in
seguito a battere quella stessa strada, al presente però non
mi lascierò imporre dall' autorità di Diodoro, a dichiarare
cioè e ritenere miasmatica 0 d' origine paludosa la peste
tanto d'Atene (33), quanto l'altra che afflisse i Cartagi-
nesi in Sicilia al tempo di Dionigi (34)- E ciò, perchè ha
per me assai poco valore l'osservazione del siculo storico
che causa di esse sia stata la putrefazione dell'acqua sta-
gnante pei forti calori estivi non diversamente, per servir-
mi delle sue parole, da auanto spesse volte succede presso
certe paludi pestilenziali.
E da prima riguardo alla peste atienese (quella stessa
ti
descritta con tenta e forza da Tucidide ed elegantemente
da Lucrezio), farò osservare che questa secondo Diodoro
medesimo, non fu che una nuova comparsa della malattia,
la quale aveva già nei precedenti anni molestati gli Ale*
niesi, sia stretti nella loro città, vivente Pericle, sia ali' as-
sedio di Potidea, già morto questi. In secondo luogo farò
riflettere come Tucidide (35) chiaramente dica, il morbo
essere stato originario dell'Etiopia, che poi passò al Bas-
so-Egitto , indi entrò in Grecia pel porto del Pireo (36) ;
3.° come egli stesso ci narri avere la malattia presa la
città superiore, e ben sappiamo che la situazione (37) di
Atene, essendo alta ed ariosa, opportuna era a renderla
invulnerabile alìi miasmi palustri; e 4-° fittamente come
pia volte accenni, che il morbo si propagava dai malati
ai sani ed ai medici (38). Se in quella pestilenza chi su-
perata aveva la malattia, si credeva immune d'ogni al-
tra, noi vediamo invece quale iliade di mali, e quante re-
cidive tengono dietro ad una febbre intermittente; di più
in questa non è comune 0 frequente né l'infiammazione
al capo (39), che in Atene era uno de' sintomi principali ,
né la disperazione, né il suicidio, né quella sete 0 ardore
che al riferire di ambidue gii ora accennati storici spingeva
l'ammalato a gettarsi nelle acque 0 ne' pozzi (zfo); e que-
sto sintomo invece nella peste d'Egina fu pur notato
da Ovidio (40' ^a Procopio in quella da lui descritta (42)
e non mancava nella peste di Francia del 1482 e i483
ed in quella di Danimarca del i654 e i655 (43). Se
poi le pustole, papule 0 le ulceri (44) comparse alla pelle
possono farci dubitare che la malattia ateniese costituisse
un'epidemia di vera peste , esse possono invece assicurar-
ci, che non trattavasi di febbre intermittente.
22
Riguardo alla malattia che fece strage de* Cartaginesi
sotto Siracusa nella 96™ Olimpiade, quantunque Dio-
doro la faccia derivare dai suolo basso e paludoso sferzato
dai raggi dei sole straordinariamente caldo, non puossi am-
mettere, eh' essa avesse l'indole della febbre palustre, giac-
ché comparivano tumori al collo, dissenteria, pustole per
tutta la superficie dei corpo e comunicavasi chiaramente
ai sani, che curavano gli ammalati.
IL Chiunque ha letto almeno parte delle infinite scrit-
ture alle quali diede occasione la recente irruzione in
Europa del C ho lerci-morbus, avrà ripetutamente trovato
esserne indicata quale cagione la umidità della foce del
Gange ec. Panni però che una malattia per la cui vita e
progressione non è necessario un clima umido, ma che
ha trovato favorevole all'esercizio della sua desolante azione
i luoghi i piìi ariosi, secchi e salubri; la quale piti che in
questi non fece permanenza 0 strage nei bassi, umidi e
malsani, la quale infuriò ugualmente nella stagione fred-
da, nella media e nella calda, nei climi equatoriali e set-
tentrionali, entro terra e sulle coste del mare, panni, dico,
che tal malattia non richieda al primitivo suo sviluppo
l'umidità del saolo. Essa come dissi, ha trovato pascolo in
luoghi posti nelle circostanze telluriche, e nelle relazioni
cosmiche le più opposte ed in nessuno (Fessi (quale si mo-
strò ultimamente in Europa) prima di quest'epoca aveva
mai avuto primitiva origine (45).
III. Alla classe delle febbri d'origine paludosa^ dietro
quanto aveva insegnato Giovanni Caio (46), Fodere vuole
che appartenga il sudor anglico (47). Molte delle ragioni
qui sopra arrecate parlando del Cholera-morbus, fannomi
trovar pur malbasata questa opinione. Io rispetto anche
ì] giudizio del Dotr. E. Acerbi ii quale dietro esame delle
opere in proposito credette eh* essa partecipi in alto grado
dell' indole delle perniciose , ed abbia come alcune di
quelle, la qualità attaccaticcia: la mancanza però di cer-
te circostanze, la esistenza di qualche altra , mi fa su ciò
molto dubitare. E infatti , dico io, se dessa fosse stata una
semplice perniciosa, come si sarebbe quella malattia in
pochi anni estinta e non più ricomparsa, mentre si vedono
febbri intermittenti perniciose ancor qua e là nelle epoche
a loro favorevoli ? (48)
IV. Accennerò soltanto, come ad alcuni sia piaciuto ve-
dere neir umidità lombarda la cagione della pellagra
{49), della petecchiale, della migliare (5o) e della dissen-
teria (5 1) poiché l'insufficienza cui è appoggiato talpa-»
rere dispensa dalla fatica di combatterlo.
V. La scrofola e la rachitide, affezioni allo sviluppo delle
quali l'umidità si ritiene generalmente favorevole, si cre-
dettero da taluno più proprie della Bassa-Lombardia, che
non di altri luoghi d'Italia, Su questo rapporto io credo
però potere assicurare i.° che in generale ivi la frequen-
za di esse malattie non è comparativamente maggiore,
poiché assai più ampio è il lor dominio altrove ed arreca
stupore, come alcune città, che in Italia appunto godono di
bella fama di salubrità, abbondino di rachitici : 2.° che sì
nell'alta che nella bassa-Lombardia (ove innegabile esi-
ste una diversità nello stato dell' amosfera) sonovi luo-
ghi tra loro vicini, umidi, bassi ove mancano o abbondano
e rachitici e scrofolosi , come in altri ariosi ed asciutti. E
fatto verissimo che i scrofolosi e più ancora i rachitici tro-
vano quando passaggiero, quando permanente, ma sempre
reale vantaggio in un clima puro da umide esalazioni, rin-
M
frescata da venti, profumato dell'aroma delle erbe e decori,
fornito di acque e di cibi saporiti, ma ciò avvenire deve
per U ugual motivo, che giovamento qui pur ritrovano co-
loro, che furono travagliati ed a mal stato condotti da ma-
lattia che abbia bensì disordinati , alterati , non guasti, gli
organi necessarissimi del respiro o della nutrizione.
VI. Alle acque palustri si dolci che marine si attribui-
sce generalmente lo sviluppo della febbre gialla, malat-
tia ignota agli antichi come ignota era per essi l'America,
Siccome i luoghi delle isole e delle coste orientali del
continente americano, ove dominala febbre gialla, tutti in
se riuniscono le seguenti circostanze, color grande atmo-
sferico y suolo umidissimo o paludoso e corpi organici
in corruzione ; e siccome tutti i medici, naturalisti e viag-
giatori o da alcune o da tutte queste circostanze insieme
combinate ripetono l'origine di sì rio morbo, io sono ob-
bligato a fermare particolarmente su di questo lo sguardo,
e darne altresì una compendiosa cognizione che necessa-
ria d'altronde sarà alie ulteriori nostre illazioni.
Fu nelle isole dell' arcipelago orientale del Nuovo
Mondo, ed appunto tra il tropico di cancro e la linea equi-
noziale ove da prima gli Europei ebbero a provarne fino
dal i494 (^2) i tristi effetti, ma che già fosse propria di
que' paesi viene provato dal particolar nome , col quale i
Caraibi la distinguevano. E noto come questa malattia
domini nei mesi pia caldi, e come colpisca ben assai con
maggiore facilità coloro, che non sono ancora assuefatti al
clima, di quello che gli indigeni (senza che per altro, nel
caso di un' irruzione epidemica, sieno questi ultimi rispar-
miati) ed è noto come ami meglio assalire gii uomini, che
le donne, più i fanciulli, che i bambini ed i vecchi.
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Ad un mal essere accompagnato da vertigini, da op-
pressioni allo fossetta dello stomaco e da perdita d* appe-
tito, tengono dietro di mattina brividi alternati da calore ,
dolori alla fronte, alle tempia, ai lombi ed agli arti infe-
riori: si fanno lucidi e lagrimanti gli occhi: la faccia or
rossa assai ed ora estremamente pallida esprime un ter-
ribile soiFerimento. Oppressa è la respirazione, si mandano
sospiri e lamenti, grande è l'agitazione. Avanzandosi
il male, la lingua si fa sporca, rossa e secca: la pelle sem-
pre calda ed arida: la sete inestinguibile con ardore grande
interno: i polsi crescono in frequenza, il dolor di capo di-
minuisce, ma sensibilissimo e dolente si fa lo scrobicolo del
cuore sin sotto le false coste del destro lato. Il respiro di-
viene affannoso e l'addome teso, compariscono rutti, nau-
sea, vomito doloroso delle bevande prese o di materie ver-
di e disgustose , e manca il seccesso. Il bianco dell' occhio
che prima era di un rosso carico, indi la faccia, si fanno
gialli, ed il colore giallo più o meno intenso si va esten-
dendo alle altre parti del corpo. I denti e le labbra si co-
prono di una sordidezza nerastra, si vedono macchie nere,
o livide or larghe ora sotto ferma di petecchie: perdesi
sangue dal naso, dalle gengive, dalle fauci, dall'ano e
dall'utero: col vomito in questo tempo si rigetta una ma-
teria nera simile alla fondata dell' infusione di caffè, glu-
tinosa e di odore fetente, ne diverso caratlere ha ciò, che
evacuasi dell' alvo: le orine che sono difficili hanno un co-
lore pia nero, che giallo carico. La sensibilità alla bocca
dello stomaco è eccessiva ed ivi acutissimi sono pure gl'in-
terni dolori: si fanno tumide le parotidi , si gangrenano le
piaghe de' vescicanti, sopraggiungono sincopi e singhiozzi,
il polso si fa irregolare, la faccia ippocratica , le estremità
26
diventano fredde e violacee, le pupille dilatate e la morte
chiude la scena. Il tipo che assume la febbre in questo
morbo è quello della remittente. E vero che nei caso di
somma gravezza e rapidi fa del male le remissioni sono
impercettibili , nel corso però più comune di esso si nota-
rono distintissime (53): riè soltanto remissione, ma si trovò
spesso anche vera intermittenza.
Questa malattia gravissima qualche volta rapi gl'infer-
mi in poche ore: peraltro 1* ordinaria e media sua durata
è di circa sette giorni. Se a quest' epoca i sintomi perdono
d'intensità, se comparisce sudore, se si rianimano le forze
il pericolo si dissipa, il corso del male amansato nella sua
veemenza dura più a lungo, vale a dire per circa quattor-
dici giorni dopo i quali il malato entra in convalescenza.
Si riscontra nei guariti un manifesto accresciuto volume
del fegato, restano i segni delle enunciate macchie nere,
la mente rimane per qualche tempo disordinata , si scorge
una grande disposizione alla dissenteria e il color giallo
va dissipandosi più o meno tardi.
Furono notate le recidive e queste specialmente in co-
loro, i quali dopo superata la malattia nei paesi equato-
riali e passati in clima fresco e salubre, ritornarono di nuo-
vo in quelli, e ciò tanto più facilmente se avveniva, che
vi dominasse epidemica la febbre stessa (54).
VII. La malattia propria e comune della Bassa-Lom-
bardia, e la cui cagione vedrassi in seguito se esista nel-
l'umidità, è quella che or vengo a descrivere (55).
Epoca principale del dominio delia malattia in questa
regione si è l' estate e l'autunno , dico principale, poiché
non mancano alcuni casi d' intermittenti anche nel mese
di marzo e d'aprile (56). Gli abitanti del paese ne veri-
a7
gono altresì molestati; i forestieri però (e per essi intender
devonsi pur coloro che vivono sull* alto ad una piccola di-
stanza) son quelli, che porlandovisi nei tempi più avversi
e passando ai luoghi piti insalubri, non sono pressoché mai
risparmiati.
Talora per avervi soggiornato qualche ora o qualche
giorno, talora per avervi a lungo dimorato e talora per
avere soltanto attraversato questi luoghi, V individuo prova
inappetenza, nausea ed anche vomito, occupazione gravez-
za al capo e dolore frontale , non che quegli altri inco-
medi, i quali dimostrano offeso e disordinato il ventricolo
o li visceri che servono alla digestione. L'occhio si fa lan-
guido, il colorito smunto e giallognolo , le forze musco-
lari si perdono, le morali si avviliscono.
A questi piìi o meno durevoli sintomi qualche volta ri-
media un evacuante, dopo la cui azione il malato trovasi
presto libero e sano. Questa felice sorte è però a pochi
riservata, giacché piti frequentemente soltanto di breve,
o anche di nessun vantaggio è un tale soccorso; i sintomi
accennati si fanno pia gravi , aggiungendosi quegli altri ,
i quali uniti comporre sogliono lo slato morboso, che un
cieco spirito d' imitazione e la comodità fecero personificare
e chiamar febbre (67).
Prosegue la febbre talora continua ed eguale pia 0 me-
no lungamente: tal altra, dura continua sì, ma quando pia,
quando meno forte ed il suo corso si compie sotto una cura
negativa e sottraente di diverso grado.
Comunemente avviene però nella Bassa-Lombardia,
come in generale nei climi temperati, che la febbre invece
di un tipo continuo 0 appena remittente, quale ora si ac-
cennò, prende quello d'intermittenza 0 periodicità, lascia
»8
cioè, l'individuo per qualche diverso spazio di tempo in
uno stato di quiete e di libertà, che chiamar si potrebbe
di salute, per assalirlo di nuovo mantenendo sempre un
più o meno regolare periodo: così si ha quella malattia
detta febbre intermittente o periodica , febbre sempre
uguale a se stessa e per origine e per essenza, sia che ci
si offra nel suo stato di maggiore innocenza e semplicità,
come nelle comuni terzane o quartane, sia che arrivi al
grado più elevato di violenza come in quelle di lei forme,
che assumono il nome di febbri perniciose, sia che la pe-
riodica apiressia riscontrisi appena percettibile, come nelle
ingannevoli continue remittenti, subcontinue ec. oppure
lunghissima di giorni, di mesi e d'anni (58); o in altri ter-
mini, sia che li accessi si ripetano ad intervalli vicinissi-
mi, oppure non compariscono, che a periodi assai distanti,
sia che vesta essa malattia le apparenze di febbre biliosa,
nervosa, di pleuritide, encefalitide, artritide, di ottalmitide,
<li orticaria, di neuralgia, di paralisi (5g) ec. tutte inter-
mittenti (6o), sia che si aggiunga ad altre affezioni , come
videsi ad una violenta lesione, in cui prese P aspetto di
tetano (6i), alla petecchiale, alla migliare ec. (62) sia fi-
nalmente col tener dietro a gravi malattie anche infiam-
matorie (63).
Altro carattere proprio e non meno notabile di questa ma-
lattia si è quello di cedere a metodi di cura affatto empi-
rici ed anche contradditorj ai principi di qualsivoglia dot-
trina 0 teoria medica: così talora un'emozione d'animo,
una sorpresa, un divagamento, una paura , un disordine
dietetico porteranno la palma a benefizio dell'ammalato
sulla più bene ed a lungo osservata regola di vivere, e sul
più decantato febbrifugo: così l'acqua semplice di chiara
29
fonte potrà qualche volta giovare, quanto in altra il più
potente veleno , chela materia medica conti nella sua
suppellettile. Il salasso, gli emetici, i purganti potranno
giovare in un caso (o in tal epoca di un tal caso), quanto
le sostanze le più omogenee e nutrienti in un altro. Le bat-
titure, le legature ed altre irritazioni del corpo umano
portarono pure il loro vanto II trasportare il domicilio del
malato non per miglia , ma per centinaja di passi servirà
a troncare la febbre più che noi poterono i più valorosi
rimedi usati per molto tempo e colla maggior costanza.
Ma se questa malattia ha il carattere (che ben puossi
dire vantaggioso per 1' uman genere) di permettere che
non un solo o pochi, ma una grandissima quantità di sem-
plici rimedi dalla natura forniti, e molli di quelli ancora,
che l'uomo si è procurato coli' arte, concorra ordinaria-
mente a ridonare la salute agli infelici attossicati dalle
emanazioni delle risaje, o delle paludi, un altro ne ha as-
sai molesto e luttuoso: sta questo nella facilità con cui la
malattia ritorna ad assalire l'individuo, posciachè una o
più volte è stata vinta nei proteiformi aspetti, sotto i quali
repentinamente si è mostrata all'assalto. E questi ritorni,
o recidive talora succedono lasciando tra di loro se non
che qualche settimana, ma qualche volta lasciano dei me-
si, il che facilmente avviene ritornando in primavera quella
febbre intermittente, che era guarita in autunno.
Allorachè poi o un clima migliore o il cambiamento
di stagione non concorra alla cura, o il metodo adottato,
onde effettuarla, non sia veramente l' indicato , o il fisico
dell'individuo anche precedentemente fosse alterato, o la
lunghezza e ripetizione della malattia abbiano leso l' or-
ganismo , se P ammalato non è sul principio rimasto vitti-
3o
ma di qualche accesso pernicioso della malattia ne com-
pariscono le conseguenze, seguono cioè ingrossamenti , si-
li'anco enormi, del fegato e della milza, ostruzioni de' va-
si linfatici, de'lattei, e delle ghiandole mesenteriche, per,
cui l'individuo, e impallidisce e dimagra. Versamenti
sierosi si fanno nella cavità addominale , seguono poi co-
stipazione eccessiva dell'alvo, oppure altra volta seccesso
diarroico e dissenterico, colore veramente itterico, o alme-
no pallido della superfìcie del corpo, edemaziaj in vario
grado delle inferiori estremità, comparsa di macchie livi-
de sulla superfìcie cutanea, insomma con taluna, qualche
rara volta e pia spesso con molte di queste alterazioni in-
sieme unite, il malato giunge ai fine della sua vita. La
cura seguita da guarigione di queste febbri ha in adequa-
to la durata di 120 1 4 giorni. Per farci strada alla ricer-
ca di quella causa morbosa, che rende cosi mal sana e de-
testata la maggior parte de' luoghi umidi , sarà bene , po-
sciachè abbiamo or ora descritte due malattie che a tutta
ragione possonsi risguardare come proprie di quelli , ossia
quai loro effetti, sarà bene dico , l' istituire tra di esse un
confronto, onde, verificatane l'identità si possa coi loro ca-
ratteri e colle circostanze, che le fanno corredo, meglio sa-
lire al loro principio motore.
a) La febbre gialla nella regione sua natale non do-
mina, che ne' luoghi umidi], sempre nel tempo del caldo ,
ove sostanze organiche s' imputridiscono ed i suoi tristi ef-
fetti non si fanno sentire che a certe altezze. Tutte que-
ste circostanze si adattano al dominio delle febbri inter-
mittenti sì tra noi che ovunque. Siccome però nei climi
equatoriali dotato di forza 0 virulenza maggiore è il ri-
spettivo principio morboso, ivi pure la malattia paludosa 0
miasmatica che ne deriva, è più violenta.
3i
b) I forestieri tosto arrivati vengono presi dalla febbre
gialla attraversando soltanto in portantina la città di Ve-
ra-Cruz, o passando per la pianura tra questa città ed An-
tigua, 6e discendono dall' Alto-piano del Messico (64).
Non altrimente le febbri intermittenti prendono coloro,
che ne' tempi piti malsani passano rapidamente da Cisterna
a Terracina per le Paludi Pontine, uè mancano esempi
di chi percorrendo la pianura Basso-lombarda per portarsi
alle colline oltre-padane, od a Genova fu preso da febbre
periodica, che per lungo tempo lo travagliò. La morte del
celebre botanico Pollich avvenuto nel suo trentottesimo
anno non fu cagionata da una febbre acquistata nel pas-
sare per le paludi delPalatinato? Riferisce il Dott. De Ren-
zi che tre inglesi passando per le romane paludi nel por-
tarsi a Napoli discesero di vettura per cacciar degli uccel-
li, che loro si presentarono. Uno de' cacciatori restò presso
la carrozza , e gli altri inseguhon la preda carponi , di
questi però uno fermossi e l'altro proseguì. Nel rimetter-
si in calesse tutti e tre furon presi da nausea, e quindi da
vomito, il quale fu violentissimo in quello che fece mag-
gior tragitto carpone, meno grave in quello che erasi fer-
mato a metà della strada e leggiero in chi era rimasto
fermo presso la vettura , la febbre che tenne dietro segui
la stessa gradazione di forza e di durata {Ossero, sulla To-
pogr. medica del R. di Napoli, P. I. p. 61).
e) I forestieri che nella state arrivano ai porti delle
isole o del continente d' America, oppure a' luoghi per
insalubrità analoghi, 6ono presi dalla febbre gialla con
maggiore facilità , se non vogliasi dire con certezza, di
quello che lo sieno gli indigeni. Cimiterio spagnuplo
chiamavasi Porto-bello al Perù, perchè vi morivano tutti
3a
gli europei che vi erano trasportati sui galeoni. In una sola
settimana perirono seicento nuovi sbarcati. Nella febbre
gialla d' Antigoa del 1816 i soldati scozzesi, la cui patria
è esente dalle febbri intermittenti , furono i più malme-
nati (65). Li Spagnuoìiei Portoghesi, dice Humboldt, sono
meno disposti a sentire l'azione del miasma della febbre
gialla, che gl'Inglesi e i Danesi assuefatti ad un clima
freddo. Anche il Monfalcon, nota che in qualche maniera
gli abitanti dei luoghi paludosi vengono meno affetti dal
miasma delle intermittenti, che non i forestieri e quelli,
che vivono all'alto. Né ciò solamente, ma si sa che i na-
turali dell'isola di Cuba, della Giamaica ec. sordi nella
loro patria al miasma della febbre gialla , ne vengono of-
fesi se nell'agosto 0 settembre vanno a Vera-Cruz. Lo
stesso avviene agli abitanti di questa città se passano in
quelle isole, a malgrado dell' analogia, che vi ha tra il
clima di queste e di quella; onde acutamente riflette il
viaggiatore prussiano a essere probabile che sotto il me-
desimo parallelo le emanazioni gazose che producono le
stesse malattie, sieno pressoché identiche, se non che
una leggiera differenza basti per gettare il disordine nelle
funzioni vitali , e determinare quella serie particolare di
fenomeni, che caratterizzano la febbre americana ». Gli
abitanti del Chili, paese saluberrimo, appena arrivano
nella state a Panama 0 a Callao, vedono svilupparsi in
essi la febbre gialla, e per questo credesi, che la malattia
sia stata portata dai Chiliani. Ma ciò dipende, che al pas-
sar che fanno alla zona torrida ed in un'atmosfera pregna
di miasmi palustri (nella quale infatti stanno i suddetti due
paesi) i medesimi divengono, qual termometro, oqual reat-
tivo chimico, atti a manifestare la presenza di essi miasmi.
33
Non diversamente ai*vede arvenire per la febbre inte r-
mittente come in particolare modo fanno triste prova gli
eserciti. Le truppe infatti di Federico Barba rossa nella
state del 1 167 (66), quelle di Enrico VII nella medesima
stagione del i3i2 per la trista influenza de' contorni di
Roma, quelle di Alfonso à9 Aragona air assedio di Cagliari
e Città di Chiesa nella state ed autunno del i323, e
quelle infine di altro Alfonso d' Aragona (il V) nelle ma-
remme di Piombino nel 1 44^» tutte ebbero a provare im-
menso danno dall' insalubrità de' luoghi ov' erano accam-
pate. Queste febbri coli' assalire gli assedianti salva-
rono Scuntari nel 1 474 ^ musulmano Beglierbeij, Pisa
nel i499 dai Fiorentini, Padova nel 1 5 1 3 difesa dal prode
d'Alviano contro Raimondo di Cantane. Le truppe e il
seguito dell'iniquo Pedrarias Davila ebbero tanto a sof-
frire dalle paludi che circondavano il villaggio di S. Maria
di Darien in America (67). Gli Inglesi e Francesi furono
malmenati dalla malattia di Walchern al principio dei
nostro secolo. Il 62.0 Reggimento inglese fu decimato
dalla febbre paludosa di Milazzo nella valle di Demona
in Sicilia (68) ec. ec. E danno sicuro riportano gli abitan-
ti de' luoghi alti e sani delia Lombardia, della Toscana,
dello Stato-Romano e del regno di Napoli, quando discen-
dono ai lavori campestri delle risaje 0 delle maremme.
* d) Si nell'una che nell'altra malattia trovasi vantaggio
0 deciso rimedio col solo portarsi in clima più alto, asciutto
0 fresco. Gii abitanti delia città di S. Blas nella Califor-
nia ad un' epoca annuale fissa si ritirano nell'alta città
di Tapia e così sfuggono alla febbre gialla (69). A Car-
tagena delle Indie gli europei non abituati al clima si
portano a Turbaco sopra una collina e nell' interno.
3
34
Quest* usanza è propria della Giorgia, e posta a profitto
nella Carolina ed a Tampico (70). Racconta Diodoro Si-
culo (71) che in que' tempi, ne' quali gli uomini vivevano
in borgate , un conquistatore chiamato Bacco venne dal-
l'Occidente nell'India e poiché l'ebbe invasa, l'immen-
so suo esercito fu preso da una malattia , che uccideva i
soldati , e che non cessò di molestarli , sinché non furono
condotti sui monti. E questo spediente fu pure di ristoro
alle truppe di Federico Imperatore nella citata circo-
stanza. Durante la stagione insalubre gli abitanti delle
sponde del Golfo Persico passano all' interno del paese
(72) e quelli di Scanderona 0 Alessandretta in Soria van-
no a Baijlan, posto sull'alto, per sfuggire i mali prodotti
dalle paludi, che sono vicine a quel porto , né altrimenti
fassi a Bende r- Abassi in Asia.
Neil' isola di Corsica si spediscono a Vivano ed a Viz-
zovano, luoghi posti sui monti, i soldati, che in luoghi palu-
dosi hanno acquistata la febbre ; ivi quantunque il loro
stato sia disperato non abbisognano d' altro rimedio e la
malattia non resiste più di undici giorni (7 3). A Già va i
medici mandano nella parte interna e più alta dell' isola
coloro che infermarono per la mala influenza delie coste
(74)- Il cav. Matteucci salvò tanti individui di Montigno-
80 nel 1 809, 1 8 1 o e 1 8 1 1 facendoli abbandonare nella
state le loro abitazioni 0 (com'egli si esprime nel suo Rap-
porto del 1 3 Aprile 1808) i loro sepolcri Nel mese di
maggio riparano al monte quelli abitanti del Tirolo che
soffrire possono dai miasmi sviluppatisi dopo le inondazioni
dell'Adige (75).
e) Ne' siti ove endemica è la nominata malattia ame-
ricana, domina essa ogni anno dal maggio ali* ottobre (76).
35
Ogni anno ugualmente, trasportando però l'epoca del loro
sviluppo a norma della situazione geografica , regnano le
febbri intermittenti nella Bassa-Lombardia , ed in tutti i
luoghi palustri del mondo; in fatti la sola trista esperienza
ha insegnato al cieco volgo a precisare il tempo in cui
è dannoso ad esser abitato un dato luogo. Quando poi al-
cune circostanze si combinano straordinariamente in tali
siti insalubri, allora imperversa epidemicamente (77) il
morbo, assale cioè indistintamente ed in gran numero in-
digeni e stranieri e ne fa strage. Così successe nelle epi-
demie citate dal Lancisi , così di altre , che io arrecherò ,
così in America a non grandi intervalli di tempo.
f) Sì le febbri intermittenti, che la gialla, sia che do-
minino come d'ordinario soglion fare ogni anno, sia epi-
demicamente, terminano sempre al sopraggiungere del
freddo e nell'inverno (78).
g) Le febbri della Bassa-Lombardia, le toscane, roma-
ne , ec. amano meglio assalire le persone meno coperte ,
quelle che si espongono di più alle vicissitudini atmosfe-
riche, quelle che mangiano meno 0 male, quelle final-
mente che non fanno uso di qualche liquore tonico 0 spi-
ritoso e ciò non altrimenti accade per la febbre gial-
la (79)-
h) Gli uomini sono presi a preferenza delle donne; i
giovani e i fanciulli più che i vecchi ed i bambini; con-
ferma di ciò possono offrire gli spedali ove si curano queste
malattie (80). Anche la febbre gialla tiene l'uguale an-
damento (81), ed a Batavia, clima così insalubre, maggio-
re è il numero delle donne viventi a cagione della gran-
de mortalità, che avviene nell'altro sesso (82). Sì nelle
febbri nostre paludose che nell'americana accadono casi
di morte sopraggiunta in brevissimo tempo.
36
k) Se molte circostanze estrinseche appoggiano V opi*
mone di ammettere un* analoga fonte d' ambedue le ma-
lattie, tale analogia verrà ancor più confermata dall'esa-
me della loro intima natura , ossia col considerarle in sé
medesime. E primieramente, parlando del tipo che assu-
mono, dico, che si ritenne appartenere la febbre gialla ai
genere delle rimittenti da Hunter, Valentin, Rush , De-
vèz e da altri (83). Ma secondo Pinkard, il quale la os-
servò egli stesso alle Indie Occidentali (84) le remissioni
arrivano sino ad una completa intermittenza» Anche nella
febbre gialla di Filadelfia del 1 793 predominava un tipo
intermittente (85). Jackson (86) la vide nelle truppe bri-
tanniche ora remittente , ora col tipo di terzana. Bracroft
dice che la febbre gialla ha tendenza a prender il tipo re-
mittente, ma non essere molto raro eh' essa si converta in
intermittente (87). Altresì Tommaso Ptomay medico allo
spedale dell' Avana osservò in essa la vera intermittenza
(88). Harles fece notare che oltre l'andamento remittente
prende anche quello di subentrante (89). Vedasi finalmente
in Borsieri (90), come fosse già noto il fatto del passare la
febbre gialla da continua remittente alla intermittente.
Altre prove , che sembranmi mettere fuori di dubbio T i-
dentiià della febbre nostrale colFamericana sono : 1 .° che
mentre nelle epidemie di febbre gialla i nuovi arrivati
sono presi veramente dalla stessa rivestita della solita sua
forma, gli schiavi invece ed i naturalizzati lo sono da feb-
bre a tipo intermittente (91); 2.0 che coloro i quali sono
affetti alla costa del mare da febbre gialla, portandosi eri-»
tro terra , ed all' alto vedono tale malattia cangiarsi in
•emplice intermittente, il chep. e. fu osservato dal Dott.Ver*
goara nell'epidemia del 18 io e 181 1 a S. Croca di
Teneriffa (ga); 3.° che alcune epidemie di febbre gialla
cominciano sotto l' aspetto di febbri intermittenti e sul fi-
nire prendono quello di febbre gialla (g3), e il Dott. Coull,
secondo riferisce Musgrave (g4), vide nell'isola Antigoa
T intermittente passare in febbre gialla. Ed ivi pure os-
servò Ferguson (g5) che mentre nei bassi quartieri della
città regnava la febbre gialla , nel restante dell' isola do-
minava la febbre remittente benigna» Dice Monfalcon (96)
avvenire nella Eresse e nella Sologne, che mentre gl'in-
digeni ammalano delle comuni febbri del paese , i fore-
stieri, che vengono a porsi nello stesso luogo e nelle stesse
circostanze sono presi da febbri perniciose più 0 meno
gravi. Ed io ripeterò quanto ho già detto, vale a dire che
le febbri della Bassa-Lombardia assumono un tipo diverso
dal remittente, cioè, il palesissimo intermittente ed aggiun-
gerò, che fu veduto prender il piti rapido corso , il pia mi-
naccioso grado e l' aspetto sin' anco della febbre gialla (97).
/ ) Quelle recidive, che tra noi sono comunissime nelle
febbri intermittenti furono osservate nella febbre gialla »
la quale talora recidivando, prendeva la forma delle dette
febbri (98).
ra) Matthei (99) vuole che la febbre gialla non diversi-
fichi dalle febbri comuni remittenti ed intermittenti , se
non che per essere dessa contagiosa. Io, invece di entrare
nella questione se quella terribile malattia sia in tutti 1
luoghi e tempi contagiosa (100), dirò che tra di noi gene-
ralmente le febbri intermittenti di qualunque tipo e gra-
vezza non sono contagiose; ho detto generalmente , perchè
qualche fatto a me occorso mi tenterebbe a credere alla
possibilità, che la febbre nostrale paludosa per un contatto
replicato e grande in certe epoche della malattia potesse
38
farne nascere una simile in altri. Anche Monfalcon(ioi)
non è persuaso della contagiosità delle febbri paludose
nei climi freddi e temperati , ma non può lasciare di ar-
recare un esempio, che lo fa vacillare nella sua opinione.
E certo valgano a tenere me pure in questo dubbio molti
autori, che ammettono la possibile comunicazione di que-
ste febbri (102). Infatti il Lancisi ed il Dott. Giuseppe Ma-
ria Plasco giudicarono contagiose le febbri epidemiche di
Bagnarea del 1707 derivanti da miasmi paludosi (io3).
Il Dott. Traversari ritenne contagiose le febbri dominanti
in Pesaro nel 1 708 per l' influenza delie acque paludose
(ic»4) Asseriva il Bodei (io5), che i miasmi paludosi pos-
sonoybr^e produrre una malattia comunicabile e farsi
cagione dell9 orìgine spontanea di un contagio. Gosse
(106) ammette, che le febbri intermittenti possono diven-
tare contagiose, e cita Borsieri, Fodere, Baronio e Gian-
nini come sostegni della sua opinione. Finalmente Pietro
Frank credeva, che le intermittenti autunnali trascurate
e mal curate prendere potessero l'aspetto ài febbre con-
tagiosa acuta, chiamata putrida (107). Ciò per altro dico
non già perchè io voglia farmi il difensore di questa an-
cora debole opinione, ne perchè io pretenda ridurre a cer-
tezza un semplice dubbio (il quale probabilmente potrà
più facilmente svanire , che terminare col convincermi ),
ma solamente per dimostrare , che questo è un punto , il
quale pare possa favorire piuttosto l'analogia delle due
malattie, di quello, che servire a provarle affatto diverse
come opina il signor Matthei.
n) Rispetto alla forma ed a molti de' principali sintomi
delle due malattie in discorso è d' uopo ricordarsi i.° che
Blane dice avere veduto in una febbre tifoidea epidemica
h
di Edimburgo il colore itterico riscontrato da Clegorn nel-
le epidemie di Minorica e da Jolisons nei febbricitanti di
Batavia ; 2.0 che anche nelle nostre intermittenti , come
in quelle d'ogni parte del mondo comparve talora chiara-
mente questo colore : così ne vide un caso (accompagnato
anche da altri sintomi di tifo itteroide) il prof A. Bodei (108).
A me, come sarà avvenuto a qualunque pratico, accadde
il vedere itterizie congiunte a febbri intermittenti; questo
fatto viene confermato dal prof.Puccinotti (109), dallo Stoll
(no), da Bailly (r 1 1) e da Johnsons (112); 3.° finalmente
che il colore itterico non è sempre compagno della febbre
gialla; 4«°che il vomito di materie oscure, del quale i Spa-
gnuoli si servirono per dar il nome alla febbre americana
(vomito prieto), in questa non è un segno costante, unico
e caratteristico della malattia (n 3) e invece fu veduto
ad Altona nelle febbri intermittenti epidemiche del 1826
(1 i4),e da Damiron nello spedale di Val-de-Grace a Pa-
rigi (11 5); 5.° che l'anonimo cui , per l'epidemia tifico-
itteroidea di Filadelfia del 1793, allude Thouvenel (1 16)
« è di parere che le febbri intermittenti e remittenti, bi-
liose, putride e maligne, sieno 0 non sieno esantematiche ,
costituiscano presso a poco una sola e stessa malattia , la
quale trae la sua origine da vegetabili corrotti ». Hum-
boldt fa osservare (1 17) che alcune volte le febbri inter-
mittenti della Romagna simulano la febbre gialla. Anche
il Dott. Danieli osservò lo stesso per quelle prodotte dalle
paludi di Savanah (118). I sintomi , che accompagnavano
le citate febbri paludose di Altona, e quelle di Portogallo
delle truppe inglesi nel 1806 (119) le facevano avvici-
nare assai alla febbre gialla. Monfalcon pone (120) ad
un' estremità delle malattie prodotte dalle paludi le feb-
4°
bri della Eresse e della Sologne , ed all' altra le febbri
delle Antille. Musgrave e Ferguson , che osservarono le
malattie sul luogo, ritengono che le intermittenti e la
gialla non differiscano, che di grado (121) e così avevano
già opinato Pringle (122), Gilbert ( 1 23) e Nacquart (1 2/f)-
o) Nei cadaveri di coloro che soggiacquero alla febbre
gialla si trovò livida, rossa , nerastra la superfìcie interna
dello stomaco, del duodeno e del restante tubo alimenta-
re , le loro membrane ora dimostranti semplicemente uno
stato infiammatorio, ora ingrossate, ora corrose e distrutte ,
ed ora veramente gangrenatc (i25). Sangue nero fetente,
e coagulato, vermi non nel solo ventricolo, ma altresì ne-
gli intestini. Il fegato ora naturale, ora voluminoso e duro
con focolai marciosi ed anche gangrenato (126). La ve-
scichetta fellea quando ingrossata nelle*sue pareti, e quando
flacida, e la bile in essa contenuta nera, e spessa. La milza
dura, gonfia, 0 molle, e putrefatta.
Per istituire un confronto delle autopsie eseguite nei
morti di questa malattia con quelle per febbri intermit-
tenti , io non arrecherò qui i risultati necrologici di chi a
poco a poco soccombette ai lenti patologici lavori ossia alle
conseguenze delle nostre febbri, ma bensì di chi ne rimase
vittima nel loro stadio acuto; tralasciando poi per bre»
vita di parlare di quanto si riscontrò nel capo, nella co-
lonna spinale, 0 al polmone e limitandomi soltanto ad ac-
cennare i disordini accaduti nel ventre degli estinti dalla
violenza delle febbri intermittenti, dirò che fu trovato es-
sere il ventricolo e gli intestini di un colore ora di vino,
ed ora rosso in generale 0 a macchie limitate: nel primo
si rinvennero eruzioni tubercolose , negli ultimi dei fora-
trici ed una materia simile alla polpa di cassia : fegato
4»
quando color di corteccia di china, quando di radice di ra-
barbaro e quando nero, più o meno duro, e voluminoso. Le
lesioni però di questo viscere nelle acute febbri intermit-
tenti sono meno frequenti (ciò che pure avviene nella
febbre gialla (127)). La vescica del fiele piena, di un
umor nero, spesso, simile al catrame. La milza molle e
sin quasi liquida. Questi che furono i risultali patologici
che replicatamente furono trovati da coloro, che posero le
loro cure nel rintracciarli sì per la febbre americana, che
nei morti di febbri intermittenti (128), ben dimostrano
come la sede d' ambedue queste forme morbose stia nei-
T addome.
p) Finalmente panni essere di non piccolo peso a di-
mostrare un' identità si nell'essenza, che nella causa delle
due malattie in discorso, l'utilità in ambedue non già di
una sostanza medicamentosa applicabile con egual buon
esito ad una grande quantità di malattie, ma bensì di una
sostanza, che il puro caso indicò, e della quale l'esperien-
za replicata per tanti anni mostrò, e confermò la certa,
non meno, che eminente virtù nelle malattie periodiche
in generale e nelle nostre febbri d'accesso specialmente.
E se, come con me altri ritengono, questa specie di febbri
trova la sua causa remota nel miasma paludoso, l'utilità
della china china nella febbre gialla dimostrerà esser que-
sta identica per natura con quella della Bassa-Lombardia,
e colla Romana , come identica ne è la causa. E in vero
usarono questa corteccia Valentin, Devez, Arejula (129)
e Romay (i3o): la mortalità poi che nella cura della feb-
bre gialla dell' isola d' Antigoa ebbe Musgrave nel 1 8 1 y
depone troppo favorevolmente in favore del rimedio in di'
•corso ch'egli usar dovette ( 1 3 1 )-
4a
Dietro questo lungo confronto io credo adunque, che
propria de' luoghi paludosi naturali o artificiali, sieno am-
bedue quelle forme morbose, vale a dire , che il miasma
paludoso non produca che una speciale malattia irritativa
degli organi digerenti, quella cioè conosciuta sotto il nome
di febbre intermittente e volgarmente di febbre della
bassa tra noi, come in Toscana delle maremme , a Roma
di malaria ed in Sardegna à* intemperie : malattia, che
specialmente in qualche luogo dell'America per partico-
lari circostanze prendendo una particolar forma, vien del-
ta febbre gialla,
CAPO IV.
Quali sorgenti abbia il pregiudizio pia molesto della
Bassa-Lombardia , cioè la malattia , che ne è pro-
pria. E delle risajc in particolare.
Come già dissi (Capo II), nella grande pianura for-
mante la Bassa-Lombardia ricca d'acque e di vegetabili non
posson a meno, è vero, di succedere qua e là impaluda-
menti e corruzioni, indi per necessità forza è che si svi-
luppino dannosi principj alla salute. Ormai però la cre-
scente popolazione, l'acquisto di lumi e l'accresciuta at-
tività tanto dei proprietarj, quanto degli agricoltori fanno
sì che questi centri malefici siano a quest' ora i minori,
che si possano avere. Si appianarono le irregolarità del
suolo, si resero fertili e produttivi infiniti spazj sterili ed
abbandonati, si guidarono e mantennero entro solide spon-
de o elevati argini i torrenti ed i fiumi , che prima qua e
là si spandevano, si tolsero innumerevoli stagni d'acque
43
corrotte, si coltivarono o si otturarono le fosse delle città ,
o de* caste! li, che l'abolizione del feudalismo e la pace
resero inutili, si selciarono e munirono d'acquedotti le con-
trade delle città non solo , ma de' più oscuri villaggi. Le
pubbliche strade si formarono di sostanze capaci a lasciar
trapelare e non trattenere l'acqua di pioggia, si diede loro
una forma la pia propria allo scolo della medesima e si
vanno con cura mantenendo sgombri i fossi laterali, che la
guidano a sperdersi. E ben può dirsi che con maggiore
premura e dispendio conservansi tra noi le strade al pub-
blico comodo, che i viali ne' giardini. Non leggi, non spe-
se, non studio si risparmiarono a tal fine, né ad inerzia,
ma piuttosto ad impossibilità è da ascriversi se avvi qual-
che fiume, il quale per essere soggetto ad escrescenza e a
diminuzione o talora a traboccare dalle sue sponde , col-
T allagare i luoghi vicini alla sua foce, può veramente an-
che oggidì essere cagione dei pregiudizj, de'quali si ragio-
na. Duolmi per altro essere costretto dovere attribuire al
miglioramento stesso dell' agricoltura lombarda certe fonti
di mali, che nonposson a meno di venire contrapposte al-
l'utilità, che dessa ha procurato, e queste sono ìerisaje, i
fontanili ed i macerato] della canape e del lino.
E innegabile che agli effetti dell' umidità in generale,
quelli delle risaje si aggiungono a far nascere e mantene-
re, non a torto, una sfavorevole opinione per ciò che spetta
a salubrità nella parte bassa delle Provincie di Milano e
di Brescia^ a moltissimi luoghi della Provincia di Pavia ,
di Lodi e Crema, di Cremona e di Mantova nella Lom-
bardia austriaca, di Verona e di Padova nella veneta : del
Vercellese, Novarese, e della Lumellina nella Lombardia
sarda', del Ravvennate, Bolognese nella Lombardia pon-
tificia: del Modonese, del Parmigiano ec.
M
La coltivazione del riso mosse gli agronomi, gli econo-
misti, i magistrati, i medici ed il popolo ad emettere sì in
iscritto, che colle parole i piti contrarj pareri. Mentre al-
cuno non rappresentò il riso, che qual nuovo massimo bene
pel uomo, come atto a nutrirlo per eccellenza, qual pro-
dotto capace ad ostare alle carestie ed a formare la ric-
chezza di uno Stato, altri non dipinse le risaje che quali
cause della corruzione delie arie le più salubri , e della
distruzione delle più floride popolazioni : e se i primi pro-
posero di dilatare ed accrescere la coltivazione di questo
cereale, i secondi la vollero affatto proscritta. E molte
volte si videro i magistrati stessi tratti più dalla diversità
delle opinioni professate da questi o da quelli , che non
dalla perfetta conoscenza delle circostanze, e de' fatti, o
de' loro rapporti , proibire le risaje oppure limitarle ,
indi ritrattandosi concederle o tollerarle , abbandonando
allo scherno, all'insulto o all'infrazione quegli ordini
che prima avevano emanati. Ma s' egli è conforme al
vero, che la coltivazione del riso sia da un lato della
più grande utilità , dall' altro cagione di danno a chi
vi attende, certo è pure che tanto dagli assoluti pa-
negeristi, quanto dagli assoluti detrattori non si usò di
quella riflessione e di quel metodo di ragionare, onde ab-
bisognavasi in questo importantissimo argomento. Non si
cercò di penetrare nell'oscurità delle cagioni delle quali
scaturivano i danni , non si studiò di determinare le spe-
cie di questi, non si praticarono su tutti gli oggetti, de 'qua-
li dovevansi prendere in disanima i rapporti, quelle inda-
gini e que' confronti, che erano necessarj , e per tale mo-»
tivo non solo non si raggiunse la verità, ma 41011 si trova-
rono nemmeno sussidiate le rispettive idee de' magistrati ,
4«
de* medici e del popolo in un oggetto , che loro moltissimo
interessava.
Se fu con animo sincero , leale e filantropo, che molti
presero particolarmente a considerare tale ramo d'agricol-
tura, alcuni ne limitarono per lo piti le lodi alla parte che
risguarda il maggiore prodotto e l' utilità alimentare (i 32);
altri non tralasciarono di rappresentare il danno che dal-
le risaje generalmente risulta alla salute di que' lavora-
tori ed abitanti, i quali ad esse sono vicini ( 1 33); pochis-
simi però troviamo essere stati quelli, che offesero una
verità troppo conosciuta e confessata col negare tal danno.
Il prof. Biroli più di trenta anni fa (i 34) e l'ingegne-
re Raccheto' nel 1 833 (i 35), ben vedendo quanto sia inu-
tile l'attendere da' fisici e dai chimici sperimenti una de-
cisione sulla controversia della salubrità delle risaje eb-
bero ricorso all' elemento statistico de' nati e de' morti, co-
me a quello che somministrare pub la prova la piùyyere/z-
toria sia a favore, sia contro le risaje (i 36) ; e perchè
alla strada de? soli fatti è riservato lo scoprire la verità
e risolvere cosi importante problema (137).
Riferisce il primo (senza però offrire il Quadro che
dice ottenuto dalla Commissione dipartimentale di Sanità)
che nel cx-Dipartimento d' Agogna in certe comuni cir-
condate da risaje e credute d'aria pessima, la popolazione
era in aumento, mentre in altre all'opposto riputate d'aria
salubre essa andava diminuendo : e che in mezzo alle ri-
saje avviene di trovare persone, che conducono una vita
lunghissima avendo qualcuna toccato il secolo.
Non altrimenti il sig. ingegnere Racchetti per dimo-
strare che molti villaggi posti sulla costiera tra l'Adda
e il Serio hanno maggiore mortalità, che quelli in mez~
4$
zo o vicino alle risaje (pag. 7) e che muore meno
gente nelle cascine contornate dalle risaje, dalle acque
stagnanti e dai pantani, che in quelle ove la coltivazione
del liso non si conosce gran fatto (pag. 17), ha con pa-
zienza e merito (che ben conosco fatiche di tal genere )
raccolte minute cognizioni e compilati appositi Quadri
comparativi. Di questi basterà al mio oggetto riferire sol-
tanto alcuno, riserbandomi a soggiungere in seguito com-
plessivamente le mie riflessioni all'opinione de' rispetta-
bili Autori.
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per cento.
Dalla seguente Tavola apparisce che la mortalità fu
la stessa ove eranvi ed ove non eranvi risaje.
TAVOLA (IV.*)
di confronto pel numero dei morti di cinque anni, cioè
dal 1825 al 1829 fra quattro villaggi situati in mezzo
alle risaje ed altri dieci che non hanno risaje.
Nomi
dei villaggi
! Campagnola . . . .
Crederà
Casaletto Ceretano
Rubbiano
I
S. Bernardino . .
Capergnanica . .
Pianengo
jRipalta Guerina.
Coltivati J Gabbiano
senza risaja^ Monte
S. Stefano
Palazzo
Vajano .......
Bagnolo
49
Finalmente dall'altra Tavola (la VIl.a) dello stesso si^
gnor ingegnere Bacchetti risulterebbe il contrario di quan-
to comunemente , e credo con ragione , si ritiene , e di
quanto risulta dai miei Quadri BeG.
TAVOLA (VII.a)
dì confronto pel numero dei morti di cinque anni cioè
dal 1825 al 1829 fra undici ville del territorio di Crema
coltivate a risaje, una piccola città, tre città capitali e
cinque provincie.
Cinque ville coltivate per 8/19 del
loro territorio a risaja , , \ ,
Sei ville coltivate per l[l% del lo-
ro territorio a risaja . , . , ,
Crema ......
Torino ....,,
Vienna (i38) . , ,
Napoli ......
'Milano .,.>..
Pavia
Provincie di < Lodi e Crema . .
Popo-
lazione
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8556
11 7987
232000
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47i85o
1 50859
*99659
Cremona li 78025
k Mantova J248514
Morti
1286
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L'intenzione dei due citati autori è tanto lodevole >
quanto è forte il genere di prova, eh' essi hanno scelto a
sostegno della loro tesi, ma siccome è forte, sarebbe altre-
sì inconcusso, se a niente valessero le seguenti considera-
zioni :
i.° Che il fatto del trovarsi in aumento la popolazione
de' luoghi coltivati a risaja è cosa in generale consona col-
le leggi della natura, verissima e non possibile a mancare,
che per particolare accidente. Ma fatto altrettanto vero si
è, che l'aumento in tali paesi è in generale, e proporziona-
tamente assai minore di quello, che ha luogo negli asciutti,
e che non portano taccia d' insalubri ; e questa veramen-
te è un'assai sfavorevole circostanza, poiché a cagione di
così tenue aumento, la popolazione non può trionfare e re-
sistere ai colpi, coi quali di quando in quando le malattie
epidemiche insorgono per abbatterla. Tutto ciò verrà, senza
lasciar dubbio, dimostrato nei Quadri che seguono
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i.d Glie la popolazione di molti Comuni dell'alto-Nova-
rese diminuisse, come asserisce il prof. Biroli, è cosa contra-
ria sì alla favorevole opinione in cui sono tenuti di clima
salubre Borgo-Sesia, Domodossola, ed altri borghi di que*
contorni , non che alla legge naturale che invigila alla
conservazione del genere umano. E certamente se vera
(i 38*) fosse stata l'asserzione emessa dal signor professo-
re, cioè se avesse dovuto realizzarci la trista condizione da
lui a questi luoghi attribuita di dovere, per lo stato loro
contrario a quello delle risaje, andar essi di genti sceman-
do; già dopo trentanni (voglio dire al presente) dovrebbe-
ro essere quasi deserti. In que'Comuni comunque salubri,
una diminuzione temporanea, parziale ed accidentale può
benissimo essere avvenuta; quando però l'Autore si fosse
approfondito nella cosa avrebbe trovato, che altre cagioni
potevano dar luogo a questo semplice accidente e se Ira
queste non fuvvi qualche fortuita malattia epidemica, cer-
tamente vi era la migrazione comune inque'meno uber-
tosi paesi, onde col lavoro procurarsi altrove il sostenta-
mento, non che il servizio militare assai esigente in quel-
l' epoca. Ma in generale, e preso come far si deve in que-
ste ricerche, un giusto lasso di tempo, l'aumento di popo-
lazione succeder deve necessariamente, e questo in gene-
rale abbiamo veduto dai Quadri D, E, F aver luogo pur
ne' paesi a risaja ed umidi, quantunque per altro minore,
che non negli asciutti; e se negli umidi abbiamo verificata
la possibilità di una diminuzione cagionata appunto, come
ho detto, dall'azione di qualche funesta causa operante sul
debole regolare aumento, che vi è proprio e naturale, negli
asciutti invece si è veduto sempre e grande, e innaltera-
bile tale aumento per gli inutili sforzi di contrarj accidenti.
56
3.° Che s*egli è vero ciò, che viene asserito dal sigtiof
ingegnere Racchetti, che muore meno gente nelle cascine
poste in mezzo a risaje, a pantani* ad -acque stagnanti, che
tìei luoghi alti e dove non havvi coltivazione del riso (p. 1 7),
si dovrà conchiudere, che falso è il timore di chi preferi-
sce T abitare 0 il villeggiare sull' alta parte della Lom-
bardia, che nella bassa, 0 in mezzo alle risaje : sarà affatto
supposta la difficoltà di non potersi coltivare e popolare le
Maremme Toscane, 0 le Paludi Pontine : saranno figlie di
pregiudizj le opinioni de' dotti , ugualmente che del volgo
sull'insalubrità de' luoghi palustri, e fuori di luogo le
migrazioni successe, onde sfuggire in questi le malattie e
la morte.
Se sono fatti quelli che secondo lo stesso Autore, dimo-
strano minore od uguale la mortalità sì de'luoghi asciutti,
che degli umidi 0 delle risaje, fatti son pur quelli da me
arrecati nei Quadri B e C, e comprovanti il contrario; £
fatti finalmente gli altri che seguono»
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6o
Lodando il Testi la salubrità di Venezia mette innanzi
agli occhi gli ottuagenari ed i nonagenarj che vi si trovano.
Ma il Dott. Federigo ( 1 3g) fa notare come il citato Au-
tore non abbia calcolato il numero grande dei bambini,
che muojono dal primo giorno di nascita fino al primo an-
no ec. Muret fa vedere (i4o) che di venti bambini che
nascono in montagna uno arriva alli ottantanni, ed in una
regione paludosa ve ne arriva uno in trenta o trentasei.
Condorcet nella Gazette de sanie del 177 5 racconta che
verso la fine del XVII e principio del XVIII secolo il Parla-
mento di Francia avendo fatta ricerca presso una parrochia
posta in luogo paludoso, onde accertarsi di un accidente av-
venuto quarantanni prima, non si potè trovare alcun indivi-
duo che ne fosse stato testimonio. Nella Georgia, nella Virgi-
nia, nell'Egitto quelli che vivono presso le acque stagnanti
non oltrapassano il %o.m0 anno (i40* Johnson crede che
l'età media nelFumido delta del Gange sia generalmen-
te di un ottavo pid corta, che in Europa. Ed ivi seconda
Julius (i42) raro è trovare un uomo che arrivi ai sessan-
tanni. Di più Jackson dice, che a Peterborough nella Vir-
ginia un indigeno non giunge, che di rado al 2i.rao anno.
L'abate Rozier (i43) assicura che nella Bassa-Brettagna
l'età pili avanzata, a cui: possa giungere un'uomo è quella
di cinquant' anni.
Secondo il sig. marchese di Condorcet
Nelle
Parrochie
paludose
La vita media
dell'uomo è
16%
La vita media
della donna è
19 v4
La vita media
comune
18
Nelle
Parrochie
non paludose
22 3/4
23 74
23
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A Montpellier, città celebre per il suo clima salubre,
secondo Mourgues è la vita media
Dell'uomo Della donna
anni 24 anni 28
mesi 3 mesi 3
giorni 1 5 V3 giorni 28 %
Termine medio
26 anni, 3 mesi, 20 giorni 3/7
Rilevò il sig, Muret clie su quarantatre Parrochie dei
Distretto di Vaud , che è considerato come il pia salubre
d'Europa, la metà degli abitanti arriva all'età di qua-»
rant' anni.
Secondo Riccardo Price ( 1 44) Sl conta
nel paese di Vaud 1 vecchio di 80 anni su 21 Va persone
a Montpellier . . 1
nella Marca di Bran-
debourg . . j
a Breslavia . . . 1
a Berlino , . . . 1
a Parigi . : ♦ . . 1
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a Vienna . . . . 1
a Madrid . . . . 1
in Provenza . . . 1
nei luoghi paludosi 1
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6%
TAVOLA
indicante il numero degli individui di 60 anni e più,
che esistono su mille abitanti (del sig, de Condorcet^.
Numero di sessagenarj e più
su mille abitanti
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poste in riva all' Oise
sull'alto piano
non paludose
paludose
In somma, dice Julia (i45), è dimostrato dall'osserva-
zione e dal calcolo che nei luoghi paludosi il termine
medio della vita è da cinque a sei anni pia corto che nei
luoghi asciutti.
N
Quadro tolto dall'opera sulle Marcite del sig. avv. Beerà,
da cui risulta la proporzione in cui stanno i morti ai nati*
Negli
Anni
In cinque distretti
Nel Distr. X
OSSERVAZIONE
asci tti
adacquati
a risaia
Nati
io3o8
10059
io456
I Il52
10091
10754
Morti
Nati
2922
544o
5o43
5i5o
5784
325o
Morti
2855
5o47
3559
2557
25ll
2566
Nati
Morti
1816
1817
1818
1819
1820
1821
854o
9I09
7600
7663
8io5
85i8
525
529
522
549
54 r
54i
852
979
556
459
555
527
Si farebbe de-
siderato in questo
Quadro il numero
de' rispettivi abi- |
tanti.
Dott. Gapsoni.
Sten
i morti
come 2
no
li nati
>a 3a
Sta
i morti
come 2
ino
ai nati
5 a 3i
Sta
i morti
come 1
nno
ai nati
6 a i3
63
Bossi nella Statisticjue du Departement de l'Airi per
rilevare meglio V influenza delle località sulle morti, sui
matrimonj e sulle nascite divise il suddetto Dipartimento
in quattro parti e dietro i documenti degli anni 1802
i8o3 e 1804 ebbe i seguenti risultati:
Una
Una
Un
nascita
morte
matrimonio
annua su
annua su
annuo su
Comuni di montagna
34,8abit.
38,3 abit.
1 79 abitanti
» di riviera
28,8 »
26,6 5>
i45 »
» di pianura
27,5 »
24,6 »
i35 »
» di paese paludoso
26, 1 »
20, 8 »
107 »
In un paese X che sempre aveva a ragione goduta la
fama di salubre od ove soltanto si contavano tra le malat-
tie popolari (nelle stagioni loro opportune) le infiamma-
zioni polmonari, le dissenterie, la pellagra e sue conse-
guenze, non mai le febbri intermittenti, le quali appena
servivano a castigo di colui che i propri salubri campi ab-
bandonando per speranza di maggior guadagno, portavasi
ai lavori delle risaje, in tal paese, dico , più per diletto di
una singolare coltivazione, che da viste d'interesse, si pen-
sò a giovarsi di una raccolta d'acqua di pioggia per stabi-
lire una piccola risaja 6u di un terreno argilloso a nessuna
coltura sottoposto. Ma subito una malattia epidemico-mia-
smatica si sviluppò avente tutti i caratteri di una remit-
tente ed intermittente grave e pertinacissima , ed il cui
esito si rileva dal Quadro L contrapposto all'altro I. Un
caso analogo vien riferito dal Dott. Facheris.
« Una risaja venne allestita sono sei anni, scrive egli, in
qualche distanza da Malpaga. Neil* estate dell' anno sua-
64
seguente vi scoppiò una tale endemìa di febbri periodiche
perniciose , che i circostanti villaggi ne furono a un trat-»
to compresi e molti di que* contadini ne rimasero vittima.
Assicurata la cospicua famiglia posseditrice della risaja
suddetta dipendere da essa sola le insorte febbri , non ne
ebbe appena variato 1* economico uso del terreno che piti
non ricomparvero in progresso i consueti malori » (1^6).
Ma se si ammette (dietro però le asserzioni deisig. in-
gegnere Rocchetti, poiché così non risulta dalle prodotte,
mie ricerche), che una mortalità uguale avvenga sì nei
luoghi a risaja 0 paludosi, che negli asciutti, si deve riflet-
tere, che qualora quelli sieno abitualmente paludosi 0 usati
a tale coltivazione tutto il danno non viene espresso dal
numero de* morti avvenuto sul sito , giacché gli abitanti,
che vi vivono, acquistano sino a certo punto dall'abitudine,
se non una insensibilità a provarne il danno, almeno una
eerta vantaggiosa tolleranza all'azione del miasma palu-
stre, e perciò possono alcuni (non molti) campare anche
una lunga vita in mezzo ad essi (i47)> non meno che in
carceri ed in umide caverne. Invece , il maggior numero,
che viene offeso da questo terribile fomite morboso è quel-
lo de' forestieri e per tali sono da considerarsi gli abitanti
dell' Alto-Novarese , dei Biellese, dell'Alto-Milanese,
delli Appennini liguri, piacentini, e parmigiani, i quali
se non discendessero nel Basso-Novarese, nella Lumellina,
nel Basso-Milanese, nel Cremonese, nel Lodigiano fareb-
bero a meno di ritornare alle loro famiglie quasi tutti pre-
si dalla malattia delle basse, la quale oltre il danneggiare
anche per molti mesi alla loro economia domestica colla
cessazione del lavoro, e colla spesa di cura, li fa penare a
lungo e finalmente, cagionando loro la morte, cagiona un,
6S
aumento nella mortalità delle loro Parrochie, norv già in
quella de* luoghi ove assorbirono il fatale veleno. Questo
è un fatto che verificasi pure nelle montagne delle Ca-
labrie, e dello stato Pontificio, e può venir dimostrato dal
Quadro M. E se la mortalità generale di questa malattia
tra noi ed a giorni nostri, è poca (i48)> qualora la confron-
tiamo con quella di altre; essa però non è nulla e può ve-
nire comprovata dagli Spedali, i quali servirebbero pure a
dimostrare il danno che nella relativa stagione apportano
all'interesse de' luoghi pii i numerosi ammalati di tale
specie col venire , e ripetutamente ritornare ad ingom-
brarli (i49)«
La fatica del sig. cav. Angeli (i5o) per dimostrare che
r acqua delle ben costrutte risaje non è ne in parte né
tutta stagnante, ma che é corrente e cangiasi tutta , sem-
brami affatto gettata, poiché le malefiche esalazioni delle
risaje , non succedono , allorché sono coperte dall' acqua ,
ma bensì quando questa viene tolta, e il suolo resta se non
che semplicemente inzuppato. Le leggi idrauliche chia-
mate in soccorso dal sig. Cavaliere sono matematicamente
vere, quanto sono veri in fatto i tristi effetti cagionati da
queste artefatte paludi. Deboli anzi insussistenti sono poi
altre ragioni (i5i) alle quali Y Autore si appoggia per
sostenere il suo assunto: p. e. ammette che uopo la mieti-
tura del riso non restano piante palustri, né radici che in-
fracidiscono, poiché, come egli dice, ogni erba viene svelta
dal suolo prima della seminagione del riso. Ma se, poscia-
chè in tal modo è nettato il terreno, nasce il riso, perché,
chiedo io, non potranno ugualmente nascere, crescere,
maturare , perire e infracidila altre erbe indigene e di
vita annuale, i cui semi sono nascosti nel terreno, ed allo
5
66
sviluppo de' quali la presenza dell' acqua è, quanto a quel
esotico cereale, favorevole ? Non occorre egli frequente il
bisogno di far mondare il riso, mentre vegeta, dalle erbe che
lo ingombrano ? non offresi agli occhi di chiunque coperto
di rimasuglj vegetabili il fangoso suolo, posciachè si è mie-
tuto il riso ? Credendo FAutore al principio già professato
da Pringle, che un suolo paludoso perda della sua malefica
potenza col ricoprirsi d'acqua, la quale assorbe il gas mefi-
tico, applica questo principio alle risaje, le quali in tal
modo,' come supponevi, perdono ogni insalubrità. Ma poi-
ché è falsa la presenza del gas mefitico, e falso il di lui
assorbimento per parte dell' acqua, non sarà ella parimente
falsa questa teoria di risanamento ? non 6arà egli caduto
anche questo puntello alla singolare opinione dell' Auto-
re ? Egli è incontrastabile, che l'allagamento può far per-
dere ad una palude la sua malsania, ma altre ne sono le
cagioni, come si vedrà in seguito. Forse la difesa di questa
tesi, piuttosto che una veritiera confessione de' propr j sen-
timenti, fu un'esperimento di acutezza e di diatetica , ed
a un tale giudizio mi spinge la confidenza in cui tengo il
buon senso del quale l'Autore, come medico, deve essere
fornito, non che ciò , che trovai annunziato nel Giornale
di Medicina pratica del prof. Brera, avere, cioè, il cav.
Angeli, in certa Memoria, mostrato all'evidenza ì danni
di altre risaje (102).
Nel mentre che io non nego la grande comparativa uti-
lità della coltivazione del riso sotto l' aspetto economico ,
nel mentre che riconosco la eminente facoltà nutritiva, la
bontà e la salubrità di questo cereale, che
Condendolo così, che in cento e cent®
67
Usi del vitto umano, e in varie guise
Con l'aita del sole, e di sals'onde
Di aromati , di fiamma a Y uom divenne
Medicina, ristor, bevanda e cibo (i 53) ;
non posso però che compiangere l' indubitato sacrifizio
che esso richiede dell' altrui salute. Senza pretendere né
di bandirlo, ne di amatenizzarlo, dirò soltanto ch'egli è
desiderabile, che la legge vigili , onde dalle città e dagli
abitati vengano sufficientemente allontanate le risaje e
con cuore materno impedisca, che taluno o per inesperien-
za, o per proprio vantaggio attenti alla vita di tanti citta-
dini: e eh' egli è del pari desiderabile che con premi e
distinzioni si animino gli agronomi a possibilmente toglie-
re e modificare quelle circostanze dalle quali deriva il
danno.
Non devesi però negare, che talora lo stabilimento di
certe risaje possa avere una utilità locale relativa , cioè
possa togliere il maggior danno, che quasi tutto l' anno ar-
recavano immonde ed insalubri paludi colle loro pessime
esalazioni. A tal riguardo le risaje che furono introdotte
dopo il principio dello scorso secolo nel Temeswar sono da
considerarsi assai meno nocive, che le paludi, che infetta-
vano da prima quei luoghi. Così quel tratto di paese, che
sta tra 1' Agogna e la Sesia ove non vi erano e non vi po-
trebbero essere che dannose paludi secondo il Caroelli ,
sono assai utilmente coltivate a riso (i 54)- H Bevilacqua
si doleva (i55), è vero; della smania di tutti ridurrei ter-
reni a risaja, ma in proposito faceva eccezione pei paesi
vallivi, zerbidi ed incolti, che trovava meno dannosi nello
stato di risaja che in quello di paludi o di novali* Gioja
68
(i 56) fa osservare «che l'influsso nocivo dei terreni pa-
ludosi non d'altro prodotto suscettibili che di riso, sarebbe
maggiore, ee rimanessero incolti. » Parlando il sig. Che-
rubini (157) delle risaje del Distretto di Ostiglia nella
Provincia di Mantova soggiunge. « Di queste risaje che per
la coltivazione loro sogliono essere in ogni parte del mon-
do nocive all' umana salute , può dirsi , che siano qui ne-
gativamente utili ad essa, giacche essendo vallivo e palu-
doso per se stesso il terreno, in cui esse ritrovansi, ai dan-
nosissimi efflluvj delle paludi incolte, che ivi sarebbero,
sono sottentrati gli assai meno dannosi della regolata col-
tivazione del riso. » Cosi certo Dott. L. A. che nel 1 790
ha pubblicato una Memoria sulle risaje, non toglie a que-
ste la taccia di essere dannose ma dimostra, che lo sono
meno delle paludi delle valli. E il sig. B. de Humboldt
accennando la coltivazione del riso nel delta formato dai
fiumi Alvarado, S. Juan e Guasaicualco dice che « non si
può temere che dalla irrigazione delle risaje venga ad ac-
crescersi T insalubrità di un paese che è già ripieno di
paludi e di pozzanghere » (i58). Dello stesso parere si
mostra il celebre Melchiorre Delfico parlando della colti-
vazione dei riso nella Provincia napoletana di Teramo.
Ma le risaje della Bassa-Lombardia sono le sole dan-
nose ? Le risaje delle altre parti del mondo , se sono no**
cive, cagionano altre malattie ?
Sulle rive del Gange le risaje producono febbri per-
niciosissime ogni anno, e nel 1771 queste regnarono in
modo, che un milione di abitanti ne fu vittima (159),
Nelle persiane provincie di Luristan 0 Kurestan le risaje
concorrono all' insalubrità del clima e dei luoghi che stan-
no intorno agli avanzi dell'antica residenza dei Re, la
città di Susa (160).
Quando i numerosi ed attivi Egizi lavoravano il suolo,
spurgavano i fossi , davano corso alle acque , l'Egitto era
salubre assai più che dopo V invasione degli Arabi guer-
rieri e dei Turchi indolenti. Quando poi dice Paw (161)
ivi si coltivò il riso in modo di asportarne quattrocento
mila sacchi, si generò un'infinità di malattie (162), il
dominio per altro presso che costante, che per tanti motivi
ha la peste in questi luoghi fece sì che , rivolto Y occhio
del viaggiatore a quella terribile malattia , le febbri pro-
dotte dalle risaje , 0 non fossero calcolate 0 per cosi dire
confuse nelle epidemie e nelle febbri pestilenziali. È però
da osservare, quanto dice Sonnini, cioè, (i63) non aversi
nel Basso-Egitto dalla coltivazione del riso i danni soliti,
atteso , che dominano ivi forti venti , e il suolo veramente
non è per se paludoso , né viene tenuto tale scorrendovi
acqua di fiume e facendola poi scolare quando non fa più
bisogno. Inoltre, tolto il riso, succede un tapeto di verdura,
che assorbe ogni umidità, e deve essere salubre.
Nelle basse pianure dell'Ungheria e nel Bannato , ove
coltivasi riso dominano le febbri intermittenti e lo scor-
buto.
Il sig. Pouqueville dice (i64) che le emanazioni delle
risaje del vallone d' Argo sono dannose agli abitanti.
«Appena uno straniero va a fissarsi a Napoli di Romania,
posto sulla viva orientale del golfo d' Argo ei paga il tri-
buto della quartana , da cui non vanno esenti gli abitanti
medesimi, A vederli tinti di giallo , con gozzi e malattie
scrofolose, si può giudicare dell'aria e della sua maligna
influenza. Quindi è che generalmente a Napoli , e in
tutta la valle d'Argo gli abitanti hanno il ventre obeso, ed
i visceri addominali sono sovente ingorgati. Il sistema lin-
7°
fatico predominante fa, che trovisi qualche persona affetta
da elefantiasi, ed un gran numero d' idropici. » Lo stesso
dicasi pure dei contorni d'Aita in Albania (r65).
Dopo il principio del Secolo XVIII, epoca in cui si
estese la coltivazione del riso alla Carolina meridionale ,
il clima divenne insalubre e le febbri intermittenti ven-
nero ad accrescere infinitamente Y infelicità dei negri che
si destinano a coltivarlo (166). Così risaje e febbri inter-
mittenti trovansi nella Virginia, nella Luigiana, nel ba-
cino del Mississippi. Anche a mezzodì della linea equato-
riale troviamo, che alla Colombia nella Provincia di Soc-
corro, ove, oltre la canna da zucchero ed il cotone , colti-
vasi il riso , dominano il gozzo e le febbri intermittenti
alle quali nei vecchi tengono dietro le idropisie (167).
Così è pure a Santo nella Provincia brasiliana di S. Pao-
lo (168).
In mezzo a quel poco che si sa dell'Affrica troviamo ,
che lo stabilimento di Albreda otto leghe circa dali'imboc*
catura del Gambia e le sue vicinanze , sono malsane per
le risaje, ciò che è pure della Casamania (169).
descrivendo il signor Bally (170) la pianura di Va-
lenza in Spagna , ove vi sono trenta 0 quaranta mila ju-
geri di terreno coltivato a risaja, dice: « Lo stato misera-
bile degli abitatori delle Huertas (foreste di gelsi, di aranci,
di olivi, di carrubbii che circondano varj bei villaggi e
magnifici conventi ) pub anche dirsi sopportabile confron-
tato a quello della popolazione delle risaje : i primi alme-
no gioiscono di una salute vigorosa , mantenuta dalla loro
sobrietà e da un buon umore inalterabile: ma la miseria
dei coltivatori delle rive dell' Albufera è aggravata an-
cora dalle malattie cagionate dalle emanazioni malsane
7*
delle paludi in mezzo alle quali vivono: eppure essi hanno
la medesima rassegnazione, essendo persuasi, che un cani*
biamento nella loro situazione è cosa impossibile. »
Anche in una recente lettera di Spagna del 28 maggio
1837 (Journ. des dèbats etc. 2 3 Juillet) ove si de-
scrive la huerta di Valenza si legge: « Di tempo in tempo,
specialmente sul pendio del Xujar si vedono campi inon-
dati che formano specie di lagune; sono risaje che infeli-
cemente compensano, ed al di là, coll'insalubrità delle
esalazioni, che spandono, le risorse di cui arricchiscono il
paese... Questo paese sì bello all'occhio, sì seducente per
la verdura e per l'abbondanza è appestato dalle acque, le
cui esalazioni miste ai vapori , che il sole attira continua-
mente da quel suolo umido 5 producono febbri perniciose.
Su 49 io ammalati ricevuti nel i83o negli spedali di Va-
lenza , tre quarti avevano tali febbri e la mortalità sulla
cifra de' febbricitanti fu di un quinto. Il labrador, 0 abi-
tante della campagna, ha il volto terreo, l'occhio languido:
la sua fisionomia è melanconica e senza espressione. »
I fatti da me in questo capo riferiti , sembranmi sof-
ficienti a dimostrare essere fondata la taccia d'insalubrità ,
che ovunque si è data alla coltivazione del riso (171).
CAPO V.
Continuazione dello stesso argomento. E in partico-
lare dei fontanili milanesi e della macerazione della
canapa e del lino.
Eccoci da prima ad un' altra fonte abbondante di prin-
cipi pregiudiciali alla salute nella Provincia di Milano, e
7*
sulla quale credo non siasi ancora fermato lo sguardo in
tal proposito.
I. La pendenza del suolo lombardo verso Sud e Sud-Est
e le acque che per esso scorrono sotterranee, tenendo pure
la stessa direzione, hanno suggerito agli agronomi milane-
si (onde ottenere mezzo d* irrigazione sempre maggiore e
coltivare generi più utili) di scavare recipienti più o meno
vasti , più o meno profondi , i quali chiamar potrebbonsi
pozzi , ma che aperti essendo al loro fondo verso Sud e
Sud-Est e lasciando scorrere continuamente (se la polla
non esiccasi) le acque sulle inferiori campagne, diconsi
fontanili (172). Per avere uno di questi al fine di irri-
gare un tratto di asciutto terreno, si scieglie la di lui parte
più settentrionale: Ed ove si sa esistere superficiali sorgen-
ti, ivi si scava allora la così detta testa del fontanile , cui
si dà ordinariamente la figura di una racchetta, ed un'e-
stensione più 0 meno grande a norma della quantità mag-
giore 0 minore d'acqua che si vuole ottenere. Nel fondo,
ove vedesi zampillare l'acqua, si seppelliscono perpen-
dicolarmente dei tini senza fondo alti da cinque a sei pie-
di, più larghi al basso, che all'alto. All'orlo superiore
di questi altrettanti pozzi ed alla parte, che riguarda il ca-
nale si fa un* incavatura, per la quale possa scorrere l'ac-
qua. Di tali tini si pone un numero proporzionato all' e-
stensione della testa. Ne solamente si vede sorgere l'ac-
qua dal fondo, ma questa scaturisce talora anche dalle
sponde, le quali come verrebbero facilmente a franare, si
sostengono con assi 0 travi , oppure con pareti di muro 0
cubi di pudinga (chiamato ceppo) che danno a tali pareti
V aspetto di mura ciclopee ; questo laghetto artificiale si
fa scaricare per mezzo dell' asta, la quale si prolunga nel
eanale , cbe prendendo la direzione de' luoghi piti bassi
conduce le acque alle inferiori campagne. Se si eccettui
il fontanile di Casa Borromeo a Giussano lontano dieci-
sette miglia da Milano , quello della Casa Annoni presso
Greco alla sinistra della Regia strada che conduce a
Monza, quello a Geranzano pochi passi lontano dalla Re-
gia strada di Varese , ed altro a mezzodì di questo villag-
gio vicino all' antica Chiesa di S. Giacomo, lo spazio terri-
toriale della Lombardia , o per parlare più precisamente ,
delle vicinanze di Milano , ove sono in grande quantità i
fontanili, può essere rinchiuso da una linea semicircola-
re che, partendo ad otto miglia circa da Milano dalla sini-
stra sponda del Naviglio Grande , tagliasse la R.egia stra-
da Vercellina superiormente a San Pietro all'Olmo, ascen-
desse passando la Regia strada del Sempione poco oltre
Rho, indi attraversando la Regia strada di Varese alla Tor-
retta vicino a Castellazzo-Arconate, terminasse incontran-
do la Regia strada di Como sotto Cascina Amata.
Comunque Y idea di acqua corrente propria ai fonta-
nili male si combini con quella d' insalubrità, il fatto però
prova pur troppo il danno eh* essi , producendo le febbri
intermittenti, arrecano a chi vi abita vicino.
La trista influenza dei medesimi si affaccia a chiunque
al solo osservare, come sotto una linea stessa parallela al-
l' equatore sieno infestati dalle suddette febbri a setten-
trione Castellazzo-Arconate , Cascina Traversagna frazio-
ne dei Comuni di Senago e di Bollate ed Arese, luoghi
tutti che hanno a se vicini i fontanili , e ne vadano imuni
(perchè da questi lontani) a ponente Passirana e Barba-
jana, a levante Cusano, Cormano e Paderno quantunque
villaggi posti più al mezzodì e che spetterebbero quasi ai
74 .
paesi della bassa. Lo stesso dicasi di Cornaredo , di Pre-
gnana e di Rho assaissimo più salubri di Terrazzano , di
Mazzo, di Pantanedo, i quali sono assai più alti dei tre pri-
mi, ma sono insalubri avendo fontanili in vicinanza.
A quanto ho qui asserito sulla emanazione malefica
de* fontanili sembrerebbe fare eccezione quello in Rho
ove dicesi al Pasque, che non può incolparsi di arrecare
sensibile danno agli abitanti, che vi sono vicini; ma osser-
visi, che a cangiare il di lui modo di essere ed a moderar-
ne T insalubrità concorre il torrente Lura, che appunto
mette foce con ampio tributo di sabbia quarzosa nella di
lui testa. Questa circostanza soltanto formerebbe la ecce-
zione, poiché io ho veduto invece venire presa dalla ma-
lattia in discorso ed assai pertinacemente tutta una fami-
glia nella prima state (quella del 1829), in cui si traspor-
tò ad abitare presso il temporario fontanile che sta fuori
d' Origgio, villaggio situato in luogo salubre della Provin-
cia di Milano e da ben altra malattia dominalo fuorché
dalle febbri paludose.
Il cambiamento, rispetto alla salubrità, avvenuto in certi
luoghi appunto della Provincia milanese, devesi attribuire
agli fontanili, che vi si scavarono; per esempio, noi sappia-
mo (173) che il Petrarca amava vivere alla sua villa
presso Milano, cui diede il nome di Linterno in memoria
del Linternum di Scipione Affricano, ed al presente la
stessa, ridotta a rustica abitazione, più forse per l'aria sua
insalubre, che per corruzione di lingua chiamasi V Inferno:
Sappiamo altresì, che entro il semicerchio da me tracciato
esistevano anticamente Monasteri delle più celebrate so-
cietà religiose , ed anche ville delle più illustri famiglie
della capitale, ed infatti un antico e civile palazzo detto
75
Mazzino alla sinistra della strada del Sempione che con-
duce a Milano, da cui dista circa sette miglia, ora è affat-
to abbandonato per il danno, che suole arrecare il fonta-
nile, che vi sta vicinissimo. Sulla pessima influenza, ossia
sulla proprietà de' fontanili lombardi a generare le febbri
intermittenti io sono abbastanza convinto, e spero lo potrà
essere chiunque si porti ad osservare la cosa in luogo: ve-
drà egli come non le loro acque bevute siano V origine
della malattia, poiché coloro che vi abitano al dissopra ,
cioè al nord, purché non molto ne siano distanti , ne ven-
gano presi ugualmente; sentirà come sinistramente decla-
mano i vicini, che non ne bevono pur goccia, e potrà for~
s'anco ei stesso provarne i tristi effetti. Ma delle cagioni
di ciò si parlerà a piti opportuno luogo.
II. In un paese tra i cui migliori ed abbondanti prodotti
si annovera il lino, e in qualche parte anche la canape,
ben certi si può essere di trovare un* ampia fonte di mia-
sma paludoso nella macerazione, che si fa subire a queste
piante, onde ridurle al comune uso cui sono destinate. La
realtà di un tal danno è stata confermata dall' osservazio-
ne di tutti i tempi. Già Avicenna aveva detto (174) che
« tra le cagioni capaci di generare putredine dovevasi an-
noverare l'aria degli stagni e di que' luoghi ne* quali si
macerano il lino e l' asfalto. »
Il Lancisi destina un capitolo della celebre sua Opera
(1 7'5) appositamente a dimostrare la trista influenza di tale
macerazione, e dopo avere enumerati tutti gli autori (176),
che la confermano, attribuendo ad essa V origine non solo
delle febbri pestilenziali, ma altresì della stessa peste, ag-
giunge quanto la stessa sua sperienza gli ha presentato.
Datale cagione egli vide dipendere l'epidemie di febbri,
76
che per alcuni anni, sino cioè al 1 705 , infestarono la sa-
lubre città di Orvieto, onde nel suo Consiglio a Clemen-
te XI propone di allontanare le fosse, ove si macera la ca-
napa, di farle spurgare in gennajo e febbrajo e di non per-
mettere che si porti in città la canapa se non asciutta ,
poiché dice (177) essergli stato narrato, che a Costantino-
poli ogni anno generansi febbri perniciose per la canapa
e il lino che ancor umidi vengon ivi trasportati dal Cairo.
Messi in fatti in esecuzione i consigli eh' egli diede , nel
seguente anno non si ebbero più febbri. E parlando di
questa città d'Orvieto non si può ommettere di far osser-
vare, che la sua bella ed alta situazione non mi avrebbe
sul sito mai dato a credere, che essa soffrir potesse malat-
tie proprie de* luoghi palustri, eppure ora si sa di certo (178)
che i maceratoj della canapa che ivi chiamansi sorghe e
le cui acque non vengono mai rinovate , quantunque si
trovino poste nella pianura ed alla distanza di uri miglio a
due dalla città, sono ricchi focolaj di miasmi febbriferi sì
nella state senza la presenza della canapa , che dopo la
metà d'agosto, dopo cioè che essa vi fu deposta. E per ve-
rità, proporzionatamente alla popolazione, il numero delle
febbri vi è straordinario.
Gran danno altresì sia dalla macerazione di que' vege-
tabili , sia dalle alluvioni de' fiumi si ebbero nel 1 709 a
Frosinone, Ferentino ed Agriani (179). Ramazzini pure
descrive (180) le fatali conseguenze della macerazione
della canapa e del lino. Limerraann (181), P.Frank (182),
Pozzi (i83) e A. Chevallier (184) non dimenticarono di
presentare anch' essi questa causa morbosa e riguardarla
identica a quella che hanno con se le risaje e le paludi.
Un fatto degno d' essere riferito ci narra in proposito il
77
Monfalcon (i85): « Gli abitanti di una Cascina usavano
di porre la loro canapa in un lavatojo posto a mezzodì del-
l'abitato, e quasi tutti venivano molestati pressoché ogni
anno da una febbre intermittente autunnale.
Tale malattia endemica sembrava straordinaria e tanto
più era di sorpresa, in quanto che ciò succedeva su di un
elevato terreno sabbioso, e che que' contadini erano agiati
relativamente a quelli de' villaggi vicini. Interrogato sulle
cagioni, che potevansi supporre dar luogo a tale malattia,
il signor Bourges rispose, che la principale gli sembrava
derivare dalle emanazioni che da tal lavatojo vi portavano
i venti di mezzodì. Consigliò, che in avvenire si facesse
macerare la canapa in acqua corrente ; ciò eseguito la
malattia piti non comparve. Così passarono due anni , ma
un contadino avendo di nuovo posta la canapa nel lavato-
jo , si rinnovò la febbre e di nuovo essendo stato impedito,
la malattia non comparve più. »
A questa mi sia lecito aggiungere una mia propria os-
servazione. In un villaggio situato in aria sana e tra le
cui malattie popolari endemiche, certamente non potevan-
si annoverare le febbri intermittenti , si videro invece do-
minare queste abbondantemente nel luglio e agosto del
1827. Il loro aumento straordinario avendo in me destata
giusta riflessione, dovetti credere, che tale nuova malattia,
(più frequente altresì in un dato quartiere), avesse origine
da poco lino posto a macerare in un lento rigagnolo : nel
seguente anno 1828 e nella stessa stagione dominò pure
ivi una malattia, che quantunque fosse accompagnata pri-
mitivamente e notabilmente da sintomi gastro-enterici,
senza dubbio flogistici, pure e il tipo remittente e V inter-
mittente, che in special modo assumeva sul suo terminare,
78
e il bisogno e utilità, che si aveva a malattia inoltrata dalla
china, e le recidive, che avvennero talora, dimostravanmi
a chiare note V indole periodico-larvata della dominante
malattia e la sua derivazione mi asmatico-paludosa. E tale
causa veramente non mancava, poiché anche in quest'an-
no ponevasi a macerate qualche po' di lino, ed erasi in
que' caldi mesi spurgato uno stagno servibile a pubblico
lavatojo: ed ombreggiato da folti pioppi a mezzo giorno.
Tralasciatesi tali nocive pratiche non si videro piìi com'-
parire malattie. Né ciò solo, ma avvenne altresì , che nel
mese di luglio del 1 83 1 scopersi qualche fascio di lino in
un piccolo stagno all' estremità meridionale del medesimo
Comune. Da quel momento diressi la mia attenzione ad
osservare se nei pia vicini abitanti si manifestasse qualche
febbre intermittente: sebbene in quella state non ne oc-
coresse alcuna, pure dopo alcuni giorni ne fu preso un
giovine, che appunto abitava l'estrema casa e la pia vicina
al macerato lino. Ciò, sia colpa del miasma sviluppatosi ,
sia del caso, come fatto, è innegabile.
Questi fatti e le autorità degli uomini che ho citato in
questo capitolo:
i .° Possono avere maggiore valore che i ragionamenti
e le inconcludenti sperienze del Dott. Matteo Zacchiroli
( 1 86) il quale si sforzò di attestare la innocuità non solo,
ma la virtù medicinale dell'acqua, in cui si macera lino
o canapa e crede identico l'odore, che essa spande a quello
delle concie delle pelli o delle macellerie.
2.° Possono equivalere aìfaits bien constatès che V A-
baie Tessier (187) desidererebbe per poter credere che
la macerazione della canapa è la cagione delle febbri rè-
glées, eh' egli per altro non nega accadere , ma che non
79
sa se dipendano piuttosto dalla canapa macerata , o dal
combinarvisi le esalazioni delle paludi.
3.° Possono facilmente mostrare quanto siano deboli le
conclusioni che il sig. Parent Duchàtelet ha creduto di
poter trarre da sperienze eseguite entro le stanze (188)
cioè « che non esiste alcuna connessione tra gli effetti
supposti della macerazione e le costituzioni dei mesi di ago-
sto , settembre , ottobre e novembre : tra la quantità più o
meno grande della canapa, e il numero de' malati; e che
le alterazioni morbose che si osservano a quest'epoca non
prendono mai un carattere epidemico , ma sono malattie,
che talvolta riconoscono per causa dei modificatoli esterni,
le vicissitudini atmosferiche , l\uso immoderato dei frutti
ancora immaturi ec. ec. » (189)
I fatti, replico, da me citati sono opposti a quelli ri-
feriti dal sig. Girandet (190), ma se io non nego la loro
realtà, vedo però ch'essi sono ristretti ad una sola località,
ove facilmente le correnti aeree 0 altre particolari circo-
stanze locali possono dissipare 0 distruggere l' azione di
quelle emanazioni.
CAPO VI.
Fatti storici e geografici che confermano V azione no-
civa delle acque paludose , e dimostrano la specie di
malattia che ne deriva.
I dannosi eifetti delle paludi (191) sulla salute umana
furono conosciuti sino dalla più remota antichità, e noi ne
troviamo ovunque numerose testimonianze. Alcune di
queste ce ne fornisce anche la greca mitologia celebrando
8o
tra le prodezze di Ercole 1* asciugamento della mortifera
palude Lernea figurata in un' idra vorace ( 1 92): né tra i
meriti , che influirono all' apoteosi del figlio d' Alcmena ,
piccolo fu quello di avere con ampia fossa procurato lo sco-
lo alle acque, che vicino a Tempe formavano dannosa pa-
lude, e così avere donati all'agricoltura ed alla salubrità
gli amenissimi campi della Tessaglia lungo il fiume
Peneo (193).
I Chinesi venerano l' antichissimo loro Imperatore Yao
per i benefici da esso lui arrecati al loro paese coli' asciu-
gare paludi, scacciar belve, coltivare il deserto terre-
no (194).
Quell' uomo poi che per lodevole sentimento di grati-
tudine ha posto per lo pia nel novero degli Dei chi lo
aveva beneficato, avendo trovato talora più comoda e spe-
dita cosa ripetere le sue disavventure da un supremo de-
stino, e dalla collera de' Numi (195), di quello che con-
vincersi, che esse derivar potevano dagli errori e dalla in-
dolenza propria, ha cercato col creare nuovi Numi, 0 col-
F esternare verso d' altri omaggio e adulazione di sottrarsi
a quelle 0 rendersi questi propìzj (196). Così temendo le
malattie delle paludi i Greci innalzarono altari a Diana
Limnatide (197) tra la Laconia e la Messseniain un luo-
go detto alle paludi. E tra i Romani uno de' primi tempj
ad essere eretto fu quello della Dea Febbre sul Monte
Palatino che fu, per così dire, il nocciuolo dell' eterna
città. Certamente Deità pia opportuna non poteva vene-
rarsi in un luogo che dovette venire abbandonato dagli
Aborigeni e dai Pelasgi molto tempo prima per il danno,
che le acque corrotte dai calori estivi arrecavano (198) e
in un luogo circondato da canneti e dalle acque stagnanti
8i
del Velabro (199) e del lago Curzio , che asciugate poi
da Romolo e da Tazio diedero luogo al foro Romano (a 00).
Onde il Cantor de* Fasti
Vedi ora il Foro ove fùr già paludi :
Sparge d' intorno 1* acque traboccanti
Il Tebro, e dove arido suol gli altari
Or regge a' estendea di Curzio il lago :
E salci e fragil canna un di copria
Quel Velabro che calca ora festivo
Corteggio cittadin.
Coli' aumentarsi delle Città e pel dominio di quelle
malattie, die furono sempre proprie del clima romano, al-
tri tempj s'innalzarono alla stessa Dea Febbre (201) e pro-
babilmente colla medesima intenzione alla Dea Mefite si
consacrarono altari sì nella valle d' Amsanto (202), che
in Cremona (2o3), ove certamente per Tumido clima le
febbri dovevano in quel tempo dominare : non che alle
falde del Monte Esquilino luogo malsano , puzzolente e
destinato alle sepolture della plebe romana (204).
Se ci faremo a rintracciare nelle diverse contrade del
globo , ove trovinsi paludi , ivi troveremo avere pur sede
costante come malattia popolare, la febbre intermittente,
qualora però (attesa la qualità del clima dal nostro tem-
perato assai diversa), non vi tenga le veci qualche pia ter-
ribile malattia , la quale quantunque non mostri il feno-
meno del periodico accesso, abbia però con quella una
vera patologica analogia, avendo pur essa sede negli orga-
ni medesimi.
Al Brasile gli abitanti di quella pianura corrispondente
alla Baja di Tejucus |o Dos-Goachos, che viene inondata
6
32
dai fiumi Inferminho e Zigreno ed è coperta di macchie
ed incolta , sono infestati dalle febbri intermittenti , dai
moscherini e da altri più incomodi insetti che chiamano
buracalaj (20 5). La città di Santos nella Provincia di
S. Paolo , e la pianura di S. Sebastiano, essendo basse ,
umide , circondate da boschi ed allagate da ruscelli che
vi si spandono, sono molestate dalie febbri e dai moschitL
Lagrimevole è il quadro che fa il capitano Stedman
(206) (quasi vittima di ripetute febbri intermittenti) della
salute generale e principalmente di quella del forestiero
al Surinam ove il terreno è sovente allagato dai fiumi non
che del mare, che vi lasciano acque stagnanti.
Negli stati della Repubblica di Colombia V aria viene
infetta dalle acque delle risaje e delle paludi del fiume
Suarez nella Provincia del Secorro (207).
La Provincia di Valladolid nella Nuova-Spagna è sa-
lubre all'alto, ma discendendo dall'altura di Ario, quanto
più si va avvicinandosi alla costa, l'umidità del suolo fa
sì che gli indigeni e i forestieri vengano presi da febbri
intermittenti (208). Quando i venti di Nord-Ovest e di
Ovest fanno ritirare le acque della laguna di Tampico ,
restando il fango allo scoperto, si manifesta sì il vomito
prieto, che la febbre intermittente; allora tutti i negoziai
ti fuggono all' alto p. e. ad Aitami ra dodici leghe lontana.
Tali malattie e tale cagione fanno pur provare un* ugual
sorle alla città di Alvarado. Così sulle rive dell' Orenoco,
sulla costa che stendesi da Cumana al Capo-Codera, nella
Valle del Rio della Magdalena regnano pure con P umi-
dità e la mancante coltivazione le febbri intermittenti. Ad
Acapulco gli abitanti respirano un' aria infuocata, essi per
una gran parte dell' anno non vedono il sole se non fra
83
mezzo ad un velo di vapori di tinta olivastra. Tali vapori si
sollevano da una laguna ogni anno asciugantesi, chiamata
la denega del Castlllo all' oriente della città e portano
in grembo miasmi febbriferi.
Vedasi la descrizione, che ci offre il B. de Humboldt del
celebre focolajo della febbre gialla, il porto di Vera-Cruz,
e si troveranno acqua, calore, putrefazione e malattia cam-
minare insieme (209}.
In un viaggio di trecento leghe tra i fiumi e laghi degli
Stati-Uniti, dice Volney, non avere trovato venti case che
fossero esenti perfettamente delle febbri intermittenti (2 1 o).
Lungo il fiume Savannah, che separa la Carolina dalla
Giorgia vi sono luoghi paludosi e risaje in molti luoghi
più bassi delle acque del fiume, ivi le tempeste e le inon-
dazioni accumulano molta materia vegetabile, la cui de-
composizione dà luogo allo sviluppo del miasma vegeta-
bile. Parlando di questi luoghi l'americano Dott. Waring,
dice, che i bianchi, i quali vi si stabiliscono , muojono per
flemmassie gastriche 0 epatiche , 0 almeno prendono una
tinta pallida, si fanno gonfij, deboli, non altrimenti che
gli abitanti delle Paludi Pontine: alcune volte quelle feb-
bri, pel carattere, che assumono, stanno tra le febbri inter-
mittenti comuni e la febbre gialla , ed, oltre che endemi-
camente, talora vi dominano altresì epidemicamente, come
avvenne p. e. nell'anno 1825 (211).
Nella Carolina pure, intorno alla grande Dismal-Swamp,
che occupa uno spazio di cento cinquanta mille acri , in-
torno alle salse paludi del Sund-Pamlico, che hanno dalle
quattro alle sei leghe di larghezza e trentatre di lunghez-
za, e intorno alli Sund di Àlberrnale e di Currituk; palu-
di tutte tra di loro comunicanti, non che nella Giorgia in-
84
torno all'Ekanfanoka, palude tra i fiumi Flint eOakmulge,
che ha ben cento leghe di circonferenza ; ed in altri luo-
ghi bassi e pantanosi della Virginia dominano le febbri
intermittenti tra l' estate e l' autunno, febbri, che alle co-
ste marittime e sui forestieri assumono maggior forza e
prendono l'aspetto di febbre gialla. Per tal motivo in
quelle stagioni gì' indigeni abitanti riparano sulle alture ,
o nelle isole vicine (2 1 2).
La colonia tedesca che nel 181 7 partì da Heibronn
sotto la guida di Bàumler, nella sua felice situazione in
cui si collocò a Zoàr nello stato di Ohio, dovette provare
la trista influenza delle paludi (21 3),
L' isola di S. Lucia una delle Antille è infestata dalle
febbri periodiche perchè piena di paludi. La Giamaica, che,
secondo Reynal, era funestissima a chi passava ad abitar-
vi, sinché era ingombra di acque stagnanti , posciachè fu-
rono queste asciugate, perdette della sua insalubrità (2 1 4).
Le paludi dell'isola di Antigoa sono cagione delle febbri,
che talora prendono la sembianza di febbre gialla; e li sta-
gni appunto del Quartiere di S. Giovanni furono quelli,
dalli quali incominciò l'epidemia dell'anno 1816(21 5).
Prima che la Barbada venisse coltivata v' esistevano bo-
schi, paludi e febbri intermittenti (216),
Passando ali' Affrica troviamo che mortifere ai Negri
sono le febbri generate dalle paludi intorno al Gambia ed
al Senegal. Tanto Geba, che Bissao, stabilimenti portoghesi,
per le acque stagnanti e le maremme sono miserabili ed
insalubri possedimenti (2 7 7),
La laguna vicino a Sierra-Leona, e le paludi che stan-
no ai lati del Bouliam, nel gran caldo cagionano le febbri,
che spopolano quel mal ideato stabilimento (218). Le
85
inondazioni del fiume Bengo nel regno di Angola lasciando
niolt' acqua stagnante ne' dintorni , nascere fanno febbri-
fere esalazioni (219). L'umidità cagionata dai fiumi intorno
a Malaghetta nella Guinea, e che è intrattenuta dalla
grande quantità di alberi , rende quel luogo assai insalu-
bre. Le caravane che partono da Tripoli di Barberia schi-
vano il paese di Tavarga, che s'interna nell'Affrica a ca-
gione del danno il quale fanno loro provare le esalazioni
paludose che ivi hanno luogo (220). L'aria nell' isoletta
di Mozambico è talmente corrotta da miasmi palustri che
gì! infelici trasportativi dai Portoghesi non giungono a
camparvi più di cinque 0 sei anni.
Alessandria in autunno era (221) ed è molestata da
febbri intermittenti, e noi sappiamo, che oltre l'umidità
grande del delta del Nilo , in cui è posta questa città , vi
sono altresì canali, ove l'acqua di quel fiume si putrefa
(222). Le pioggie annuali al Sennaar, diceva Brocchi, ca-
gionano umidità tale, che innumerevoli insetti si generano,
non che miasmi produttori di febbri (223).
Se si viene all'Asia troviamo, che non è il clima equi-
noziale che rende così celebre l'insalubrità dell'isola di
Giava, ma bensì le paludi delle sue coste , poiché entro
terra ed all'alto l'aria e sanissima. Il banco formatosi nel
1 706 per un terremoto rendendo ferme e paludose le ac-
que del fiume e de' canali nella città di Batavia, per le
molte piante in corruzione e per la trascuranza, questa città
divenne insalubrissima (224). Inoltre in questa stessa isola
il porto della città di Bantam, ridotto per il crescente co-
rallo e l' imobilità delle acque a palude , dovette essere
abbandonata.
Malsana era pure l' isola di Bombay, ma gli Inglesi la
86
risanarono distruggendo i boschi di bamboli e di cocco , o
levando le paludi col dar scolo alle acque (225). Pestilen-
ziale chiamasi 1' aria maremmana della costa occidentale
dell'isola di Samatra (226). Una buona coltivazione dice
Malte-Brun renderebbe la salubrità all' aria delle umide
e calde coste di molte isole di cui risulta l'Oceanica (227).
Tra ilio0 e il 5o° di latitudine boreale nelle Isole An-
damane incolte e coperte di moltissimi vegetabili, dopo la
stagione delle pioggie succedono le febbri intermittenti ,
che fanno strage, e sono accompagnate da una gonfiezza e
durezza di milza, che gl'Inglesi dell' India chiamano boss
(228). Ben è noto come un' ingrossamento di quel viscere
sia comune ai febbricitanti degli umidi luoghi della Bas-
sa-Lombardia. Le umide boscaglie dell'isola di Ceylan
danno un* aria assai cattiva e sono la cagione di febbri
d'accesso (229).
« Nel continente dell'Asia, dice Zimmermann (23o),
l'aria estremamente calda ed umida di Bender- Abassi
(23 1) per i suoi terribili effetti è passata in abbominazio-
ne: i forestieri vi muojono in brevissimo tempo , ed i suoi
abitanti naturali portano in fronte i segnali della morte :
perciò nel tempo più pericoloso scappano essi sulle mon-
tagne , ed ogni dieci giorni danno la muta a quelli che
custodiscono le loro abitazioni. »
Alle radici delle montagne del Butan verso il Bengala
vi è una pianura larga circa trenta miglia. Ivi le acque,
che scendono ad irrigarla, non essendo regolate ne adope-
rate, ristagnano , ed imputridendo in essi i vegetabili na-
sce un dannosissimo miasma, che fu fatale agli Inglesi nel
1772 e lo è a qualunque viaggiatore (232). L'incolto ter-
reno della penisola di Malacca è assai malsano (233).
87
Medina è posta nella parte più bassa del paese ed è sog-
getta alle inondazioni dei torrenti, che gonfi sgorgano nelle
stagioni piovose e vi producono numerose paludi; a ciò ag-
giungendosi F impedita circolazione dell' aria per le folte
piantagioni , ne avviene secondo il sig. Burckhardt che vi
dominano febbri di pessima natura (Voy, en Arabie ir ad,
par Eyrìés. Paris i835).
I grandi fiumi delle Indie Orientali , specialmente alle
loro foci, lasciando delli stagni dopo le frequenti piene, ca-
gionano anche oggidì grande quantità di febbri intermit-
tenti, malattie che sono proprie delle coste asiatiche da
Moka fino a Tunquin.
Quinto Curzio e Strabone già notarono, che la Gilicia
era malsana a cagione delle acque stagnanti e maremme,
non che pei venti caldi, che passano su di esse e vengono
ripercossi; tutto ciò è ripetuto dai moderni (2 34). L' umi-
dità naturale della Mingrelia e la coltivazione del riso la
fa risultare insalubrissima (235).
Le acque stagnanti nelle sabbiose e cocenti pianure del
deserto di Mesopotamia esalano noce voli miasmi (236).
Tabaria, l'antica Tiberiade, circondata da montagne, che
impediscono l'azione de' venti, ha nella state febbri
intermittenti in copia per li effluvii del lago di Gene-
sareth.
Secondo Mariti (237) tutta la costa meridionale del-
l' isola di Cipro è soggetta a frequenti intemperie d' at-
mosfera, e per le acque salmastre che vi abbondano è poco
sano il paese; Infatti il Montano parlando di Famagosta
aveva detto che per V aria corrotta dalle emanazioni delle
paludi nascevano febbri, delle quali restavano vittime
infiniti uomini (2 38). E l'Ariosto cantava
88
e certo non dovei
Natura a Famagosta far quel torto
D* appressarvi Costanza acre e maligna,
Quando al resto di Cipro è si benigna.
Il grave odor che la palude esala
Non lascia al legno far troppo soggiorno.
Orlando Fur. C. xviii St. i 36. 1 37.
Innoltrandoci verso l'Europa troviamo, che tra Astrakan
e il mar Caspio le moltiplici ramificazioni del Volga, non
che i suoi straripamenti danno luogo alla formazione di
paludi, che impregnano V aria di miasmatiche esalazioni,
cagioni poi di febbri intermittenti (239). Così esse pur
dominano nel paese di Kischtimskoi e nella provincia bassa
di Isetsk in mezzo a molti laghi e paludi , come riferisce
Pallas (24°)' I sals* marazzi della penisola di Crimea
spargono sino sul continente i loro febbriferi miasmi , e
questo paese viene riguardato come il cimitero delle trup-
pe, che la Prussia vi spedisce (^4i). Febbri intermittenti,
prodotte parimente dall' umidità miasmatica delle nebbie
nei vulcani intorno al Kuban, infestano i Cosacchi Tcher-
pomorski 0 del mar Nero , come quelli del Don soffrono
per le paludi di Tcherkask.
La Valacchia nella sua parte bassa ha paludi , ed il
fiume Baklui abbandona acque vicino a Tassy. In questa
regione, cui si deve aggiungere la Bessarabia e Taurica
Chersoneso, domina quella malattia che da prima il sig.
consigliere Giuseppe Frank aveva chiamato emìtriteo
della Dacia e die poi verificò essere una vera intermit-
^nte (2^2).
«9
Neil* Ungheria effluvj palustri dannosissimi vengono
sparsi da una superficie paludosa di trecento leghe qua-
drate, che risultano dal lento corso o dagli straripamenti
del Danubio, della Theiss, della Drava e della Sava
(243).
Prima che il conte Metzi raccogliesse le acque impa-
ludate intorno a Temeswar e desse loro il corso, questa
città era estremamente insalubre, anche al presente però
le fosse necessarie alla fortezza non le lasciano godere aria
innocente.
L'isola di Milo nell'Arcipelago deve la sua insalubri-
tà non tanto ai vapori sulfurei, che manda il suo suolo vul-
canico, quanto ai miasmi, che s'innalzano dalle sue paludi
(*44).
Molti luoghi della Grecia comedi paludi e di risaje ab-
bondano di febbri intermittenti (^45) e le truppe francesi
e bavaresi , che ultimamente soggiornarono in vicinanza
di quelle, ne furono assaissimo molestati (246). Celebre
era l' insalubrità dei luoghi paludosi dei dintorni del fiume
Feneo (247).
Nella Macedonia la maggior parte degli abitanti della
florida città di Serres è obbligata nella state a passare
sulle vicine montagne attesa V aria guastata dalle emana-
zioni dello Stimone 0 del Ponto ora detto Karasu.
Neil' Albania le terzane e le quartane sono endemiche
intorno al lago presso cui sta Giannina, nell' Etolia ed al-
trove (248). La fortezza di Essek in Schiavonia posta sulla
Drava in mezzo a paludi è molestata da febbri intermit-
tenti.
La celebre Pola vittima dell' odio di G. Cesare , e che
Augusto riedificò ad istanza della figlia Giulia , ora rima-
9°
ne deserta per le febbri, alle quali danno origine le cir-
costanti paludi, quelle poi della Narenta , sì vicino a Mo-
star, che a Stagno, diffondono aria febbrifera e molti luoghi
per lo stesso motivo insalubri si trovano sulle coste della
Dalmazia sino a Lepanto (249).
In Inghilterra nelle Contee di Essex, Cambridge, e
Lincolnshir le paludi danno luogo a febbri intermittenti,
per le quali in autunno vi muore piìi gente di quello che
vi nasca, ed a Hurstperpoint nella Contea di Sussex prima
che si asciugassero le acque stagnanti dominava l' ugual
malattia.
L* isola di Walchern in mezzo al clima umido delia
Zelanda abbonda sempre nella state di febbri intermittenti
ed una straordinaria e fatale epidemia di esse molestò
nel 1808, 1809 e 18 io le truppe inglesi e francesi (a5o).
1/ Olanda, come si sa, è sottoposta a frequenti inonda-
zioni, a ciò aggiungasi, che la temperatura si abbassa rapi-
damente, e talora ad un freddo umido succede gran caldo:
ciò è cagione, che vi regnino le intermittenti , e ciò po-
trebbe dar luogo ad epidemie miasmatiche più frequente-
mente di quanto in realtà avviene, se l'agiatezza in cui
trovansi gli abitanti e le buone prescrizioni igieniche in
proposilo non venissero in soccorso. Ad onta di ciò Gro-
ninga ne ebbe a soffrire nel i6a3, i635, 1727? 1779, e
nel 1826 pel calore di tal anno e per le piene dell'an-
tecedente (25 1). In quella circostanza la malattia mia-
smatica comparve pure nella Frisia nell'Overyssel, nelle
regioni marittime dell'Olanda, del Ducato d'Holstein e
della Francia stessa : A Dunkerque si svilupparono efflu-
vj febbriferi dalle fosse della città , e dalle paludi vicine
all'Isola Genty.
91
Le paludi de' Paesi-Bassi e della Fiandra olandese ca-
gionano febbri d'un indole assai perversa; e l'acqua mor-
ta che lasciava il Lena sparsa e stagnante nelle fosse e
nella città stessa di Gottinga era cagione di quelle inter-
mittenti, che Zimmermann ebbe a provare lungamente su
se stesso (252).
Così nelle pianure della Svizzera lungo i fiumi ed i
laghi le febbri in discorso sono stazionarie tutta la sta-
te (a53).
Pel Portogallo rammentata da geografi è 1' influenza
de* malefici paduli di Lagos , delle saline di Silves e di
Marcos d' Asserra: nell* Alente jo quelli di Silveiras e
Monte-Moro-Nuovo: nell' Estremadura di Almeirim, e di
quasi tutta la sponda meridionale del Tago dal Rio Al-
manzor fin presso a Lisbona : nella Provincia di Beira dei
declivii meridionali della Estrella delle rive del Mondego
da Coimbra sino a Figuerra, e finalmente nel Tra-los-
Montes di Pezzo-de-Regoa , di Chaves, di Braganza e di
Miranda (254).
Insalubre è i! aria di luoghi umidi dell' Andalusia non
men che in vicinanza di Cadice, di Malaga , e di Gibil-
terra per le materie vegetabili ed animali che si putre-»
fanno sulle spiaggie del Mediterraneo (255). La Spagna
però in generale , se vi mancasse la coltivazione del riso ,
circa la salubrità, godrebbe il buon nome, che aveva ai
tempi di Giustino (256).
Sappiamo, che gli stagni e le paludi della Francia si
valutano in estensione a 400,000 ettari e piti (257). Dalla
Relazione che Mauduyt, Halle , Fourcroy, Vicq-d'Azir,
Saillant fecero sin dal 1786 sul progetto di Boncerf circa
l' asciugamento delle paludi della Francia, si scorge come
9*
ovunque ne esistevano , danni alia salute ne risultassero
(258). Così è delle paludi dei contorni di Douay, del
Laonese , così degli immensi stagni di Beauvoir sul ma-
re, di Lucon (25g), così delle maremme di Aunis , di
Brouvage e di Rochfort (260). L'Argens che sbocca nel
Mediterraneo, quantunque corra tra rive alte e sasso-
se , spesso esce dal suo letto e forma estese paludi pesti-
fere (261). La popolazione , tanto minore di un tempo, di
Frejus lotta contro gli effetti di un terreno paludoso. Le
plaghe paludose all' imboccatura del Tech nel Diparti-
mento de' Pirenei Orientali nuocono colle loro emanazio-
ni a molti circondarj (262). Le paludi marine che sommi-
nistrano tanto sale ricercato dagli Inglesi alla foce della
Gironda nel Dipartimento della Ckarente spandono esala-
zioni pestifere , e cagionano ne' loro contorni malattie e
morti. Lo stesso dicasi per quelle di Marennes. Il Marais,
parte del Dipartimento della Vandea sulla costa occiden-
tale della Francia, quantunque fertile ed abitato, è un
territorio assai malsano (263). Lione soffre per le paludi
della penisola Perache e soffriva ancor più prima che ne
fossero asciugate alcune altre al confluente della Saóne
e del Rodano , e tanto fu sempre tenuto per insalubre il
Delta di quest'ultimo fiume, che si pretese sin' anche es-
sere ivi nata la famosa peste di Marsiglia del 1720. To-
lone e principalmente il Quartier-vecchio è molestato
di febbri intermittenti , che derivano dalle paludi poste
all' Est ed all' Ovest. « Narbona ha al SES e nella parte
più bassa del suo territorio una palude conosciuta sotto il
nome di Cercle; i medici di questa città conobbero sì be-
ne la parte eh' essa ha per la produzione delle malattie,
che regnano in quella città, che nelle loro Relazioni fatte
93
al Consiglio Municipale il 29 Messidoro dell'anno IX e
nel Fiorile dell' anno X, 1' hanno dichiarata come un fo-
colajo d' infezione per i suoi abitanti. Quando le febbri
intermittenti vi dominano, la parte di essa città detta La-
mourier , che è sottovento di tal palude , viene molto più
molestata» (264)-
Ma ciò che può essere presentato come il vero prototipo
delle paludi, e ciò che può offrire il più triste quadro del-
l'influsso di esse sull'umana salute, sta nelle celebri pa-
ludi della Bresse , della Sologne e del piano di Forez ,
uè migliore descrizione può trovarsene di quella che il
Dott. Monfalcon ne fece nell' opera, colla quale riportò il
premio proposto dalla Società delle scienze di Orleans
(265). Nel Dipartimento dell' Ain, la Bresse ha la sua
parte bella, asciutta, sana e popolata, ma ne ha altresì,
una umida, abbandonata ed insalubre. Una superficie di
quaranta leghe quadrate è coperta di stagni , e le paludi
propriamente dette hanno un'estensione di 55oo ettari,
perciò l' aria viene infettata da queste acque stagnanti.
Quando Bourg Capo-luogo del Dipartimento era cir-
condato da fosse piene d' acque ferme e corrotte , almeno
la metà degli abitanti trovavasi per due terzi dell' anno
in preda ad ostinate febbri intermittenti, ora che tali fosse
furono cangiate in giardini , la città è sana e nel suo spe-
dale non curansi che i febbricitanti provenienti da Dombe.
La Sologne, la quale occupa una considerevole parte
dei Dipartimenti del Loìret, di Loir-et-Cher e dei Cher
costituisce un bacino dell'estensione di 25o leghe qua-
drate: essa è un paese in generale umido per il suo poco
declivio, per la qualità del suolo, e per la grande quantità
di piccioli fiumi e ruscelli che vi scorrono. È sterile e mi-
y4
serabile, coperta di paludi e di stagni specialmente all' in-
torno di Orleans e di Romoraniin. Ben è facile l'indo-
vinare che ivi regnano le febbri miasmatiche non meno
che altre malattie derivanti da nocivi cibi.
Nel Dipartimento della Loìre havvi il piano di Forez
ove contansi 45o stagni e la superficie del terreno inon-
dato oltrepassa li 2700 ettari. Questo gran tratto di paese
è assai insalubre e Monbrisson sempre flagellato dalle
febbri intermittenti ottenne gran vantaggio alla salute
dall'otturamento delle fosse, che contenevano acqua sta-
gnante.
Nel Dipartimento dell' Jndre quel territorio, che è po-
sto tra questo fiume e la strada di Limoges , ove per la
sua figura di bacino poco inclinato si riuniscono le acque
di pioggia, che non hanno scolo, né possono permeare il
terreno di natura argilloso, ed ove esse formano più di 400
stagni, è un paese molestato dalla malattia in discorso du-
rante i calori della state.
Anche le paludi formate dal fiume Dive rendono ina-
bitabile per la maggior parte dell' anno la bella vallata
KAuge in Normandia.
CAPO VII.
Continuazione dello stesso argomento. Paludi d'Italia.
Se noi, aggirandoci alla ricerca di questa specie di cau-
se morbose dopo aver percorsi tutti gli altri paesi del mon-
do, passeremo all'Italia, pur anco il corpo di questa bella
favorita dalla natura troveremo deturpata da simili fètide
ulceri* E cominciando dalle isole vediamo che in quella
95
di Malta Casal-Curmi posto in sito paludoso è soggetta a
febbri intermittenti. Ha i suoi luoghi palustri e malsani
la Sicilia, e per le numerose acque stagnanti ha la Sar-
degna la sua intemperie (266): e tal era di questa antica-
mente, come ci lasciarono scritto Strabone, Tacito, Cice-
rone e Cornelio Nipote. Le paludi nella pianura di Pula-
Teulada, quelle tra Capo-Terra e Cagliari spandono mia-
smi febbriferi.
La d'altronde salubre isola di Corsica vede, secondo Vol-
ney , i soldati infestati dalle febbri intermittenti al porto
diS. Fiorenzo, ove una maremma di 72 arpens d' esten-
sione spande i suoi miasmi insalubri. La città di Calvi, quan-
tunque posta sopra una rocca granitica alta da 4° a 5o
metri sul livello del mare sente l'influenza malefica di
una palude che ha 600 metri all' incirca di superficie
quadrata eie sta al SE; E nella state va soggetta a febbri
accessionali che si fanno anche perniciose. Da Bastia a
Porto-Vecchio su 2 5 leghe di litorale pestilenziali paludi
spargono le febbri.
Nel Regno delle Due Sicilie vi sono, lungo le cinque-
cento miglia di coste di qua del Faro, tremila miglia qua-
drate di terreni 6otto l'influenza delle acque stagnanti e
tutti spopolati, in parte incolti e in parte coltivati. Osserva
in proposito il signor commendatore Carlo Ofan de Ri-
vera che nel caso che se ne ricuperasse la metà soltanto ,
6i accrescerebbe di un milione e mezzo di moggia il ter-
reno produttivo in pianura , ma perla sua coltivazione ab-
bisognerebbe l'aumento di almeno cinquecento mila pic-
cole famiglie di agricoltori (267). Il cavalier Monticelli
dopo aver rammentato come già la Magna- Grecia e il
Sannio fossero fertili , sani e popolatissimi , dimostra che
g6
all'epoca della seconda guerra punica perdettero que' pae-
si della loro salubrità per l'oblio in cui si posero le saggie
antiche instituzioni circa l'economia delle acque. Queste
allora corsero ad invadere quelle pianure, le quali ben
presto si trasmutarono in pestifere tombe di chi osava abi-
tarle, e fu duopo che que' popoli si rifuggissero sulle mon-
tagne (268). Chi oggidì va curioso e devoto delle antichi-
tà vagando tra gli avanzi di Sibari e di Possidonia trova
insalubri e fetidi effluvj, invece della fragranza degli un-
guenti e delle rose.
La città di Brindisi ai bei tempi di Roma contava tren-
tamila cittadini, e godeva di un celebre e frequentato porto
da cui sortivano tante flotte. Quando per il sistema erro-
neo di difesa adottato contro l' armata veneziana dal Prin-
cipe di Taranto nel secolo XV quel porto fu ridotto ad
insalubre stagno , le febbri andarono decimando a poco a
poco la popolazione sino a ridurla a sei mila abitanti.
Nell'Abruzzo Citra le contrade bagnate dal Sangro
sono molestate neir autunno da febbri intermittenti portate
talora al grado di perniciose e complicate da antraci (269).
Né gì' incantevoli contorni di Napoli sono immuni da
nocivi stagni. A questi dovette in gran parte la sua distru-
zione il numeroso esercito francese spedito da Francesco I
comandato dai Lautrec, il quale pure nella state del
i5a8 vi dovette soccombere con altri distinti personaggi
(270) onde l'Ariosto (Canto XXXIII. 57),
Ecco Fortuna come cangia voglie ,
Sin qui a' Francesi si propizia stata;
Che di febbre gli uccide, e non di lancia,
Sì che di mille un non ne torna in Francia*
97
Il Jago Lucrino, quello d'Averno, l'altro d'Agnano,
e la palude Acherusia tolgono al presente la salubrità ai
famosi lidi di Baja (271) e di Pozzuoli; ed il solo aspetto
malsano degli abitanti indicò questa verità a me, come già
a Thouvenel. In questi luoghi relegato Montpensier, ge-
nerale di Carlo Vili , dopo la capitolazione di Atella , vi
morì nella state del 1496 in seguito ad una febbre marem-
mana con 45oo de' suoi 5ooo soldati (272).
Le febbri paludose , che regnavano ai primi tempi di
Roma e che certamente, come alcuni pensano (273), co-
stituirono quelle quindici epidemie , così dette pesti , le
quali prima del 4^9 infestarono Roma, regnavano pure
nei floridi tempi della Romana Repubblica (274) e del-
l'Impero, come sappiamo da Orazio e da Galeno (275).
La grande popolazione e ¥ agricoltura però dovevano ren-
dere certamente minore questo endemico flagello.
Li straripamenti del Tevere, che accadevano frequente-
mente nella città stessa (276) influivano allo svilupparsi
di tali malattie. Di ciò può essere prova quanto racconta
Giovanni Diacono (277), che ai tempi di Pelagio Papa una
inaudita piena del Tevere allagò le campagne , impedì lo
sgorgo ai fiumi , alle cloache ed ai torrenti , e fu susse-
guita da una lunga pestilenza che mietè tante vittime, tra
le quali lo stesso Pontefice.
Il trasporto però della sede dell' Impero da Roma a Co-
stantinopoli deve essere riguardato come una delle prime
e principali cagioni dell' accresciuta insalubrità del suolo
romano (278). E difatti quei campi che già gli stessi il-
lustri cittadini non sdegnavano colle proprie mani coltiva-
re, deposto pur anco un comando dittatorio , abbandonati
ed incolti per la migrazione e lo scemamento della popò-
7
9*>
lazione, dovettero necessariamente, anche per la naturale
geologica ineguaglianza della loro superfìcie, trattenere le
acque di pioggia e quelle, che il Tevere colle sue escre-
scenze portava su di essi. A ciò si aggiunsero i barbari col
rompere i magnifici acquedotti, e collo sviare que' ruscel-
li , che tanto adornavano le superbe ville dei grandi, ne
irrigavano i spaziosi giardini, ed animavano le perenni
fontane.
Questo dannoso e lagrimevole cangiamento a poco a
poco proseguendo, soltanto dopo il mille divenne rilevan-
tissimo, come fa vedere T illustre Cancellieri in una let-
tera al sig. KorefF di Berlino.
Le continue aspre vicende, alle quali soggiacque insie-
me a tutta T Italia anche lo Stato Romano nel medio evo
vi mantenne, se non accrebbe , tale insalubre condizione ,
e questa panni non potere essere meglio descritta , che
colle parole di un celebre scrittore, il quale dipinge viva-
mente que' tempi ricchi d'inquietudini. « Le frequenti ed
acanite guerre , che facevansi tra di loro illustri famiglie
romane, avevano assolutamente scacciati gli agricoltori
dalla campagna. Tutti gli abitanti vivevano nei castelli
fortificati; essi non potevano trovare sicurezza pei loro greg-
gi , per le loro raccolte , e per le stesse loro persone, che
racchiudendosi in quelli. Tutto quanto avessero lasciato
in una casa isolata sarebbe stata preda dei soldati: nessun
profitto potevano sperare da qualunque oggetto coltivato
che richiesto avesse lunga permanenza nel suolo. Nelle
crudeli devastazioni , alle quali erano sì frequentemente
esposti , le loro viti sarebbero state schiantate , ed abbrac-
ciati i loro oliveti ; così erano forzati a non ricercare dai
loro campi, che gli uniformi ed annuali prodotti dei pa«*
99
scoli e delle messi . In tal modo andava estendendosi la
desolazione nelle campagne romane : la terra senza abi-
tanti, senz'alberi, senza ornamenti, senza recinti non dif-
ferivano da un deserto , che per i fuggitivi lavori, che al
termine di un anno non lasciavano più traccia di se. In-
tanto il villaggio fortificato, il cui abitante con un lavoro
brevissimo alimentavano di una debole vita i circostanti
campi, non poteva venire assalito o distrutto senza che da
prima l' intiero circondario cessasse di essere coltivato.
Spesse volte posciachè un villaggio era stato abbrucciato
e li abitanti massacrati, i loro eredi si trovavano ancora in
stato d'inalzare le mura, di mettersi in difesa, ma se a
ciò fare loro mancava il danaro o la forza, se le breccie
restavano aperte, o se non erano in caso di sottrarsi a col-
pi di mano, non potevano pia lusingarsi di godere essi me-
desimi dei frutti dei loro sudori : tutte le raccolte loro ve-
nivano rapite, così o perivano di miseria o abbandonando
delle proprietà rese ormai pesanti andavano a portare il
loro lavoro in un paese ove potessero procurarsi una sicura
sussistenza. A un tratto la cattiva aria del deserto s'im-
possessava dei campi abbandonati, e se in un tempo di cal-
ma i loro antichi abitanti giungevano a ritornarvi , vi pe-
rivano per le febbri prodotte dalle paludi. Sino a che ,
egli è vero, i gentiluomini abitarono que' castelli fortificati
in mezzo ai loro vassalli , essi facevansi una particolare
premura di riparare i danni della guerra , e finche loro
restava qualche fortuna andavano inalzando di nuovo le
abbattute mura. Così conservavano nei loro feudi qualche
industria , qualche popolazione e qualche ricchezza. Ma
quando in un tempo più tranquillo passarono a stabilirsi
nella Capitale, gli ultimi efletti delle guerre dei loro an-
IOO
tenati si fecero sentire sulla prosperità ed il restante della
popolazione scomparve dalla campagna di Roma. »
Arrivando alla città eterna si trova l' unico esempio di
un fertilissimo terreno abbandonato intorno ad una metro-
poli. Passando per Baccano il tristo aspetto degli abitanti ,
i stagni che qua e là si offrivano alla mia vista , o che ,
quantunque nascosti , manifestavano con fetide esalazioni
la loro presenza, m'indicavano chiaramente, che io poneva
il piede nel regno delle febbri , e quando la curiosità e
l' amore di apprendere mi facevano vagare per quelle ab-
bandonale campagne, onde ammirare gli avanzi del Cir-
co di Caracalla, e il Sepolcro di Cecilia Metella , io tro-
vai quella fonte, che si vuole avere Numa (279) dedicata
alle Camene, 0 dove prendeva i consigli da Egeria, non
offrire, che un nero limacioso stagno tramandante molesto
gas epatico: e trovai quel ruscello, ove i Sacerdoti lavavano
il Simulacro di Cibele (280) cangiato in altro stagno, che
non so se più il tristo aspetto, che una corruzione d' antico
nome (28 1) fa chiamare al presente l'acquatacelo. Qaan-
do ad ogni tratto su quegli ineguali e deserti dintorni ar-
restavano i miei passi acque corrotte affatto stagnanti 0 len-
tamente correnti e sempre corrotte tra le palustri canne ,
quando, dico questo tristo quadro, mi si offriva allo sguar-
do, io trovava una giusta ragione alla mancanza di abitan-
ti, neir abbandono e rovina di case anche moderne , ed
alla rinomanza sfavorevole del cielo romano (282).
Un' altra, forse ancor maggiore, fonte di miasmi febbri-
feri infesti a quella Capitale sono le maremme p. e. quelle
intorno ad Ostia, città che ai tempi antichi contava cin*
quanta mila abitanti , ed ora non conta che trenta nella
miglior stagione. Racconta di questo luogo il Lancisi (283),
101
die di trenta persone, che vi si portarono a diporto, venti-
nove vennero prese da terzana. L'opinione di chi ha at-
tribuita l'insalubrità di Roma alle Paludi Pontine (284)
trovasi fondata e ragionevole riflettendo che la situazione
di Roma è tale , che mentre al nord-ovest non si vede la
palla della cupola di S. Pietro se non se alla Storta , po-
che miglia lungi dalla città, invece a sud-est si giunge a
vederla sin da Capo Circello oltre Terracina, e da questa
circostanza dipende, eh' essa infelicemente trovasi esposta
al vento scirocco, il quale le porta i febbriferi miasmi che,
vanno generandosi da quella instancabile officina morbosa
tra il solstizio d' estate e l' equinozio d' autunno.
In quest' epoca le febbri intermittenti infuriano su tutto
il cammino, che percorre il detto vento , non che su certi
quartieri della città. Quando giunsi in Roma sul principio
di giugno del 1822 eranvi nell'Arcispedale di S. Spira-
to n.° 1 5 1 malati, quando vi ritornai al finire di luglio se
ne accrebbe il numero a 368: e seppi che nell'antece-
dente anno 1821 dal numero di 200 opoco più che se ne
contavano al principio di giugno salirono a quasi 900 nel
settembre. Costì adunque la stagione più propria alla ge-
nerazione de' miasmi palustri è costantemente pur quella
delle febbri intermittenti. Ciò che non altrimenti avvie-
ne per le risaje 0 paludi di qualunque paese ed anche
della Lombardia. Non mancano però annate, nelle quali
particolari circostanze danno luogo ad uno straordinario
numero di tali febbri, regnano cioè anche epidemicamen-
te, come abbiamo veduto essere già un tempo successo e
come accadde nella così detta città Leonina nel 1695
per le acque corrotte nelle fosse di Castel Sant'Angelo
e sue vicinanze (280). Racconta Domenico Panatolo (286)
I OSI
che nel 1601 1* acqua Mariana sortita dal proprio Ietto
fuori di Porta Celimontana ristagnò nelle prossime valli ed
ivi imputridì. I vapori che sorsero per 1' azione del sole ca-
gionarono la morte, 0 la fuga degli abitanti. Opposero al-
cuni, che se fossero i miasmi delle Paludi Pontine che spin-
ti del Sud-Est offendessero Roma , ne sarebbero ancor
pia offesi Velletri e Albano , perchè esposti al passaggio
di tal vento. Colla cognizione che ho appreso sul luogo mi
credo in grado di poter fare osservare, primieramente che
quelle città deviano alcun poco dal vero Sud-est verso
Est, in secondo luogo, ch'esse sono assai pia alte che Ro-
ma e scendendo da Albano a cielo sereno vedesi T antica
metropoli del mondo co' suoi sette colli quasi indiscerni-
bile nella pianura, perchè seppellita alla mattina ed alla
sera entro la nebbia che generasi fors' anco in luogo , ma
ma che vi è altresì spinta dal lato delle maremme e pa-
ludi che le stanno a scirocco e ad austro.
Le Paludi Pontine , dalle quali (quantunque lontana
quasi quaranta miglia) ripete Roma gran parte della sua
insalubrità e che per la loro celebrità in questo genere
possono risguardarsi come intimamente legate air eziolo-
gia delle febbri intermittenti , si estendono in lunghezza
metri 4^000, cioè miglia trentatre da Cisterna a Terra-
cina, ed in larghezza 17 ed anche 18 mila metri. La loro
superficie inclina verso SEE , circostanza la quale unita
all' altra di essere quel suolo fatto a strati di torba nera
su di un terreno composto di frammenti di testacei marini,
ben dimostra che questo terreno 0 è stato abbandonato dal
mare ritiratosi dalla parte di Terracina , 0 che le spoglie
de' vicini monti di Sermoneta, di Sezza , di Piperrio ec.
itrascinate dalle acque hanno formato e innalzato un ter-
io3
reno, che il mare dovette abbandonare i e così la celebre
isola di Circe trovossi unita al continente (287).
Questa grande superficie di terreno, che può valutarsi
da i5o a 200 miglia quadrate (288), e che risulta ottimo
alla coltivazione, viene bagnata dalle numerose acque che
discendono dai suddetti imminenti monti ; ed esse sono
quelle che sia per non esser tutte ritenute e guidate , sia
per l'elevazione dell'orlo del bacino pontino, che confina al
mare ed impedisce il lor libero scaricarsi, son quelle, dico,
che danno luogo a stagni innumerevoli e nocivi. Né tale in-
conveniente al certo avveniva quando i Volsci vi abitava-
no> poiché in quel tempo, secondo ci racconta Plinio (289)
sulla fede del Console Muciano, vi si contenevano tren-
tatre città. Dopo che i Romani a nuli' altro intesi che alla
guerra ed ancora ignari d' ogni altra utile disciplina sog-
giogarono que'popoli, certamente, che la spopolazione, e la
trascuranza dell' agricoltura avrà permesso l' impaluda-
mento di un suolo, che era bisognoso di braccia onde mo-
strare la sua grande ed innata fertilità (290).
Appio Claudio, 44a anni dalla edificazione di Roma,
ne cominciò il bonificamento, ma, impaludatosi di nuovo,
i3o anni dopo, Cornelio Cetego (291) ne rinovò l'asciu-
gamento. Giulio Cesare aveva concepiti vasti progetti in
tal proposito ma per la sua morte restarono senza esecu-
zione. Augusto però gii riprese con idee ancor più ampie
(392). Anche Teodorico Re de' Goti vi rivolse le sue cure
(293). Dalla fine del secolo XIII sino alla metà del XVIII
furono dieciotto i Pontefici che assunsero consimili lavori
tra quali Bonifazio XIII, Martino V, Leone X, Cleme-
te VII, Pio V, Clemente XI, Sisto V; Ma fu Pio VI, che
col maggior calore si dedicò al medesimo fine senza però
io4
che ne ritraesse utilità proporzionata al coraggio ed alla
spesa. Finalmente nel breve dominio suo il Governo Fran-
cese non aveva trascurato di ideare e disporre cose molto
favorevoli al miglior essere di cotesto infelice paese (294).
Queste vicende sono a mio giudizio assai ben epilogate
nelle parole che V. Monti fa da Giove diriggere alla Nin-
fa Feronia (2t)5)
Tempo verrà, che largamente reso
Tel vedrai, non temerne, e i muti altari,
E le cittadi e i campi, e le pianure
Dai ruderi, e dall'onde, e dalla polve
Sorger piìi belle e numerose e colte.
D' Italia in questo i piìi lodati eroi
Porran l' opra e l' ingegno. Io non ti nomo
Che i pili famosi/: e in prima Appio che in mezzo
Spingerà delle torbide Pontine
Delle vie la regina. Indi Cetego:
Indi il possente fortunato Augusto
Esecutor della paterna idea :
, Ècco venirne
Poscia il lume de' regi, il pio Trajano
Che, domata con l'armi Asia ed Europa,
Col senno domerà la tua palude :
E le partiche spade e le tedesche
In vomeri cangiate impiagheranno
Meglio d'assai che de' Romani il petto,
Le glebe rTometine. E qui trecento
Giri ti volve d' abbondanza il sole,
E di placido regno, infin che il Goto
IO!)
Furor ti? Italia guasterà la faccia.
Da boreal tempesta la mina
Scenderà de' tuoi campi: ma del pari
Un'alma boreal calda e ripiena
Del valor d' Occidente, altro bel regno
Porterà la salute, e poi di nuovo
(Che tal de' fati è il corso) alto squallore
Lo coprirà: né zelo, arte o possanza
Di sommi sacerdoti all'onor primo
Interamente il renderai: che l'opra
Immortai, gloriosa, ed infinita
Ad un più grande eroe serba il Destino,
Lo diran Pio le genti e di quel nome
Sesto sarà.
In quei luoghi un'orgogliosa vegetazione somministra-
rebbe abbondanti prodotti, se impunemente potesse essere
abitato e coltivato, ma i miseri lavoratori, che vi sono con-
dotti dalla speranza di guadagno , tosto vengono avvelena-
ti da quell' aria per cui o vi periscono o si ritirano nel
loro paese nativo a condurre per molto tempo una misera
vita (296). Io vidi fuggire da' que' luoghi nella state i pa-
stori: vidi le guardie militari, i postiglioni, i pochi mise-
rabili tavernai, gente forzata ad abitarvi, sparuti in volto 0
qua e là, quasi ombre, aggirarsi, 0 abbandonarsi sul suolo,
onde lasciar luogo allo scomparire dell' accesso febbrile.
Ed allorachè attraversai di notte queste paludi, ampj globi
di nebbia illuminati dal chiarore della luna assomigliavano
a masse di bianco cotone , e squarciandole nel passaggio ,
un fetidissimo odore di vegetabili e di animali in corru-
zione offendeva l'odorato nel tempo stesso, che molestavano
io6
l'orecchio quelle rane, e la cute quelle zanzare per lungo
ordine di sangue discendenti dalle celebrate da Orazio
(297)-
Altre città dello Stato Pontificio erano dominate, o re-
golarmente ogni anno, o di quando in quando accidental-
mente, da febbri intermittenti; e dal Lancisi. (298) sap-
piamo come ne fossero cagione i miasmi sviluppati ora
dalle acque corrotte stagnanti ora da quelle de' macera-
to)' della canapa e del lino , come avvenne per le febbri
d'Orvieto prima del 1705, tal altra volta quelli nati da
straripamenti, come successe a Bagnarea nel 1707,3 Pe-
saro nel 1708, ad Agnano, a Ferentino e Frosinone
nel 1709.
Riferisce Leonardo Alberti (299) che prima che si por-
tassero i necessarj rimedj, le paludi rendevano Pesaro cosi
malsano , che pochi giungevano all' età di cinquant' anni.
Salio Diverso dice (3oo) che Faenza soffriva assaissimo
per le acque delle sue fosse. Pel litorale romagnuolo del-
l'Adriatico serpeggiano tutto l'anno le intermittenti, ma
d'ordinario fannosi epidemiche nell'estate ed autunno
(3oi). Le acque stagnanti tra i canneti dell'estremità
settentrionale del lago di Bolsena rendono insalubre que-
ste città e San Lorenzo alle grotte. Cosi dicasi del lago
di Perugia. Venendo a quella parte d' Italia posta sotto
un clima dolcissimo e che nella civilizzazione non solo fu
maestra a Roma , ma forse precedette la stessa Grecia
(come già pensò il Guarnacci (3o2) e come con erudizio-
ne, fatti e buon raziocinio cercò provare ultimamente il
Principe di Canino (3o3) ), voglio dire la Toscana, la tro-
viamo nella sua costa marittima dal Serchio sino agli Sta-
ti romani , ben pochi punti eccettuati , deturpata da insa-
lubri maremme (3o4). Che al tempo in cui gli Etruschi ,
i Volsci ed i Romani occupavano con numerora popola-
zione questi luoghi di quarantatre leghe di lunghezza e
di 1900 miglia quadrate di superficie fossero essi coltivati,
e che a tal fine le acque si mantenessero ben scorrenti,
e che perciò l' aria non avesse motivi a guastarsi, egli
abitanti a soffrirne, è in vero semplice, però ragionevolis-
sima supposizione; ma ciò che dir si può innegabile fatto
si è, che gli antichi storici s'accordano tutti nel descriver-
ci bella, felice, civilizzata, ben coltivata e fertile l'Etra*
via (3o5) e nel vantarci le città di Saturnia, di Populonia
di Roselle, Soana, Cosa ec. Né se altrimenti fosse stato
non vi avrebbero avute deliziose ville gli opulenti Roma-
ni, ne mai gli antichi fanno menzione di que' tristi ed in-
salubri luoghi, che tutti li storici ed i geografi dai primi
anni dell' Impero in poi non lasciano di far notare. In fat-
ti sappiamo, che ai tempi di Trajano malsano era già il li-
torale etrusco (3o6). Le replicate invasioni non solo di ar-
mate barbare , ma altresì di sconosciute malattie, che ca-
gionarono micidiali epidemie dopo il trasporto della sede
dell'Impero in Oriente fecero diminuire la popolazione,
a ciò si aggiunge, che l'infelice abitante fuggir doveva per
non vedersi rapito nei frequenti sbarchi de' Saraceni; l'ab-
bandono delle terre si accrebbe, le strade furono rotte, ed
i fiumi straboccati formarono laghi e stagni insalubri.
Morta la contessa Matilde cioè dal secolo XI , le divi-
sioni in diverse repubbliche e principati, lo stabilimento
di badie e corpi religiosi furono di qualche vantaggio allo
stato deplorabile della maremma e perciò anche alla sa-
lute in grazia dell' agricoltura che preso aveva qualche
vita: ma il per tanti secoli dominante fatai spinto di guer-
io8
ra, mantenuto ora dall'amore dell' indi penza , ora dalli
odj municipali e famigliari , portando sempre con se le
persecuzioni, le distruzioni, i saccheggi, le morti e li sfratti,
fecero abbandonare i campi e perdere le buone pratiche
dell' agricoltura. Noi sappiamo come molti villaggi fossero
ancora popolati da Livorno all'Ombrone e come se ne
debba la distruzione, la desolazione, l'abbandono e final-
mente l' insalubrità al Marchese di Maregnano prima co-
nosciuto sotto il nome di Castellano di Musso (3 06).
Chiunque al giorno d' oggi scorre le maremme di Versi-
glia , di Grosseto , di Massa , di Piombino , di Cecina ec.
troverà se non perfetto abbandono di coltivazione, certa-
mente umidità e pochissimi abitanti per miglio quadrato,
abitanti poi, che col triste loro aspetto testificano e pale-
sano il dominio di quelle febbri, che abbiamo veduti ap-
partenere alle risaje ed alle paludi d'ogni parte del mondo.
La bella Val-di-Chiana faceva dire di se a Fazio degli
Uberti (3o8) nel i36o.
Quivi son volti lividi e confusi
Perchè l'aere e la Chiana gli nimica
Sì che si fanno idropici e rinfusi.
La storia ci offre non poche testimonianze del danno
derivato dagli insalubri luoghi della Toscana. Le febbri
intermittenti cagionate dai miasmi delle paludi vicino al
castello d'Altopascio fecero costar cara ai Fiorentini il di
lui acquisto togliendolo a Castruccio Castracani nel i3a5:
né altrimenti avvenne ad Alfonso V d' Aragona e Re di
Napoli , quando nelle maremme di Piombino assalì nel
i448 Rinaldo Orsini.
109
Allorché la Repubblica di Pisa era indipendente e fio-
riva in commercio, in popolazione ed in agricoltura, il
delta dell' Arno ed i contorni di Pisa erano salubri , ma
poiché fu soggetta ai Fiorentini si trascurò la polizia de'ca-
nali: le acque non avendo il loro libero corso ristagnarono
e diedero origine a quelle febbri intermittenti, per le qua-
li, tanto infeste riescite essendo alla campagna ed alla cit-
tà, si dovette instituire nel i/\r]r] una magistratura sanita-
ria detta Uffizio de* fiossi. Tale malattia propria de' con-
torni di Pisa fu quella, che mettendo fuor di servizio metà
dell' armata dell' infelice Paolo Vitelli , salvò da un im-
minente caduta quella repubblica nel i499« Diceva Lan-
cisi che pochi Pisani arrivavano all' età di cinquantanni
prima che si asciugassero le paludi che circondavano la
città. Vittima delle maremme toscane furono le colonie
mainotte, lorene ed altre che in. esse si volle tentare di
stabilire (309).
D'insalubri paludi non manca pure la costa marittima
del Ducato di Lucca. E i stagnoni della Spezia e la valle
d'Andora per le acque stagnanti hanno aria febbrifera.
La pianura bassa ed inferiore del Bolognese è malsana
non solo per le risaje 0 per i maceratoi di canape , e per
le acque, che impaludano, mancando di declivio, ma al-
tresì per quelle raccolte d'acque piovane e di fiume, che
a bella posta si trattengono per far crescere erbe acqua-
tiche e diconsi valli artificiali.
Queste valli infatti pel danno che arrecano ebbero nel
i^56 particolare proibizione.
Il Ferrarese, il Ravennate e principalmente Comacchio
ricchi d' acque e di lagune sono ugualmente dominati as-
sai dalle febbri intermittenti e se è vero che* Ravenna non
J IO
abbia (3 io) dalle sue paludi d'acqua dolce, e da quelle
d' acqua salsa un danno quale si potrebbe aspettarsi, ciò è
forse da attribuirsi alle piniere che stanno tra le paludi e
la città (3u).
Nei così detti Polesini , e nel Padovano per i numerosi
canali e per i stagni forniti o dal straripamento, o dal len-
to scaricarsi dell'Adige, del Po, o di altri fiumi nell'A-
driatico, i miasmi palustri sono abbondanti e 1' armata che
i Padovani nel 1 3 1 3 opposero a Can della Scala ebbe a
provarne i tristi effetti.
Malte-Brun (3 12) dice che fu l'insalubrità prodotta
dalle acque del paese posto tra le Alpi e l'Adige quella,
che cagionò sedici secoli prima dell' era nostra una nuova
migrazione di quelli Illirici , che poscia passarono all' ul-
timo confine meridionale d' Italia.
Al termine NO dell'Adriatico le lagune di Marano
molestano colle febbri periodiche coloro, che vivono vicino
alle reliquie di Aquileia ed al celebre Aitino, cui succes-
se Torcello e Mazorbo.
L' aria di Chioggia è umida , ma sono le paludi che le
stanno intorno quelle che ne peggiorano la condizione.
Dice il prof. Federigo (3 1 3) che laddove è circondata
dai venti del mare e dal nord la salute degli abitanti è
pia prospera. Essendo la parrochia di S. Andrea piti ven-
tilata i morbi vi sono pia rari. La parrochia del Duomo è
la parte pia soggetta ai morbi endemici ed epidemici es-
sendo vicina alle paludi, che sviluppano una soverchia umi-
dità. Anche l'aria di Murano era anticamente pia salu-
bre che oggidì essendo meno circondata da paludi e barene,
le quali ora si veggono moltiplicate specialmente dalla
parte di S. Michele e di S. Maria degli Angeli. Colà do-
I II
minano le febbri periodiche, che giungono al grado di
perniciose.
Le vicinanze della d'altronde salubre Udine nel Friuli
sono dominate pure da febbri intermittenti , che derivano
o dalle acque ristagnanti nei fossi della campagna (3 1 4)
o da miasmi provenienti dalle maremme (3 1 5). Venendo
finalmente a considerare quel tratto di paese , cui al pre-
sente dassi esclusivamente il nome di Lombardia , trovia-
mo al suo confine orientale Peschiera, che le acque o
lente o stagnanti nelle fosse , ed il palustre confine del
fremente Benaco rendono soggetta alle febbri intermitten-
ti (3 1 6) , per simile motivo ad essa può unirsi Bardolino
tra la detta fortezza e Garda, (Governo Veneto) ove per
paludosa malattia ebbe a soffrire l' armata de' Veneziani
comandata dal famoso Francesco Sforza nel 1439.
Il Gibelin fuggiasco fa raccontare da Virgilio che Man-
to tebana figlia di Tiresia venne a fondare Mantova dove
il Mincio
Non molto ha corso, che trova una lama
Nella qual si distende e la impaluda
E suol di state talor esser grama.
Quindi passando la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano
Senza cultura e d'abitanti nuda (3 17).
Anche al presente in questa città (quantunque molto
meno dal principio del presente secolo, epoca in cui s' in-
cominciò a cangiare inutili e dannose paludi in piazze ed
amene passeggi), sì le acque basse e ferme tra i canneti
sui margini del lago, che quelle che le moltiplicate fosse
112
trattengono , danno luogo a febbri intermittenti meno agli
abitanti, che al forestiero infeste.
Nella salubre Provincia di Bergamo tale malattia re-
gna nei pochi luoghi ove sono vi acque stagnanti p. e. ove
l'Adda ne lascia dopo le sue escrescenze nei contorni di
Sala, di Bisone, di Lavello verso l'estremità occidentale
della valle di S. Martino. Endemiche sono le febbri perio-
diche intorno al lago di Elidine. Insalubre stagno forma
l'Oglio, ove si scarica verso la sponda sinistra del lago Se-
bino e forma alluvioni vicino a Pisogne. Anche le acque
del Serio s'impaludano nella pianura e nella Geradadda.
Varj dannosi stagni si riscontrano a Misano, a Foronovo
e in vicinanza di Caravaggio (3i8).
Là dove vi ha lo sbocco dell' Adda nel lago di Como e
dove tra i torrenti Pedino ed Inganna giace il villaggio
di Colico, molte sorgenti mantenevano paludosa una su-
perficie di 1200 ettari, la quale formava le paludi di
Gera, di Pianedo e di Colico , che prestava il nome ad
un piano rinomato per la sua aria micidiale. Pare che una
numerosa popolazione usasse già di quei luoghi , come di
fertili campi , ma che poi la mancanza di essa abbia dato
luogo all'impaludamento, e questo all'insalubrità. Se ora
furono ridonati all' agricoltura quei campi , se si ha molto
minor pericolo nell'abitare o passare per questi luoghi e
se Colico ha in pochi anni radoppiata la sua popolazione ,
devesi ciò all' intraprendente spirito del Dott. Luigi Sacco,
ed alle cognizioni del sig. Giacomo Rousselin che con ot-
timo effetto ne intrapresero l' asciugamento. La parte su-
periore del lago in discorso incominciando appunto da
questi luoghi rassomiglia piuttosto ad una palude e come
tale fa sentire i suoi malefici effetti nei siti detti appunto
u3
le paludi del Piano di Spagna , di S. Agata , di Riva di
Ghiavenna ec.
In una parte dell* alto Stato Lombardo sotto un mede-
simo grado di latitudine, ed a certa distanza sia con acque
di pioggia, sia con quella di sorgenti, tra le ineguaglianze
del suolo formansi laghi, che per la loro piccolezza meglio
direbbonsi stagni. Quantunque nel mezzo essi sieno di-
scretamente agitati dai venti, lasciano però impaludare le
acque loro in mezzo ai canneti e sulle basse sponde , e si
ha in quei dintorni aria insalubre. Così è dei laghi di Co-
mabbio e di Monate tra la sponda sinistra del lago Mag-
giore e quello di Varese. Aggiungesi a tutto ciò la presen-
za di strati torbosi , e un suolo uliginoso , quasi natante ,
qual è quello che chiamasi la Brabbia
In qualche parte restano pure deturpati dalle cattive
influenze delle acque palustri, quantunque in mezzo a de-
liziosi e salubri colli, le vicinanze dei laghetti di Alserio ,
di Pusiano, e di qualche altro.
Il Dott. Della Porta (3 19) nel compartire giuste lodi alla
città di Como relativamente alla salubrità, non ha potu-
to tacere gì' inconvenienti, che alla medesima arrecano li
effluvj svolti dalle acque stagnanti nelle fosse, non che dal
sedimento fangoso, che deposita nelle cantine e nelle bas-
se abitazioni il torrente Cosia. Vide egli dilFatti nel 1 762,
dopo un' irruzione di questo crescere straordinariamente i
malati : altra cagione di consimili mali è di quando in
quando lo straripamento del lago (32o), per cui tutta la
città ed i sobborghi ancora vengono occupati dalle acque
a ragguardevole altezza; Oltre il nascere danni ed incomodi
facili ad immaginarsi, e che si estendono anche a qual-
che settimana, dal depositalo limo pregno di sostanze ve-
8
,.4
getabili ed animali svolgesi fetore non solo , ma nascono
febbriferi miasmi (32 1).
CAPO Vili.
Come debbano essere considerate te sorgenti delle ma-
lattie che abbiamo accennate, e come, il loro nocu-*
mento essendo sempre stato conosciuto , si sia da
tutti pensato a rimediarvi.
Dall'avere veduto dominare, ovunque sonovi paludi, la
malattia, che è propria ugualmente delle risaje, dei fonta-
nili e dei maceratoj, giuoco forza sarà il dedurre, che sì le
paludi, che le risaje, sì i fontanili, che i maceratoj sono da
considerarsi nel nostro argomento come una cosa identica e
sola, come causa, voglio dire, di un identico e solo princi-
pio morboso. E ciò tanto più vero risulterà, quando vedre-
mo sì nelle risaje, che nelle paludi ec. essere le medesime
circostanze quelle, che danno origine a tale agente nocivo-,
Frattanto sarà interessante Y osservare da prima, come da
tutti que' luoghi essendo derivati sempre alle popolazioni
tristissimi efletti, non sia mai stata negletta una tale trop-
po importante cognizione, ed anzi siasi avuta grande cura
a preservarsi dai medesimi con ogni possibile mezzo. In-
fatti simili danni ai tempi antichi ed ai moderni mossero
T attenzione ed i saggi consigli de' naturalisti , de* medici
(322) , degli architteti e degli institutori agronomi (323)
0 militari (324). E diedero moto sinanche alle lagnanze
de' poeti (325); essi finalmente risvegliarono anche le cu-
re e la vigilanza de* Governi (326), alle benefiche inten-
zioni ed opere de' quali, molti Corpi Accademici unire
i.5
volendo le proprie a vantaggio de* popoli , hanno chiamato
lo studio de' dotti su questo argomento , hanno interrogato
in proposito il loro sapere , animate e premiate le loro ri-
cerche (327).
Come tra li meriti che fecero ascrivere gli uomini al
numero degli Dei siasi annoverato quello di avere tolti i
cattivi effetti delle paludi, noi lo abbiamo veduto ; ora ri-
cordare dobbiamo come Romolo e Tazio per tal ottimo
fine ponessero cura a levare le acque stagnanti intorno
alla nuova città , e Tarquinio si rendesse tanto celebre e
benemerito per le magnifiche Cloache che fece costrurre.
Per sottrarli alla perniciosa influenza miasmatica T. Osti-
lio trasportò i Salapini lontano quattro miglia dall'insalu-
bre luogo presso cui abitavano ed eglino piti non soffrirono
l'annua malattia che tentava distruggerli (3a8).
Antigoa sulla costa orientale della Nuova-Spagna fu
abbandonata alla fine del secolo XVI per la insalubrità
della sua situazione, e Vera-Cruz, che vi fu sostituita, sa-
rebbe stata pur essa rasa e distrutta se F interesse degli
indigeni non l'avesse vinta sull' importanza della salute
de' forestieri (329). Né per diverso motivo Cervia fu al-
trove trasportata (33o),ed Ajaccio tolto dalla vicinanza di
nociva palude fu nel i435 edificato nel luogo salubre ove
trovasi presentemente (33 1).
Adria già un tempo fu bonificata dagli Etruschi (3 3 2),
indi meritò al Colonnello Lorgna la nobiltà , che gli con-
ferì nel 1776 il Senato di Venezia per un nuovo asciu-
gamento delle paludi a vantaggio della città. L'Imperatore
Trajano fece ricoprire uno stagno, che Plinio il giovane
Governatore di Bitinia avevagli rappresentato come pesti-
fero alla città di Amastrea (333). Francesco Maria primo
i.6
Duca di Urbino ridonò, dando corso ad acque morte e
corrotte, la salute e la longevità a Pesaro (334)* Clemen-
te Vili , con ampio scaricatojo compartì la fama di salu-
bre al monte Celio, quando al di lui piede l'acqua Ma-
riana, per essere nel 1601 (come già si disse) sortita dal
proprio letto, si era sparsa e corrotta, e nate perciò vi era-
no febbri letali , che obbligarono quelli abitanti alla fuga
(335). Paolo V atteso il danno che cagionavano all' aria
di Castel-Gandolfo le emanazioni del lago di Turno , lo
fece asciugare e se ne ottenne il desiderato vantaggio (336) .
Era Stutgarda infestata da febbri intermittenti lunghe
e ribelli, ma la cosa terminò quando fu cangiato un lar-
ghissimo stagno in un fertile prato (337). ^e febbri della
città così detta Leonina in Roma, d' Orvieto, di Baguarea,
di Pesaro, di Agnani, di Ferentino e di Fresinone cessaro-
no posciachè il Lancisi fece dare alle acque ristagnanti
i dovuti scoli, od introdusse acque dolci e correnti (338),
ad imitazione di ciò che Empedocle aveva fatto per toglie-
re il danno del lento fiume che scorreva presso i Seli-
nunti (339).
Il Cardinale de' Sourdis avendo fatto levare a proprie
spese una palude posta all' Ovest delia città di Bordò, que-
sta non ebbe piti a soffrire le febbri che con epidemica ri-
correnza ogni anno la molestavano (3/^o). Il Re Carlo
Emanuele III di Savoja diede corso alle acque di uno
stagno le quali erano dannosissime a Novara (34 1 )• Pio VI
nel migliorare l' aria delle Paludi Pontine fu un celebre
e poco più fortunato emulo di varj sommi Romani che lo
precedettero. L. I. R. Governo Austriaco si rivolse all' a-
sciugamento della Bassa-Carniola , ed il Gran-Duca di
Toscana ancora incalza la bonificazione delle sue marem-
me (343).
ti;
Empedocle chiuse le aperture di un monte, per le qua-
li il vento austro veniva sui campi, così tolse ad essi la
sterilità e liberò il paese dalla pestilenza (343). Non me-
no benemerito sarà D. Giuseppe Barreiro già Governatore
del Castello di Acapulco, il quale coir aprire una mon-
tagna al Nord-Ovest della città procurò una corrente d'a-
ria vantaggiosissima, perchè atta a respingere i vapori ed
i miasmi elevantisi dalla palude, che posta ad oriente del-
la città, era cagione di tante febbri nel tempo del cai-
do (344)-
Per la filantropia di quel Nobile Senese che aprì un
magnifico emissario al lago di Rosia in Toscana , si ebbe
sul finire dello scorso secolo una ragguardevole estensione
di paese ridonata all' agricoltura ed alla salute. Gli abi-
tanti della città di Portsmouth fabbricata in luogo basso
erano soggetti alla febbre intermittente : ma dopo che nel
1 769 fu quella lastricata e si diede scolo alle acque, ces-
sò tal malattia, mentre Hilsea ed altre parti dell'isola man-
tennero la loro insalubre condizione fino al 1 793 in cui
si fecero scolare le acque.
L'insalubrità grandissima di quel piano dello Stato di
Lucca che si stende tra il Frigido e il Serchio , l' Appen-
nino e il Mare Mediterraneo fu tolta 1 .° per ciò che spet-
ta alle vicinanze di Viareggio, dopo che la Repubblica
nel 174° fece eseguire la chiusa ideata nel 1^36 da Ber-
nardino Zendrini matematico di Venezia all' imboccatura
della Burlamacca, per cui l' acqua del mare non potè piti
entrare nel lago di Massaciuccoli ; 2.0 per le pianure di
Camajore, di Pietra-Santa e Montignoso, colla chiusa sul
fosso di Cinquale, che progettata sin dal 1 8o4 e cominciata
nel 1809, fu compita nel 1812; 3.° per i luoghi di mez-
i :
8
zo, con la chiusa sul fosso di Motrone finita nel 1819 e
sul Tonfalo nel 1821.
Se in altro luogo ho riferito Quadri dimostranti un in-
felice passaggio dal bene al male* mi sia ora lecito riferir-
ne altri che dimostrano un effetto pia soddisfacente e gra-
dito nei risultati avuti dall' or or accennate opere a van-
taggio delle vicine popolazioni (345).
Stato della popolazione
DEL CinCONDARIO DI VIAREGGIO
Parrochie
Viareggio. .
Bargecchia .
Bozzano. . .
Gorsanico .
Massarola. .
Mommio . .
Pieve a Elici
Quiosa. . . .
Stiava ....
Torre del Lago
Montigiano. . .
negli
anni
1733
33o
i758
*77G
1782
1809
1822
1823
953
1517
1762
2914
4i65
4267
23l
279
266
287
324
434
48i
491
i3o
i75
276
M
43 1
. 66l
753
779
2%
3i3
559
4i5
4^3
492
572
50i
60
»>
»>
33
359
545
1Ì0
766
55
48
65
91
96
118
164
170
83
112
i3i
i53
170
321
349
357
i3i
l52
3oo
421
3»
452
517
529
154
142
201
319
349
594
64 1
64q
33
j>
33
a
221
387
5 {5
566
ify
i85
224
19Ì
227
223
242
243
Risulta adunque che il Circondario di Viareggio il quale
nel i^33 aveva 1509 abitanti nel 1823 ne aveva 9408.
Stato della popolazione di Camajore
negli anni
nbitanti
t744
568o
i758
398o
1776
4084
1782
4252
1822
5o43
?825
5075
*»9
Stato della popolazione di Montignoso
negli anni
i735
i744
1811
i8i3
i8a3
1824
abitanti
865
921
754
763
1241
l320
Stato della popolazione di Pietra Santa
e parrochie confinanti
Parrochie
1819I
Pietra Santa
558 1 "j
Queruta . .
563
Vallecchia .
1182 j
La Capella .
901
Totale
8272
negli anni
abitanti
1824
6669
717
i335
io3i
9752
abitanti
Secondo V abate Nicolai (346) la sola popolazione di
Terracina dal 1778 sino al 1798, tempo posteriore al
bonificamento di Pio VI, si era accresciuta di cinquecento
individui.
Pérols, parrochia un tempo florida e salubre , quando
le paludi che le stanno vicine comunicavano col mare ,
diventò ben presto mal sana e pestifera quando tale co-
municazione fu interrotta dalla formazione di un banco.
Il numero degli abitanti fu successivamente ridotto ad un
terzo e la spopolazione andava facendosi sempre pia forte,
allorachè per effetto di premura di un'illuminata ammini-
120
strazione le paludi furono distrutte e rinfrescate mediante
l'apertura di molti canali. Fatto nel 1782 un riassunto
che dimostra un quadro comparativo di dieci anni prima
che si intraprendesse a migliorare l'aria e di dieci anni
dopo; risulta che nella detta prima epoca furono i^5 i na-
ti e 210 i morti, e che nella seconda furono 229 i nati e
1 53 i morti (347).
Quando l'introduzione delle risaje avvenne in Lom-
bardia , cioè al principio del secolo XVI , la città di Sa-
luzzo la giudicò dannosa alla salute onde le proibì nel
i523 (348), e dietro nuovi danni, che seguirono la in-
nosservanza di tale divieto, nel 1067 se ne replicò la proi-
bizione. Alla fine di tal secolo i Governi cominciarono a
notare più numerosi gli esempi degli effetti malefici delle
risaje non meno che a rivolgervi particolari cure.Nel i5g5
il Vice-Legato di Bologna M. Bandini vietò la coltivazio-
ne del riso anche in terreni disposti a simile semente e
non buoni ad altro uso. Con Editto del 7 maggio 1 599
anche il Vice-Legato M. Orazio Spinola escluse le risaje
da tutta la Legazione Bolognese, e ciò fu pur ripetuto nel
i655 e nel 1736. Ai tempi di S. Carlo si allontanarono
esse dalla città di Milano, e Bonomo Vescovo di Vercelli
verso quell'epoca proibiva agli Ecclesiastici di far coltiva-
re il riso nei siti ove si sarebbe potuto ottenere altri pro-
dotti. Da quel tempo sino a noi tutti i Governi d'Italia or-
dinarono almeno (349) ^reno > modificazione , quando non
emisero bando alla cultura del riso. Così si fece nel Regno
di Napoli, così in Spagna e così in Francia, ove sotto il
Ministero del Card, de Fleury nel 1 743 si ebbe tal dan-
no dall' introduzione delle risaje nell' Auvergne , che fu
d'uopo proibirle, né altrimenti fu fatto per quelle della Lin-
121
guadoca e del Fores. Racconta Parmantier (Dìct. d'Hist.
nat) che un proprietario avendo poste delle risaje nel
Bugey^ nacquero a tal segno le intermittenti, le caches-
sie, le idropisie e le ostruzioni , che gli abitanti s'ammu-
tinarono e non fu che la fuga che salvò dal loro furore
l'introduttore della nuova coltivazione.
Dice Thouvenel (35o) che in Russia nei contorni di
Oczacow si coltivava il riso , ma che ciò fu vietato in se-
guito pei dannosi effetti che se ne avevano. Nella Caroli-
na meridionale non si permise di coltivarlo, che a dieciot-
to leghe da Charlestown. Dietro i reclami fatti nel 1 8 1 5
dai magistrati municipali della città di Bologna e di altri
Comuni per i gravi danni i quali derivavano dalle risaje
che senza regola eransi introdotte ed estese , saviamente
il Governo Pontificio destinò una Commissione speciale
(35 1) nel 1816; ciò che poscia ripetè nel 1825 (352).
Il Duca di Brunswik nel 1681 e 1693, l'Elettore di
Annover. quello di Sassonia ed il Governo inglese proi-
birono la macerazione della canapa e del lino (353). E le
misure prese in proposito dalla Francia sono inserite nei
Decreti del Consiglio di Stato per gli anni 1702, 17 19,
1725, 1732 1756, nel Decreto del Parlamento del 6
agosto 1735 e 3i gennajo 1707; nel Decreto Imperiale
i5 ottobre 18 io e nell'Ordinanza Regia i4 gennajo
1 8 1 5. Con questi ultimi decretisi classifica la macera-
zione in grande della canape nella prima classe degli sta-
bilimenti insalubri e incomodi, ond'essa i.° non potrà farsi
se non col permesso delle autorità amministrative e senza
avere un' autorizzazione Regia ottenuta nel Consiglio di
Stato ; 2.0 questa operazione dovrà farsi in un luogo lon-
tano dall' abitato (354).
122
Ma se la trista influenza delle paludi eccitò il cuor be-
nefico di alcuni, servì ad altri invece di stromento di ven-
detta e di castigo.
Narra il Sabellico (355) che Elearco conoscendo la
mortifera azione dell' aria paludosa , onde disfarsi da chi
bramava perdere, intraprendeva in tempo d' estate qualche
assedio, e mentre egli circondato dalle sue guardie ritira -
vasi sulle alture, ordinava che gli altri stabilissero il cam-
po in pianure insalubri, le quali fedeli ministre del tiran-
no distruggevano chi loro stava vicino. — Gli Àrabi vo-
lendo punire gli abitanti di Bassora fecero traboccare il
fiume che lambisce le mura della città , e i miasmi che
genera ronsi dalle risultanti paludi uccisero quattordici mi-
la cittadini (356). Quando i Portoghesi andavano spaven-
tando l'Oriente dopo la scoperta del Capo di Buona-Spe-
ranza, vollero impossessarsi di Sofala e « quel Re accon-
« sentì che ivi essi eriggessero una fortezza sperando che
« la pessima qualità dell'aria gli avrebbe forzati ad ab-
« bandonare ben presto quel paese; Ma egli non giudica-
« va con pieno criterio gente, a cui l'oro era in luogo di
« salute e di fortuna » (357). Poiché gu' Spagnuoli cal-
marono la prima sedizione di Soccorro che fu poi foriera
dell'emancipazione della Colombia, onde decimare la po-
polazione si servirono delle insalubri coste del mare (358).
Dice il Marliano (359) che i Romani confinavano gli
ebrei, i prigionieri di guerra e le persone che si merita-
vano l'odio della società al di là del Tevere in luogo pan-
tanoso ed insalubre. Così pure al miasma palustre era af-
fidato il compimento del castigo, che già un tempo i Ro-
mani nell' isola di Sardegna , e ultimamente i Portoghesi
in quella di Mozambico solevano dare ai delinquenti.
123
Se le risaje ed i macerato] ebbero, come abbiamo ve-
duto, i loro difensori, questi non mancarono pure ai luoghi
bassi, umidi e paludosi, poiché certo Dottor Schnurrer
(36o) volendo dimostrare che la febbre intermittente è
propria non solo dei luoghi vicino al mare, bassi ed umidi,
ma altresì di quelli secchi ed elevati, viene a far perdere
a questi il vanto della loro conosciuta salubre proprietà, e
a diminuire a quelli le loro tanto provate nocive influenze.
Ammettasi pure coli' Autore che la febbre intermitten-
te si mostri in luoghi alti e secchi e dove la vegetazione
è poco attiva , ma ritengasi pure , che quantunque alti e
secchi possono certi luoghi, per la qualità del loro terreno,
e l'inegualianza della superficie di questo, trattenere assai
tempo V acqua in più o meno ampj stagni, dai quali man-
dar poi o per il clima o per la stagione le più febbrifere
esalazioni. Tali esempi si ebbero, come si vedrà più innan-
zi , neir adusto Portogallo , si hanno sull'arida e incolta
Groana del Milanese ed uno se ne ebbe dai PP. Pietro e
Giuseppe padre e figlio Frank nel mese di luglio sul
S. Gotardo (36 1). Fra gli esempi che il sig. Schnurrer
adduce, io mi fermerò su quelli che spettano all'Italia. Se
la città di Volterra è posta in luogo alto e salubre, ciò non
puossi ugualmente dire del suo territorio, la trista influen-
za delle cui maremme può (come già tanti anni or sono
aveva notato il Thouvenel) oltre all'infestare il basso,
portare dannose conseguenze anche alla città stessa. Nella
insalubre campagna di Roma non è la vegetazione che è
inerte, ma bensì l'agricoltura, perciò fetidi stagni ovunque
mandano principi febbriferi sufficienti di rendere malsani
sì li contorni che la città, quand'anco non vi si aggiunges-
sero i soft] dello scirocco e dell'austro che seco ne portano
124
a biseffe nella state. Qual meraviglia poi , teniamo dietro
all'Autore, che il Ghetto di Roma non sia molestato dalle
febbri ! Quantunque il medesimo sia posto vicino al Te-
vere, ivi ha questo fiume rapido e libero il corso senza
lasciare il più piccolo ristagno dalle sue acque, e la spor-
chezza e la poca ventilazione dell' abitato non essendo ca-
gioni dello sviluppo del miasma paludoso, non lo saranno
pure di febbri intermittenti , ma avverrà ben pia facil-
mente, che il succidume e l' aere denso e stagnante favo-
riscano la scrofola o la rachitide, malattie che io stesso in-
fatti ho riscontrato esistervi.
CAPO IX.
Da cjual principio materiale siasi supposto dipendere i
tristi effetti dei luoghi paludosi.
Dopo avere veduto, che ovunque sonovi acque semista-
gnanti o stagnanti, oper parlare pia giustamente, ovunque
sostanze organiche si corrompono per l'azione dell'umi-
dità e del calore domina una malattia che, non altrimenti
che la cagione da cui dipende, è una in se stessa ad onta
delle apparenze, le quali diversa per essenza la possono
dipingere agli occhi volgari; dopo aver veduto come la co-
stanza di questo morboso effetto sia stata sin dall' antichità
pia remota conosciuta, colpa sarebbe l'ommettere di passare
più oltre, voglio dire il non tentare il ritrovamento di quel-
la cagione materiale , che sorgendo da circostanze tanto
identiche, e producendo una, per propria natura, eguale
malattia, è ragionevole ritenere, che una sola essa pur sia.
125
Dalla sola umidità di un luogo o di un clima non si
trovò potersi con ragione e convincimento ripetere le ma-
lattie che abbiamo accennate o riconosciute compagne del-
l' aere paludoso. L' umidità modifica l' organismo sì vege-
tabile che animale, fa eh' egli divenga piti a questa che a
quella indisposizione proclive, ma non è bastante a gene-
rare la caratteristica malattia propria de luoghi paludosi.
Se in un clima umido non esistono e non si uniscono i re-
quisti necessarj alla generazione del quid particolare e
morbifero, non vi sviluppa quella malattia : ciò si verifica
a Pietroburgo, nelle isole Orcadi, nell'isola Shetland, nel-
le vicinanze dei laghi di Scozia , siti umidissimi ma dove
ignote sono le febbri intermittenti : invece nel luogo piìi
alto, salubre e asciutto si può ad arte produrre la malattia
miasmatico-paludosa col procurare la generazione di tale
principio malefico nelle risaje , nei maceratoj e negli sta-
gni. All' unione appunto delle rammentate, ma non ancor
descritte favorevoli circostanze , deve la Bassa-Lombardia
la presenza del fatai miasma paludoso.
L'esistenza di questo quid velenoso ci viene chiaramen-
te indicata, confermata, anzi posta fuori di dubbio: i.°dal
vedere che quando appunto concorrono certe circostanze
opportune alla di lui generazione domina pure la malat-
tia; quando esse cessano, questa pur cessa e piti non com-
parisce; 2.0 dal conoscere che que' luoghi, ne' quali è co-
mune la malattia, sono pur quelli o dove le acque palu-
dose sviluppano tale principio in luogo, o sono esposti a
venti che passano sulle medesime ; 3.° dall' osservare che
alcuni boschi o altri ostacoli stando tra gli abitanti, e i sud-
detti focolai febbriferi, possono impedire l'infezione; 4«° dal
succedere che alcune sanissime persone col solo passare
126
per siti paludosi, o coi dimorarvi per lievissimo tempo ven-
gono sempre presi non da altra , che dalla malattia parti-
colare da noi descritta ne' suoi diversi aspetti; 5.° dal ve-
dere acquistare pronta salubrità certi luoghi, dai quali, le
cagioni dannose che la natura, l' accidente o 1* arte vi ave-
va poste, furono rimosse; 6.e dal fatto finalmente, che pos-
siamo sottrarsi alla sua triste azione fuggendo lontano da
situazioni infette, portandosi su circostanti alture o col evi-
tare i venti che vi recano il miasma (362).
Tale materia nociva la si volle da alcuni animata , da
altri minerale, e da altri finalmente d* ignota natura , ma
da assomigliarsi benissimo ad un particolare veleno. Egli
6arà nel ripassare alcune delle molte teorie, colle quali si
volle spiegare la cagione della febbre intermittente che
troveremo le varie opinioni sulla natura della materia mor-
bosa sviluppatasi dalle paludi.
M. Terenzio Varrone (363), sul proposito di collocare
le case, avvertiva, che nei luoghi paludosi si svolgono ani-
mali tanto piccoli, che riescono invisibili, ma che entran-
do per la bocca e per le narici danno luogo a pertinaci
malattie; e lo stesso insegnò I. M. Columella (364). An-
che da Lucrezio furono indicati tali semi viventi e volanti
delle malattie , e le cognizioni , che attualmente si hanno
sui contagi, vogliono che piuttosto ai veri miasmi palustri
si applichino que* suoi versi (365) ;
Poiché il nostro cantar semi propizj
A cose molte ed alla vita espose :
Di loro è d'uopo il dir che mali e morte
Recano a noi se generati a caso
Movono per lo spazio il volo e V aere
Rendon morboso.
I27
Questa madesima ipotesi servi per spiegare la cagione
delle malattie epidemiche, maligne, contagiose ec. al Mon-
flet nel i5o8, ad Augusto Hauptmann nel i65o, al Pa-
dre Kircher nel i658, al Cogrossi, al Langio, al Corte, al
Vallisnieri, al Hartsoeker, a Pleniz, a Desault, a Legen-
dre, al Freer, al Bonomo, al Didier, a Boecknor, a Linneo,
a Zeviani, a Scaramucci, allo Scuderi ec. ec. Anche il fu
prof. E. Acerbi inclinò a credere dipendenti da insetti le
febbri periodiche, seguendo in ciò, com' egli confessa, 1' o-
pinione del prof. Rasori (366). E l'ipotesi dei citati autori,
in se per nulla sprezzabile , sembra trovare qualche ap-
poggio nelle recenti osservazioni del prof. Luigi da Pavia
(367), almeno per quanto spetta alla peste.
Le febbri delle quali ragiono derivavano secondo Ippo-
crate dalla bile; la continente, egli dice (368), proviene
da moltissima e pretissima bile ... la febbre cotidiana da
molta bile vien generata e pia presto delle altre termina,
ma è piti lunga della continente ; la terzana è più lunga
della cotidiana ed abbisogna per svilupparsi di minor bile.
Le quartane sono tanto più lunghe delle terzane , quanto
meno in esse abbonda la bile , a queste si associa 1' atra-
bile, e l'autunno è il tempo loro propizio.
Asclepiade ommetteva degli atomi producenti quelP 0-
struzione , da cui doveva nascere la febbre e V infiamma-
zione: ed il diverso tipo delle febbri intermittenti era se-
condo lui prodotto dalla diversa grandezza di tali atomi: i
più piccoli producevano l'ostruzione nella cotidiana , altri
meno sottili nella terzana, ed i più grandi nella quar-
tana (36g).
Quantunque Galeno facesse dipendere la peste da pu-
tredine nel!' aria (3 70), pure la febbre intermittente co-
128
tidiana secondo lui era cagionata dalla putrefazione della
pituita, la terzana da quella della bile gialla, e dall' atra-
bile la quartana (3 71). Questa teoria fu pur abbracciata
nel XVIII secolo dal Elsner (372).
Secondo Aezio V emitriteo è composto della febbre co-
tidiana e terzana, la materia morbosa è metà bile putre-
fatta, e T altra metà pituita ugualmente putrefatta (373).
Alla bile ne riferisce pur la causa Pàolo d' Egina (374).
I medici arabi attribuivano le intermittenti alla bile
gialla, die ritornava p. e. ogni quattro giorni nella quar-
tana ec. (375).
Willis pone la causa della malattia in discorso nella
putrefazione del sangue, per la quale viene lesa la nutri-
zione (376). Graff la ritrova nel sugo pancreatico rista-
gnante in uno 0 pia condotti laterali e che irrita 0 fa na-
scere effervescenza negl' intestini (377). Borelli nell'al-
lentamento e fermentazione del sugo nervoso nel suo pas-
saggio pei nervi e per le ghiandole linfatiche, Jones in aci-
de e crude particelle del sangue , che si depositano alla
superficie del corpo ed irritano le fibre (378).
Alcuni maestri di stronomia , diceva Giovanni Villani
(379), sostenevano che le terre di Maremma erano dive-
nute quasi disabitate ed inferme , ed eziandio Roma peg-
giorata per lo moto dell'ottava spera del Cielo. Che ciò
si dicesse tanti secoli fa sembrami perdonabile, non così
però che uno de* pia illustri filosofi del secolo nostro attri-
buisca alla luna un'azione capace di generare le febbri
intermittenti (38o).
Tra quelli che separarono la cagion prossima (che era
colla remota stata confusa dagli autori accennati in ultimo
luogo) e che salirono a riconoscere come motor primo delle
i*9
febbri intermittenti una materia estranea e nemica ali* or-
ganismo animale, troviamo Silvio della Boè il quale at-
tribuì le malattie cagionate dalle paludi a vapori sulfurei
e salini che da esse si sviluppano (3 8 1). Ramazzali invece
ritenne queste medesime esalazioni febbrifere di natura
acida (38a). Il primo ad ammettere un miasma velenoso,
che attacca, offende lo spirito vitale e dà moto alle febbri
intermittenti mi pare essere stato Morton (383), se pure
non fu Protospatario. Egli è questo miasma y fermentum
venenatum, deleterium quid, che attaccando il sistema
degli spiriti gli agita, indi passa a ledere gli umori e in
fine a dar luogo alla malattia paludosa, e questa azione de-
leteria viene, come quella di un veleno, corretta ed estin-
ta da un antidoto, che qui è la china (384).
Federico Hoffmann (385) dice che le febbri intermit-
tenti derivano dal freddo umido che tien dietro al caldo
secco, ed esse divengono epidemiche mercè un sale cor-
rosivo dall' aria stessa generato e di cui s' imbeve la ru-
giada.
Baglivi (386) ritiene, che le febbri d'estate di Roma
sieno prodotte non da acidi , ma da sali alcalino-acri , le
particelle de' quali, rese tenui e volatili dal calore, si dif-
fondono ueir aria.
Lancisi chiama effluvj palustri insalubri, quelli che ge-
nerati da un movimento fermentativo , innalzati dai raggi
solari, e poscia spinti dai venti, specialmente australi, of-
fendono i nostri corpi (3 8 7). E di queste esalazioni nate
dalla generazione de' corpi palustri due generi riconosce.
Il primo è una congerie di inorganiche ed animate parti-
celle di solfo impuro, di sali liscivio-acri-volatili e di al-
tre esotiche che tutte danno un odore ingrato. L'altro con-
9
i3o
sta di una moltitudine di vermicelli e di ovicini che nuota
nel!' aria (388). Egli ritiene che questi animalucci, de'qua-
li alcuni si vedono ad occhio nudo , altri col microscopio ,
ed altri sono invisibili offendano V organismo umano intro-
ducendo e innestando colle punture la materia nociva del-
le paludi sia nelle narici, sia nel ventricolo, sia nelle fau-
ci , sia ne' polmoni , sia negli intestini , alle quali parti
giungano coir aria, coi cibi o colle bevande (389). Crede
pure che dagli effluvj paludosi possano nascere diverse ma-
lattie (390), ma descrivendone i sintomi (391) altro non
fa che descrivere la febbre miasmatico-paludosa nelle sue
varietà.
Fr. Home voleva le particelle miasmatiche ex sale
pungente et oleo fcetidissimo compositce (392).
Anche il celebre prof. G. B. Borsieri conobbe un mia-
sma (d* ignota natura) sviluppantesi da un terreno palu-
doso e dalle acque corrotte, come cagione delle febbri in-
termittenti (393).
Thouvenel dalla putrefazione e corruzione delle sostan-
ze vegetabili ed animali nelle paludi , vede nascere un
miasma capace di produrre le febbri intermittenti , putri-
de e pestilenziali, le epizoozie e la stessa peste : gli atomi
che lo compongono possono nascondersi e conservarsi nei
corpi ed aver poscia la virtù di far nascere la malattia
dopo qualche tempo (394). Ammette però che i cambia-
menti di caldo e freddo, e specialmente di caldo secco e
freddo umido succedentisi nell' atmosfera costituiscano la
cagione favorevole a far succedere T assorbimento di esso
miasma, e che il carattere delle febbri parossismatiche
dipenda in gran parte dal suddetto deleterio principio, ma
che il tipo sia il prodotto della intemperie (3q5). Simil-
1^1
mente il Dott. Giuseppe Beretta (396) non nega l'azione
del miasma nel produrre le febbri delle paludose regioni,
pensa però ch'esso non ne sia l'esclusiva causa dovendose-
ne riguardare qual precipuo generatore l'umido freddo
assai volatilizzato e deposto sulla superficie cutanea riscal-
data: ne finalmente egli lascia di conoscere quale causa
occasionale di esse anche le acque bevute mentre trovansi
alterate nella state. Il Dott. Cosse considera i miasmi pa-
ludosi come cagioni attive predisponenti delle febbri in-
termittenti , riscontrandone la vera causa nella variazione
di temperatura (397).
Il prof. Pietro Frank attribuiva il danno dei luoghi pa-
ludosi all'ana infiammabile , non che ad una sostanza
putrida volatile esalante dalle sostanze vegetabili e dagli
insetti in putrefazione, per cui ly aria contrae una natura
irritante, caustica e nociva ai nostri polmoni (398). Que-
sto principio morboso ancora sconosciuto che agisce princi-
palmente sui nervi e per lo più resta vinto dalla China è
cagione delle febbri intermittenti (399) ed anche di una
febbre nervosa capace di generare il contagio (4°o); pone
altresì il suddetto Clinico i vizj dietetici tra i produttori
delle febbri in discorso.
Il degnissimo di lui figlio il Consigliere Giuseppe am-
mette (4°0 che il miasma paludoso senza il soccorso d'al-
tra causa spesso basti a produrre le febbri intermittenti ,
ma vuole pur anco (^02.) che tanto il miasma, che un'oc-
culta epidemica costituzione , talora non servino che a se-
condare T azione d' altre cause e che possa qualche volta
mancare affatto la presenza del miasma.
Secondo Boisseau (4o3) non è soltanto il miasma pa-
lustre, che genera le febbri intermittenti , ma qualunque
i3a
altra cagione, del qual parere mostrasi pure il Dott. Ri-
dolfi (4o4).
Monfalcon acconsente a ciò, che nelle emanazioni pa-
ludose stia la piti comune e la principale cagione delle
febbri intermittenti e della febbre gialla (4° 5) , ma che
altresì da' disordini dietetici o da passioni possano quelle
esser prodotte (4 06). Il prof. P. Bodei pensava che i mia-
smi sortino dalla decomposizione de' vegetabili , insetti e
rettili nelle acque stagnanti e nelle risaje 6Ìano « i veri
« produttori delle febbri periodiche legittime ed endemi-
« che de' luoghi paludosi e che talvolta possano forse pro-
ci durre una malattia comunicabile o farsi cagione dell' o-
« rigine spontanea di un contagio (4o7). » Opina però che
anche il contagio tifico possa produrre le febbri intermit-
tenti e remittenti larvate (4<>8).
Dirò finalmente che Gilbert (^ogf, Fodere (4I0)> Fa-
cheris (4i 0? Bufalini (4*2), Speranza (4*3), Marcolini
(4 1 4)> Fournier e Begin (4 1 5), Julia (4 1 6), Passeri (4 1 7),
Pucciuotti (4 1 8) , Frioli (419), Tommasini (420) ed altri
molti riconoscono tutti il concorso di un miasma nella ge-
nesi delle febbri intermittenti e della febbre gialla (4^05
e che anzi Strack (422), Cullen (4^3), il pr, Barzellotti
(424), il Dott. Giovanni Strambio (425), Palloni (4^6)
e il Dott. Guglielmo von Hoven di Wirtemberg (427)
a tanto portarono la loro persuasione a questo riguardo da
credere se non che dall'azione di tal miasma dipendenti
tutte le febbri periodiche.
All' opposto il Dott. Bailly (4^8) quantunque riconosca
il danno delle emanazioni paludose, non crede eh' esse ab-
biano origine dalla putrefazione de' corpi sì vegetabili, che
animali ed ama in proposito confessare e persuaderci F i«*
i33
gnoranza in cui siamo sulla cagione delle febbri interiniti
tenti.
Fra i pochi , per quanto almeno è a me noto , i quali
niegano l'esistenza de' miasmi paludosi havvi il Dott. Gau-
tieri il quale ritiene « che ¥ aria per le sue qualità poco
« o nulla contribuisca alla costruzione delle intermittenti,
« se se ne eccettui l'umido ch'ella seco porta (429). » A
questi si aggiunga il Dott. Giannini che riguarda (43o)
come essere immaginario il miasma palustre e pensa che
le malattie, eh' esso dicesi produrre, non siano dovute, che
all' azione debilitante dell'aria delle paludi; ed all'opi-
nione riferita si uniformano pure i signori Piobertson (43 1)
e Lafont-Gouzi (432). Volle pur escludere il miasma pa*-
lustre dell'aria Romana il Dott. Michel (433); ed il prof.
Folchi (434) non che il Dott. Bergonzi (435) pensano non
esistere la causa occasionale delle febbri romane che in
un' alterazione della traspirazione cutanea cagionata dalla
grande umidità di que' luoghi e dal raffreddamento che
soffre il corpo (436).
Alla scoperta di tale malefico principio sviluppato dai
luoghi palustri di qualunque specie ed in qualunque luo-
go , non poteva restare certamente di rivolgersi a' giorni
nostri una scienza, cui ufficio appunto è quello di scoprire
e rivelare l'intima composizione dei corpi e penetrare piti
addentro che mai nelle viscere, direi quasi, dei fenomeni
naturali, una scienza che per la rapidità, colla quale in po-
chi anni si fé' grande e per la somma de' sorprendenti ri-
sultati che offrì , poteva più che qualunque altra nutrire
speranza di ottenere la palma per tale scoperta. Così la
chimica ha creduto di potere esattamente dimostrare ciò
che si era sospettato e gratuitamente asserito riguardo alla
i34
esistenza di un principio materiale nocivo svolgentesi dalle
paludi , alloracbè ella si trovò al possesso della cognizione
di quest'aria in cui noi viviamo ed in cui succedono tutte
le operazioni della natura, ed alloracbè i suoi mezzi spe-
rimentali, analitici, con mirabile celerità rinvenuti, la po-
sero in situazione di conoscere altresì i componenti di tan-
te sostanze minerali, dell' acqua e dalle diverse specie di
arie, cbe si sviluppano da questa e da altri corpi, non die
dalle materie organiche in decomposizione.
Partendo dalla positiva cognizione cbe l'aria atmosfe-
rica risulta di circa 79 parti d' azoto e 2 1 d' ossigeno , di
una 0 due di gas acido carbonico, si amo supporre, cbe
l' aria nuocerebbe alla salute , se da questo normale suo
modo di essere si discostasse 0 contenesse altri principj
eterogenei , e cbe la cbimica col precisare il modo di va-
riare dei suddetti componenti 0 coli' indicare la presenza
di qualche estraneo principio verrebbe a dimostrare la ca-
gione, per cui l' aria de' luoghi elevati sia sempre stata ri-
guardata la più salubre , e perchè gli abitanti de' luoghi
bassi fossero piti facilmente sottoposti a malattie.
I primi chimici però che a questo riguardo vennero al
soccorso dell'igiene e della terapia, voglio dire gl'illustri
Saussure e Volta, trovarono contro T aspettativa universale
l'aria della sommità de* monti meno dotata d'ossigeno,
vale a dire della parte migliore e veramente vitale dell'a-
ria atmosferica, di quello che lo fosse l'altra del piano (437).
Gay-Lussac dappoi nella sua ascensione aerostatica espe-
rimentò F aria ad un' altezza di oltre 6^00 metri sopra
Parigi, e ne trovò i principj costituenti uguali in propor-
zione come stavano nell'aria della città stessa; e Julia-
Fontenelle rinvenne l' aria sulla sommità del Canigou ,
i35
che dopo il Pic-du-Midi è la più alla montagna de' Pire-
nei, così pura corno quella delle valli sottoposte.
Il Barone de Humboldt ha creduto riscontrare che non
in tutti i climi è uguale la proporzione dell' ossigeno nell'
aria, e la disse variare da 2 3 a 29 centesimi. Thouvenel
però neir infanzia della chimica preumatica (1787), e
perciò anche in quella dello sperimentare in questa ma-
teria, diceva (438) « che confrontando i risultati de' varj
« esami che furono fatti dell' aria in quasi tutte le città
« della Lombardia da Torino sino a Venezia, da Mantova
« sino alla sommità degli Apennini non si scorge più di
« un grado 0 due di diversità, cioè da 19 a 21 centesimi;
« e quello che è più notabile si è, che la minore ossige-
« nazione fu sempre trovata sulle montagne e la maggiore
« nelle pianure. » Anche nel 179$ e 1796 lo stesso ce-
lebre fisico-chimico facendo un* analisi comparativa del-
l' aria a cinque 0 sei miglia dal mare, non che nelle ma-
remme di Aitino, di Fusina e Mestre, trovò che la quan-
tità di ossigeno dell' aria marina e quella dell' aria ma*
remmana non avevano tra di loro che due 0 tre centesimi
di diversità. Ingen-housz rinvenne più ossigenata l'aria in
alto mare. Il Conte Berthollet e Campy figlio in Egitto
trovarono la quantità di ossigeno uguale a 22 centesimi
e collo stesso metodo di sperimentare non scopersero nel-
l'aria di Parigi che un centesimo di più di azoto (439).
Analizzando Gavendish e Davy l'aria in Inghilterra,
de Humboldt e Gay-Lussac quella di Parigi , Kupsffer
quella di Kans in Siberia , Bedoè's dell' aria trasportata
dalla Guinea, Marty e Julia (44o) esaminandone a varie
altezze nella Spagna, tutti ritrovarono sempre risultare
essa di 21 centesimi di ossigeno e 79 di azoto, piti qualche
atomo dì gas acido carbonico, ed acqua.
i36
Thouvenel (440 areva riscontrata una piccola diffe-
renza nelle proporzioni dei componenti dell' aria , secondo
che le sperienze eudiometriche erano state fatte a cielo
sereno, o nuvoloso, prima o dopo di un temporale accom-
pagnato da pioggia, in tempo di giorno oppur di notte : ciò
fu pure verificato molti anni dopo da Julia il quale trovò
(442)> che nel mese di luglio 1' aria raccolta a mezzodì a
cielo sereno dava da 21, 5 a 22 centesimi di gas ossige-
no , mentre colle stesse sperienze a mezzanotte dava una
quantità di azoto uguale a 79,5 0 80 centesimi , e questi
fatti si accordano coi principi della fisiologia vegetabile
che c'instruisce come le piante esalano del gas ossigeno
quando sono illuminate dal sole, e dell' azoto, quando sono
prive di luce. Volta e Fontana scopersero più ossigenata
l' aria in estate ed autunno , che in inverno e primavera ,
e meno al tempo che in Lombardia spira il vento di tra-
montana. Ingen-huosz trovò regolare quantità di ossigeno
nell' aria anche durante il cattivo tempo , 0 presenti neb-
bie folte, e quando la gente in Olanda si lagnava di som-
ma pesantezza.
Anche nella respirazione il consumo di gas ossigeno e
la emissione di gas acido carbonico sono leggerissime , in-
fatti Humboldt e Gay-Lussac analizzarono 1? aria del tea-
tro dell' Opera a Parigi dopo che da molte ore era sta-
to affollato da spettatori e trovarono che quella raccolta
nell'alto della sala conteneva 20,4 di ossigeno, e quella
della platea 20,2. Ambedue queste arie indicavano al-
l' acqua di calce di contenere del gas acido carbonico in
piccola quantità. Altr' aria esaminata nello stesso tempo
somministrava 21,0 di ossigeno.
Tante sono adunque le testimonianze comprovanti la
,37
quasi-costante proporzione, o piccolissima variazione nelle
dosi dei principj, da' quali risulta Y aria che respiriamo, e
si poche le eccezioni (talora attribuibili anche al tempo ,
al modo di esperimentare, alla qualità degli sfornenti ec.)
che si può conchiudere essere assai male il dire che l'a-
ria di un tal luogo, perchè alto, sia piti ossigenata: essa in
simile caso non è che meno pesante e meno densa : e as-
sai bene diceva Thomson (443) chele proporzioni dei gas
componenti Y aria atmosferica sono sempre le stesse a qua-
lunque luogo, la qual ultima proposizione meglio sarà di-
mostrata da quanto segue.
Già sino dal 1775 aveva il mio precettore il celebre
prof. Volta fatto scopo delle sue ricerche il principio nocivo
apportatore delle febbri proprie de' luoghi paludosi , ma
anche nei mesi , ne* quali questi riescono piti perniciosi
alla salute trovò essere ivi Y aria neppure di un grado co-
stantemente inferiore all' aria de' piani asciutti e delle più
belle e salubri colline (444)- ^0S1 Pure 1* altro esperto fi-
sico comasco il Gattoni (445) analizzando ripetutamente
l'aria pessima delle paludi di Colico e del Forte di Fuen-
tes sul lago di Como trovò costantemente, eh' essa era più
ricca d' ossigeno , che non quella del sovrastante nevoso
Monte Legnone (ifò)-
Thouvenel (447) osservava cne ammettendo anche del-
le piccole variazioni nella composizione dell'aria, si rin-
viene che quella respirata da molte persone ed animali ,
come nelle officine, teatri , stalle ec, quantunque capace
di cagionare non dirò già malattie , ma soltanto qualche
incomodo alla respirazione in gente delicata $ è meno os-
sigenata dell'altra delle prigioni, degli spedali, dei cimi-
terj, quantunque, come si sa, quest' ultima sia ben più
i88
dannosa alla salute. Volendo poi applicare questo risultato
anche ai luoghi conosciuti e celebri per la loro insalubri*-
tà ha esaminato coi migliori eudiometri Y aria atmosferica
delle spiaggie maremmane nei diversi gradi di loro infe-
zione, nelle stagioni e luoghi , ove essa maggiormente si
manifesta dannosa mediante i suoi tristi effetti sulla salu-
te degli abitanti, e ciò pia volte eseguì negli anni 1787
e 1788 su molte maremme degli Stali Toscani e Ponti-
fici comprese anche le Paludi Pontine , non che ripetè
negli altri anni 1790 e 1791 e sempre trovò se non che
una minima diversità dall' aria pura.
Julia-Fontanelle, non sono molti anni, da sessanta ana-
lisi eseguite 6ull'aria delle paludi del Cercle vicino a
Narbonne, degli stagni di Padre vicino a Sigean, ài Sai-
ces e della Valanque nel Roussillon, di Capestang non
lungi da Bèriers, finalmente di quella di diverse paludi,
che trovansi sulla costa di Cette a Montpellier ebbe sem-
pre i stessi risultati, cioè la mancanza in esse del gas am-
moniacale e la presenza di gas acido carbonico, e verificò
pure eh' esse non contenevano acido idrosolforico. Decom-
ponendo poi T aria di quelle paludi sì colP eudiometro a
solfuro di calce liquido, che con quelle a fosforo trovò sem-
pre 21 centesimi di ossigeno. L'esattezza di queste speran-
ze e la veracità dei suddetti risultati furono confermati
dal signor Berard professore di Chimica a Montpellier, il
quale rinvenne l'aria presa nella parte più malsana della
succennata costa di Cette, non diversa da qualunque altra
la più salubre (448). Moreau de Jonnès (449)» a proposito
della sperienza fatta sull' aria delle Antille al tempo della
febbre gialla,' fa osservare che decomposta coli' eudiome-
tro, diede 79 parti di azoto. Anche l'aria presa a Barcel-
,39
Iona nei luoghi più infetti dalla febbre gialla , analizzata
non offrì che i principj proprj all'aria la più pura.
Così quella delle sale degli ospizj state chiuse per do-
dici ore e divenuta altresì di un odore fetente non mostrò
al sig. Seguin , che i soli principj componenti l' aria at-
mosferica. Dall'aria atmosferica della città di Parigi rac-
colta da venti luoghi diversi durante l' epidemia di Cho-
lera-Morbus , ottenne sempre Julia-Fontenelle 79 di
azoto e 21 d'ossigeno, e non potè scoprire coli' acqua di
barite traccia alcuna di acido carbonico (45o). Che più ?
dall' aria che si sviluppò dalla carne putrefatta non otten-
ne Guyton-Morveau, che un po' più di gas acido carbonico,
ma presso a poco l' ordinaria quantità di ossigeno che tro-
vasi nell'aria comune (45 1). L'aria delle paludi è per al-
tro, secondo lo stesso Julia, più pesante che l' atmosferica,
è di un odore nauseoso, e se viene posta per qualche tem-
po a contatto dell' acqua , questa , pure acquista un odore
disgustoso.
Noi abbiamo adunque veduto quante valide autorità ci
assicurano della pressoché costante normalità che riscon-
trasi nella composizione del fluido atmosferico e quanto
sproporzionati sarebbero gli effetti morbosi che soglionsi
riscontrare grandissimi in molti luoghi , con quel piccolo
eccesso 0 difetto ne* suoi componenti che naturalmente
possono occorrere. .
Ora passiamo a considerare gli elementari principj
stessi dell' aria (per qualche caso realmente aumentati o
diminuiti), sotto l'aspetto morboso 0 terapeutico: ossia ve-
diamo quali malattie sieno capaci di produrre, e quali di
guarire.
I. Venendo alle malattie che dall'ossigeno si vollero
i4o
ripetere, troviamo che nell' ugual modo che Davidson at-
tribuì la febbre gialla all' abbondanza di questo principio*
Domeir V attribuì invece alla mancanza (45 2). Noi sap-
piamo che dal di lui difetto si vollero dipendenti la cloro-
si , le cachessie ec; ma vediamo che dalla inspirazione
di esso artificialmente procurata si ha pure ilarità, ebrezza,
accresciuto eccitamento, non mai febbre intermittente. E
vero che la mancanza del medesimo gas vitale , per qual-
che cagione avvenuta, ove noi siamo obbligati vivere , ap-
portare ci può incomodo terribile , ma ove il vizio in di-
scorso deir aria non giunga al sommo , e questa soffra di
essere respirata ancora, comunque a stento, prova non ab-
biamo (osservava Scopoli cinquantanni fa (453) ) che si
tiri dietro i malori che le arie propriamente cattive fanno
nascere. Usato poi l'ossigeno quale mezzo curativo, se non
produrrà i vantaggi che Ferro, Fourcroy, Chaptal, Bed-
doès, Watt, Centomo, Millinghen hanno creduto ottenere
neir asma, nella tisi, nella clorosi ec, certamente non sarà
mai per dar luogo ad alcuna indisposizione analoga a quel-
le prodotte dalle arie paludose (454)-
II. L'azoto poi secondo Barruel e Dupuytren può giun-
gere a 88 ed a 92 centesimi nell'aria sviluppata dalle
latrine, e produrre potrà asfissia (455) non mai terzana.
Usato come rimedio potrà forse essere utile nella tisi pol-
monare 0 qual calmante le esterne irritazioni (456).
CAPO X.
Considerazioni ulteriori sui principj riguardati da cer~
tuno quali cagioni della malattia delle paludi <> dello,
risaje e de9 maceratoj.
Ella era cosa troppo facile che della malattia in discorso
venissero accagionate le sostanze gasiformi che Volta, Buc-
quet e Fontana videro svolgersi dalle acque stagnanti o
guaste , e che Thouvenel mercè la distillazione ottenne
dal fango paludoso (457), 0 che di tal malefico effetto si
incolpassero le materie trovate nelle acque stesse , 0 nella
rugiada. Non sarà perciò fuor di luogo il considerare e le
sostanze predette , ed il valore delle opinioni de* fisici su
tal proposito.
I. Rispetto al gas acido carbonico, non si può esso attri-
buire né alle paludi riè sempre alle emanazioni terrestri,
poiché sappiamo, che fa trovato da Saussure nell' aria sul
Monte-Blanc, ossia a i5668 piedi di altezza (458) e da
Humboldt in quella raccolta dall' aeronauta Garnerin al-
l'altezza di 4^80 piedi (4^9). Sappiamo che si vide ec-
cedere dalla solita proporzione (46o) in paesi di malaria,
egualmente che in altri assai salubri. Ma si ammetta pure
qualunque eccesso di questo gas nocivo, ne vedremmo suc-
cedere in tali casi , sì nell' uomo che negli animali , che
lo inspirano, molestia alla respirazione, temporarie od an-
che letali asfissie, siccome avviene nelle cantine ove fer-
mentano le uve, nella Grotta del Cane al lago d' Agnano
vicino a Napoli, ma non vedremo mai derivarne né febbre
remittente , né intermittente. Se crediamo a certi medici
la inspirazione di questo gas misto ali* aria atmosferica fu
i4^
trovata utile nella pneumotisi. Iniettato in quantità da non
produrre la morte nelle vene degli animali, rese il sangue
per qualche tempo più bruno , e se lo fu nell' arteria ca-
rotide non portò alcun disordine alle funzioni cerebrali.
Introdotto in noi col vino di Champagne , colla birra , o
colle acque minerali produce o ben essere , o (se in dose
eccessiva) ben altri cattivi effetti che non la malattia in
discorso.
IL Assai mal fondata è l'opinione di chi incolpa il gas
idrogeno semplice della produzione del morbo palustre ,
poiché naturalmente non viene svolto dalle acque sta-
gnanti, e se per caso lo fosse , per la sua specifica legge-
rezza si inalzerebbe rapidamente alle più alte regioni del-
l'atmosfera (46 1). La natura ci offre l'idrogeno in copia
grande emanante dal suolo a Birigazzo vicino a Modena
(462), ma essa non diede del pari a questi luoghi funesta
dote di febbri intermittenti. Se poi questo gas artificial-
mente ottenuto viene inspirato 0 non cagiona alcun dan-
no, come avvenne a Shéele, a Julia-Fontanelle, ed a Ro-
bert, 0 quegli incomodi che i signori Paul a Ginevra, Gia-
como Cardone a Milano (463) asseriscono aver provati su
se stessi, e quelli che il prof. Chaussier vide provarsi dagli
animali, ma non mai una febbre periodica.
Osservò Nysten (464) che allorquando in piccola dose
veniva il gas idrogeno iniettato nelle vene altro effetto non
ne seguiva che quello di rendere momentaneamente più
carico il colore del sangue. Anzi Rouch ritiene che V i-
drogeno misto in quantità rilevante all' aria atmosferica la
renda piuttosto più salubre (465).
III. L'idrogeno carbonato 0 protocarbonato che per lo
svolgersi che fa dalle paludi ebbe appunto il nome di wo-
i43
feta delle paludi (466) fu incolpato di cagionare le feb-
bri intermittenti da Virey (467); da Malte-Brun (468),
dal Dott. Gonel (469) e da Fourcroy (470), bisogna però
notare in primo luogo che questo gas non trovasi nelP aria
vicino alle paludi ; forse , come osserva Thomson perchè
viene tosto neutralizzato ; in secondo luogo che ne' siti ove
egli naturalmente sviluppasi in abbondanza non cagiona
le accennate malattie, né le risipole, né le morti repenti-
ne, 0 le ottalmie, come pretendeva Baumes (471)? infine
che inspirato appositamente potrà tutto al più cagionare
incomodi alla respirazione ed al capo , come avvenne a
Julia-Fontanelle.
IV. Il gas idrogeno-solforato (detto già un tempo gas
epatico, ed ora meglio acido idrosolforico) (47 2), è uno di
quelli che svolgesi dalle acque paludose, ed è pur quello,
che, se non la salute, almeno offende Y odorato di chi va a
diporto sulla Piazzetta 0 sulla Riva de* Schiavoni a Vene-
zia dalle cui lagune s' innalza. Quando in questa città sin-
golare si spurgano i canali si ha grande sviluppo di questo
gas, che manifesta la sua presenza altresì coir annerire
gli oggetti d' oro 0 d' argento. Thouvenel (473) riteneva
che se Y asciugamento delle acque vi fosse fatto nella sta-
te, certamente dall'esalazione mefitica 0 miasmatica di
quel fango ne sarebbero avvenute delle febbri ; ma io ho
veduto eseguirsi tale operazione nel mese di agosto, e se
questa risultasse in quel tempo nociva , certo che in una
città di molta ed antica non mai interrotta civilizzazione ,
non verrebbe dessa praticata.
I luoghi 0 terreni vulcanici a cagione de* gas solforosi
ed idrosolforosi che esalano , furono incolpati dell' origine
delle febbri intermittenti ; ciò che si fece a' nostri tempi
'44
da Loder (474) e da Lullin de Chàteauvieux (475). Ma
assai prima aveva fatto osservare Thouvenel (476) che le
febbri di malaria durano alcuni mesi soltanto dell' anno,
in estate cioè ed in autunno, mentre continue sono le esa-
lazioni solforose. E quelle dominano pure in moltissimi
luoghi del litorale d' Italia, ove non sonovi ne terreni vul-
canici, ne piriti, quando invece parecchi terreni vulca-
nici e piritici esalanti molto gas , ne sono affatto immuni.
Il suolo della maremma Romana è vulcanico, quello della
Toscana non manifesta roccia che abbia avuto origine da'
fuochi di sotterra , eppure ambedue sono insalubrissimi.
Anche i Lagoni di Castelnovo , di Travale, di Montecer-
boli in Toscana, la valle di Amsanto nel Regno di Napo-
li (477)> mandano gran quantità di gas idrogeno solforato,
senza dar luogo alle febbri di cui ragioniamo.
Maravigliava il B. de Humboldt (478) come la città del
Messico andasse immune da febbri intermittenti , mentre
nelle sue contrade sentesi il puzzo del gas epatico che
svolgesi dai laghi di Tenochtitian che le stanno d'intorno.
Secondo le sperienze dei signori Ghaussier, Dupuytren,
Thenard e Magendie questo gas cagiona la morte agli
animali se viene respirato puro , se è misto all' aria può
altresì determinare tal esito fatale, 0 dar luogo ad acci-
denti consecutivi più 0 meno gravi secondo le proporzioni
di quel principio. In generale ne abbisognano dosi tanto
minori per produrre l' asfissia , quanto pia gli animali sa-
ranno piccoli. Può ad essi cagionare la morte 0 gravi in-
comodi anche iniettato nelle vene , nel tessuto cellulare .
nel tubo intestinale , ed applicato alia superficie cutanea,
Pel uomo, a dir vero , non è tanto nocivo ed egli lo può
per qualche tempo respirare impunemente misto all'aria
i45
comune , i vuota-cessi però ne restano talora vittima. Nel
i8o3 tutti coloro che lavoravano in una miniera di car-
bon fossile a Valenciennes furono presi da una malattia ,
la quale , come era incontrastabile che dipendeva dall' a-
cido idrosolforico, nessuna analogia aveva senza dubbio col-
le febbri intermittenti o d'origine paludosa, il che risulta
dalla descrizione che ne diede il sig. Halle (479)* Final-
mente le acque minerali , e queste sono molte che con-
tengono di questo gas, sono salutari sì prese internamente
che usate per bagni.
V. L'idrogeno perfosforato, come quello che svolgesi dai
luoghi, ove succede la decomposizione di sostanze animali
anche nell' acqua, potrebbe essere guardato come cagione
di queste malattie che regnano appunto vicino alle acque
stagnanti e corrotte , ma la sua presenza nell' aria atmo-
sferica vicina ad esse sinora non è stata che supposta, e di
fatti si sa che anche alla temperatura ordinaria, giunto a
contatto dell' aria s' infiamma , come succede frequente-
mente in certi putridi stagni, o ne' cimiterj.
VI. Il gas ammoniaco non trovasi nell'aria comune , e
nemmeno in quella delle paludi ; pure , quand' anche al-
cuna circostanza, ovvero qualche processo o naturale o ar-
tificiale dasse luogo alla di lui genesi e sviluppo, certo che
da esso potressimo avere una forte infiammazione della pi-
tuitaria , della congiuntiva , della membrana mucosa del
canale aereo e de' polmoni stessi, ma non mai una febbre
intermittente. Ed egli è affatto gratuitamente che Bau-
mes (48o) amava far dipendere dall'ammoniaca le feb-
bri putride, le petecchiali, le dissenterie; nelle stalle af-
follate d' animali e chiuse non puossi negare che esista
certa quantità d'ammoniaca; qual danno ne soffrono però
io
i46
i pastori, o chi vi soggiorna ? D' altronde non sappiamo che
F aria delle stalle fu proposta e trovata utile se respirata
da certi malati p. e. da tisici ?
VII. Il buon senso del sig. Barone de Humboldt trova
ben con che ridersi dell' ipotesi di Mitchili (48i), secondo
il quale le febbri intermittenti e maligne sarebbero di-
pendenti dall' ossido di azoto o ossido nitroso , parere che
pure addotarono TextorÌ3 (482), Saltonstall (483) Bay,
Lent, Browne (484) e Claudio Balme (485). Invece di
dimostrarlo in tal maniera nocivo , gli effetti , che respi-
rando questo gas, provarono due allievi del prof. Sillman,
gli confermerebbero il nome di gas hilariant che alcuni
gli avevano dato (486) ed a questi effetti pia che a quelli
ottenuti dal sig. Vauquelin si accostarono i risultati che
pure dalla respirazione di esso ebbe il sig. Giacomo Car-
done distinto farmacista di Milano (487).
VIII. La cognizione delle qualità chimiche dell'acqua
sospesa nell' atmosfera ed in cui si hanno molte ragioni
per supporre esistente il principio nocivo delle paludi, fu
chiamata in campo ad illuminare circa la cagione delle
febbri palustri.
Henshau avendo esposta all'aria e al sole la rugiada
vide che deponeva una materia verde simile a quella che
si scorge soprannotare in estate alle acque corrotte. Tro-
vò svilupparsi in essa diversi vermicelli. Svaporata tal ru-
giada lasciò depositare una terra grigiastra , la quale ve-
nendo calcinata diede una sostanza cristallizzata simiglian-
te all' allume (488).
Il prof. Moscati con palloni pieni di ghiaccio condensò
i vapori dell' atmosfera ed ottenne dell' acqua in cui vide
nuotare fiocchi mucosi, che dopo alcuni giorni mandavano
un odore cadaverico.
i47
Al fine di ottenere liquida e pura la rugiada usava
Alibert degli imbuti pieni pure di ghiaccio.
Rigaud de l'Isle (489) negli anni 1810, 181 1, 181 a
a Roma, in Linguadocca, ed altrove con lastre di vetro so-
prapposte tra loro a guisa di tegole ottenne in una botti-
glia munita d' imbuto una certa quantità di rugiada. Que-
sta, essendo stata analizzata circa sei mesi dopo da Vau-
quelin, fu trovata contenere
i.° Una materia animale, la cui maggior parte erasi
separata in forma di fiocchi da che l'acqua era rinchiusa
nella bottiglia, e che tramandava odore di uova cotte, e di
solfo;
2.0 DelF ammoniaca ;
3.° Del mudato di soda ;
4.0 Del carbonato di soda.
Nell'esame della rugiada appena raccolta si trovò qual-
che differenza nei risultati, onde crede Vauquelin potere
attribuire Y ammoniaca alla fermentazione putrida nata
nello spazio di tempo trascorso tra l'epoca, in cui fu rac-
colta, e quella in cui si analizzò. Non rinvenne che con-
tenesse alcun gas. Egli fece bere tal rugiada e mangiare
del pane in essa inzuppato a diversi animali, né avendo
veduta in essi svilupparsi malattia particolare, credette
poter conchiudere , che il principio nocivo della malaria
non sta nella rugiada. Tale conclusione non sembrami
però dettata da troppo sana logica, poiché il principio feb-
brifero potrebbe in essa annidare , e non svegliarsi febbre
0 incomodo alcuno negli animali.
Fuori delle mura di Roma vicino a S. Lorenzo in quat-
tro notti del settembre 1 8 1 8 addensò anche Brocchi i va-
pori contenuti nell'aria di quel luogo insalubrissimo. Nelle
i4!
due libbre circa d' acqua raccolta giunse a scorgere pur
esso i fiocchi riscontrati nella medesima da Thouvenel,
da Thénard, da Dupuytren, da Vauquelin e da Rigaud de
T Isle , ed ottenne altresì una polvere biancastra in capo
ad alcuni giorni dopo avere trattata quell' acqua con un
po' d' acido muriatico ossigenato (490). Julia-Fontenelle
(491) col metodo di Rigaud de Plsle ottenne il 25 ago-
sto 18 19 quattro littri di rugiada. Questo liquido era privò
di odore, senza colore, e sufficientemente chiaro , vi si ve-
devano sospesi alcuni fiocchi che 6Ì deposero sul filtro.
Sottopposto all' azione del calorico si svilupparono sedici
centolittri d' un gas che assoggettato a due diverse sperien-»
ze eudiometriche diede ogni cento parti
Acido carbonico
Gas ossigeno . i
Gas azoto . .
. . 2,17
. * 3o,3o
. . 67,53
1 00,00
Quest* acqua si prima d* essere stata privata d'aria, co-
me dopo, non faceva provare alcun cangiamento allo sci-
roppo di viole, né alla carta tinta dal tornesole;
Trattata mediante
il nitrato d'argento, diede un precipitato di un bianco sporco,
1 ■ di mercurio . . . .ldiede un precipitato tendente
il sotto carbonato di piombo/ al giallo
r acqua di calce ...»
la potassa .......
l'ammoniaca ..•*,. \ niente,
l'ossalato ammoniacale . . .
Y idroclorato di barite . . .
*49
Mercè di questi sperimenti si conchiuse che nessuna
sostanza alcalina esisteva allo stato libero in quest'acqua*
e eh' essa conteneva dei solfati , degli idroclorati e della
calce. Avendola svaporata sino a secchezza, il residuo pe-
sava tre decigramme, ma la troppo piccola quantità non
permettendo di sottoporlo ad una serie di esperienze , fu
duopo che si limitasse ad alcune soltanto e con queste tro-
vò che tale residuo era di un bianco sporco, decrepitava
qualche poco al fuoco , e faceva effervescenza cogli acidi.
Si scioglieva nelF acqua, eccettuata però una piccola por-
zione colla quale l'acido idroclorico faceva effervescenza,
e che era precipitata dall' ossalato d' ammoniaca.
Secondo questo Saggio la rugiada delle paludi con-
tiene circa 7i5 d' aria atmosferica; più
dell' acido carbonico,
dell'idroclorato di calce ,
■ ■ di soda ,
del solfato ) ,. ,
del carbonato)
ed una sostanza animale sottoforma di fiocchi. Da ciò puos-
si conchiudere, che se si eccettui questa sostanza animale*
la rugiada si accosta assai all' acqua di pioggia, e special-
mente a quella delle sorgenti dei contorni di Upsai ana-
lizzata da Bergman. Tali sperienze quantunque molte vol-
te ripetute diedero sempre al sig. Julia-Fontenelle i stes-
si risultati, anzi egli assai sensatamente si apprese ad un
altro paragone , esaminò , cioè la rugiada comune ed ot-
tenne i stessi prodotti , alP eccezione dei fiocchi succitati.
Il Dott. De Renzi di Napoli fece nel 1827 degli espe-
rimenti , analoghi a quelli fatti da Brocchi , in vicinanza
del lago d'Agnano , lago che meglio si chiamerebbe una
100
palude ove si fa macerare il lino, sito tetro ed insalubre;
dietro quanto potè riscontrare restò convinto che ne' va-
pori di que' luoghi esista l' ammoniaca e una sostanza estrat-
tiva vegetale ed animale (Op. cit. P. I. p. 66)
Poscia aver veduto, che T aria anche la più dannosa per
T umana salute a cagione delle acque paludose non ma-
nifesta agli esami pia scrupolosi di abilissimi chimici al-
cun estraneo principio, e che se pure vi esistesse qualche
altro gas svoltosi a caso o ad arte dal fondo de' marazzi,
nessuno di essi sarebbe capace di dar luogo allo sviluppo
delle febbri intermittenti; e poscia aver dimostrato essere
quasi identici i vapori acquosi proprj dell'atmosfera intomo
alle paludi e quelli che non lo sono , non resterebbe altro
a supporre con qualche fondamento , se non che quella
materia organica, sia poi vegetabile o animale, la quale
Thouvenel sino da' suoi tempi aveva scoperta ed iniettata
(per altro senza effetto) negli animali che da Thenard e
Dupuytren e rasi ottenuta bensì facendo passare il gas
idrogeno delle paludi per P acqua, ma non dal gas mede-
simo cavato dai minerali che sotto forma di fiocchi aveva-
no trovata nella rugiada de' luoghi paludosi, e non nella
comune Vauquelin, Julia-Fontenelle, e Brocchi, e De Ren-
zi, altro non fosse che il rappresentante del principio mia-
smatico febbrifero (492)«
Più ragionevole però è il ritenere che su questo argo-
mento siamo ancora all' oscuro , né tale è il mio parere
soltanto.
Vedeva già da suoi primi tempi il celebre Volta, che
la cagione dell' aria cattiva e delle febbri, le quali ne de-
rivano sta in elementi particolari non contrassegnabili dal-
l' eudiometro, poiché irrespirabilità e insalubrità dell' a-
i-5 1
ria non sono la stessa cosa ; e l' aria la più infelice si tro-
verà normale col detto stromento : né il celebre prof, di
Pavia lasciava da leale filosofo di ammonire i fisici a non
volere negare la esistenza di tali priucipj nocivi nell' aria
cattiva, percbè non riconoscibili da nostri stromenti , ma
die ragione voleva si confessasse piuttosto la nostra insuf-
ficienza cbe negare a certi effetti una cagione pel motivo,
die noi non l' abbiamo ancor raggiunta (493).
Gli stessi sentimenti troviamo nell'illustre Scopoli, il
quale fa prima notare (494)? quanto ingiustamente si ansi
dati i nomi di eudiometro e di evaerometro ad uno stro-
mento, che non è capace, come si pretenderebbe dai no-
menclatori, di giudicare della salubrità, o insalubrità del-
l' aria , e d' indicare i vizj cui va soggetta , ma non fa cbe
indicare una data quantità di un suo componente o per
meglio dire la sua maggiore o minore attitudine ad essere
respirata: indi fa osservare (495), che tale istromento non
dimostra che o poca o nessuna differenza tra l'aria di bel
sito montuoso e quella delle vicinanze de* più insalubri
marazzi e di vaste paludi : anzi mentre in estate abitando
o dormendo soltanto per poche ore in questi ultimi luoghi
si guadagna febbre intermittente ed una lunga iliade di
conseguenze; si vive invece e si dorme senza danno e per
molte ore in stanze chiuse, ove sono congregate molte per-
sone, ove sono accesi fuochi , ove fumano vivande e dove
finalmente l'eudiometro dà risultati da far spavento.
Anche Thouvenel dopo avere diviso il mefitismo in
soffocante (minerale) ed in putrefacente (4$6): dopo ave-
re esposto che la mofeta putrida e paludosa che vizia e
rende insalubre l'aria d'Italia è cagionata dalla poca piog-
gia, dall'umido abituale degli strati inferiori dell' atmo-
i5a
sfera, dall'insolazione grande, da venti scirocco e libeccio,
dalla mancanza di scariche elettriche (497) e ^alla Putre"
fazione de* corpi organici (498), soggiunge: « Finalmente
« bisogna convenire che tutti gli stromenti comuni e tutti i
« mezzi più ricercati dell'aerometria moderna, sono ancora
« assai lontani dal farci conoscere le qualità fisiche e chi-
a miche dell'aria capaci di esercitare un'influenza sull'uo-
« mo in istato di sanità, e in quello di malattia (499) » e
più avanti confessa che ad onta delle risorse che ci offre la
chimica e l'eudiometria « il quid venenosum che racchiu-
« dono i miscugli aerei e il quid morb osimi che opera sul
« corpo vivente, non sono accessibili l' uno meglio dell' al-
te tro ai lumi di una scienza esatta e positiva » (5oo).
Ma vediamo finalmente a qual grado di cognizioni in
proposito siasi giunto nella porzione ora decorsa del se-
colo XIX.
In questo argomento così esprimevasi l'immortale Ber-
thollet: « Oltre le sue parti costituenti, 1' aria atmosferica
« può tenere in dissoluzione diverse sostanze che vi ac-
ce quistano la forma elastica , e tra le quali alcune sono il
« principio degli odori: ma sino ad ora queste emanazioni
« sfuggirono ai mezzi chimici che possono distruggerne al-
ce cune, ma non indicarle » (5 01).
Nacquart confessava che la chimica è ancora impoten-
te non solo a riconoscere la natura , ma altresì a determi-
nare la presenza di quelle molecole estranee che vengono
ad imbrattare l'aria, e l'azione delle quali serve a far
sviluppare le febbri intermittenti (5 02).
« Io son ben lontano, dice Julia-Fontenelle (5o3), di
« riguardare l'aria paludosa di una uguale purezza che
« l' aria atmosferica , ma io persisto a sostenere che non
« diversamente che nelle acque minerali, esiste in quella
« un principio ignoto, il quale sino ad ora si è sottratto a
« tutte le umane ricerche e che nello stato attuale delle
a nostre cognizioni gli agenti chimici, che possediamo non
« sono capaci di dimostrare. »
Anche il sig. C. B. de Humboldt non potè tralasciare
di dire (5c»4): « Indoviniamo alcune condizioni, per le qua-
« li si formano le emanazioni gazose che denominiamo
ce miasmi, ma ignoriamo la loro composizione chimica. Non
« è piò. il tempo di attribuire le febbri intermittenti all'i-
« drogeno accumulato nei siti caldi ed umidi ; le febbri
« irregolari ad esalazioni ammoniacali; le malattie infiam-
« matorie ad un aumento d* ossigeno nell' atmosfera. La
« nuova chimica alla quale siamo debitori di tante verità
« positive ci ha insegnato che ignoriamo molte cose , di
« sapere le quali accertatamele abbiamo per gran tempo
« menato vanto. »
Finalmente il Dott. Monfalcon dice a chiare note in
proposito (5o5) « che le chimiche analisi tutte ebbero per
« risultato di non avere svelato in alcun modo la natura
« delle emanazioni paludose, di non avere fatto conoscere
« il loro modo di operare sull'organismo, di non avere pre-
te stato alcun soccorso alla terapeutica e di poter essere
« ritenute (sotto questo solo riguardo però) come se non
« fossero state fatte. Il solo servizio che resero alle scienze
« mediche si è di avere dimostrata l'insufficienza comple-
te ta dei nostri mezzi di analisi a trovare, isolare e studiare
« le emanazioni paludose. »
IX. Il puzzo che rende in certe circostanze una parti-
colare pianta chiamata in Toscana putèra, e che è analogo
a quello che spandesi dai paduli, fece nascere il dubbio,
i54
che (lessa, morta e putrefatta, potesse essere cagione della
cattiva aria delle maremme e de' luoghi paludosi. I signori
professori Savi e Chimico Ranieri Passerini di Pisa intra-
presero adunque delle sperienze in proposito. Siccome la
pianta esternamente è coperta di un' incrostazione di car-
bonato di calce, così quando fu macerata e sottoposta alla
decomposizione nell'acqua tanto invasi chiusi, che in
aperti formò dell' acido acetico il quale unendosi alla cal-
ce lasciava in libertà l'acido carbonico. Putrefatta dava un
odore spiacevolissimo e sì forte da produrre mal di capo ,
specialmente poi se la decomposizione della pianta si pro-
moveva nell'acqua salsa. Scopersero i suddetti rispettabili
Toscani in essa una materia azotata grassa, che ha qualche
analogia colle sostanze animali e che chiamarono putri-
rla (5 06).
Se a questi sperimenti si fossse aggiunto quello di ma-
cerare e lasciar putrefare una quantità di putèra , si sa-
rebbero forse ottenute delle febbri intermittenti negli abi-
tanti che fossero stati a portata di sentirne l' influenza ;
siccome però lo stesso risultato si ha usando la canape e
il lino e anche qualche altra materia vegetabile, così non
potrassi attribuire alla sola pianta in discorso la malattia
propria delle paludi, il che veramente parmi, non preten-
dano i stessi naturalisti Toscani delle cui osservazioni qui
si parla (507).
Circa la natura del miasma paludoso adunque la chi-
mica ha un oggetto di umiliazione in mezzo ai trionfali
suoi progressi. Questa scienza veramente potrà sempre
vantarsi ne' fasti del perfezionamento umano quella che
ha saputo nel minor spazio di tempo operare un più gran
numero di scoperte, produrre un' infinità di rivoluzioni
i55
nelle cognizioni naturali che si avevano , manifestare in-
contrastabili verità e rilevare molti dei più profondi mi-
steri della natura. Ricordiamoci però che in Sais sulla ba-
se della statua di Minerva o Iside (conosciuta per la veri-
tà stessa) stava scritto IO SONO TUTTO CIÒ CHE
FU, CHE È, CHE SARÀ: E FIN QUI NESSUN
MORTAL ALZÒ MAI IL MIO VELO (5 08), 0 se
questa sentenza sembrasse troppo rigida e scoraggiante ri-
flettiamo che « l'uomo interroga la Natura ad ogni ora del
« giorno, ed ella risponde una parola ogni secolo. » L'odo-
rato nostro ci accerta delle molecole odorose che partono
dai corpi , vediamo svolgersi i semi dei licheni e delle
muffe sulle sostanze che alla loro vita sono opportune, ma
sì di quelli che di queste non è dato ad alcuno sorpren-
dere l'esistenza per l'aria e conoscere i caratteri fisici 0
i chimici. Ci gioviamo del termometro, il quale ci presta
i suoi servigi per la dilatazione che il calore produce ne'
corpi, senza per altro sapere se il calorico sia per se stes-
so un corpo 0 soltanto una modificazione de' corpi. Noi
abbiano fatti grandissimi progressi nella scienza dell'elet-
tricità e del magnetismo, ci sono noti i loro effetti, ne cal-
coliamo le leggi, ma non ne conosciamo la natura ; onde
senza rossore dovremo nel nostro argomento limitarci a co-
noscere per ora gli effetti del miasma palustre nella loro
estensione , qualità, origine ec, ed una retta applicazione
dell'' osservazione e del raziocinio su di essi sarà bastante
ad illuminare il medico ed il magistrato si nel preservare
gli uomini dalla loro azione che per guarirne le morbose
conseguenze. Noi abbiamo esempi che ci dimostrano che
talora la cognizione degli effetti basta 0 anche è più utile,
che quella della causa. Il sapere certe leggi dell* elettri-
m
cita atmosferica è stato per la salute dell'uomo piti van-
taggioso che conoscere la natura di tal fluido quanto reale,
altrettanto sorprendente. Chi ha fatto conoscere con fatti
che l'odore svolto da certe piante in stanze rinchiuse è
dannoso a chi vi abita, ha prodotto all'umanità un servizio
maggiore che non avrebbe fatto con infinite ricerche o sco-
perte sulla natura delle molecole odorose. Coli' avere rac-
colti ed ordinati de' fatti veduti sì dal popolo osservatore
superficiale che dall' occhio scrutatore del filosofo , io cre-
do essere giunto, piti che non ha fatto chiunque prima di
me, a rendere chiara e stabilire l'origine, non che indi-
care le leggi che segue un veleno tanto infesto all'uomo
e tanto comune sulla superficie della terra (509).
CAPO XI.
Quali sono le circostanze che danno luogo allo svilup-
po del miasma palustre*
Alla generazione del miasma, unica e diretta cagione
della malattia propria delle località paludose ne* climi
caldi 0 temperati e talora anche ne' freddi (quando il
sole operi con forza), concorrono tre circostanze essenziali
1 .° l' acqua; i° il calore; 3° la corruzione di sostanze or-
ganiche ; circostanze che trovo essere pur state indicate
da T. Lucrezio Caro in quei versi (5 1 o)
jitcjue ea vis omnis morborum, pestilitascjue,
Aut extrinsecus ? ut nubes nebulcequc superne
Per ccelum veniunt ubi PUTROPxEM HUMID A nacta'st
Intempestms PLUVIIS aue et SOLIBUS icta.
i57
I. L' acqua raccolta sulla superficie terrestre è neces-
saria alla putrefazione delle sostanze organiche , ed alla
generazione de' miasmi , come è favorevole e necessaria
allo sviluppo de' germi de' vegetabili e degli animali
acquatici (5n). Comechè il maggio a Vera-Cruz è piti
caldo che il settembre e l'ottobre, la maggior strage della
febbre gialla avviene in questi due mesi, perchè abbiso-
gnano le pioggie che dal giugno durano sino a settembre,
onde si possano generare e sviluppare perfetti i germi
miasmatici (5 12). Nella descrizione che sino dal i53f>
FOviedo ci lasciò di quel morbo, il quale aveva dato agli
Spagnuoli un colore giallo di zafferano , se ne attribui-
sce la cagione all' estrema umidità del paese.
Parlando poi di acque sparse sul suolo , perchè meglio
avvenga quel fenomeno , è opportuna l' altra circostanza
secondaria che desse sieno cioè , soggette a diminuzione ,
per cui lascino scoperto ed esposto all' azione del sole e
dell'aria calda in tutto 0 in parte il terreno che da prima
bagnavano. Alcuni laghi nei quali 0 non si ha veramente
diminuzione nel livello delle acque, 0 la natura delle spon-
de fa si che nessuna melma (anche in caso di abbassamen-
to delle acque) resti esposta all'aria, sono salubri; Cosi
avviene nella parte superiore del Lago Maggiore, e di al-
cuni della Svizzera (5 1 3) né ciò può dirsi dell' ugual par-
te del Lago di Como , né delle sponde del Lago d' Iseo.
Quando nell' anno 1 3g3 Giovanni Galeazzo Visconti col-
F innalzare un argine a Valleggio cercò divertire il Min-
cio per togliere le acque al lago di Mantova, città che tro-
va in esse gran parte della sua difesa, Francesco Gonzaga
non temeva tanto il vantaggio che il Duca di Milano avreb-
be tratto dalla buona riuscita dell' opera sua , quanto il
i58
danno, che ne sarebbe avvenuto alla popolazione col can-
giarsi del lago in una pestifera palude. Ma la Provvidenza
mediante una piena del fiume rovesciò coli' argine le su-
perbe intenzioni dell' assediarne e la città fu libera del-
l'imminente pericolo (5i4)- Il lago appunto di Mantova
alzatosi nelP anno 1 766 inondò la città ma quando riti-
rossi, i miasmi, a' quali diede vita il calore della stagione
operante sul deposto limo, fecero si che gli abitanti ebbero
a soffrire assaissimo dalle febbri intermittenti. L' anonimo
Autore di alcuni cenni necrologici sulla città di Como
(5 1 5) riflette sensatamente che « la più grande mortalità
« degli anni 1824 e 1825 devesi ripetere dalla straordina-
« ria escrescenza del lago avvenuta nei mesi di ottobre e
« novembre dell'anno antecedente, per la quai cosa essen-
« do stata innondata gran parte della città e dei borghi,
« lasciò nell'aria de' miasmi, e nelle case un'umidità che
« non potè a meno di non influire sulla salute degli abitan-
te ti che piìi 0 meno lentamente, sempre però avanti il tem-
« pò, gli ridusse alla tomba. » Racconta Casimiro Medikus
(5 16) che avendo il gran caldo fatto svaporare l'acqua delle
fosse della citlà di Manheim e cagionato putrefazione nel-
l' umido fondo , ne nacque una maligna febbre intermit-
tente, la quale molestava anche con recidive la popola-
zione, e specialmente poi i soldati che stavano di guardia
sulle fortificazioni ed alle porte. Orribile strage cagionano
nel delta del Gange le malattie che nascono , posciachè i
raggi del sole hanno percosso l'immensa superficie che fu
dal fiume allagata. Invece al Senegal il sole essendo così
ardente da fare non solamente svaporare l' acqua caduta
per le periodiche pioggie, ma altresì da generare una cro-
sta secca sul suolo; dopo la stagione di quelle, non si han-
159
no sempre le malattie che altrove non mancano. Il sig.
Ferguson, il quale dice (5 1 7) di aver vedute le febbri re-
mittenti e intermittenti in luoghi aridi del Portogallo, non
tace che tali erano questi dopo essere stati allagati 0 ba-
gnati , ed indicando i siti ove i soldati furono colti dalle
febbri, gli dice mezzo-asciutti , 0 pantani : e certamente
i miasmi si saranno sviluppati prima che il terreno e le
sostanze organiche in esso lui esistenti si fossero essiccate,
ed in questo proposito non può lasciare di aggiungere che
« spessissimo le paludi delle Indie occidentali sono esposte
« alla continua azione del cocente sole del tropico, e quel-
« V avvicinarsi alla siccità è il foriero delle malattie e
« della morte che minaccia gli abitanti de* dintorni. » Nel
1733 e 1734 alla stagione piovosa avendo tenuto dietro
una secchezza estrema la febbre gialla fu micidialissima
a S. Domingo; e nel 1827 alle Antille tale circostanza
precedette un ugual esito (5 1 8).
Per questa medesima circostanza, intorno a cui qui si
tratta, noi vediamo le febbri intermittenti regnare intorno
alle risaje , non già nel tempo, in cui esse sono ampia-
mente allagate, ma posciachè si sono 0 diminuite per
iscarsezza le acque, 0 si sono appositamente asciugate alle
epoche prescritte , come richiede la coltivazione di questo
cereale : così pure vediamo presso i fontanili e negli altri
luoghi paludosi manifestarsi le febbri , allorachè 0 per la
povertà delle acque sorgive avvenuta in quelli , 0 per la
evaporazione delle stagnanti in questi, il fondo sì degli uni
che degli altri rimane allo scoperto. La guarnigione e la
popolazione di Hàvre-le-Grace ebbe a soffrire vera strage
dalle febbri che vi dominarono dietro il ripullimento del
suo porto e l'esposizione del fango al sole (5 1 9). Nell'au-
i6o
tunno del 1822 per le acque stagnanti nacque tal malat-
tia a Villechetive in Francia che in poco tempo un deci-
mo degli abitanti fu tolto di vita (5 20).
Una prova di più di quanto ho riferito si cava anche
da ciò che un perfetto allagamento di una superficie pa-
ludosa in uno stato di attuale nociva emanazione, rimedia
a questo male. Così per troncare una febbre che epide-
micamente dominava nella città di Bieda nel 1 748 si tol-
se T acqua che innondava la campagna. L' epidemia allo-
ra infuriò più che mai, e non cessò che quando si fecero
ritornare le acque sul letto loro primiero. Quando nel 1 826
nei territorj di Groninga e di Tevera si asciugarono i ca-
nali che numerosi vi serpeggiano, nacque quella febbre
intermittente epidemica assai pericolosa descritta dai si-
gnori Bakker e Popken(52i). Si osservò che nella Zelan-
da, nel Basso-Poitou , nel Mantovano e'c. la febbre inter-
mittente cessa tosto che le acque ricoprono tutta la su-
perficie delle paludi (022). « Qualunque terreno, diceva
« Thouvenel (523), affatto coperto di acqua non è mai in-
« salubre. Esso tale non fassi se non quando l'acqua che
« lo copre evapora , e presenta al sole la belletta del suo
« fondo e delle sue rive. Dal seno di un suolo umido e
« corrotto s' innalzano putride emanazioni , che spandono
« l'infezione nell'aria, e la mortalità negli uomini. Si può
« con tutta certezza distruggere la putredine di una pa-
ce lude qualunque sì cangiandola in un lago che in
« terreno asciutto. »
Se dannose sono le acque stagnanti, innocenti non sono
sempre tutte quelle che hanno corso, perciò in proposito
ottimamente insegna il Consigliere Giuseppe Frank (524)
che « paludi devono chiamarsi non solo le acque sempre
i6r
« stagnanti, ma altresì quelle che accidentalmente lo sono
« per innondazioni o per gran copia di pioggia caduta ,
« quelle che allagano le fosse delle città fortificate , le ri-
« saje, i prati e i boschi, quantunque montuosi , e ciò ab-
« benché esse qui non ristagnino perfettamente, ma muo-
« vansi lentamente » (5a5). Le acque correnti e gli stessi
fiumi, purché o in certe epoche fisse, o in altre straordi-
narie diminuiscano, lasciando scoperte le rive o il loro fon-
do, divengono dannosi per li miasmi, ai quali danno ori-
gine, non meno che le paludi propriamente dette. Il lago
di Mantova ha un movimento ed incerti tempi lascia sco-
perte alquanto delle sue sponde e quasi asciutti i canneti
che per lo piti sono coperti d'acqua, né diversamente av-
viene pure nelle fosse della città. Così i fontanili del Mi-
lanese nella state in cui per lo più scarseggia la sorgente,
e la vasca o testa rimane talvolta in parte tal altra anche
affatto priva d'acqua, divengono focolaj di molestissimi
miasmi; al che concorrono molte cagioni locali favorevo-
lissime a produrre tale pessimo effetto. Da prima lo stato
di quiete, in cui trovasi l'acqua nella testai Egli è a que-
sta che dassi quanto più puossi di ampiezza per avere mag-
gior numero di punti sorgivi e così essa risulta sproporzio-
nata coi canale che ne scarica le acque , e nel quale sì
per le piante acquatiche che pel franare continuo delle
sue sponde vien reso più diffìcile e lento il corso. In' secon-
do luogo sta la direzione data allo scavo : essendo questa
verso il S e SSE non ricevono i fontanili il sole che assai
tardo alla mattina e presto ne sono privi alla sera: invece
allorachè i suoi raggi in tempo della loro maggiore forza
ne percuotono l'interno, succede grande evaporazione e
diminuzione dell' acqua , onde lo scoprimento dei margi-
ii
i6a
ni o del fondo. Tutto ciò dà luogo ad una produzione di
miasmi abbondante non solo, ma pur anco ad una loro per-
fetta elaborazione. Finalmente al maggior male non poco
coopera la mancanza di ventilazione specialmente dal
Nord atteso Y argine o terrapieno che suole appunto a tra-
montana e semicircolarmente rendere ancor piti alta la
sponda del fontanile; al che si aggiunga la grande quan-
tità di vigorose e folte piante che coprono da ogni lato, ec^
cettochè a mezzogiorno, una tal specie di pozzi. Che se que-
sta teoretica spiegazione non bastasse per alcuno a far cre-
dere tanto dannosi i fontanili, quanto le paludi propria-
mente dette, e lerisaje; e se molti casi pratici, che io po-
trei addurre in conferma potessero sembrare dubbj o non
sufficienti, chiunque potrà a suo bel agio convincersi della
verità, esponendosi alla loro influenza di buon mattino o
alla sera nella stagione estiva, od autunnale.
Anche i fiumi ove suddividonsi in altri, e dove si scari-
cano lentamente nel mare o nei laghi lasciando banchi,
sponde o fondo scoperti ed esposti all'azione del calore,
col dare origine a' miasmi paludosi hanno le vicinanze del-
le loro foci assai malsane, vi regnano cioè le febbri o
semplici intermittenti , o modificate dal clima in cui suc-
cedono: ciò verificasi nella Zelanda per il Reno ; in Italia
per V Adige, per il Pò, pel Tevere, pel Garigliano e per
altri; in America per l'Orenoco e pel Mississippi; nelle
Indie orientali pel Gange ed in molti altri luoghi, che lun-
ga e seccante cosa sarebbe il numerare. E per tal motivo
aveva cattiva taccia il tortuoso Meandro (526)
Fiume maligno che rade le sterili
Arene e pigro per il piano ìnnoltrasi.
i63
Per conlra ria ragione se Venezia, posta in mezzo ad
una laguna, uelJa state non ha a soffrire, come potiebbesi
credere, le malattie proprie delle paludi, si è, perchè, sic-
come osservò già il Thouvenel (5-27), le magre sono mi-
nori in quella stagione per l' acqua, che da varie parti ab-
bondantemente vi scaricano i fiumi, i quali numerosi ne'
suoi contorni mettono foce.
Siccome T acqua è uno dei mezzi che tanto favori-
scono la generazione de' miasmi , siccome è colla stessa
(resa pero allo stato di vapore) che questi s' innalzano e
viaggiano per l'aria, così ne avverrà, che i luoghi umidi
saranno favorevolissimi allo estendersi della malattia pa-
lustre. Perciò io credo che il miasma della febbre
gialla (qui non entro a distinguere se nato, 0 portato
in luogo) non possa meglio esercitare la sua azione e
cagionare delle epidemie che allorquando trova una
temperatura ed un' atmosfera omogenea , voglio dire
calda ed umida. Infatti se si allontanò questa malattia
dalle coste del mare, non fu che lunghesso e tra le rive
di grandi fiumi; in tal modo arrivò a Natchez sul Mis-
sissippi, a Siviglia sul Quadalquivir , a Quebek sul
S. Lorenzo.
Tutti i paesi ove regnano la così detta febbre intermit-
tte e la gialla sono umidi, ma non tutti i luoghi umidi, co-
me ho già detto, hanno queste malattie. La Scozia, le isole
Feroe, Pietroburgo , ed altri luoghi del Nord quantunque
umidi e paludosi vanno esenti dalie accennate febbri , il
che è da ripetersi dalla mancanza di miasmi e non del-
T umidità, onde chiaro apparisce che non è veramente P a-
ria pregna di vapori acquosi (528), ma bensì li principj
miasmatici che dessa racchiude, ciò che è la vera cagione
i64
de' mali proprj della maggior parte de' climi umidi che
minutamente abbiamo indicati.
IL II solo calore del sole anche il pia intenso non è
causa di putrefazione , ed infatti noi se ne serviamo util-
mente per far seccare i vegetabili , radici e sementi. Gli
Arabi secondo Volney, e i cacciatori Bossemen, tribù af-
fricana de' contorni del Capo di Buona Speranza (529),
fanno seccare la carne e la riducono in polvere per con-
servarla e servirsene; quegli Ungheri che vennero in Ita-
lia nel 1 356 condotti da Luigi loro re, avevano con se un
sacco pieno di polvere preparata con carne secca , e di
questa mettevano una piccola parte nell' acqua per fare
il brodo. Beccher narra che in certi paesi dell'Oriente si
conservano i cadaveri facendoli seccare nei forni e nella
sabbia. I luoghi aridi, asciutti, quantunque caldi sono sa-
lubri , così lo sono in generale il Portogallo e la Spagna ,
abbenchè assai più caldi dell' Olanda e dell' Ungheria.
Ma se l'umidità aggiungesi al calore, primieramente ge-
nerasi uno stato dell'atmosfera che sin da Ippocrate (53o)
fu conosciuto come assai insalubre , indi se aggiungesi la
presenza di sostanze corrutibili (delle quali or ora si par-
lerà), ha luogo una fermentazione putrida e con essa lo
sviluppo di insetti molestissimi non meno che di miasmi
produttori, in grado più 0 meno forte, della malattia su
cui ragioniamo. Si paragoni la salubrità del clima della
calda , ma umida costa occidentale dell' Affrica verso
Y equatore _, e quella sotto la stessa plaga delia costa occi-
dentale dell' America ancor più calda della prima, ma
asciutta, e meglio sarà dimostrata la mia asserzione.
Il grado di calore del sole sia per la situazione sua ri-
spetto ai punti cardinali od all'angolo, chs forma il suolo
coìr orizzonte, sia per la stagione, sia per altre circostanze,
le quali coadiuvano ad una più forte azione de' suoi raggi,
è cagione di maggiore o minore generazione de' miasmi
o fors' anco della loro maggiore o minore attività. Dalle
osservazioni di Gilbert e di Desportes risulta che ad un
grado forte di caldo segue la febbre gialla piò intensa e
micidiale e viceversa (53 r). Anche l'Autore della parte
medica degli Elementi d'Agricoltura teorico-pratica
(532) propende ad attribuire la maggior fierezza della ma-
lattia paludosa alla maggiore attività del miasma. Pare pe-
rò che alla quantità del miasma sviluppato pel concorsa
delle opportune circostanze sia piuttosto dovuta la quantità
de' malati 0 V estensione di paese affetto che non il grado
della malattia, il quale può meglio tenere alla natura del-
l' individuo colpito dal miasma. Ciò dissi del grado di for-
za. Rispetto alla forma (che secondo me ha qualche cosa
di diverso della gravezza, poiché una nostra subcontinua
è piti pericolosa che alcun caso di ben sviluppata febbre
gialla) io sarei inclinato ad attribuirla a determinata qua-
lità di materia putrescente speciale e propria de' luoghi.
Infatti la febbre gialla prende una fisionomia caratteristi-
ca e pressoché costante e la febbre paludosa d' ogni altra
parte del mondo rarissimamente, e se non che per qualche
aggiunta complicazione , giunge a simularla. Il caldo poi
non è sufficiente a produrre tale diversità nella forma mor-
bosa, poiché 20 gradi R. soltanto di calore accompagnano
lo sviluppo della febbre gialla , quando invece tra noi ed
a Roma quantunque giunga sino a -t- 26, 0-1-28 non
si hanno che febbri periodiche comuni.
Le grandi ed abbondanti paludi settentrionali p. e. quel-
le della Russia, della Lituania, delle vicinanze di Berlino
m
sono o affette innocue, o molto meno febbrifere di quelle
d'Italia. Brocchi (533) fa notare, che sopra le montagne
della Calabria dalla parte di Cosenza esiste un alti-piano
sparso di paludi che in altri luoghi sarebbero dannose, ma
sui margini delle quali invece si può dormire impunemen-
te nella notte. Tale fenomeno è da lui attribuito a non
elevarsi il calore oltre i -+- 16 R., temperatura che non
basta secondo egli pensa, a dar luogo alla putrefazione ne-
cessaria per generarsi i miasmi febbriferi. Veramente il
grado di forza (in generale, non individualmente) sembra
andar di pari passo col calore del clima: le febbri inter-
mittenti de ir Olanda sono in generale miti , e prendono
d'ordinario il tipo di terzane, e di quartane (534)? così di-
casi della Bassa-Lombardia, ove però occorrono non di ra-
do subcontinue e perniciose. À Roma invece giungono fa-
cilmente al grado di perniciose, e sì qui, come dice Hum-
boldt, che in Portogallo, secondo Ferguson (535), le febbri
più gravi prodotte dai luoghi pantanosi prendono sinTtf-
spetto di febbre gialla* Non altrimenti a Nuova-York , a
Filadelfia, a Baltimora le febbri intermittenti, che vi sono
comuni per i succidi canali , per le acque stagnanti sog-
gette a lasciar scoperto il fondo loro sotto una temperatura
assai alta, si cangiano in certi anni in febbre gialla, al qua-
le prende i quartieri più bassi , e le vicinanze delle ban-
chine. Secondo i fratelli Piguillem , Riera , Lopez , Cano
e Revert le emanazioni delle paludi tra i tropici in Ame-
rica producono le febbri intermittenti e remittenti negli
indigeni , e danno luogo alla febbre gialla nei forestieri
non accostumati a que* climi (536). Il Dott H. Robertson
(53^) trovò pur egli somiglianza della febbre di primavera
e d' autunno prodotta da miasmi paludosi a Cadice e nel
t6j
Distretto di Gibilterra con quella propria delle Indie oc-
cidentali.
Kgli è in luglio, agosto e settembre, cioè nel tempo
dei piti forti e durevoli calori , che si sviluppa e regna la
febbre gialla in America , non è per altro necessario che
a tal effetto il caldo oltrepassi i h- 24 R. Nei climi tem-
perati e nella Bassa-Lombardia compariscono delle febbri
intermittenti anche in primavera, ma il dominio maggiore
di esse avviene tra il solstizio di estate e 1 equinozio d' au-
tunno , nel qual tempo la temperatura media ordinaria è
di ->- 22 R. e qualche volta maggiore. L' innegabile e
generale influenza di quest'epoca dell'anno sugli animali
era indicata dagli antichi col potere della Canicola, che
dinotava il tempo, in cui la costellazione meridionale di
Sirio, detta da Tolomeo gran cane, vicina ad Orione ed
a Regolo, si leva con il sole (538). All' influenza poi mor-
bosa di essa alluse Omero cantando (539) :
siccome
L'astro che cane d'Orion s'appella
E precorre l'autunno: scintillanti
Tra numerose stelle in densa notte
Manda i suoi raggi: splendidiss' astro,
Ma luttuoso e di cocenti morbi
Ai miseri mortali apportatore.
Anche Aristotele disse (54o) ferace di morbi il solstizio
d'estate, e Tibullo dissuadeva gii amici di prendere i ba-
gni toscani nel tempo della Canicola (54 1).
Accennata si trova dall' Alighieri nella seguente simi-
litudine la stagione propria alle febbri in discorso (542):
Qual dolor fora, se degli spedali
Di Valdichiana tra 1 luglio e '1 settembre
E di Maremma e di Sardigna i mali
Fossero in una fossa tutti insembre
Tal' era quivi: e tal puzzo n' usciva
Qual suole uscir dalle marcite membre (543).
Chiunque esercita la pratica medica in luoghi alla feb«*
bre gialla o alla nostra sottoposti potrebbe far testimonio
della regolarità o costanza con cui quelle malattie si svi-
luppano o regnano in quantità (relativamente ai mesi ed
alle altre malattie) straordinaria nello spazio già indicato
dell' anno: ma le statistiche di que' spedali, a' quali affluì-*
sce tale specie d' infermi serviranno meglio a dimostrare
quanto ho asserito. Riferirò adunque alcuni Quadri da
me compilati sui dati che mi offrì il srg. Bailly de Bloia
(544) Per ^ febbre romana ed altri che trovansi riportati
dal B. de Humboldt (545) per l'americana. (Si vedano gli
annessi Quadri O, P, Q, R)«
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Nello Spedale presso S. Giovanni Laterano,
detto di S. Salvatore, non si curano che don-
ne. La durata media di malattia fu di giorni
17 5l6/a6i8 e la mortalità del iS Il3%€i8 Ppr
cento.
Nello Spedale di S. Spirito, se si eccettui la
Clinica, non si curano che uomini. La durata
media di malattia fu di giorni i5 ^7/g3i6 e
la mortalità dei il 1?°^/q'ìiQ per cento.
Nello Spedale di S. Giovanni Colabita, ap-
partenente ai Fate-bene-fratelli, si curano se
non che uomini. La durata media di malat-
tia fu di giorni i5 447/gg8 e la. mortalità del
8 2°6/(}g8 per cento.
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Quadro meteorologico per la città di Pavia.
Prospectus mediarum ìntegrce periodi annorum oc^o
riempe ad anno 1 8p8 ad toium 1 8 1 5.
(Flora Ticinensis. Introduci.)
Media
Barometri
27.9. l4
um
Media
Thermo-
uietri
8,2
Media
temperie
putei etc.
9,o3
Media
Hygrometri
68,48
Medius
numerus
diemm seren.
154 v,
Media
mensura
pluvia delapsJj
poli. 36
lin. 6.76J
i74
Perchè in primavera tra noi occorrano si , ma in poco
numero, leggiere, e di facile guarigione le febbri inter-
mittenti è facile lo spiegarlo. In marzo trovasi umido il
suolo per le scomparse nevi ; A ciò aggiungesi che dopo
l'equinozio e specialmente in maggio cadono per lo più
abbondanti le pioggie e nei giorni sereni il sole, atteso lo
stato dell' atmosfera , dà un calore grande che fa salire in
febbrajo e marzo il termometro reomuriano (esposto al so-
le) sin oltre i 3o gradi. Di qui facile la corruzione delle
acque stagnanti, la putrefazione de* vegetabili e la gene-
razione de* miasmi; ma essendo il suolo ancor freddo, bre»
vi le giornate , e breve perciò la durata del calore domi-
nando venti del Nord, e successivamente temporali, l'of-
ficina de' miasmi ha poco vigore, la loro virulenza è leg-
giera e facilmente vengono dispersi. Ma dopo il solstizio
d'estate il suolo inumidito dalla pioggia caduta trovasi an-
che riscaldato dalla lunga permanenza del sole sul!' oriz-
zonte, dalla più retta direzione de' suoi raggi, non che dal
maggior numero de' giorni sereni (V. il Quadro S), cosi
ne' luoghi umidi ed abbondanti di materie organiche mor-
te con facilità e con forza succede la putrefazione, la ge-
nerazione di principj febbriferi e V innalzamento di moU
t'acqua allo stato di vapore; ciò avviene costantemente in
quest'epoca in particolare sulla superficie delle risaje, alle
quali si diminuiscono o levano le acque, oppure su quella
elei quasi diseccati fontanili o in fine sopra qualunque ter-
reno inumidito , che in un paese tanto irrigato è facile il
ritrovare. Coli' innoltrarsi verso l' equinozio di autunno
l'allungarsi delle notti fa comparire maggiore l' umidità
e la precipita abbondantemente, alla mattina e alia sera,
pregna di que' miasmi a' quali essa serviva di veicolo ; in
175
questo tempo mancano le commozioni prodotte nell' atmo-
sfera dalle scariche elettriche e dai venti , onde i vapori
acquosi restano stagnanti e visibili sotto forma di nebbia
e conservano placidamente in seno que' semi per deporli
poi e farne sentire l'infesta azione all'organismo umano.
Alla conoscenza del tempo, in cui suole regnare questa
febbre noi dobbiamo non solo 1' utilità igienica di poter
fuggire d'esserne leso, ma altresì 1' utilità clinica di co-
noscere e perciò ben curare la medesima quando si ma-
nifesta sotto aspetto oscuro o ingannevole, come di subcon*
tinua, di perniciosa e di larvata,
Neil' inverno poi gli elementi proprj alla genesi de' mia-*
smi esistono nelle paludi , ina non così le circostanze atte
a loro somministrare la speciale vita di quelli ed a propa-
garsi. Se in inverno s' incontrano febbri iutermittenti le-
gittime queste sono recidive in chi già le soffrì nel!' au-
tunno; anche a Vera-Cruz si danno casi, non mai però epi-
demie, di febbre gialla in inverno, ma ciò accade, quando
questa malattia è stata fortissima nella state, ne è difficile
che il freddo di quel clima non sia bastante a distruggere,
come avviene fra noi, tutti i germi morbiferi, che nacquero
e si svilupparono nella stagione per essi favorevole
III. Colla macerazione e putrefazione de* vegetabili p, e.
della canape o del lino, noi possiamo cangiare un'acqua ben»
sì stagnante, ma innocua, in un focolajo di miasmi febbrife-
ri; onde la presenza di quelli e la loro decomposizione, mer-
cè l'acqua ed il calore, devonsi insieme riguardare quale
circostanza opportuna, anzi essenziale alla generazione di
questi morbosi principj. Le insalubri paludi non risulta-
rono altro al microscopio di Carlo Leigh (546) che una
congerie di foglie, di semi, di fiori, di steli, di erbe, di ra-
«76
dici e di frutti. Nelle risaje molti sono i corpi organici ,
che si corrompono, oltre alla pianta stessa del riso giunta
alla sua maturanza. Alla caduta della spoglia degli alberi,
che numerose ombreggiano le teste dei fontanili ed alla
macerazione e putrida fermentazione di quella e delle
erbe acquatiche perite per la diminuzione o mancanza
d* acqua dovrassi altresì attribuire l'insalubrità dei mede-
simi. Il suolo di Panama è arido , privo di vegetabili , ma
la marea lasciandovi umidità e molti fuchi, vengonsi a ge-
nerare miasmi febbrili nel ugual modo, che ovunque esi-
stono vegetabili in putrefazione. Il B. de Humboldt (547),
descrivendo i stagni d'acqua che si fanno tra le ardenti
collinette di sabbia accumulate dal vento (meganos), non
che diverse lagune circostanti a Vera-Cruz, dice che
« quei luoghi bassi e paludosi sono tanto piti da temersi ,
« quanto che non sempre sono coperti d'acqua. Uno strato
« di foglie morte frammisto a frutti, a radici, a larve d' irn
« setti acquatici e ad altri rimasuglj di materie animali ,
« entra in fermentazione a misura che è dagli ardenti rag-*
« gi del sole riscaldato. » Se nel Basso-Egitto quando è
scomparsa l'alluvione del Nilo, non si ha quella quantità di
febbri intermittenti, che potrebbe far presumere la circo-
stanza di una vasta superficie rimasta pantanosa e scoper-
ta , egli è perchè l' Egitto è allagato nel tempo del gran
caldo, invece al solstizio d' inverno V acqua è quasi scom-
parsa e non ne resta che poca ne' canali ; inoltre si smove
tosto il terreno, si levano tutte le piante acquatiche e così
togliesi l' alimento alla putrida fermentazione.
Sembra più conforme al vero che tra le sostanze orga-
niche, quelle, alla corruzione delle quali debbasi veramen^
te la generazione de' miasmi febbriferi, siano le vegetato*
*77
li; infatti noi vediamo che ovunque corromponsi queste ,
si hanno le febbri intermittenti, ciò che non può dirsi ri-
spetto alle animali. Anche a Pringle (548) era sembrato
vedere che gli effluvj , dai quali esse febbri dipendevano ,
erano piuttosto dovuti alle putrefatte materie vegetabili,
che alle animali. Ed io ho veduto piccolissime vasche ,
nelle quali cadevano e corrompevansi vegetabili, farsi al-
trettanti focolai di miasmi , cagioni poi di pertinaci febbri
periodiche: all'incontro osservai raccolte di acqua stagnan-
te veramente in mezzo ai villaggi ad uso di pubblico la-
vatojo, e nelle quali per conseguenza molte sostanze escre-
mentizie animali si depositavano, tramandare bensì all' in-
torno gran fetore nelle sere di calde giornate, ma non mai
generare tali febbri. Il che io ripeto da ciò, che in essi la-
vatoi non nasce, ne perisce alcuna pianta palustre, che non
vi si macerano lino o canapa, che non vi cadono mai nella
state le foglie, poiché per lo pia non sono circondati da
piante, e se di queste ve n* hanno, sono gelsi, i quali non
abbandonano la loro seconda spoglia se non ad autunno
avanzato, quando , cioè, la temperatura non concorre a far
nascere una putrida fermentazione. Zimmermann riferisce
che nel collegio Wadham di Oxford si sviluppò una feb-
bre, di cui erano esenti i luoghi intorno, e si trovò essere
stata cagionata dalla putrefazione di ammucchiati cavo-
li (549)-
Se Pareo (55o) asserisce che da molti cadaveri di uo-
mini uccisi e gettati in un profondo pozzo si svolse un tan-
to fetido e velenoso vapore per il quale in tutti i luoghi
intorno morirono molte migliaja d' uomini : se altri pure
derivarono certe pestilenze da cadaveri imputriditi : noi
troviamo ugualmente che né allorquando per ordine del
li
178
Consiglio di Stato di Francia del 9 novembre 1785 parte
nell' inverno e parte nell' estate seguente, si svuotò il ci-
mitero degli Innocenti a Parigi, né quando nel 1793 si
sbarazzò quello di S. Eloi a Dunkeique, quantunque il
fetore avesse già mosse le lamentanze de' vicini (55 1), non
si vide comparire alcuna malattia epidemica. Come nem-
meno dopo quella battaglia del 16^2 in cui racconta Die-
merbroecb (552) che si lasciarono imputridire ottomila e
più cadaveri di soldati e di cavalli e sorta era un'insof-
fribile puzza all'intorno; ne dopo la battaglia .d'Aboukir
dalla putrefazione che avvenne nella grandissima quantità
di cadaveri gettati dalle onde sulla spiaggia e sferzati dal
sole d'Egitto; né finalmente dal pessimo odore che sortiva
dallo screpolato suolo sotto cui erano stati seppelliti a Si-
viglia gli estinti di febbre gialla nel 1800 (553). Non ci
racconta Alessandro Benedetto (554) cne *a Asia Per xl"
medio a frenare la peste si uccidono tutti i cani e si la-
sciano imputridire per le strade ? Non ci narra Giorgio
Pittorio (555) che in caso di pestilenza niente è più salu-
bre che l'odorare latrine 0 stalle? Non ci dice Giuseppe
Quercetano (556) che il fetore delle piazze di Parigi era
creduto da più medici ottimo per sanare la corruzione del-
l'aria? Non si osservò forse a Roma ed a Bologna non ve»
nir preso da peste chi abitava vicino ai conciapelli (557)?
Nella peste di Londra sotto il Regno di Carlo II conven-
nero i medici che si aprissero tutte le latrine che erano
chiuse, e dall'odore di esse si volle dipendesse la cessa-
zione della peste.
Se S. Agostino (558) racconta che da imputridite lo-
custe rigettate dal mare sulla spiaggia d'Affrica nacque
la peste; se Fracastoro crede (559) c^3 ta^ cagione altre
x79
volte abbia avuto eguale effetto ; se dal Foresto, dal Wol-
fio e da altri (56o) se ne incolparono pesci imputriditi sul*
le spiaggie dei mare; noi osserviamo pur anco che alle
Indie Orientali e specialmente sulle coste occidentali del-
l'isola di Ceylan si ammucchiano le ostriche, da cui si de-»
vono trarre le perle e si coprono, onde al sole possano su-
bire la necessaria fermentazione; e quantunque questa
sparga all'intorno un insoffribile fetore , non è cagione di
malattia per alcuno tra le migliaja di persone che si tro-
vano esposte al medesimo e raccolte in piccolo spazio sotto
un clima ardente (56 1); noi sappiamo, che incerti paesi si
usano come ingrassi i pesci putrefatti, che alcun danno non
deriva dalle parti di balene e d' altri pesci che i pescato-
ri lasciano putrefare in agosto e settembre sulle spiaggie
di Rhode-Island ; e finalmente, che appunto il sig. Bailly
(562), quale argomento a negare la derivazione delle feb-
bri intermittenti dalle materie animali putrefatte, riferi-
sce che nel 1822 in cui comparve una grande quantità
di locuste, i febbricitanti a Roma furono in minor numero.
Non dannosi noi troviamo giornalmente i fetenti efìluvii,
che in certe fabbriche abbondano : tali in quella di sper-
maceti tra Bristol e Hanalim in mezzo a mille putridi ca-
daveri , tali nelle rafinerie di zucchero ove fermenta il
sangue che adoprasi, tali nelle camere anatomiche. In Ita-
lia, ove al presente è tanto estesa la coltura de' filugelli,
la filatura de' loro bozzoli, e la macerazione de' residui di
questi e delle crisalidi, potrà darsi il giusto valore all'opi-
nione, che già attribuì alle intollerabili fetide emanazioni
sviluppatesi da queste materie la epidemia di Villeneuve-
les-Avignons (563). Ma lasciamo che i fatti e il sano cri-
terio decidano col tempo ancor meglio sulla nessuna in-
i8o
fluenza de5 putridi animali effluvii alla produzione delle
epidemie che abbiamo accennate: e ricerchiamo se sianvi
fatti che provino la derivazione delle vere febbri inter-
mittenti e della febbre gialla dalle dette sostanze anima-
li. Se le materie animali che da noi si ricercano , conser-
vano con gran cura e lasciansi corrompere, onde ci offrano
i pia fetenti egualmente che più buoni concimi, essere do-
vessero cagione di febbri intermittenti , tutta la campagna
dovrebbe essere in preda alle medesime. Che siasi attri-
buita la febbre gialla del ìjfò in Nuova-York al bue sa-
lato e guasto di cui si fece uso, è vero ; ma io chiederò al
buon senso de' lettori se tale cagione può valutarsi dopo la
facile considerazione che in tante altre circostanze, tempi e
luoghi, anche analoghi, si sarà usato tal cibo, ne mai simi-
le malattia sappiamo essersi sviluppata e che ad un ugual
cagione non furono attribuite tante altre epidemie della
medesima malattia che danneggiarono la città stessa (564).
L' unione dell' acqua salsa marina con la dolce fu una
circostanza , cui per la produzione della malaria fu dato
gran valore dal Doni (565), da Gbaptal (566), da Thou-
venel (56^), da Lancisi (568), da Fodere (569), da Foureau
(570) e da altri molti. Il vedere endemica la febbre pa-
lustre in ugual grado e frequenza non meno nel continen-
te p. e. nella Sologna, nell'Ungheria ec. che nelle salse
maremme, mi fa credere che essenziale non sia tale con-
corso alla produzione della malattia; se poi regna ove fassi
quella mescolanza, vi potrebbe pur regnare anche se man-
casse, ed i fatti che il signor Giorgini arreca per dimostra-
re la cessazione del danno, quando si impedì ai laghi di
Massaciuccoli e di Perotto , agli stagni della Torre e di
Montrone di ricevere ed immischiarsi all' acqua marina ,
non sono per me sufficienti a provare che da quella sola
cagione dipendesse la malattia, poiché la cessazione o (3e
vogliamo forse parlare con maggiore verità e precisione)
la diminuzione di questa, pub ben dipendere: i.° dal gia-
cere simili raccolte d' acqua su di un suolo sabbioso de-
positato dal Sercliio e dall'Arno; 2.0 dal potere mediante
gli eseguiti lavori scaricarsi nel mare, senza che le acque
marine accrescano Y estensione 0 1* altezza de* suddetti sta-
gni 0 laghi; 3.° dal venire le acque di questi mosse e rin-
novate dalle pioggie e dall' irruzione de' torrenti appen-
nini; 4-° dal mancare infine al presente in essi la morte
e perciò anche la corruzione di que' vegetabili che vivere
non possono nelle onde salse (571). Sono le acque dolci
quelle che seco portano i germi d' infezioni e trovano una
favorevole circostanza a svilupparli nell'impaludamento,
non diversamente che portano i semi delle canne e ne
nasce lo svolgimento. Fa osservare il prof. Federigo che
le città circondate affatto dalle sole acque marine sono pid
salubri di quelle che lo sono dal miscuglio delle acque
dolci colle salse. Nelle epoche piti remote, Venezia, Ra-
venna, Aquileja, Caorle, Eraclea, Grado ec. erano assai
più salubri che oggidì essendo circondate da profonde acque
marine. Per un taglio praticato dai Padovani nella Brenta
si formò nel 1826 un deposilo limaccioso nella laguna
veneta dannoso alla città di Venezia. Quando alcune boc-
che di fiumi poterono versare nella laguna le loro acque
ne nacquero tali danni che la Repubblica dovette farvi
porre riparo, ciò avvenne nel 1327, i3oc), i433, 1 438
e i43g- Perle continue deposizioni della Brenta si era
formata una penisola con canneti verso Venezia, la quale
giungeva sino a S. Giorgio in Alga, fu per l' escavazione
de' profondi fanghi che secondo il Massa (de pisticch. etc.)
nacque nel i520 una febbre epidemica (5 72).
Conchiudo adunque, su qualunque parte della terra avrà
luogo il concorso delle succennate circostanze calore > umi-
dità e corruzione di sostanze vegetabili, sia poi nelle ri-
saje, sia nei maceratoj, sia nei fontanili, sia nelle paludi
propriamente dette 0 nelle maremme si avrà inevitabil-
mente tra noi ed in regioni , che dalle nostre poco diver-
sificano, le febbri intermittenti e queste si avranno pure
in altri climi, quando, per l'aggiunta di speciali circostan-
ze esse non vestano la forma di febbre gialla.
In correlazione a quanto asserisco, io ritengo non potersi
avere per officine di tali febbri i prati irrigatorj e quella
specie di essi, che in Lombardia chiamasi marcita.
Sui prati non vi è ristagno d* acqua , non azione di ca-
lore su vegetabili macerati 0 morti , ivi la vita è invece
nella sua piena attività, ivi sulle erbe, che con tanta fa-
cilità il suolo produce e che con rapidità crescono e si ri-
novellano, ivi sui fiori , che da esse si svolgono e che sono
destinati appunto a perpetuare la vita vegetativa, ivi, dico,
il sole co'suoi raggi invece di operare una putrida fermen-
tazione madre di febbriferi miasmi, dispensa energia ed i
più dilettevoli e variati colori.
Noi vediamo, che i prati irrigati fanno parte principale
dei quadri, coi quali i poeti ci rappresentano la bellezza
della natura, e fanno parte de' luoghi lodati per la loro
fertilità, per la felicità degli abitanti, per la numerosa po-
polazione e per la civilizzazione; così si disse della miste-
riosa Atlantide, così delFEtruria, così della Grecia (573).
E la artificiale estesa irrigazione (074) della Bassa-Lom-
bardia e l' invenzione de'prati a marcita (575) sono ante-
i83
fiori all'epoca dell' insalubrità procurata , cioè ali nitro-
dazione delle risaje.
Riguardo alle marcite lombarde si scorgerà facilmente,
quanto a torto vengano incolpate di rendere 15 ària insa-
lubre , qualora si rifletta, che questa specie di prati non
solo è in migliore situazione degli altri, quantunque irri-
gatori , per la maggior facilità con cui i acqua scorre e
scola, e con cui viene asportato qualunque vegetabile mor-
to o putrefatto, ma perchè accade, che il tempo in cui essi
sono in vigore si è l'inverno, stagione appunto nella quale
i.° Tazione del sole è debole ; 2.0 non ha luogo putrida
fermentazione ; 3.° non generansi miasmi ; 4-° finalmente
non avviene , come il fatto lo dimostra, alcuna febbre pe-
riodica in mezzo alle più estese marcite. Io non negherò,
che nei paesi ove sono prati irrigatorj e marcite avere
si possano in maggiore 0 minore copia quegli incomodi,
che necessariamente dipendono dall'umidità; che si avran-
no cioè e quelle modificazioni fisiologiche , e quelle alte-
razioni patologiche, delle quali ho già tenuto discorso e che
sono conseguenze del predetto stato igrometrico dell'atmo-
sfera , ma non si avranno le febbri intermittenti , a pro-
durre le quali l' umidità per se sola non è capace. Ove
per altro havvi umidità e azione forte del sole, come in
estate 0 in autunno, nella quale ultima stagione, senza es-
sere molto diminuita l'attività de* raggi di quell'astro, la
vita in molti vegetabili ha il suo fine, ivi, dico, non è poi
a maravigliarsi se , quantunque manchino e paludi e ri-
saje, si mostreranno le dette febbri più che nei luoghi ove
i prati mancano ed arido è il suolo. Ad onta di ciò è fatto,
che nei luoghi a prati ed a marcite, sì le febbri periodi-
che , che le malattie in generale saranno assai meno fre-
i84
quenti, che in quelli a risaja e paludosi , alla quale verità
non possono a meno di sottoscriversi i signori Reddatori
della Biblioteca Agraria (5 76). E il signor Conte Carli
in una nota all'Economia politica di P. Verri rispondendo
alla taccia dei danni attribuiti all' umidità cagionata dalle
irrigazioni, dice di non sapere se le esalazioni cagionate
dalle irrigazioni sieno maggiori 0 più nocive di quelle, che
sarebbero sortite dalle acque stagnanti e dai terreni umidi,
freddi e paludosi , che l' industria e 1' arte ha saputo esic-
care per derivarne inferiormente gli scoli a benefìzio dei
fondi, i quali senza di ciò sarebbero restati infruttiferi e
incolti, e per conseguenza non menocontrarj alla salubri-
tà del clima (577).
CAPO XII.
Se il nocivo principio palustre stia unito all'acqua e con
questa s'infiltri pel suolo mischiandosi alle acque po-
tabili oppure si sparga nell'aria; ed a quale altezza
e distanza possa essere nella medesima trasportato.
Per ciò che si è detto parmi potersi ritenere , che la
febbre intermittente sia dovuta ad uno speciale quid ri-
sultato dal concorso dell' umidità , del calore e delle so-
stanze vegetabili morte e decomposte. Ma questo quid
eziologico sta egli nell' acqua e nascosto in essa nuoce a
chi la beve, 0 spandesi egli per l'aria?
I. Quantunque io non sia per negare, che l'acqua delle
risaje, delle paludi, dei fontanili , e delli stagni , ove ma-
cerasi canapa , lino , 0 qualunque altra sorta sostanza or-
ganica, possa essere dannosa a chi la beve , ritengo però ,
i85
perchè T osservazione e i fatti me ne autorizzano , che al-
tre malattie ne possono accadere, non già febbri intermit-
tenti (578), Che il quid febbrifero però sia nell' acqua,
me ne dissuade il vedere che dessa anche ne' luoghi , ove
le febbri in discorso sono frequentissime ben di rado è at-
tinta ed usata per bevanda 0 per la preparazione dei cibi.
Se poi non fosse che l'acqua potabile il veicolo del mia-
sma, come resterebbe più facilmente illeso dalle febbri
periodiche colui che guardasi dall' esporsi all'aria nei cre-
puscoli, colui che sta ben coperto, ciò che vedesi costan-
temente avvenire in Olanda, in Lombardia ed altrove?
Quanti vengono presi da febbri intermittenti 0 da febbre
gialla senza abitare in mezzo risaje 0 a paludi senza bere
le acque di quei luoghi, ma soltanto col passare pel Lodi-
giano, per la Sologna, 0 attraversando le Paludi Pontine
e la città di Vera-Cruz! (579).
Ma quest' acqua supposta dal miasma infetta , se non
nuoce , perchè non attinta alla superficie del suolo al fine
d'essere bevuta, mantiene essa la sua malefica virtù po-
sciachè ha trapelato pel terreno , e quindi viene da noi
presa nei pozzi 0 ad altra sorgente ? Sta contro l' afferma-
tiva l' osservare, che Roma sempre molestata da febbri in-
termittenti beveva e beve acque le quali derivano dalle
alture circostanti per mezzo de' tanto celebrati acquedotti ;
che Vera-Cruz non può accagionare delle sue febbri en-
demiche l'acqua dei meganos filtrate pel suolo, poiché
usa quella conservata in cisterne. Rivolgendoci poi a con-
siderare le risaje, le paludi, i fontanili ec. della Bassa-Lom-
bardia, non vediamo noi, che allorquando li fiumi 0 i la-
ghi sono traboccati e li stagni ridondano d'acqua, che quan-
do le risaje sono pienamente adacquate (tempo in cui l'ac-
i86
qua per ìa sua abbondanza e per la sua pressione sulla
superficie del suolo potrebbe ampiamente trapelare per
esso e somministrare bevanda nocevole)in quel tempo, di-
co, non dominano le febbri intermittenti , ma cbe la sta-
gione di queste è appunto quella, in cui i stagni e li fiu-
mi lasciano o tutto o parte del loro fondo esposto all'azione
del sole d' estate , ed in cui le risaje venendo asciugate
sono cambiate in pantani? Non vediamo noi essere mole-
stati dalle febbri altresì quegli abitanti, che stanno in luo-
go più elevato ed al nord delle risaje, dei fontanili, o di
qualunque palude, quantunque il pendio del. suolo ed il
corso delle acque sotterranee sia verso il sud o il sud-est.
Se l'infiltramento delle acque della nuova risaja di cui ho
parlato di sopra (Gap. IV), e posta più in alto dell' abitato
fosse stata la cagione delle epidemiche febbri, perchè du-
rante il dominio di queste, ne avevano ad essere infetti
que' coloni d'altri comuni, che erano posti superiormente
al livello della risaja e lungi quasi un miglia ?
Una febbre intermittente, che nasce appena si sono ma-
cerati in qualche innocuo stagno del lino o della canapa
può essa dipendere più facilmente dalla creazione del mia-
sma , dallo svolgersi e spandersi del medesimo per l' aria
oppure dall' acqna corrotta, che abbia penetrato il terreno
ad una profondità di molti metri e contro la pendenza del
suolo sia giunta nei pozzi ? Io lascio al sensato lettore il
giudicarlo, ma quest'ultimo caso accadere quando
In caput alla suum labenturab cecjuore retro F lumina...
Lo stesso signor Parent Duchàtelet difensore de' ma-
ceratoi non testifica egli stesso che le acque delle fontane,
de' pozzi che stanno in vicinanza di quelli non sono alte-
rate nelle loro qualità potabili ? (58o).
Le acque poi che si bevono in estate ed autunno si be-
vono anche in inverno, nel qual tempo non sonovi malat-
tie: saranno adunque le acque de'pozzi cangiate di qualità?
Ad ajatarci onde ribattere l'idea favorevole all'infil-
tramento viene il fatto, che il suolo argilloso, quello cicè
che lungi dal permettere un facile infiltramento è meno
permeabile d' ogni altro all' acqua , anzi la conserva mag-
giormente, ed in modo, che più a lungo vi si putrefanno
rimasuglj vegetabili e lentamente viene dissipata a poco
a poco dall'azione evaporante del sole, tale suolo argilloso*
ripeto , è appunto quello più proprio e comune ai luoghi
più paludosi e più insalubri (58i). E tanto è ciò vero che
il celebre Linneo (58^) aveva creduto che l'argilla con-
tenuta nell' acqua fosse la cagione delle febbri intermit-
tenti. Non posso però tralasciare di far qui notare, almeno
per digressione, quanto sia erronea questa opinione, secondo
la quale anche a piacere con acqua contenente dell' ar-
gilla si potrebbero produrre febbri intermittenti ; ma que-
ste certamente non si avranno mai con tal mezzo , come
mai si acquistano dai varj popoli della terra, presso i quali
uso o bisogno è Tingojare dell'argilla, e che veramente
vanno perciò soggetti ad altri incomodi di salute. Perchè
poi queste acque poste su di un fondo d' argilla o di que-
sta terra impregnate e che sempre sono le stesse , dovreb-
bero essere nocive soltanto in estate e principio d' autun-
no, quando cioè dominano le febbri in discorso anche in
mezzo alle risaje?
Thouvenel (583) aveva notato, che la composizione del
terreno contribuisce assai al maggiore, o minor grado d'in-
salubrità, infatti, die' egli, le colline sulle coste toscane
formate di tufo e di sabbia, sono meno malsane, che quelle
i88
d'argilla e di marna, per le quali le acque permeando dif-*
fidimeli te, rimangono abitualmente più umide ed esalano
vapori guasti. E pure di lui osservazione (584) che le ri-
saje sono più o meno malsane secondo la diversità del ter-
reno, e noi vediamo, che quelle, le quali sono su di un
suolo argilloso affatto come a Gerchiate in vicinanza di Rho,
alla Cascina Triulza oltre la Certosa di Garegnano presso
Milano sono più dannose che non quelle dell'agro Pavese.
Invece il suolo ghiajoso derivante dagli Appennini misto
a fina marna argilloso-calcare non lasciando ristagnare
molto le acque, rende le risaje delle Provincie di Ascoli
e di Fermo meno insalubri, ed alla circostanza pure di un
suolo sabbioso non che alla tardanza della maturazione e
di esiccamento del riso coltivato intorno a Ravenna potrà
pure attribuirsi la pretesa (585) innocuità di quelle risaje.
La parte settentrionale della Martinica, che ha un suo-
lo di pietre pomici le quali assorbono l'acqua , è salubre ,
negli altri luoghi ov'esso per contraria ragione rimane co-
perto di acqua dominano le febbri intermittenti (586). Le
acque stagnanti dell'Ohio vengono trattenute dal terreno
argilloso che è al di sopra di Galiopoli e vi si generano
febbri in autunno.
La superficie argillosa della Scania, della Sudermania,
della Zelanda, del Poitou, de' Governi d'Astrakhan e d'O-
rembourg mantiene l'umidità, e vi dominano le dette ma-
lattie. Le acque stagnanti su di un terreno di tale natura
diedero abbondanti miasmi a Groninga nel 1826. Nella
Polonia , nella Prussia orientale sonovi altipiani argillosi ,
che trattenendo alla loro superficie le acque danno origi-
ne a lagune e paludi insalubri. Un altipiano di tal specie
dalla Provincia di Como discende in quella di Milano dal
i89
nord avanzandosi verso il mezzodì sino ad oltrepassare a
ponente la capitale della Lombardia. Questo altipiano ar-
gilloso conosciuto sotto il nome di Groana è in parte in-
colto, e non producente che brugo (58^) od arbusti. La
porzione però, che è già stata coltivata compensa assai bene
le cure dell'agricoltore. Un altro superficiale strato di ter-
reno di simil natura discende pure da settentrione, ma più-
a ponente del sopraccennato. Assai esteso sul principio si
va questo restringendo, non termina però, come disse Brei-
slak (588), a Saronno, ma bensì si estende ancora per due
miglia formando un altipiano ragguardevole tra li due tor-
renti Lura e Bozente sin oltre il Comune di Origgio.
Sopra ambidue queste estensioni di terreno argilloso
(piìi per altro sulla parte di essi non coltivata che su quel-
la che la è), ovunque l'acqua tanto di pioggia, che quella
artificialmente condotta , si arresta sia sui corpi principali
di tale terreno, che sulle sue diramazioni, forma degli sta-
gni, da' quali nella state inoltrata svolgonsi miasmi palu-
stri dannosi a coloro che abitano i contorni. Ciò verificasi
per quelli che vivono vicino alle fornaci di mattoni o in
certe cascine dei Comuni di Cogliate , di Garbagnate y di
Uboldo e d' Origgio, poiché sono essi frequentemente e
ben puossi dire ogni estate attaccati da febbri intermittenti
ostinate e ciò pure avvenne ogni quai volta si volle intro-
durre su quel suolo la coltivazione del riso acquatico.
Che invece i miasma, i quali s' innalzano dal suolo pa-
lustre, qualunque egli sia, vengano accolti e qua e là tra-
sportati nel seno dell'aria atmosferica, noi possiamo accer-
tarsene coli' osservare essere preso dalla malattia, chi sol-
tanto viaggia per luoghi insalubri o posti in situazione tale
da ricevere il vento , che passa sulle fonti d' emanazione
miasmatica.
igo
II. Che poi il miasma in discorso sia sciolto e sospeso nei
vapori, i quali dalle acque specialmente stagnanti o quasi
stagnanti s'innalzano, ce lo indica il venire assalito dalla
malattia propria de' luoghi paludosi, chi si espone nel tem-
po del cadere della rugiada, o trovasi poco coperto. Que-
sta è cosa volgarmente nota tra noi come nella campagna
romana e in tutti i luoghi paludosi , e racconta Pringle
(589) che molti soldati, i quali onde procurarsi foragio
partirono alle ore quattro del mattino e viaggiarono per
una campagna assai umida per ritornare prima del gran
calore della giornata , furono presi da febbre al ritorno
della gita che avevano fatta in mezzo a vapori densi e di
un odore nauseante, E infatti se portiamo l'occhio sui fon-
tanili in un'ora in cui i raggi solari sono molto obliqui, noi
li vediamo coperti di una nebbia pia 0 meno spessa ch'io
ho veduta nel giorno stesso del solstizio invernale. Tal
nebbia la quale , come è noto , risulta dai vapori acquosi
che da que' luoghi s'innalzano, diviene agli occhi nostri
sensibile, perchè l'acqua di queste semipaludi avendo una
temperatura pia bassa di quella dell' atmosfera , appena il
sole pia non giunge a riscaldare li strati d'aria più vicini
all'acqua e perciò pia non dirada ne spande i vapori, tali
strati della medesima raffreddati fanno sì che essi vapori
si condensano e da invisibili diventano visibili 0 vescico-
lari. Ciò avviene pure sulla terra, ma siccome il suolo ha
per il calorico una maggiore virtù assorbente ed emittente,
esso raffredda pia tardi li strati d' aria, che gli sono a con-
tatto e noi per lo più non vediamo i vapori, che erano di-
spersi ed invisibili nell' aria se non che allorquando sono
sotto forma concreta 0 di rugiada. Egli è appunto in grem-
bo ai vapori acquosi sia invisibili , sia vescicolari , che li
l9l
miasmi s'innalzano per l'azione dei sole e discendono poi
coi medesimi fatti liquidi alla sera o alla mattina , quan-
do la facoltà dissolvente dell' aria atmosferica per 1' acqua
si è fatta minore attesa la mancanza di calorico. Ed è ap-
punto in quelle due epoche del giorno , che l'organismo
animale (il quale ha pel miasma un' affinità elettiva o for-
s' anco è il solo reattivo , che serve a farne conoscere la
presenza) , quanto maggiormente a tale malefica umidità
trovasi esposto, ne viene più facilmente avvelenato (590),
Pare ciò non fosse ignoto ad Omero (591). quando fa dire
ad Ulisse gettato dall'onde all'Isola de' Feaci :
Se in riva al fiume l'angosciosa notte
Io sto vegliando, temo, ohimè ! che rea
Brina 0 rugiada non mi strugga al tutto
Sì stanco e fiacco: e gelida dal fiume
L'aura pur spira ai mattutini albori.
Erroneamente al danno dell9 umidità notturna davasi in
Arcadia diversa spiegazione , ritenendo , che le acque del
Lago Feneo nuocessero soltanto, quando fossero bevute di
notte (592).
Riguardo all'altezza, cui possono giungere i miasmi ad
offendere gli abitanti, sono varj i pareri dei fisici.
III. Secondo i Delegati Pontifici (1825) a quelle al-
tezze delle abitazioni nelle Provincie di Ascoli e di Fer-
mo, che soprastavano anche soli cinquanta metri allivello
delle risaje non si aveva da esse gran danno. Invece Fer-
gusson racconta che alla Dominica essendosi collocato un
posto militare su di un monte, che s' innalzava sopra la
maremma circa centometri, si trovò l'aria di quel luogo
i9*
tanto pestifera, che nessun bianco vi poteva vivere. Ed alla
Trinità nessun creolo spagnuolo poteva dormire impune-
mente a i3o metri circa superiormente alla maremma.
Secondo Rigaud de l'Isle sembra, che non possano innal-
zarsi i miasmi al di là della linea, ove giungono le neb-
bie p. e. a 208 0 3 06 metri al di sopra del luogo, da cui
si sviluppano i febbriferi effluvj.
Il monte Mario presso Roma , che da Breislak fu giu-
dicato non meno insalubre dell'Agro romano, s'alza 148
metri sulla superficie del mare e li monaci, che vi abita-
vano furono molestati dalle febbri intermittenti , che epi-
demicamente regnarono nella così detta Città Leonina nel
1695 dietro le miasmatiche emanazioni de' luoghi stati
inondali dal Tevere (093),
La piazza di Terracina , che è posta a soli 38 metri al
di sopra del livello del mare è soggetta ugualmente alle
febbri, come lo sono le nuove abitazioni , che stanno sulla
spiaggia. Tivoli invece, che ha un'altezza sul mare di
metri 208 e Sezza che sta 3o6 metri sopra le Paludi
Pontine sono immuni dal dominio della malattia.
Monfalcon (594) dice potersi valutare da 4°° a 5oo
metri 1' altezza a cui possono innalzarsi gli effluvj mia-'
smatici, e Blane (595) ritiene aver osservato, che li me-
desimi possono ledere a quasi 700 metri d' altezza dalla
loro origine.
Il sig. B. de Humboldt (596) stabilisce a 928 metri sul
livello dell' Oceano, cioè al luogo dell'Elicerò superiora
mente a Vera-Cruz , il limite, a cui giunge il miasma
della febbre gialla.
Siccome li fatti pia ci dimostrano la realtà dell' innal-
zamento de' miasmi, di quello che determinino la vera al-
*93
tezza, cui possono arrivare, la fìsica forse supplisce col suo
soccorso indicandoci, che 1* ultimo confine, a cui puògtun-»
gere sospeso nei vapori il miasma paludoso , dovrebbe es-
sere quello, nel quale li strati d'aria atmosferica diradati
dal calore, che loro comunica la superficie terrestre, giun-
gono a quegli altri superiori , i quali , quantunque meno
densi per la loro alta situazione, avendo però una piti bas-»
sa temperatura , non li lasciano passare più oltre e can^
giando il loro modo di essere li precipitano in rugiada; nò
ciò pare sia sfuggito all'Alighieri, clie cantò ;
Ben sai come nell'aer si raccoglie
Quell'umido vapor, che in acqua riede
Tosto che sale dove il freddo il coglie (597),
Il qual fenomeno succederà tanto più facilmente, qua n-*
to più il cielo sarà sereno (come avviene al Perù) , che se
vi fosse 1' atmosfera carica di nubi , queste mantenendo
nelle alte regioni di essa un certo calore non permette-
rebbero , che si effettuasse ne' vapori quel cangiamento
di stato del quale si parlò.
Un fatto, che peraltro può assaissimo illuminare tanto
il medico pratico per una buona diagnosi , che il medico
politico 0 i Magistrati , a vantaggio dell' igiene trattandosi
dell'oscura natura 0 incognita provenienza di una malat-
tia epidemica, si è quello, che nei caso di malattia dipen-
dente da miasma palustre, essa comincerà a manifestarsi
limitata alle vicinanze dei putridi focolai, così io ho veri-
ficato più volte; così nell'epidemia paludosa di Bagnarea
la parte della città chiamata B.odia , perchè più esposta e
vicina ai focolai de' miasmi solfrì assai per le febbri; T al*
i3
*94
tra parte pio. lontana ed alta fu libera (5g8); così successe
nell'epidemia del 1695 nella Città Leonina, cosi in quel-
la di Pesaro del 1708 (599), così della febbre gialla d'An~
tigoa (600).
IV. Quanto alla distanza, a cui possono offendere le
particelle miasmatiche, benché ella non possa venire pre-
cisata, sarà facile però il concepire , come essendo le me*-
desime generate in grande copia da qualche focolajo pa-
ludoso e venendo accolte in seno dell' atmosfera sospese
nei vapori acquosi , possano essere portate dai venti alle
più grandi distanze. Ed è forse a ciò, che devonsi attribuire
certi casi di febbri intermittenti, che si manifestano lungi
da luoghi palustri, e che, per la mancanza di questi , non
voglionsi riconoscere dipendenti da miasmi , ma erronea-
mente vengono attribuite ad altre cagioni. Abbiamo ve-
duto, come si sia conosciuta la derivazione de' miasmi in-
festi a Roma dalle Paludi Pontine , quantunque lontane
quaranta miglia in circa, e sappiamo come per impedire
il loro corso Clemente XI sul consiglio del Lancisi (60 1)
proibisse che si tagliassero i boschi di Caserta e di Gister*
ria. In Lombardia vediamo farsi sentire l'azione nociva
delle risaje a cinque e piti miglia, Fodere, dice, che i mia-
smi paludosi possono oltrepassare monti alti da duecento a
trecento tese (602). Gli esempj di lunghi viaggi , fatti da
quelle particelle velenose, sono comuni nella Sologne e
nella Eresse (60 3). Diceva l'Abate Rozier (6o4) che l'e-
sperienza ha frequentemente, pur troppo provato, che « le
« esalazioni delle paludi e delli stagni della Sologne si
« estendono sino a Blois, sino ad Orleans e vi portano il
« flagello delie febbri, » E il Dotfc Ginke assicura che'
i vapori delle paludi della Westfalia possono giungere ,
*9$
come infatti avvenne nel 1822, sino a Parigi. Secondo le
osservazioni fatte da G. Blane all'Isola Walcheren, le cui
febbri paludose nel 1809 furono tanto nocive anche alle
truppe inglesi, le paludi possono spingere i perniciosi ef-
fetti de' loro effluvj a 2000 piedi (6o5). Anzi si pretese
che quelli che si generano ed inalzano neìl' Isola sunno-
minata producano a Londra una malattia analoga alla ma-
remmana (606). I venti saranno quelli che nell'ugual
modo che trasportano particelle più pesanti , come cenere
(607), e sabbia (608),' alle più grandi distanze, vi potranno
pur portare le leggiere molecole miasmatiche; e le attente
e ripetute osservazioni de' medici saranno quelle che po-
tranno fornire un complesso di dati per precisare in avve-
nire le leggi di movimento e le distanze alle quali obbe-
discono quei leggierissimi corpi.
CAPO XIII.
Qual sia l'essenza della malattia prodotta dal miasma
paludoso, e se infiammatoria sia la natura della me-
desi ma.
La rapidità colla quale talora la malattia palustre, tanto
sotto T aspetto formidabile di febbre gialla, che sotto quello
pili 0 meno grave d'intermittente, assale le persone pre-
cedentemente sanissime tosto che passano 0 si trattengono
in luoghi, quali abbiamo veduti essere proprj a simili in-
fermità , basta a mio giudizio a chiaramente dimostrare ,
come la causa di queste affezioni sia estrinseca all' indi-
viduo, e dotata di un'attività nociva assai pronta. Che que-
sta cagione morbosa risulti di corpi dotati di vita, abbiamo
196
veduto essere cosa supposta , probabile , ma non provata»
Che qualora sia inorganica, se ne conoscano i principi com-
ponenti, essere falso. Che poi tali particelle organiche od
inorganiche abbiano origine costante sotto certe circostanze
e cjie vengano per l'atmosfera trasportate, è ciò che in ul-
timo luogo razionalmente ma con bastanti fatti ho stabi*-
lito, Ora venendo a rintracciare su quale superfìcie della
macchina umana in relazione colli agenti esteriori, il mia-
sma paludoso esercita la sua prima impressione, se cioè sul-
J' interna oppure sulla pelle , troviamo essere stato ugual-
mente creduto, eh' esso introdurre si possa per deglutizio*
ne, per la via del respiro e per la superficie cutanea (609),
E quantunque i sintomi prevalenti, epiìi costanti facciano
propendere a vantaggio della prima opinione , noi per al-
tro sino ad ora non possiamo arrecare prova alcuna a so-
stegno di essa , se prescinder vogliamo dai sintomi di affe-
zione allo stomaco , che pia comunemente e con facilità si
riscontrano al primo invadere della malattia.
Circa le parti, alle quali quel principio morboso si di**
rigge con elettiva tendenza, 0 delle quali, per meglio dire,
ferisce e disordina le naturali funzioni, io senza passare
in revista le infinite opinioni de* medici su tal proposito ,
mi limiterò a far notare, coinè tra ì migliori osservatori
d' ogni età abbia sempre prevalsa l' idea , che le parti af-
fette nelle {ebbri intermittenti fossero li organi destinati
alla digestione e nutrizione ; ventricoli , duodeno , fegato ,
milza e mesenterio; Ecco in generale } visceri , che i sin-
tomi da prima manifestano lesi , e poscia le sezioni cada*
veriche dimostrano alterati,
Ed assai bene, in un tempo in cui si cercava render ra-
gione dei fenomeni delle febbri intermittenti con Fa-
*0?
«lotte di un fluido viscoso e velenoso operante sul cervello,*
lo Scarpa (6 io) scriveva: « Veramente tutto ci dimostra
« che il fomite delle febbri intermittenti sta sul ventricolo
«e sugl'intestini, e che agisce specialmente sui nervi
« addominali* Ben si sa come tutti i rimedj febbrifughi é
« prima di tutto operino sulle prime vie, e pift utili e piti
a certi riescano se si uniscano ài narcotici : E ciò altri-'
« menti avvenire non può posandosi la causa morbosa su-*
« gli intestini e di questi irritando i nervi in maniera* che
« speciali e sedanti rimedi si richiedono, S
Venendo alla natura o carattere della palustre malat-
tia, io non parlerò per brevità delle passate' opinioni basate
sulle dominanti teorie $ teorie però che infelicemente noti
partivano che da pure ipotesi , non mài da fatti patologici
0 fisiologici. Né meno poi parlerò della* divisione di essa
in stenica ed astenica * come quella che tròppo vaga ed
incompleta si mostra tanto a soddisfare la pura curiosità
del medico il più teoretico, quanto a servire d'appoggio al
pratico, risultando piuttosto in contraddizione con se stessa
al letto del malato.
In un tempo in cui t osservazióne' e V anatomìa patolo-
gica hanno con gran vantaggio dell' arte di guarire sco-
perto tanto àmpio il dominio di quel processo morboso noto
sino ai medici più antichi , e che dicesi infiammazione ,
merita Y intrattenersi sulla nuova opinione , che riguarda
come d'indole infiammatoria la febbre intermittente.
Il Prof. Broussais , pochi anni dopo il principiare del
presente secolo, mentre in Italia e molto più in Germania
si erano i medici volentieri scostati dall' osservazione ippo-
cratica, e si amava meglio fabbricare sistemi , ai quali far
poscia piegare i fatti, Broussais, dico, prendendo lodevole
rg8
mente un'opposta via, gettò le fondamenta di una nuova
dottrina sulle leggi dell'animale organismo sano, su quelle
del morboso, e sul gran principio della sede delle malat-
tie già indicatoci dal nostro Morgagni : Ed egli ha senza
dubbio sparsa tal luce sulla vera natura di una quantità
di affezioni sempre vedute, non mai, come dovevasi, osser-
vate, che s'io non m'inganno, dai viventi e dai posteri
alla solidità della scienza ed alla utilità della pratica af-
fezionati, non potrà a meno di venir riguardato il Profes-
sor francese come sommamente benemerito della scienza
nostra. Non così, cred'io, potrà dirsi circa l'opinione di lui
sulla causa prossima delle febbri intermittenti. Lusingato
forse l'occhio suo dalla felicità di altre ottenute scoperte,
ha in queste febbri tenuto troppo conto di certi fenomeni,
dato un men che giusto valóre a certi fatti, e veduta tale
analogìa tra di essi di poterli riguardare non in grado, non
in apparenza, ma in vera essenza uguali. Egli ha creduto
scorgere sintomi d'infiammazione del tubo alimentare nelle
febbri periodiche, e non ha esitato a giudicarle altrettante
gastro-enteriti (61 1). Se con tale maniera di considerare
la suddetta malattia ha soddisfatto alcuni , altrettanto non
avvenne di me. Onde io intorno a ciò:
i .° Farò prendere in considerazione dai lettori, come
mai dare si possa, che infiammazioni lievi (quali supporre
dovrebbonsi esistere nelle lievi intermittenti) non meno che
infiammazioni gravi (quali supporre dovrebbonsi esistere
nelle intermittenti perniciose coleriche, pneumoniche ec.)
guarir possano ugualmente con qualche pia o meno valido
febbrifugo, il che accader suole infatti e si verifica da
chiunque ordinariamente, e nella pratica la più ovvia. Né
io qui ewtrerò a questionare ed a giudicare se la china
*99
sia dotata di virtà eccitante* tonica o coti iras limolante* ma
dirò essere essa tale * che contro infiammazione alcuna *
non può assolutamente tener luogo di rimedio antiflogi-
stico. Oltre di che non so come mai nella cura della feb*
bre intermittente escludere si possano d'ordinario i rime*
di antiflogistici e tra questi le cacciate di sangue, mentre
non solo quasi mai si può farne senza nelle infiammazioni
delli organi destinati alla digestione e nutrizione per ima
pronta e completa guarigione, ma delle quali egioco forza
il confessare V efficacia la più manifesta e riscontrare in
esse il più diretto e pronto giovamento.
2.° Farò osservare come accader possa comunemente una
minima mortalità di queste febbri trattate coli' antico ed
ordinario metodo di cura , e cìiiederò se un sì felice esito
si avrebbe , quando si trattassero gravi e, concedasi pur
anco , lievi malattie infiammatorie con simile metodo di
cura.
3.° Farò riflettere che la circostanza dell'essere inne-
gabili i risultati o prodotti della flogosi, che si rinvennero
ne' cadaveri di cbi perì di febbre gialla o di febbri più o
meno gravi periodiche, non è atta a provare la natura ott-
ginariamente infiammatoria di tali malattie; primiera-
mente, perchè non sempre nelli estinti da queste, per con-
fessione delli stessi brossesiani trovansi i prodotti flogistici,
i quali d'altronde non mai mancare dovrebbero se la na-
tura di esse fosse per se infiammatoria, come mai non man-
cano in seguito alle encefaliti, o alle pleuriti mortali ec;
in secondo luogo , perchè il processo dell'infiammazione
potendo precedere, unirsi e tener dietro alle febbri succi-
tate, come più sotto dirò, qu e' prodotti non sono in fine,
che o preesistenti guasti, o conseguenze necessarie di que-
tiòo
sta complicazione che o rese la miasmatica malattia più
nociva o per se stessa cagionò la morte.
Alla falsa credenza della natura infiammatoria delle
febbri intermittenti hanno a mio giudizio dato luogo due
errori, ed una verità mal interpretata. I due errori
consistono nel credere identiche le febbri continue e le
intermittenti, e di credere che l'infiammazione sia un pro-
cesso, il quale possa talora andare soggetto alla intermit-
tenza. La verità mal interpretata è la complicazione dello
stato infiammatorio colle febbri intermittenti. Adunque su
questi punti importanti non posso prescindere di fare le
seguenti considerazioni: e
i.° Circa l'identità perfetta della febbre intermittente
colle continue (612)» Qualora si ammetta , ch'egli non è
veramente se non che all' unione di tali e tali altri sinto-
mi, che dato venne il nome dì febbre, ne avverrà che tanto
nel morboso stato il quale chiamasiye£Z^e continua , che
nella febbre intermittente, avendosi un eguale disordine
delle ordinarie funzioni, una uguale insorgenza di moleste
sensazioni , insomma un' uguale compage di sintomi: non
sarà fuor di proposito il riguardare, sino ad un certo pun-
to, uguale e per certo lato identico lo stato morboso rispet-
tivo e della prima e della seconda , e si Y uno che l' altro
esprimere (giacché legge di convenzione lo autorizza) col
nome di febbre. Ma quando si rifletterà che questo stato
patologico dell' organismo animale può con un corredo di
medesimi sintomi ora dinotare una specie di disordine o
alterazione morbosa , or altra affatto diversa (quantunque
apparentemente uguale), si scorgerà allora quanto necessa-
rio egli sia, tanto per ottenere una perfetta conoscenza della
lesione, che per applicare un'appropriata cura, il non con-
siderale la febbre se non che qual espressione di un sof-
ferimento, qual risultato di una causa tumultuante o quale
effetto periferico di un centro morboso, e meglio sia partire
invece da altri dati , che meglio possano porci al possesso
dei due surriferiti vantaggi. Havvi tra questi dati (e nel
caso nostro è da considerarsi il principale) la cagione re-
mota, la quale ha dato luogo al tumulto, al disordine, in
somma, alla febbre sulla quale discorriamo. Or dunque:
se la cagione, che sveglia la febbre gialla o la così detta
febbre intermittente è specifica , particolare , diversa da
tutte quelle altre cagioni che danno moto ad ogni altra
malattia ed alle febbri continue: O in altri termini, s'essa
consiste in un principio deleterio non diverso p. e. dal con-
tagio vacuoloso , il quale genera una malattia diversa da
quella che si ha dal contagio della rogna o da altro: non
potrassi mai dire chela febbre paludosa decorrente il suo
corso sotto la massima apparenza di continua remittente e
di subcontinua, sia uguale ad una febbre continua mossa
da altre cause. La prima sarà diversa affatto da questa sotto
quel tipo tanto analogo e somigliante al continuo , quanto
lo sarà sotto 1' altro di quartana o di ottana che tanto ne
differisce all'occhio il più rozzo. Di più, basterà a dimo-
strare la differenza questo solo fatto che quella corteccia
peruviana la quale è necessaria ed utilissima amministrata
nel tempo di attuale piressia in una febbre subcontinua
miasmatica, non giova in una febbre che accompagna un'
epatite, o una tisi quantunque si riscontrino in esse mar-
catissime remittenze o per ■•meglio- dire anche una certa
quale intermittenza. La malattia paludosa adunque è spe-
ciale ; e diversa da ogni altra sotto qualunque aspetto si
mostri, come quella che tien dietro al morso della vipera
202
diversifica dall' altra ctii dà luogo il veleno idrofobico. Né
i sintomi di sofferimento e di reazione (febbre) comunque
si manifestino nella nostra o in qualunque altra morbosa
alterazione uguali , potranno e per origine e per essenza
renderle tra loro identiche»
a.° Circa la questione se una malattia veramente in-
fiammatoria possa andar soggetta ad intermittenza, io pre-*
metterò, che tosto sciolta essa sarebbe colla risposta, che la
malattia miasmatica e palustre essendo una malattia sui
generis nata da causa specifica (come risulta da quanto si
è detto nel corso dell'opera e soggiunto qui sopra), essa
non sarà mai un' esenziale malattia infiammatoria, come
questa non diverrà mai malattia miasmatica. Infatti, astra-
zione fatta dalle complicazioni, una pneumonite non sarà
mai un vajuolo, né questo quella,
Ma siccome si è preteso che una infiammazione possa
intermettere , e si sono arrecati fatti in prova ? e siccome
questa supposizione potrebbe trarre i con se un' erronea
diagnosi e un dannoso metodo di cura, così uopo sarà l'in-
trattenersi su questo argomento. Al che fare però, neces-
sario è da prima dividere 1' assunto in due tesi, cioè :
a) Che le pretese infiammazioni accompagnate da in-
termittenza non erano vere infiammazioni. — b) Che le
intermittenze diesi credette vedere accompagnare le vere
infiammazioni non erano legittime intermittenze.
a) Amo credere che il clinico osservatore e sensato
non abbia dubbio sulla vera differenza, che passa tra un
intenso rossore d'occhio, tra un acuto dolore a tutte le ar-
ticolazioni, tra una cefalalgìa fortissima, sintomi ^che ac-
compagnano talora una febbre intermittente ottalmica >
un' artritica, una cefalica; e que' rossori, dolori, cefalalgie,
203
che s* associano ad un'ottalmite, ad un' artrite , ad un' en-
cefalite anche le meno gravi: E ciò non solo, ma che egli
trovi ben diverso altresì il dolore puntorio al petto, la tos-
se, l'ardore interno, i dolori all'addome, il sopore, oppure
il furioso delirio, che accompagnano le febbri perniciose
pleuritiche o peripneumoniche, le gastro-enteriche, o le
frenitiche, dalle vere péri pne unioni e, e pleuriti, dalle ga-
stro-enteriti, dalle apoplessie e dalle freniti. E veramente
la comparsa de' mentovati sintomi comunque spaventevoli
senza preceduto corrispondente mal essere o senza gradua-
to aumento, la loro breve durata, la loro cessazione senza
soccorso o rimedio alcuno, senza rimanenza di susseguente
lesione di funzioni negli organi o visceri da prima tormen-
tati (fenomeni, tutti, che possono anche replicatamente
comparire e sperdersi da se), manifestano chiaramente, che
non era un processo infiammatorio quello che molestava
l'occhio, le articolazioni, il cervello, il polmone, il ven-
tricolo e gl'intestini, giacche un'infiammazione di questi
visceri comunque lieve non si calma, non termina mai da
se così rapidamente , non lascia così libere e naturali le
parti che prima ha assalite.
E questa una verità la quale sarà sempre caduta sot-
t' occhio a tutti i pratici, ma che da pochi è stata presa in
considerazione e da pochi valutata come meritava. Però
una tale diversità di essenza in due stati patologici somi-
glianti non è sfuggita a. Guglielmo Cappel di Gottin-
ga (6i3) ed egli infatti così si esprime su tal proposito:
« Quantunque uomini illustri abbiano menzionata lapneu-
monite intermittente, ed in alcun modo dubitar non si possa
che furono vedute intermittenti malattie accompagnate dai
soliti sintomi di pneumonite , pure io ardisco negare , che
ào4
fossero vere pnetimonìtl ì ma ritengo eli1 esse non fossero
che congestioni sanguigne appena appena alteranti la strut-
tura de* polmoni * e le quali accompagnano il movimento
febbrile e col cessar di questo svaniscono. » Non diversa-
mente il Prof. Tommasini , che riferisce il suddetto passo
in appoggio alla sua maniera di pensare su questo oggetto?
soggiunge (6i4): « Ben altro è infatti che sotto Furto va-
scolare di un'ardita febbre periodica una parte, qualsiasi^
0 per naturali sue disposizioni o per precedute malattie
atteggiata pia delle altre allo stimolo , s' ingorghi tempo-
rariamente e sia affetta da superficiale stimolo doloroso:
ben altro è che compisca quel profondo turgore di fibre, e
quel cambiamento di organiche condizioni , in che il vero
processo dell' infiammazione consiste. Nel primo caso il
turgore o lo stimolo della parte è sintomatico del parziale
processo flogistico \ e può bene la febbre o cessare , o di-1
minuirsi, e per cento condizioni e vicende dell' Universale
manifestarsi irregolarmente ed a salti : ma l' infiammazio-'
ne, che è base della malattia , sussiste però ferma e per-
corre pia o men lento , e pia o men vario , per irregolari
riaccensioni il non interrotto suo corso. » Ed io volendo qui
per ora con poche parole manifestare la mia maniera di
vedere e di pensare in proposito, dirò non consistere que'
sintomi che in una pura e semplice irritazione , non mai
in un' infiammazione locale , benché la pia mite. Se non
veduta dal Prof. P. Frank o dal Prof. Tommasini, occorse a
me vedere in una donna una febbre intermittente accom-
pagnata di pseudo-ottalmite monocolare, ma la riscontrai
altresì cessare nel tempo dell' apiressia e non pia ricom-
parire posciachè la chinina ebbe impedito il ritorno del
tumulto febbrile, ne scòrsi rimanere la minima lesione al-
205
l'organo stato ripetutamente ingorgato di sangue. Mi si
presentò in una giovinetta un'artritide alle inferiori estre-
mità che compariva durante l' accesso di una terzana ac-
quistata nella Bassa-Lombardia , vedeva però i dolori cai*
mati nel tempo dell' apiressia e vidi ogni cosa permanette
temente troncata dopo- 1' uso della china.
In oltre, chiamerassi egli stato infiammatorio quello che
in una subentrante o in una subcontinua risulta da ar-
dore insoffribile interno, da sete molesta, da smania, da
agitazione, da calore cutaneo accresciuto, da polsi frequen^
tissjmi, da lingua arida e rossa, e che viene nel suo com-
plesso calmato o tolto dall'ingojata corteccia del Perù odal
prezioso alcaloide ch'essa somministra, mentre trova ri«
buttanti , oppressive le bevande acquose nitrate , oleose o
simili? Chi poc'anzi sotto acuti dolori limitati aU'epiga*
strio o estesi a tutto l' addome, sotto eccessive evacuazioni
cbolériclie, spasimava e trovavasi ridotto con faccia ippo-
cratica, occhio appannato, estremità fredde , polsi piccoli ,
insomma non diversamente di quello che accader suole
nelle infiammazioni gangrenose gastro-enteriche , ora ri»
ceve senza esacerbazione di sintomi, senza molestia al veri*
triodo, ma bensì con pronto ristoro e permanente vantag-
gio, riceve, dico, qual nuovo divino soffio di vita, la chini-
na unita all'oppio, al vino, a qualunque acqua la pia aro-
matizzata. Né l'utilità del salasso, che ilProf.Pucciuotti ha
con gravi e molte buone autorità dimostrato (Gì 5} essersi
ottenuta nelle febbri intermittenti e perniciose, non vale
a mio giudizio a dimostrane sempre la vera presenza di
una complicazione infiammatoria; tale utilità può benissi-
mo aversi quando la pletora o angioidèsi formi una com-
plicazione di tali febbri. Se poi le febbri che vengono de-
ao6
state da vere infiammazioni possono prendere il tipo inter-
mittente o periodico, perchè in molte, anzi moltissime bron-
chitidi, pleuritidi, pneumonitidi , le quali in alcuni paesi
sono solite dominar sin anche epidemicamente nell'inver-
no, perchè una sola tra di esse non ne succede coi carat-
teri di una febbre intermittente pleuritica, pneumonica
periodica semplice o perniciosa?
I fatti adunque di febbri intermittenti pneumoniche,
gastralgiche, ottalmiche miti o gravi, benigne o perniciose
esistono, ma non esiste parimenti flogosi di ventricolo, di
polmone , di occhi in un con esse. Queste parti non sono
allora che in uno stato di passaggiero turgore sanguigno,
di esaltamento nervoso , di disordine di funzioni. Un'in-
fiammazione vera, legittima non viene a salti replicati la-
sciando sano il malato tra i medesimi, interessa con mi-
nore o maggiore rapidità di corso , e piti o meno profon-
damente i tessuti organici, ma sempre in modo di esiggere
uu tempo piti lungo di quello, da cui risulta un parossismo
di febbre intermittente, per diminuire; il che pure accader
non suole rapidamente. I sintomi numerosi e gravi di una
minacciosa infiammazione potranno venir mitigati , o tron-
cati ben presto dall'arte, ma uguali sintomi che accompa-
gnano una perniciosa cederanno da se prestissimo senza il
soccorso di essa. Neil' infiammazione, se prontamente, cioè
sul bel principio , colf arte non si porta un bastante soc-
corso, se cioè col levare il sangue , col calmar la violenza
del sistema arterioso non si toglie anche il motivo di rea-
zione, e l' alimento al di lei processo, le parti lese, se non
guaste, rimangono però capaci di rammentare, o all'occhio
del medico o al senso del malato , un disordine almeno di
funzione, un'alterato modo di essere, un cambiamento di
condizione nelle parti.
207
Il Prof. Tommasini mercè quell'acuta vista fìsio-pato-
logica e quel genio medico che lo harmo sempre condotto
nella sua lunga pratico-teorica carriera ad esplorare i fatti
con finissimo tatto, ed a stabilire con giustissima logica i
veri principi di una dottrina flogo-patologica che formerà
un'epoca delle pia importanti nella Storia dei progressi
della Medicina, il Prof. Tommasini, dico, sin prima deli 820
neìle sue Lezioni cliniche all'Università di Bologna aveva
manifestati (616) i suoi pensieri sull'incompatibilità del-
l'intermittenza nelle malattie infiammatorie, e sette anni
dopo , di nuovo s' intrattenne sullo stesso argomento onde
ribattere la contraria opinione nuovamente chiamata in
campo da qualche francese (617). Una tale tesi quantun-
que trattata magistralmente ed in tal modo, che ben re-
stìo al buon senso ed al linguaggio de'fatti pratici sarebbe
colui che non ne rimanesse persuaso, pure nuovamente e
da poco tempo è stata fatta dal Dott. Ridolfi di Pisa l'og-
getto di una speciale Memoria (618). E lode pure a ciò
sia; poiché quantunque e i fatti sempre ugualmente si of-
frano alli occhi di chiunque, e quantunque li insegnamenti
dell' illustre Professore parmigiano non possano senza col-
pa essere ignorati, pure utile è assai, che in mezzo agli
allucinamene ed agli strepiti cagionati da succedenti me-
diche teorie; di tanto in tanto siavi chi pietoso all'onore
dell' arte, ed ai bisogni dell' umanità iudichi la retta via
all'osservare, al distinguere, ed al ben ragionare: non che
rivendichi e discopra le verità nascoste ed offese.
Ma veniamo ora all' altro punto, cioè :
b) Che le intermittenze che sì credettero accompa-
gnare le vere infiammazioni } non erano legittime in*
termittenze .
208
Non dubbie infiammazioni o per la qualità delle parti
affette o per gli esiti, ai quali desse sono passate, o per
circostanze meno note hanno nel loro corso calme e rin-
novazioni febbrili che alcuni medici, o per semplice in-
ganno o per vista da particolari principj preocupata, hanno
sostenuto essere le medesime associate a intermittenza o
piìi chiaramente a febbre intermittente.
Quando però noi passiamo in rivista i casi ch'eglino
riferiscono a conferma di loro opinione, troviamo esser ben-
sì questi della natura di quelli, che a noi pure non occor-*
sero in piccol numero nella pratica; ma non dimentichia-
mo che que' casi ci hanno invece mai sempre dimostrato
come tale intermittenza, ora non era che 1' effetto di una
reazione universale (febbre) destata da una località (rea?
zione , che a norma dell' azione mite o forte dello stimolo
locale tendente a svanire oad avanzare, si destava o si as-
sopiva); ed ora non era che una semplice remissione di
febbre o forse un semplice temporario riposo di un proces-
so flogistico suppurativo , ulceroso o carioso. Infatti nelle
acute, e profonde infiammazioni dell'orecchio e sue parti
circonvicine non raro è il manifestarsi di quando in quan-
do una rinnovazione, quasi direi, di malattia con invasione
a freddo ec. allorché la malattìa sembrava già risolta: Cosi
in un'osservazione di Comparetti , che servì ad Itard per
sostenere l' intermittenza nelle infiammazioni ; al malato ,
il quale aveva un dolore intensissimo al meato uditorio e
al lato destro della testa, e fu per moltissimo tempo sotto-
posto a febbre, che si trattò con salassi, indi colla china
pel suo aspetto intermittente, comparve dopo qualche anno
nel fondo dell' orecchio un tumore che tramandava ma-
teria purulenta e fetida (619). E l'Autor francese un* a-
aog
naloga propria ne riferisce unitamente a quelle d'altri ;
in esse però ben si scorgono infiammazioni di orecchie, di
meningi ec. accompagnate da febbre che lasciava simulate
intermittenze. Anche le epatiti presentano frequentemen-
te un'aspetto in tal senso ingannevole. Ma a che andare
qua e là ricercando esempi di tal sorta ? Pur troppo ci oc-
corre ogni dì osservare tisi polmonari confermate nelle
quali ad uno stato oggi , contrassegnate da relativa calma
ne* polsi, da pallore alle gote, da freschezza alla pelle, da
mancanza di tosse; dimani tien dietro, preceduto da freddo,
uno stato a quello opposto o per meglio dire apertamente
febbrile, che si ammansa lasciando il malato nuotante nel
proprio sudore. E quantunque questo fenomeno succeda
molte volte nel decorso della fatai malattia, diremo noi
ch'esso sia l'espressione di un'intermittenza, l'effetto di
un'associata e subentrata febbre intermittente? Tanto nei
casi riferiti da prima che in quest'ultimo non si osserva,
come dissi , che una relativa calma di polsi , però questi
mai nello stato naturale, mai la periodicità , mai le orine
laterizie, mai quell'aspetto di salute che l'infermo dimo-
stra nei giorni di apiressia, finalmente mai giovamento da
alcun così detto rimedio febbrifugo, e dalla corteccia stessa
peruviana.
Adunque tale catena irregolare di parossismi non è che
r effetto di rinnovamento di pia acuti lavori flogistici in
un nuovo organo o in una nuova provincia dello stesso or-
gano; mentre non sono terminati i precedenti. I vari acces-
si óra appena incominciati o acerbi , or perfetti o maturi ,
le raccolte di fibrina qua molle, là più indurita, le mem-
brane morbose qua lievi e sottili, là forti e quasi tendinee
che dimostrano una diversa loro età, le ulceri di maggiora
«4
aio
o minore ampiezza e profondità che trovansi su di uno
stesso individuo morto per ben conosciuta polmonite, epa-
tite ec. o per falsamente caratterizzata febbre intermit-
tente, sono tutti risultati morbosi che formano per conferma
e per dimostrazione di quanto qui sopra ho detto , un tal
linguaggio, e tale prova che ben è sordo chi non l'intende,
e duro chi non si spiega.
3.° La combinazione di uno stato infiammatorio del-
l'organismo animale e della febbre miasmatica è bensì
innegabile , ma non un fatto, che possa dimostrare e con-
fermare la natura flogistica della malattia in discorso. Ed
anzi, l'accadere della loro unione e il modo con cui si fa,
dimostra ancor meglio l' indole o essenza loro diversa. In
fatti la pratica con numerosi casi c'insegna che molte ma-
lattie infiammatorie possono precedere ed associarsi alli
morbosi effetti dell'impressione del miasma paludoso : che
può la febbre eccitata da questa fondersi in quella pree-
sistente flogistica, ma che in questi casi , vinta colli ordi-
nar] sussidj l'infiammazione, vinta non è parimenti la feb-
bre miasmatica, che mostrasi semplice a chiaro aspetto e
si lascia combattere p. e. dal solfato di chinina. La febbre
intermittente altre volte succede a malattia infiammatoria
terminata come alle peritoniti , alle pneumoniti ec. oc-
corse in autunno. Ho veduto gravi infiammazioni di petto
venir susseguite, in quella stagione, da legittima febbre
intermittente , e venir troncata prestissimo la subentrata
malattia colla cura che le si compete senza esacerbazione
ale uà delle pregresse superate flogo:?. Ho veduto recen-
temente in un'individuo che aveva superata una lunga e
grave artritide, comparire una doppia terzana (per essere
la stagione e il luogo a ciò favorevoli), la quale ultima
aiti
malattia sotto li accessi forti e , più eh' era lecito permet-
tere, prolungati, non risvegliò nel minimo grado V infiam-
mazione articolare da poco tempo cessata. E veramente io
ritengo che il succedere di questi casi della febbre inter-
mittente sia «ffetto della subentrante azione del miasma,
noirgià come vuole il Dott. Ridolfi, perchè la causa che
ha destata l'infiammazione abbia agito su quella parte del
cisterna nervoso sulla quale è solilo agire il miasma palu-
doso. Se così fosse avressimo con maggiore facilità febbri
intermittenti con infiammazioni dominanti. E, dato tal mo-
do di operare della flogosi o tale specie di causa d' inter-
mi itenza, si dovrebbe allora ammettere una febbre vera-
mente infiammatoria intermittente, ciò che lo stesso signor
Ridolfi giustamente non vuole concedere.
Oltre questi semplici modi di complicazione non è raro
il vedere quell'altro pia comune, in cui gli ammalati offesi
dai primi assalti della febbre miasmatica, offesi replicata-
mente dalle sue recidive, offesi da cure empiriche irragio-
nevoli ed esacerbanti , offesi dalla rigida temperatura che
tien dietro all'autunno, offesi dalla trascurarla di vìguardi
igienici sono presi da bronchiti, da epatiti, da spleniti ec.
tutte lente. E qui , benché le infiammazioni e la febbre
intermittente camminino unite, esse sono di tal natura di
aggravarsi a vicenda, di non sentire l'efficacia dei rispet-
tivi soccorsi terapeutici altre volte rapaci a combatterle, e
ciò a cagione degli esiti e delle legioni nei tessuti o diffi-
cilmente sanabili o già incurabili (620).
aia
CAPO XIV.
Conchiusione sulla vera natura della malattia
o febbre palustre*
Nella febbre paludosa tanto sotto la forma di febbre
gialla , cbe sotto quella di remittente o intermittente co-
mune non parmi altro scorgere , che una pura malattia
d'irritazione (irritazione nel senso però da me concepita
Benza servitù all'altrui opinione), un tumulto prodotto nel-
1' organismo animale da un principio estraneo e nocivo ,
velenoso, inassimilabile, cbe penetrato per qualunque siasi
strada, esercita l'azione sua sul centro del sistema nervoso
degli organi cbe servono alla digestione ed alla nutrizione»
Cbe tale affezione sia limitata per lo più ed originaria-
mente ad un puro sconvolgimento e non ad una lesione
ed alterazione profonda di tessuti , è provato da ciò , cbe
talora cessa da se , e talora sotto un rimedio qualunque
disturbante, e cbe questa malattia può durare lunghissimo
tempo indi cessare o da se o per arte senza lasciare gli
effetti di un'acuta o di una lenta flogosi. Che poi il mia-
sma paludoso non alteri gli umori animali è da credersi ,
poiché nelle genuine febbri intermittenti non riscontrasi
crosta infiammatoria sul sangue , non si ha guarigione né
da copiosi sudori, né da abbondanza di orine sedimentose,
ne da tumori ghiandolari o di altra natura , strade tutte ,
per le quali , come alcuni sono portati a credere , potreb-
bonsi eliminare le materie morbose introdotte ed ospitanti
negli umori.
Tale però e così certa, vorrei pur dire, è l'azione eser-
citata elettivamente, e primitivamente dal veleno palustre
2l3
sul centro del sistema nervoso gastro-enterico, che né col-
T intercorrente decorso eseguito da un morbo contagioso ,
come vajuolo,tifo petecchiale, o simile, né col levarsi della
pletora sanguigna, né coll'eleminare le materie depravate
gastriche , biliose ec. , né col vincersi della flogosi la spe-
cifica alterazione nerveo-morbosa non é vinta o risanata
del pari, ma dissipata la tempesta delle complicazioni essa
innalza di nuovo il suo capo, mostra chiara la sua presenza
e chiama la cura che le è dovuta (621). In oltre che il
miasma palustre offenda specificamente una provincia del
sistema nervoso fu già creduto ed asserito da altri. Così
G. H. Thilow (622) riscontra la cagione materiale delle
febbri intermittenti in un' affezione del plesso solare , cui
succede un'alterazione ne' sughi gastrici. In un'irritazione
del sistema nervoso gangliare addominale e specialmente
del par vago vedono la causa prossima di quella malattia
Jourdain (623), Giovanni Strambio (624) e Giuseppe Ber-
retta (625). E tal opinione può trovarsi ben appoggiata
anche a ciò: i.° Che il repentino ed imponente sconvol-
gimento delle funzioni del tubo alimentare e l'alienazione
temporaria della mente che hanno luogo nella febbre
gialla 0 nelle nostre febbri perniciose , é analogo bensì a
quello che tien dietro all' azione di sostanze velenose in-
trodotte nel ventricolo, e che dissipasi anche prontamente
sotto i dovuti soccorsi , e non alle alterazioni 0 processi
morbosi , che attaccano la tessitura profonda degli organi ,
come le flogosi acute 0 lente del ventricolo, del fegato ec.
2.0 Che il tipo intermittente, il quale perlopiù assume
questa malattia è proprio anche di altre affezioni nervose.
3.° Che la durata per mesi ed anni di una febbre pe-
riodica non altera talora affatto né Y aspetto , né le fun-
»i4
«ioni naturali di un individuo : e se alcuna conseguenza
finalmente riscontrasi in qualche viscere, essa è tale, che
si dissipa con rapidità sotto mutazione di cielo o di cir-
costanze.
4«0 Che una commozione morale ha prodotto non di
rado una malattia rinovantesi a periodi.
5.° Che i mezzi varj ed opposti, mercè li quali la no-
stra malattia viene curata, depone in favore della mia opi-
nione (626). Infatti noi troviamo , che cambiamenti , 0 al-
terazioni nella mente, 0 nella fantasia hanno bastato per
guarire ostinate intermittenti. Plinio racconta (627) che
Fabio Massimo guati della quartana in battaglia. Narra
il Foresto (628) guarigioni ottenute colla musica. Tra i
rimedi mentali sta il famoso cartello di Sereno Samonico
(629), cui si può aggiungere l'uso (però adesso non troppo
generale), che si ha in Lombardia di portarsi ad accattare
agl'altrui porta, onde col rossore e la vergogna troncare
ostinate febbri periodiche. Dalla paura si ottenne pure ,
che queste si, dissipassero (63o); e su questo proposito
degno di essere riferito è quanto scrive il sig. Lafont-Gouzi
(63i): «Nel Dipartimento dell' Ariége, che mi badato
i natali, ho molte volte, dic'egli, udito parlare, essendo al-
lora nell'infanzia, di cure di febbri intermittenti ottenute
per un'emozione provata nel porsi a cavallo di un orso 0
di un cammello... Ho letto, mi sembra nel Giornale di
Medicina di Vandermonde la seguente Storia che è assai
interessante. Un Ammiraglio trovandosi da lungo tempo
attaccato da una febbre intermittente, che erasi mostrata
refrattaria a molti rimedi, il medico curante pensò, che
mettendo in gran moto il suo spirito poco prima dell' ac-
cesso avrebbe forse potuto ottenere di impedirlo. In questo
ai5
tempo giunse la relazione di una battaglia navale, e dopo
averla letta , il medico si propose di trarre da essa partito
per conseguire il suo intento. Portatosi perciò a vedere
l'Ammiraglio poco tempo innanzi l'accesso, fece cadere
il discorso su questa battaglia, della quale era già al fatto
il malato. Questo disse intorno ad essa il suo parere, che
il medico ad arte finse di non approvare. Tosto nacque
una viva disputa fra di loro, e riscaldatosi fortemente l'Am-
miraglio dette dello stravagante al medico, che pretendeva
di parlare di un' arte ad esso straniera e gì' impose di al-
lontanarsi dal suo cospetto. Il medico allora guardò l'oro-
logio, e vedendo che Torà dell'accesso era scorsa, annun-
ziò all'Ammiraglio, che la febbre erasi dileguala, e gli
spiegò il motivo per cui aveva fatto nascere questo vivo
contrasto. La febbre più non comparve. »
<( Il signor H... narrommi, dice Stoll (632), d'essersi
liberato da una febbre intermittente colPaver rivolta tutta
la sua attenzione ad un buffone, che aveva seco a mensa
nel tempo appunto del parossismo, cosi l'ora passò senza
esserne assalito » (633).
I rimeuj i più coutràdditorj otlenero ugual vanto. Si sa
quanti lodano alle stelle qualche straordinaria ubbriac-
chezza, o crapola per aver loro guarita una febbre perio-
dica lunga e pertinace, mentre in altri l'astinenza e l'os-
servanza rigorosa di una sana dieta fanno sparire li acces-
si periodici o preservano da moleste recidive. Certo Han-
cok inglese pose l'acqua trai più valenti febbrifughi e
stampò una Dissertazione , il cui titolo fu 77 gran feb-
brifugo (634). In opposizione a questa semplicità di cura
vengono rimedi rinomati per la loro eccelsa facoltà vele-
nosa p. e. l'arsenico usato contro le dette febbri dai con»
ai6
tadini e dagli ebrei lituani (635) e proposto da Barton,
Pearson , Brera , Fodere ec. (636) ed il fosforo adoperato
da alcuni medici di Vilna (637).
Ben egli è noto quanto gli emetici ed i purganti rimedi
corrispondono talora nella cura di tali infermità, e ben è
noto come all' opposto siasi vantata la febbrifuga virtù di
sostanze nutrienti ed omogenee all'uomo come la ittiocol-
la, il glutine, la gelatina animale (638).
Cedettero febbri intermittenti al vino e suo spirito come
al cremor di tartaro ed al nitro.
Tra i mezzi alteranti, sconvolgenti, disturbanti, trovia-
mo, che il salasso fu lodato nelle febbri intermittenti dagli
antichi medici (639), non sprezzato anche dai moder-
ni (64o) ed a nostri giorni stessi richiamato all' uso (spe-
cialmente nello stadio del freddo) dalli signori Makinthosh
e Riddway, pratica de' quali venne pur da altri tentata
(640- Fra l'utilità delle irritazioni esterne Luigi Visone
(642) accenna come Seneca stesso conoscesse, che la quar-
tana poteva essere guarita colla flagellazione ; e le allac-
ciature furono lodate già da Alessandro Tralles (643) e
usate dal popolo nel Paese di Galles , in Normandia e in
Russia, non che proposte anche a' dì nostri (644)* Narra
lo Stoll (645) che gli Ungaresi ammaccano un erba, che
chiamano Gutya Rapon (646) e questa posta al cubito
0 al carpo per ventiquattrore fa nascere una benefica ve-
scica capace di impedire il ritorno del parossismo. A tale
oggetto e nello stesso modo si usa nel Milanese ed in Sve-
zia la radice del Ranunculus Jlammula e del R. acris L.
In Inghilterra si attribuì la facoltà febbrifuga al linimento
volatile applicato al garetto (647).
Finalmente se il bagno freddo, il quale prima che ve-
21 7
nisse proposto dal Dott. Gianini era stato lodato dallo Cnof-
fel (648) ed accennato da Stoll (649), fu vantato qual feb-
brifugo , non minor lode venne tributata al bagno caldo
dal Dott. Prospero Gassaud , poiché egli ne fu replicata-
mente corrisposto contro febbri intermittenti ribelli alla
china ed ai 6uoi preparati (65 o).
6.° Anche l'azione di cui godono i rimedi, che comu-
nemente vengono posti in uso e soddisfano nella cura delle
febbri, delle quali si parla, manifesta chiaramente essere
l'affezione propria de' nervi e stare sul sistema chilopoie-
tico la sua sede; Gli amari, sieno poi essi di virtù soltanto
energica, forte ed alterante, oppure stomatica, omogenea
e tonica, sono que' farmaci, che in generale convengono e
tra noi si usane. Infatti se la malattia non ha sul suo prin-
cipio un aspetto pernicioso e tale da minacciare in breve
la vita (il che succede assai di rado) onde convenga dar
di piglio senza perdita di tempo alla china, ma presa in-
vece abbia la forma delle comuni remittenti 0 intermit-
tenti; posciachè tolte sono con appropriati e sufficienti mez-
zi le complicazioni pletoriche , gastriche 0 infiammatorie
(che assai difficilmente mancano) , si passa ad esperimen-
tare i meno forti e meno energici rimedi amari, per salire,
in caso di resistenza del morboso 0 d' inefficacia di essi ,
ai più potenti ed a quelli di una virtù più sicura ; ed alla
testa di essi marcia la china sotto quelle di lei prepara-
zioni che sono più opportune ed indicate sì per l' indivi-
duo, che per la loro forma e forza.
Arrivato il discorso a questo punto io non posso a meno
(e sia ciò pur anco per digressione) di far riflettere su tal
proposito: i.° come la natura con mano benefica abbia
sparso sul suolo d'ogni paese i farmaci che nella genera-*
sui
lità dei casi bastar possono alla cura delle febbri paludose
(65 1) e come non sia forse, che da attribuirsi alla vanità
umana e ad un certo amore per le cose forestiere , rare e
costose quello di andar qua e là ricercando rimedi di lon-
tana provenienza o l'accettarli con trasporto e superficia-
lità. E a vero dire se sono tra noi bastanti il salice, il tri-
foglio librino, l'assenzio, la centaurea ec. ec. osimili far-
maci semplici ed indigeni, a che fine chiamare d'oltre-
mare l'angustura , la serpentaria, la cascarilla, la china
bicolorata ec? 2.0 come, abbenchè per il miglioramento
nell'arte di ragionare e buon senso del volgo stesso , si
sieno abbandonate certe ripugnanti medicine quali erano
lo sterco di cane, di uccelli , di porco, i ragni, i cimici,
il cranio umano ec, pure possedendo noi febbrifughi
innocui, comuni e di lieve prezzo, gran male quello sia di
appositamente porre a tortura il cervello, onde trovarne e
porne in pratica alcuni altri violenti, pericolosi erari,
quali sono la noce vomica, la fava di S. Ignazio, l'oppio,
l'agarico muscario, la morfina e simili; 3.° come, anzi
alle sostanze febbrifughe nostrali il medico pratico coi
ripetuti, estesi e ragionati suoi esperimenti, e il farmaci-
sta-chimico colle sue analisi e composizioni dovrebbero ri-
volgere ogni loro sapere e sforzo, onde rinvenire un ne-
cessario e desiderato succedaneo alla peruviana cortec-
cia ; 4*° come confessare sia forza non potersi sino ad ora
far senza di questa sostanza nella pratica medica e come
altrettante vane ed inconcludenti siano state le ragioui di
coloro, che escludere la vollero dall'uso, quanto false ed
erronee le traccie colle quali si volle mover dubbio, 0 ne-
gare la di lei efficacia e virtù. E certamente quant' onta
da un ragionare mal basato e dalle liti de' medici n'ebbe
219
la scienza a questo riguardo senza dubbio altrettanto van-
taggio avrebbe essa tratto da ben uniti sforzi, che tutti fos-
sero stati diretti a precisare i veri casi, le opportune cir-
costanze, e il giusto tempo, che l'uso di questo farmaco
divino richiedono (652); 5.° come, se errore e dannoso
è il volere escludere questa sostanza per titolo di siste-
ma o di economia, non meno erroneo e dannoso si è Io
chiamarla troppo presto e frequentemente all'uso, poiché
se nel primo caso si crede di poter produrre risparmio nel-
le spese farmaceutiche p. e. degli spedali, queste in real-
tà vengono rimpiazzate da maggior tempo voluto per la
cura, al che si aggiunge, che la vita di alcuno può servire
di sacrificio all'ara del sistema o del risparmio; nel secon-
do caso avviene che talora si liberano infatti i pubblici
stabilimenti dal peso dei maiali, in pochi dì troncandosi le
febbri che lì molestano, ma più facilmente però accade,
che queste recidivano e quelli ritornano replicalamente a
caricare di se stessi i luoghi pìi; ne tacere si deve che la
cura medesima o l'opera del medico è entrata allora a fare
gli uffici delle pia dannose complicazioni che potessero
succedere a malattia vergine.
Ma rivolgendo di nuovo le mie indagini e considerazio-
ni alla malattia palustre in se stessa, è d'uopo finalmente
riflettere, che ogni qualvolta la diminuzione ed aumento
(remissione); ovvero la cessazione e rinnovamento (inter-
mittenza) di quella unione di sintomi e fenomeni, che co-
stituiscono lo stato morboso, universalmente conosciuto sotto
il nome dì febbre, furono prese per definire o per classi-
ficare una malattia, sempre avvenne che si ebbero infini-
te contraddizioni, diversità di pareri, di nomenclatura, e
di nosografiche' classificazioni, e che si diede origine ad un
220
gran numero dì febbri, che quantunque situate in distinti,
lontani o vicini posti, sono poi o le stesse, o tra loro almeno
assai affini. Si vedano tutti gl'Institutori di medicina (ne
già parlare intendo soltanto de' puramente teoretici , ma
di tutti que' benemeriti uomini , che nelle loro classifica-
zioni nosologiche credettero partire dalla pratica osserva-
zione fatta lungamente al letto dell'ammalalo), e si trove-
rà, che una stessa febbre da questi si credette appartenere
alle continue, da quelli alle continue remittenti.
10 però inviando alle conosciute opere dei medesimi i
miei lettori molto tempo a me e fors' anche molto tedio a
loro risparmierò, tralasciando di riferire i singoli casi, che
depongono in favore della mia asserzione; lecito, per altro
non mi è l'ommettere ciò che spetta in particolare all'ar-
gomento sul quale sin'ora ha versato questa mia scrittura.
11 causo d'Ippocrate (653) che da Galeno (654) fa
detto febbre ardente e che fu poi annoverato tra le febbri
continue (65 5), è malattia che per molti suoi sintomi tanto
accostasi alla febbre gialla, che ora, a questa la si volle af-
fatto riferire (656) o almeno la supposta nuova malattia
dell'antica si ritenne una semplice varietà (65^), ora la
si volle ravvisare in quelle febbri gastriche o biliose, che
con la febbre americana si ritengono altresì identiche (658).
Ebbene, quando parlar si voglia del tipo proprio a\h feb-
bre ardente , noi troviamo essere parere di Boenhaave
(609) , che dessa si accosti assai alle febbri intermittenti
avendo sempre esacerbazioni palesissime (660); e tal pa-
rere viene poi confermato dal celebre suo Commentatore
ove scrisse (661): Unde videtur alicjuid de genio inter-
mittentium febrium adesse in febbri ardenti, ataue ideo
scepe, dum diutius protrahuntur tales febres> postea in
221
intermìttentes mutantur; imo, idi antea dictumfuit?fe-
bres intermìttentes, epidemice grassaturcz, dura cestwis
mensibus mature prodeunt, scepe sub hac specie decur-
runt. Infatti a me pure insegnò piti volte la pratica osser-
vazione , che allorquando la febbre palustre nasce e re-
gna epidemicamente per l' azione del miasma o straordi-
nariamente sviluppatosi da un maligno focolajo, o mole-
stante una quantità di persone non assuefatte a luoghi di
tale specie , essa non mai assume la forma di regolare e
semplice intermittente, ma bensì altra ingannevole e va-
ria. Ho osservato, ripeto, alcuni casi di sviluppo epidemico
di tali febbri per cagioni a cui io solo, in mezzo alla po-
polare relativa ignoranza, sapeva dare il giusto valore, nei
quali la malattia simulava ora una febbre continua con-
tinente, o continua remittente, ed ora una febbre gastrica
o biliosa e soltanto poche volte mostravasi al suo termina-
re con vera intermittenza. Sotto qualunque aspetto essa si
presentasse, risultava qual suo speciale carattere (prescin-
dendo da quello della specifica cagione), quello di trovare
giovamento piuttosto sotlo i purganti tonici, sotto i rimedi
amari o aromatici, e sotto i preparati stessi della peruvia-
na corteccia, che non sotto i dolci evacuanti, gli antiflogi-
stici, o le cacciate di sangue generali o locali, i quali sus-
sidi corrispondere sogliono grandemente nelle pure e le-
gittime così dette febbri gastriche o biliose. Tali miasma-
tiche epidemie le ho sempre vedute dominare ad estate
innoltrato o nell'autunno. Le febbri epidemiche, che sotto
questa svariata ed irregolare forma, e nell'epoca annuale
da me accennata, furono ben osservate e con pregevole arte
descritte dal Chiolini (662), dal Meli (663), dal Bergon-
zi (664), dal Frioli (665) ec. sono agli occhi miei se non
223
altrettante malattie d'origine miasmatica paludosa, non di-
versamente che quelle già trasmesseci dal Ramazzini, dal
Lancisi, dal Blane, dal Jackson, dal Bakker e Popken e
da altri. E se io dubito assai, o, vorrei dir anco , ritengo,
che per questa oscurità nel tipo e per negligenza neìl' in-
dagare la causa, siano state alcune febbri intermittenti,
epidemiche caratterizzate (con danno de' malati) per feb-
bri pestilenti , d'armata, petecchiali, gastriche, biliose o
infiammatorie , a ciò sono tratto non solo dalla riflessione
fatta sulle opere in proposito, ma altresì da alcuni casi,
sulla giusta definizione de' quali m'avvenne dover essere
testimonio.
Circa la febbre gialla noi abbiamo veduto, come sia
stata considerata qual febbre continua continente (6G6)
e come altresì sia stato in essa distinto un tipo non solo
remittente (667) ma ben anche di una subentrante in-
termittente (668) e come la corteccia del Perà sia stata
indicata.
Circa poi la malattia paludosa comune accennerò da
prima, come il Borsieri (669) abbia creduto (parlando di
quella di Roma) appartenere essa alle febbri continue
composte, e come Waring (670) creda doversi darle il
posto tra le febbri remittenti e le intermittenti, indi chia-
merò in testimonio tutti i pratici, che osservarono tale ma-
lattia nei varj paesi , affinchè confermino e mettano fuor
di dubbio, che in essa la febbre è talora decisamente con'
tinua, talora accompagnata da chiare ma semplici remis-
sioni, ed altre volte (0 in tutta 0 in certe epoche della
sua durata) da vera intermittenza ; e li chiamerò affinchè
dai medesimi si confessi che il nome di febbre intermit-
tente delle risaje, delle Paludi Pontine , delle marem-
223
me , del Forez ec. ec. con cui si suole indicare la ri-
spettiva malattia, che conosce per causa il miasma delle
paludi , non adoprasi , se non che per seguire l'antica e
comune usanza, od a vantaggio della comune intelligenza;
il che essendo quasi necessario e compatibile ho fatto pur
io in quest'opera. In oltre ben trovo concordare coll'osser-
vazione clinica, quanto dice il Prof. Bufalini (671): « Ol-
tre ciò egli è pur degno a considerarsi, che molte volte le
fehbri continue passano in intermittenti e viceversa que-
ste si fauno continue, per la qual cosa il tipo delle febbri
non può curarsi come contrassegno assoluto della loro na-
tura, ma come semplice non necessaria apparenza e torna
quindi giusto, che le reali differenze di esse non siano de-
dotte dal tipo , ma dalla succennata corrispodenza di ca-
gioni, sintomi e rimedi. » Onde, avendo io riguardo alle
tre circostanze or rammentate dal Patologo sullodato, trovo-
mi condotto a considerare la malattia, che abbiamo veduta
essere compagna delle paludi d'ogni paese (se si eccettuino
però i freddi), se non che affatto speciale derivante dal-
l' azione di un principio morbifero speciale sempre pro-
dotto dalle paludi (672). Noi vedremo questa infermità
prendere l'aspetto di una febbre gastrica, di una pleurite,
di un'apoplessia, di un'artritide, di un cholera ec, ma ad
onta, che accada osservare dopo la morte dei risultati pa-
tologici, che a queste affezioni sono proprii, noi troveremo
rimarchévoli diversità nei sintomi 0 circostanze concomi-
tanti, e troveremo richiedersi una diversità nel metodo cu-
rativo. Tale diversità non da altro dipende che dalla na-
tura speciale della causa, ed è pur questa diversità, che
mi fa piuttosto riscontrare in quella, di cui io parlo, una
malattia > che per diverso grado dalla febbre delle risaje
2^4
lombarde, o delle paludi della Bresse , della Sologne ,
delle maremme toscane ec. s'innalza alla remittente ed
intermittente, delle Antille, e giunge all'apice di sua fie-
rezza nella febbre gialla di Vera-Cruz, di quello che ve-
dere in essa, una febbre biliosa , la quale mite da prima
giunga per gradi di forza alla citata febbre americana (67 3).
E per vero dire, è forse carattere della pretta febbre bi-
liosa il regnare epidemica in determinati tempi 0 luoghi,
0 il stare attaccata endemicamente a certuni di questi ; il
non regnare che a certe altezze ; V assalire piuttosto i fo-
restieri che gl'indigeni? E suo carattere il sentire poco
vantaggio dalle sanguigne sottrazioni, il trovare talora dan-
no da queste e dagli emetici e purganti , il cedere ad un
metodo tumultuante, ad uno sconcerto indotto nei nervi,
0 nell'animo , l'amare i rimedi tonici, li aromatici, e la
chinachina ? Parmi che questi i quali sono gli attributi
della febbre paludosa siano affatto contrarj a quelli che si
competono alla febbre biliosa.
Si guardi dunque la febbre miasmatica, come una ma-
lattia particolare, che assume ora un tipo contìnuo, ora un
remittente ed ora uno affatto intermittente. Si ammetta
la spezialità della causa ed allora scomparirà quello sco-
glio dell'uguaglianza ed identità della febbre continua e
della intermittente , scoglio contro il quale tutti credono
doversi rompere il capo. La febbre continua paludosa sarà
affatto diversa dalla continua nata per ogni altra causa, e
sarà ugualissima , come dissi (rispetto all'essenza ed alla
cura), alla quartana ed dXYotiana. E ciò non altrimenti,
che la rogna diversifica dal vajuolo, 0 questo dall'ipertosse:
Che r avvelenamento dell' arsenico da quello del subli-
mato corrosivo, e questo da quello de' funghi.
aa5
CAPO XV.
Che giovi fare per sfuggire i dannosi effetti del mia*
sma paludoso.
Quando V esperienza, la quale secondo Bacone (674) è
a ciò meglio atta del ragionamento, dimostra il danno, che
F uomo soffre per la vicinanza di paludi , di risaje , di ma-
cerato) ec. ben colpevole sarebbe colui, che sprezzando
r antico insegnamento di Varrone, che , cioè, i mali , che
nascono dall' insalubrità dell' aria 0 della terra possono
rendersi minori da noi stessi (675), non ponesse in opera
que' mezzi che sono capaci d' impedire 0 rimediare ai
tristi effetti di quelle fonti miasmatiche.
Tali mezzi secondo me dividere si vogliono in quelli
che si riferiscono i.° al suolo; 2.0 all'aria; 3.° alle persone*
I
Noi abbiamo veduto essere stata lodevole impresa d'uo*
mini grandi 0 filantropi d' ogni età , quella di dar corso e
scolo alle acque dalle quali nasceva nocumento alla uma-
na salute.
I modi coi quali giungere a tale inteuto furono e do-
vranno essere sempre adattati alle speciali circostanze del
luogo, onde potranno talora convenire le colmate, ora i ca-
nali , ora le trombe a fuoco ec, (676). Le chiuse proposte
dal matematico Zendrini per impedire l' entrata dell' ac-
qua del mare negli stagni e laghetti della costa lucchese
ottennero ottimamente il loro scopo (677^
II cangiare superficie di terreno incolte, ineguali, umi-
i5
i'i6
de, insalubri, in campi coltivati e fertili , qual eccellente
mezzo di risanamento, fu felicemente posto in pratica da-
gli Inglesi a Demerary. Ed ad ottenere tal fine dall'opera
de* privati, i Governi non mancarono e mancheranno mai
di conferire premi e lasciare immuni o alleggeriti d' ag-
gravj i terreni bonificati (678).
La coltivazione del riso acquatico dovrà permettersi se
non che ad opportune lontananze de 'diversi luoghi abitati.
Né saranno mai abbastanza lodati i pensieri e i sforzi
degli agronomi-filosofi, onde rendere con particolari modi-
ficazioni le risaje in se stesse meno insalubri. Il Thouve-
nel (679) aveva proposto per rendere sani i luoghi a risaja
di impiegare una gran pompa a fuoco mantenuta con car-
bone fossile, onde irrigare coir acqua innalzata dalla me-
desima , e depurare nello stesso tempo 1' aria. Nel 1 8 1 1
il sig. De Lasteyrie, onde facilitare l'introduzione del riso
in Francia propose di coltivarlo ad irrigazione periodica e
non permanente (680). E parere del Dott. Monfalcon
(681) « che i contadini prima di fare i solchi coli' aratro
dovrebbero abbrucciare le piante parassite, ed i rimasugli
della precedente messe; che meglio si sceglierebbe acqua
corrente e non di pioggia per allagare i campi, e che
avendo cura di rinnovare e far scolare le acque stagnanti
dopo la fruttificazione e prima delFesiccamento della pian-
ta del riso , si prevenirà la decomposizione putrida dello
stelo. Finalmente il riso dovrà essere mietuto dopo che il
grano è formato e prima che lo stelo sia affatto seccato ,
non avendo in quel tempo l' acqua della risaja contratta
alcuna alterazione. » Neil' ultimo Capitolo della citata di
lui opera (682) il signor Cavaliere De-Gregory già De-
putato del Dipartimento della Sesia al Corpo legislativo
s>»7
dell'impero francese, ha inserito il Progetto universale
di Legislazione sulla coltivazione del riso acquatico, che
egli aveva presentato nel 1 8 1 o al Ministero dell'Interno.
Anche il Prof. Moretti di Pavia emise (683) ottimi in-
segnamenti, onde evitare quanto più si può il danno di
questa tanto importante specie di coltivazione della Bassa-
Lombardia. Ottimo consiglio secondo me sarebbe quello
d'introdurre o maggiormente estendere la coltivazione del
così detto riso secco, il quale, nei luoghi specialmente ove
di quando in quando puossi adacquare, renderà senza dan-
no alcuno un conveniente prodotto (684).
Oltre al macerare lino o canape lungi dall' abitato si
potranno porre in esecuzione alcuni de' varj processi pro-
posti dai chimici e da'agronomi (685) quando non si possa
appigliarsi al metodo da molti proposto (686) ed in uso nel
Dipartimento di Puy-De-Domme, cioè di fare tale opera-
zione nell'acqua corrente piuttosto che nella stagnante. E
se nelle sorghe tanto dannose anche al presente alla cit-
tà di Orvieto s'introducessero le acque del Chiana, tali
sicuramente le medesime non risulterebbero.
I lavori bisognevoli all' asciugamento di paludi si ese-
guiranno nell'inverno; ne in tempo di sommo caldo si smo-
verà il fondo o leverà il fango di piscine o stagni, ma piut-
tosto, ove questi luoghi minacciassero esiccaraento nell' e-
state o principio di autunno, si copriranno d'acqua. Erano
endemiche le febbri intermittenti in un marittimo villag-
gio presso Bajona, a cagione dell'evaporazione dell'acqua
stagnante che stava in que' luoghi. Un saggio medico pro-
pose di non lavorare intorno a quelle paludi nei mesi di
luglio e d'agosto, di colmare le paludi, e di procurare,
che V acqua del mare vi entrasse ad alta marea , perchè
3 28
poscia seco traesse nel calore l'acqua guasta non che gl'in-
setti ed i vegetabili. Essendo ciò posto in esecuzione quel
paese fu libero dalla malattia endemica che la molestava
dal mese di luglio a quello di ottobre (687).
IL
Coloro che amarono vedere un' alterata proporzione de'
noti componenti dell' aria atmosferica vicino alle paludi ,
idearono offrire per rimedio una grande operazione chi-
mico-naturale, opinarono (688) cioè, che generalizzando
la mirica cerifera , la missa acquatica , la quercia bianca
palustre ed altre piante crescenti nelle paludi e traspi-
ranti molto gas ossigeno si avrebbe minor danno dalle ri-
saje e dalle paludi , ma quantunque sia vera Y emissione
di gas ossigeno dalle piante esposte alla luce, pure è vero
altresì, che non si trova maggior proporzione di esso nel-
l'atmosfera circostante a' luoghi piantati di numerosi ve-
getabili di quello, che in quella del mare , 0 di aridi de-
serti; il che, secondo De Candolle (689), è da attribuirsi
a ciò, che la mobilità dell' atmosfera agita perpetuamente
l' aria nei diversi suoi punti, e da ciò succede il suo equi-
librio consueto tanto ne' luoghi aperti che in quelli che
noi crediamo potersi dir chiusi. Per avere fatto cessare pe-
stilenze con accesi fuochi furono tributati onori e lodi ad
Acrone (690) , ad Empedocle e ad Ippocrate (69 1 ). Noi
per altro sia pel rispetto verso que' sommi sapienti, sia pur
anco per il giusto riguardo, che aver dobbiamo a quegli
errori dell' antichità , circa i quali oggidì ci è forza invo-
care per noi stessi perdono dai posteri, noi dico , non inda-
gheremo con critica inopportuna, se le epidemie, che sup-
2^9
porre si vollero da loro in tal modo troncate , troncate ve-
ramente siano state con tali mezzi, ma ci volgeremo inve-
ce ad osservare, che il riscaldarsi ad un fuoco vivo di cam-
mino ad onta del caldo estivo, è nella Bassa-Lombardia ri-
guardato come ottimo presidio contro gli attacchi delle feb-
bri intermittenti; che secondo Repeti (692) molti marem-
mani etruschi possono in qualche modo attribuire in estate
la loro salvezza alla cura che hanno di non allontanarsi da
fuochi perpetui delle loro cucine : che il pittore paesista
Danieli per sfuggire ai tristi effetti dell'aria paludosa del-
l' isola di Geylan appreso aveva a fumare tabacco ed ac-
cendere gran fuochi entro e fuori la sua tenda (693); e
finalmente che il Lancisi (694) notava che fuori di Porta
de' Cavalleggieri un luogo, il quale per la sua bassa ed
umida situazione doveva essere insalubre, era invece sano
per le fornaci di mattoni, che ivi erano in vigore.
Il procurare un movimento nell'atmosfera de' luoghi
umidi e paludosi è cosa utilissima; egli si è al ristagnare
di essa che il Thouvenel (695) attribuisce gran parte del
mefitismo, com' ei si esprime, d'Italia. Però nel ricercare
tal vantaggio si avrà cura , perchè il vento sia puro > spiri
cioè non contaminato da miasmi febbriferi nel suo seno
raccolti per via, poiché già abbiamo veduto, che se col to-
gliere alcuni boschi, col praticare aperture de'monti si ap-
portò a certi luoghi salute; il contrario con tali operazioni
avvenne per altri se si aprì la porta all' entrata di quelli
ospiti infesti.
Io non mi tratterrò a riferire tutti i mezzi (dai semplici
profumi ai gas più forti) a' quali fu attribuito un potere
capace di purificare, l' aria pregna di sostanze dannose 0
supposta alterata, e ciò perchè se assai ragionevole è il
a3o
credere (696) , che li medesimi siano inutili 0 inefficaci
in siti chiusi ove tali suffumigi potrebbero con forza ope-
rare sali* aria e sulle nocive particelle, che fors' essa con-
tiene , tanto meno tali mezzi saranno capaci in pien' aria
(li raggiungere, neutralizzare 0 distruggere i miasmi sparsi
e vaganti per V atmosfera.
III.
Venendo finalmente ai presidj, mercè i quali con gran-
rie probabilità 1 uomo pub sottrarsi all' azione del miasma
palustre è da porsi in primo luogo il fuggire affatto (697)
lungi da focolai de' medesimi come fecero i Salapini, i Ger-
viani e gli Spagnuoli d'Antigoa; oppure abbandonando sol-
tanto le proprie abitazioni nel tempo della generazione e
sviluppo loro per portarsi in luoghi alti e salubri, E ciò
non obblierà di fare eseguire il capitano d'esercito, 0 quel-
lo di una flotta allontanandosi da spiaggie ove regnassero
malattie palustri (698).
In secondo luogo l' esperienza ha mostrata P utilità di
non esporsi all' aria umida prima della levata del sole e
dopo il tramonto, come l'altra di prendere qualche bevan-
da tonica e spiritosa. I signori Fournier e Bégin (699) in-
fatti soggiungono, che l' uso delle bevande fermentate , e
i salubri alimenti combattono presso gli Olandesi l'in-
flusso perverso del clima, ed è veramente da confessarsi
che dall' uso del vino traggono gli abitanti del basso assai
utilità e che in essi è ben lontano dal produrre que'danni
che ne sentono invece i contadini dell' alto.
Una pratica , che se non è veramente^ dimostrata utile ,
almeno tale con verisimiglianza può essere creduta , si è
quella di masticare della corteccia peruviana (700). Non
so però se ugualmente proficuo, non che accetto al buon
senso, possa essere quell'altra di lavarsi con acqua sala-
ta (701).
Vien raccomandato da' medici e da tutti coloro, che di-
ressero l'osservazione a garantirsi dalla malattia endemica
de' luoghi palustri ; di mantenere moderazione nel man-
giare , non che di scegliere un vitto piuttosto nutriente ,
ma leggiero; e di coprire ben la persona specialmente alla
mattina e alla sera.
CAPO XVI.
Remedi indigeni contro la malattia paludosa sotto for-
ma di febbre periodica.
Se , come dissi , la natura benefica ci offre nel nostro
paese rimedi dotati di virtù capace a vincere l' endemica
febbre della Bassa-Lombardia , colpa avrei creduto il non
indicarli. Certe circostanze che talora sono d'impedimento
a procurarsi gli esotici febbrifughi dovrebbero essere ba-
stanti a mostrare la necessità di conoscere quelli che noi
possediamo, ma se ciò non fosse, almeno valga la carità
verso chi non è in grado di procurarsi i più costosi co' pro-
prj mezzi. Egli è degli indigeni eh* io consiglio il servirsi
da principio nelle benigne febbri intermittenti (che sono
pur anco le più comuni e numerose) anteponendoli alla
china: E ciò perchè la praticami ha dimostrato essere tal
metodo non meno ragionevole che utile e perchè il con-
trario operando avrebbe come se in meccanica si comin-
ciasse dall' applicare una forza grande , ove ne può essere
sufficiente una piccola.
32
Io parlerò di que'semplici farmaci che sono proprj della
parte bassa non solo i ma anche dell'alta; facili però ad
aversi e privo di pericolo il loro uso.
ì.
AGERATCX
Ageratì tterba delle Farmacie.
Aehillcea Ageratum Linnaei. Syngenesia polygamia
superflua. Vedi Flora Veronensis Pollini § 1713.
Questa pianta che da Mesue chiamossi eupatorio, è in
Italia conosciuta sotto il nome di Erba giulia , di canfo*
rata, di eupatorio giallo.
Borsieri l'annovera fra i febbrifughi, ma a ragione
Murray fece notare aver essa un azione assai debole,
AGRIFOGLIO
AqUifolii Folia. Farm.
Ilex aquifolium. Linnaei. Tetrandria Tetragynia. Ve-
di Pollini § i y4-
L' alloro spinoso è un arbusto che col continuo suo ver-
deggiare e col bel rosso delle sue bacche abbellisce le
colline a noi circostanti.
Le foglie secche sia in polvere p. e. ad una dramma
per volta, sia per farne decotto 0 estratto erano già state
preconizzate contro le febbri intermittenti da Venel , da
Swediaur, da Durande, da Villars e da altri. Nel 1822 il
233
signor Emilio Rousseau e nel i83i il signor Bodin ne
ricordarono V utilità.
Delechamps nel i83i scoperse il principio attivo delle
dette foglie che chiamò lUcina-, sottoposta questa agli espe-
rimenti della pratica dal Doti. B. Berlin di Torino (i 833)
fu trovata corrispondere nell'arrestare le periodiche febbri,
3.
AGRIMONIA.
Agrimonia vel Eupatorii vcterum Herba seu Folia^
seu Radix. Farm.
Agrimonia Eupatoria. Linnsei. Dodecandr. Dygin,
V. Pollini § 892.
Questa pianta comune che dai medici greci e latini era
detta eupatorio , è in Italia nota sotto il nome di Erba
Guglielmo e di Vettonica.
Da Borsieri, da Sonsis e da Cerioli è posta tra i febbri-
fughi. La sua radice come tale si usa dai popoli del Ca-
nada. E atta pur anco a distruggere gì' ingrossamenti ad-
dominali residuati alla malattia paludosa.
Si infonde un pugno di foglie in due libbre d' acqua
bollente da beversi a bicchieri nel tempo dell' assenza
della febbre.
4.
ARANCIO.
Aurantii Eolia et Cortex Fructus Pomi aurantiacL
Farm.
Citrus aurantium. Linnaei. Polyadclph. Polyandr*
234
La pianta che somministra il ricercato frutto detto tra
noi arancio o portugallo vive liberamente sul felice suolo
di Napoli e di Sicilia. Nei nostri giardini e specialmente
nelle parti più apriche de laghi di Lombardia ben curato
e riparato da' freddi invernali prospera ed invecchia dan-
do discreti frutti.
Come capaci di combattere le febbri intermittenti si la
scorza del frutto , che le foglie furono lodate dal Lanzoni ,
dal Borsieri , dal Wilberding e dal Riverio. Tale virtù di
cui godono le foglie, facilmente è dovuta al concino ch'esse
contengono: E su ciò siami permesso il far qui notare per
digressione, che questo principio vegetabile fu già ricono-
sciuto valente contro la malattia in discorso dal Pezzoni
medico a Costantinopoli sino dal 1 807, e che altre sostanze
parimente febbrifughe ne contengono buona dose. La scor-
za 0 le foglie potranno darsi: i.° in polvere da mezza dram-
ma a due per volta almeno otto volte nella giornata a uni-
te al miele in modo di farne elettuario; 2.0 infundendo
un'oncia delle medesime in una libbra d'acqua calda da
bersi a poco a poco.
5-
ARNICA.
Arnicce seu Doronici germanici Flores. Farm.
Arnica montana. Linnaei. Syngen. Polyg. Superfl.
V. Pollini § i658.
Questa pianta pare non sia stata conosciuta da' Greci ,
se mai non corrisponde , come crede Mattioli , all' alisma
di Diosco ride.
a35
Si chiama in Italia Arnica o Betonica di monte ; e in-
fatti vive sui monti che ci stanno intorno.
Sin dal principio del secolo XVIII si trovò utile sì la
radice che il fiore nelle febbri intermittenti , e furono lo-
dati da Collin , da Aaskow , da Meza e da Stoll il quale
insignì questa pianta del nome di China de poveri,
I fiori sono da preferirsi dandoli in polvere sola o uni-
ta al miele alla dose di i5 o 20 grani per volta. Oppure
con due dramme 0 poco più di essi facendone un'infusione
nell'acqua bollente, che poi si dà a bere ri paratamente in
tempo dell' apiressia.
Si dovrà andar cauti nell' oltrepassare la suddetta dose?
poiché, come osservò Bergio, posson nascere incomodi al
ventricolo.
6.
ASSENZIO VOLGARE.
Absinthiì majoris vel ojfìcinalis Folia seu Summita-
tes. Farm.
Artemisia Absinthium. Linnaei. Syngen. Polyg. su-
perflua. V. Pollini § i63i.
Godeva riputazione l'assenzio tra febbrifughi presso gli
antichi medici : e come tale , sotto il nome di medeghctto,
era usato dal popolo nostro assai prima , che avesse ripor-
tati i favorevoli attestati di Pinel, Alibert e Chaumeton.
Ha questa pianta un sapore amarissimo e con questo una
virtù tonica e stomatica celebrata.
Kunsmuller trovò in essa una materia resinosa abbon-
dante e Parmantier un olio volatile, quest'ultima circo-
a36
stanza fa si ehe al decotto sia preferibile Y infusione fatta
con due dramme di sommità in una libbra d' acqua ; e il
semplice estratto sarà meno attivo che le foglie date in
polvere sotto forma di elettuario. L'estratto amatissimo pre-
parato dal signor Demetrio Leonardi di Roveredo trova
nei Dott. Lupis di Trento un panegerista. Le tante tin-
ture di assenzio delle quali alcune portano ingiustamente
vanto su altre possono benissimo essere usate a cucchiaj
per arrestare gli accessi delle febbri intermittenti,
7-
CAMAMILLA COMUNE.
Chamcemeli seu Chamomillce vulgaris Flores. Farm,
Matricaria Chamomilla. Linnaei. Syng. Polyg. Sii~
perfl. V. Pollini § 1648.
Questa pianta comune ne' nostri campi fu conosciuta da
tutta l'antichità come oggidì la è dall'infimo popolo.
Merton, Hoffmann, Cullen, Heberden, Pinderit e Bor-
sieri offrirono attestati a vantaggio della fama antifebbrile
di questa pianta acquistata dall'autorità di Galeno, Aezìo
e Dioscoride.
I fiori si infondono nell'acqua calda alla dose di un'on-
cia circa in una libbra d' acqua, 0 si uniscono al miele od
a qualche estratto 0 rob per farne elettuario.
Si possono dare altresì ad un' ottava parte di oncia , ri-
petuta però tal dose almeno otto volte al giorno,
a3j
8.
CARIOFILLATA.
Caryophyllutce seu Gei Urbani Radix. Farm.
Geum urbanum. Linnaei. Icosandr. Polygin. V. Pol-
lini § 991
U Erba benedetta 0 Cariofillata officinale è comune
nelle siepi, la sua radice deve essere estirpata prima della
fioritura la quale incomincia in maggio. Questa parte della
pianta ha un sapore amaro piuttosto astringente ed un odo-
re aromatico che si accosta a quella del garofano. Secondo
Bouillon-La-Grange contiene più concino, ma meno re-
sina della china , colla quale d' altronde è assai analoga.
Nel 1781 Buchhave è stato il primo a lodarla contro
le febbri intermittenti e ad esso fecero eco Asti, Weber ,
Koch e Borsieri, indi Frank e Chomel.
Si prende in polvere ad un denaro per volta replicata-
mente nella giornata. Infundesi altresì un' oncia di radice
in una libbra d'acqua bollente e la colatura sì beve a pò*
co a poco.
9-
CASTAGNO AMARO.
Hippocastani rumor uni Cortex. Farm.
sEsculus Hippocasianum. Linnaei. Heptandr* Mo-
nogyn. V. Pollini § 7 1 5.
Quest'albero detto anche castagno d'India che da al-
cuni secoli fu tra noi introdotto, era negli anni addietro il
prediletto per ombreggiare pubblici e privati passeggi.
a38
Mistichelli chirurgo romano, che viveva al principio
del secolo XVIII lo donò alla pratica medica qual febbri-
fugo, e fu seguito dal Marsili, dal Zanichelli, da Antonio
Turni, dal Borsieri, da Sabarot de la Vernier, e recente-
mente annoverato tra i succedanei della china dal Dott.
Cerioli.
Secondo Marabelli devesi usare la scorza de' rami né
troppo giovani, nò troppo vecchi. Con due oncie di essa si
può fare una libbra di decotto. La polvere si prende ad
una dramma per volta replicatamente nella giornata. L'e-
stratto potrà pure prepararsi secondo l'arte da' farmacisti.
Desiderava il Sonsis che si estraesse la parte resinosa
dalla corteccia ed infatti nel 1823 il Canzoneri trovò in.
essa un' alcaloide che chiamò escullna.
io.
CENTAUREA MINORE.
Centaurii minoris Swnmiiates. Farm.
Erylhrcea Cenlaurium. Persoon. V. Pollini § 359-
Non deve questa pianta esser confusa colla centaurea
comune 0 maggiore detta da Linneo Centaurea Centau-
rium. Riguardo a quella, di cui qui parlo e che gl'Ita-
liani chiamano anche Biondella, i botanici sono di diverso
parere onde prefiggerle il genere. Pollini al paragrafo sud-
detto la descrive sotto il nome che Persoon le diede.
Cresce all'orlo de' nostri boschi ed offre fioretti di un
bel color roseo disposti a corimbo. Tutta la pianta ha un
sapore abbastanza forte ed amaro senza essere disgustoso.
Contiene un principio aromatico per cui è preferibile
a39
il preparare l'infuso colla sommità della pianta in luogo
del decotto.
Già da gran tempo gode fama di valoroso tonico e feb-
brifugo rimedio, e il Dott. Cliiolini ventisette anni fa le
ebbe a confermare tale onore.
Chevallier oppure Dulong credettero avere scoperto
si principio immediato attivo di questa pianta che dissero
cenlaurina*
II.
CICOREA.
Cickorei Folia et Radix. Farm.
Cicorium Intyhus. Linn«xi. Syng. Polygam. Aea.
V. Pollini § 1307.
La cicorea spontanea sui margini de'nostri campi è pre-
feribile per la maggiore sua forza ed amarezza a quella,
che coltivasi negli orti.
L' estratto preparato con tutta la pianta od anche colle
sole foglie recenti, il sugo espresso da queste, ed il decotto
fatto colle radici godono della virtù sì di arrestare li ac-
cessi delle febbri intermittenti che di togliere le ostruzio-
ni viscerali che risultano dalla pertinacia di quelle.
IN-
DENTE DI CANE.
Taraxaci Folia et Radix. Farm.
Leontodon Taraxacum. Linnaei. Syng. Polygam.
Aea. V. Pollini % i5a8.
^4°
In Lombardia con quel nome si usa chiamare questa
pianta piuttosto che con l'altro di dente di Leone che la
lingua italiana le ha appropriato.
Ciò che si disse per i preparati e per gli usi della cico-
rea vale per questa pianta che infatti i milanesi chiamano
cicoria selvatica.
i3.
EUPATORIO CANAPINO.
Eupatorii vulgaris Folla et Radix.
Eupatorium cannabinum Linnaei. Syng. polyg. Aeq.
V. Pollini S 1618.
La rimarchevole virtù febbrifuga di questa pianta le
acquistò il nome, presso il popolo, di erba china e di erba
per la febbre terzana. Corrisponde all' Eupatorium di
Avicenna,
Con due oncie di radice in due libbre di acqua si fa il
decotto da bersi a poco a poca Colle foglie si preparano il
decotto, il sugo e Y estratto.
FINOCCHIO ACQUATICO.
Phellandrii aquatici, seu Fceniculi aquatici. Semina.
Farm.
Phellandrium aquaticum Linnaei. Pentandr, Dygin,
V. Pollini § 562.
Pianta d'azione forte per cui i Francesi la chiamarono
cicuta d'acqua.
^4*
I semi polverizzati si rinvennero utili nelle febbri in*
termittenti alla dose di un denaro ed anche una dramma
per volta ripetuti nella giornata.
i5.
FRASSINO,
Fraxini Cortex. Farm.
Fraxinus excelsior, Linnaei, Diandrici Monogynia,
V. Pollini § aoi 3.
II frassino, comune a tutta la Lombardia, offre da molto
tempo la sua corteccia alla pratica medica per debellare
le febbri intermittenti. Cosi l'usarono Cesalpino, Lobel e
Cristoforo Helwig il quale volle sin tributarle il nome di
china-china degli Europei. E d'uopo però confessare che
ugualmente soddisfatti non si trovarono Torti, Coste, Ghau^
menton e Borsieri.
Con due onciedi corteccia de' rami si può in due libbre
4' acqua preparare il decotto*
16,
GENZIANA,
Gentiance Radix, Farm.
Gentiana Lutea. Linnaei. Peni, dygin. V. Pollini § 453^
Quantunque la pianta che fornisce questa radice me-
dicinale non cresca che sui monti a noi d'intorno, ciò nul-*
Tostante è dessa famigliare al popolo cui è notissima e la
sua amarezza superlativa e la sua virtù febbrifuga.
16
a4»
Il suo sapor amaro è bensì fortissimo ma non aro-
matico. Fu sempre considerata qual tonico e insigne
remedio contro le febbri intermittenti dal Etmùller, dai
Hoffmann, ec.
Con mezz'oncia della medesima in due libbre d'acqua
da ridursi alla metà si ottiene il decotto che si prende a
mezzo bicchiero per ciascuna volta.
L' estratto e la polvere potrà prendersi da mezzo danaro
ad una dramma per volta. Dalla radice in discorso Henry
e Caventou cavarono il principio alcaloide che dissero gen-
zianino, questo è pia solubile nell'etere, che nello spirito
di vino, piìi nell' acqua calda che nella fredda. Magendie
insegna di scioglierne cinque grani in un' oncia di alcool
a a4 gradi e farne uso a cucchiajate.
*7-
GRAZIOLA.
Gratiolce offlcinalis Herba, Farm.
Grathia officinalis. Linnaei. Diandr. Monogyn. Vedi
Pollini § 36.
Era da prima usata come valente diuretico e purgativo
rimedio. Fu il Prof. Borda che l'ascrisse ai febbrifughi ed
egli nella Introduzione alla Flora Ticinensis scriveva :
« Con sommo vantaggio de' malati prescrissi la graziola
nelle febbri intermittenti che si mostrano restie alla china-
china, e che anzi sotto l'uso di questa si esacerbano ed acqui-
stano il tipo di continue remittenti. » Da contadini, che da
se stessi ne fecero uso, ho sentito celebrarne la virtù.
*43
Piìì comunemente con tutta la pianta si fa decotto, si
può per altro usare in polvere a qualche grano per dose.
Se ne prepara altresì l'estratto da prendersi a meno di un
mezzo danaro per volta,
Avvertono Marabelli e Baillard che non si dovrà la-
sciarne l'uso all'arbitrio di persone ignoranti o imprudenti,
potendo , per la forza , di cui è dotata questa pianta , ar«?
recare degli incomodi,
18.
LICHENE DE' MURI.
Lichenis parietini Pianta, Farm.
Lichen parietinus. Linnaei. Crypt. V. Pollini § 2261,
Sotto figura più di crosta verdastra che di pianta vegeta
fra noi sui vecchi muri e sui sassi esposti a settentrione.
Da De Candolle fu detto Imbricaria parietina.
Questo lichene meritò al Dott. Sander di Nordhausen
parte del premio che il Governo Austriaco al principio del
presente secolo aveva destinato a chi proponesse il migliore
surrogato alla corteccia del Perù.
Onde servirsene ad uso medico dovrassi liberarlo da tutte
le sostanze straniere che lo ingombrano. Si può darlo in
polvere ad un ottavo d' oncia per volta 0 prepararne se^
condo le regole dell' arte un estratto,
19.
MARRUBBIO ACQUATICO.
Marrubii aquatici Folia, Flores et Semina. Farm.
Lycopus Europoeus. Linnaei. Diandr. Monogyn. Vedi
Pollini § 41.
Il Prof. Giovanni Francesco Re è stato il primo a
far conoscere come questa pianta godesse da gran tempo
la fama di febbrifugo in Piemonte, ove per tal motivo cbia-
mossi volgarmente erba china ; e come la polvere dello
speziale di Leauio rinomata in Piemonte non sia altro
che la polvere delle foglie e fiori di tal pianta.
Essa cresce ovunque ne' luoghi umidi , e si può usarla
intiera per farne decotto, 0 in polvere alla dose di due de-
nari 0 di una dramma replicata nel giorno,
SO.
MARRUBBIO BIANCO.
Marrubii officinalis seu albi Folia. Farm.
Marrubium volgare. Linnaei. Didynam. Gymnosp.
V. Pollini § 1 145.
Ha un odore forte aromatico e sapore amaro. E lodato
sin dagli antichi contro le febbri intermittenti, e il popolo
gli concede ancora lo stesso merito.
Si fa con un pugno di foglie un' infusione neU' acqua
calda che colata si beve a bicchieri. Con esse foglie si pre-
para pure T estratto.
2/p
2.1.
NASSO o TASSO.
Taxi baccatce Folla,
Taxus laccata, Linnaei. Dìoecìa Monadelphia. Vedi
Pollini § 1968.
Quantunque questa pianta non cresca che ne' monti
della Lombardia, pure essa è conosciuta dagli abitanti del
basso per essere comune ne' nostri giardini. Abbenchè in
Italia questa pianta sia chiamata anche col nome spaven-
tevole di albero della morte, tra noi né dalle bacche , né
dalle emanazioni di essa si hanno que' danni che gli an-
tichi le attribuirono. Ad ogni modo le foglie hanno un' a-
zionc forte ed anche febbrifuga. Sotto questo aspetto si
amministrarono da Brera le foglie a due dramme riparti-
tamente nella giornata; e l'estratto a dieci grani per volta.
Ugual fiducia non ottenne questa pianta dal Prof. Car-
minati.
fi2u
NOCE.
Nucis putamen viride seu Juglandis fructuum Cor-
tex virìdis. Farm.
Juglans regia. Linnaei. Monoscìa Polyandria. Vedi
Pollini § 1895.
Il mallo g scorza del frutto del comune nostro noce con-
tiene del concino, del acido gallico e perciò ha un sapore
astringente ed amaro. Si prepara con esso il decotto , l' e-
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slratto e il rob , che usati a moderata dose valgono a fer-
mare le febbri accessionali*
PEPERONE,
Piperis hispanici seu indici Fructus. Farm.
Capsicum annuum* Linnaei. Pentandria Monogynia*
V. Pollini § 367.
Trasportato dalle Indie orientali e dall' America al-
l' Europa , ora è comunemente coltivato ne' nostri orti. Il
frutto 0 la bacca detta da noi peperone e pimeni , powre
d' Inde ou de Guinee da' francesi è pel solito usato im-
maturo e verde alle nostre tavole. Alcuni però ad oggetto
di condire vivande l'adoprano maturo 0 rosso. Per fare l'e-
stratto si prendono le bacche verdi , poiché quello prepa-
rato colle rosse sarebbe troppo forte. Ess